Di tagli e redenzioni

Chi era quella sconosciuta che la fissava dallo specchio?

"Va bene così, signorina Candice?", le stava chiedendo la cameriera alle sue spalle. Non sapeva ancora perché avesse accettato di farsi pettinare da lei, ma quando le aveva detto che la signora Elroy aveva chiesto di raccoglierle i capelli perché sembrava una selvaggia si era dapprima ribellata, poi aveva ammesso con se stessa che la sua chioma era davvero fuori controllo e per quanti nastri potesse legarvi non poteva rimanere sciolta a lungo senza diventare un unico nodo.

Non che le importasse davvero, le bastava rimanere rintanata nella stanza in un sonno senza sogni e avere un vestito pulito addosso. Mal sopportava persino le iniezioni di vitamine e Dio solo sapeva cos'altro che le faceva quell'infermiera insopportabile, ma almeno era riuscita a farsi portare i pasti principali nella sua stanza.

Usciva di rado, perché non voleva incontrare né l'arcigna zia, né quell'uomo biondo che sembrava così turbato da lei. E, a dirla tutta, non voleva stare in quei corridoi così grandi troppo a lungo. Quel giorno, però, voleva visitare la biblioteca per prendere qualcosa da leggere: se doveva starsene sveglia durante il giorno, almeno avrebbe distolto la mente dalla sua situazione penosa imparando qualcosa.

Per farlo, però, doveva rendersi presentabile e così aveva permesso a quella ragazza timida e impacciata di raccoglierle i capelli. Ma che diavolo le aveva fatto? Cos'erano quelle code orribili?

"Questi codoni sono di pessimo gusto, li odio!", disse avvertendo la rabbia montarle dentro. Stava per dire: la cosa più brutta che abbia mai visto, ma la verità era che non ricordava più neanche le cose brutte del suo passato.

"Ma... ma signorina, lei ha sempre portato i capelli così!".

Il mondo si fermò, il respiro le si mozzò in gola. Quando riprese, uscì in un sibilo, poi divenne un lamento, quindi un grido. Si artigliò i nastri e li strappò via assieme a qualche ciocca.

"Li odio, li odio, li odio!", gridò continuando ad affondare le mani e a strappare.

"Signorina, la prego, non faccia così", udì vagamente dire la cameriera alle sue spalle.

"Delle forbici, portami delle forbici! Voglio tagliare questi capelli odiosi!", ordinò allungando una mano tremante, aprendo e chiudendo le dita freneticamente, anelando di avere l'oggetto quanto prima.

Dallo specchio, vide la ragazza correre in bagno e tornare con quanto aveva richiesto. Vide anche la porta aprirsi e comparire la sua infermiera, di certo allarmata dalle urla.

"Se vuole... posso farlo io...". La sua voce tremava e sembrava spaventata a morte.

"No, lo faccio io. Sono capace di farlo", rispose secca, prendendole e tirando una lunga ciocca con l'altra mano. Allargò le forbici perché prendessero tutti i capelli e le richiuse di scatto.

I boccoli biondi caddero a terra e Candy cominciò a ridere. Ripeté l'operazione finché non li ebbe tagliati tutti, senza mai smettere.

- § -

Frannie Hamilton era un'infermiera e non una psicologa, ma non era una stupida. E aveva conosciuto Candy. Quando aveva sentito le sue grida si era precipitata a vedere cosa stesse accadendo ed era rimasta di sasso.

Come crocerossina aveva visto arti mozzati e soldati fatti letteralmente a pezzi dalle bombe, ma rimase comunque discretamente sconvolta dalla visione della sua ex collega con lo sguardo folle e le forbici in mano che si tagliava quei boccoli biondi.

Si era sempre concentrata sul proprio lavoro, non curandosi mai del proprio aspetto. D'altronde, sapeva di non essere affatto bella e di avere dei capelli di un colore scialbo e dritti come spaghetti. Si limitava a vedere il lato pratico della questione, raccogliendoli in una comoda coda per lavorare meglio.

Ma si era spesso scoperta a immaginare come sarebbe stato avere dei capelli lunghi, biondi e naturalmente arricciati come i boccoli di Candy. Certo non erano il massimo per un'infermiera e lei non solo non li aveva mai accorciati, ma si ostinava a portarli in due code infantili che la rendevano ancora meno professionale.

Peccato che i suoi pazienti l'adorassero.

Ora, vederla tagliare quella chioma che, se raccolta in modo corretto sarebbe stata l'invidia di ogni donna, le fece provare una piccola fitta al cuore. Era l'ennesima offerta della vita che Candy gettava in un angolo come fosse spazzatura. Proprio come aveva fatto con l'amore di quell'uomo così bello e ricco.

Perché era evidente come il sole di mezzogiorno quanto l'amasse.

Frannie sospirò, stentando a riconoscersi: non era da lei fare pensieri così poco professionali, ma da quando era tornata dal fronte stava avvenendo un cambiamento dentro di sé. Cominciava a essere stufa di fare solo l'infermiera: aveva allontanato la sua famiglia dalla propria vita, facendo pace con quell'aspetto della sua esistenza.

Ma sarebbe dovuta rimanere zitella e acida per sempre?

Non ne era più tanto sicura.

Ora, però, era il caso di occuparsi della sua paziente e tornare l'efficiente Frannie Hamilton.

"Spero tu sia soddisfatta, Candice".

La cameriera parve approfittare di quel momento per chiedere il permesso di andare via e dileguarsi, assicurando che sarebbe tornata per spazzare via quei capelli da terra quanto prima.

"Ora mi sento più leggera", disse fredda, controllando la sua opera nello specchio.

"Certo, ti senti più leggera e non avrai più problemi di acconciatura. Ma rimane il fatto che hai l'amnesia e anche una discreta forma di agorafobia". La vide accigliarsi e puntualizzò: "Hai paura degli spazi aperti. Ho visto pochi casi come il tuo, ma li so riconoscere abbastanza da dirti che hai bisogno di uno specialista".

"Non seguo i consigli medici di un'infermiera". Calcò su quel termine come se avesse parlato di qualcosa che la disgustava e Frannie non poté sopportarlo.

Fu questo a farle commettere un errore imperdonabile.

"È disprezzo quello che avverto nella tua voce?", chiese urtata.

"E se anche fosse, infermiera?", ribadì pronunciandolo di nuovo come se si riferisse all'immondizia.

"Ti ricordo che è grazie a medici e infermiere che ti sei rimessa in piedi e sei viva e in salute", ribatté con freddezza.

Su viso di Candy si delineò un'espressione di palese ribrezzo: "Odio l'odore di disinfettante degli ospedali, odio le iniezioni e odio i medici e le infermiere che puzzano di ospedale!", esclamò come se fosse una bimbetta capricciosa.

In Frannie ribollì una rabbia cieca: "Tutto questo suona molto sgradevole e controverso detto da un'ex infe...!", s'interruppe appena in tempo, ma non gliela diede a bere.

Candy si voltò di scatto, con gli occhi spalancati dalla sorpresa: "Cosa hai detto?".

Dannazione.

"Dimenticalo", cercò invano di rimediare, ma ormai il danno era fatto. Le aveva dato un'informazione sul suo passato che non avrebbe dovuto darle.

Tutta colpa di quei dannati capelli!

"Stavi per dire ex... infermiera? Come lo sai? Lavoravamo insieme? O te l'ha detto quel William?", chiese con rabbia malcelata.

"Non ha importanza. Non dovevo dirtelo".

"E non dovevi dirmi neanche degli spazi aperti? Posso andare in biblioteca e cercare un libro che ne parli, se la tua enorme esperienza ti fa pensare questo di me. Non voglio vedere nessun dottore, voglio essere lasciata in pace".

"Il mio compito è fare in modo che tu stia bene e ti ristabilisca completamente. Se questo include avvisare il tuo medico curante di eventuali criticità perché lui possa agire di conseguenza, allora lo farò", rispose impassibile.

Candy si alzò e cominciò a camminare verso di lei. Aveva ancora le forbici in mano: "E cosa gli dirai? Che mi sono tagliata i capelli? Che ho la fobia degli spazi aperti e che voglio sempre dormire? Gli dirai che sono pazza, infermiera Frannie Hamilton?". Ormai era a pochi passi da lei e la mano con le forbici si era alzata impercettibilmente: che diavolo di intenzioni aveva?

Senza aspettare oltre, le afferrò il polso e gliele tolse di mano in un gesto veloce, prima che potesse reagire: "È ora dell'iniezione di vitamine", disse cercando di controllare il panico che per un attimo l'aveva avvolta.

"Non voglio iniezioni!", le urlò contro.

In quel momento, il signor Ardlay entrò nella stanza esclamando: "Che sta succedendo?", chiese e quando vide Candy gli occhi gli si spalancarono a dismisura: "Che diamine hai fatto ai capelli?".

"È troppo chiedervi di bussare prima di entrare qui dentro? E perché mi perseguitate?! Fuori, uscite tutti fuori, lasciatemi in pace!". Quella era una crisi isterica in piena regola e Frannie dichiarò che le avrebbe somministrato un calmante.

Una mano le si posò sul braccio e lei avvertì qualcosa di simile a una scossa elettrica. Incontrò gli occhi dell'uomo e lo vide scuotere la testa: "Lasciamola sola", disse serio.

Frannie cercò velocemente di valutare la situazione: ora che non aveva più le forbici, Candy non sarebbe diventata un pericolo per se stessa. Si era accasciata sul letto piangendo e gridando ancora che voleva stare da sola, che andassero tutti al diavolo.

"Saremo nella stanza accanto se avrai bisogno di qualcosa", disse prima di uscire con il signor Ardlay e chiudere la porta alle loro spalle. Il dolore che gli lesse negli occhi la ferì come non avrebbe mai creduto possibile. La verità era che la sofferenza del signor Ardlay non le era più indifferente da quando lo aveva visto in ospedale. E non dipendeva dal fatto che avesse scoperto la vera identità dell'ex paziente della stanza numero zero di cui le aveva scritto Candy anni prima.

Dio, aiutami a essere forte.

- § -

"Posso parlare con la signorina Annie Brighton?", chiese Archie alla cameriera che gli aveva aperto la porta.

La donna lo guardò per un attimo con aria titubante, come se non sapesse bene come comportarsi. Lui sudò freddo, temendo che non lo avrebbe fatto entrare. Poi, dietro alle sue spalle, apparve la madre di Annie: "Fallo entrare, Molly", ordinò con voce ferma.

Archie s'inchinò un poco e la salutò, ringraziandola. Quando la cameriera si fu ritirata, incontrò gli occhi della donna e deglutì, a disagio: non gli piacque affatto lo sguardo freddo che gli stava rivolgendo, gli ricordava troppo quello della sua ex fidanzata.

"Mia figlia non mi ha parlato nel dettaglio dei motivi per cui ha deciso di lasciarti. Ma è stata molto chiara su questo punto: è stata una sua decisione. Tuttavia, non posso non notare il cambiamento che è avvenuto in lei e, anche se non lo dà a vedere, la sua sofferenza non passa inosservata né a me, né a mio marito".

Archie chiuse gli occhi, accusando il colpo di quelle parole come un brivido gelido.

Annie soffre per causa mia.

"Immagino che tu sia qui per tentare di convincerla a sistemare le cose fra voi e voglio darti questa possibilità. Sai che il sogno di ogni genitore è vedere la propria figlia sposata con un buon partito e tu eri quanto di meglio potessimo sperare in questo senso. Ho cercato di convincerla più volte che sarebbe dovuta tornare sui suoi passi, per il bene di tutti e per evitare uno scandalo, ma non è servito a nulla. Una parte di me spera che tu riesca nel tuo intento, ma voglio essere più che sicura che tra voi non esistano più attriti, in futuro. E che tu non le manchi di rispetto in nessun modo".

Ecco dove voleva arrivare: deve essere convinta che io abbia tradito Annie o qualcosa del genere.

"Ho tutta l'intenzione di risolvere il nostro rapporto perché tra noi ci sia l'armonia di un tempo. Amo Annie e voglio sposarla e renderla felice", rispose con decisione fissando intensamente la signora Brighton.

"Bene, è nella sua stanza", concluse con aria stanca. Sembrava che la preoccupazione causata da sua figlia l'avesse prostrata.

Archie salì le scale due a due, fomentato da nuove energie. Voleva spiegarsi e Annie avrebbe dovuto ascoltarlo: non avrebbe lasciato che le cose finissero così. Udì i propri passi risuonare sul pavimento lucido ed ebbe timore che, sentendolo arrivare, lei sarebbe fuggita via.

E da dove, dalla finestra?

Sorprendentemente, quel pensiero gli rievocò Candy ma la sua immagine non era più collegata a quella fitta di nostalgia e sofferenza come in passato. Certo, era preoccupato per lei, ma adesso che la sapeva viva, anche se priva di memoria, cominciava a capire molte cose su quelli che erano sempre stati i propri sentimenti.

E aveva tutta l'intenzione di aprirsi con Annie.

Bussò e attese, trepidante. Quando stava per arrendersi al fatto che lei non lo avrebbe ricevuto, udì la sua voce che lo invitava a entrare: dal tono sembrava urtata.

Quando aprì la porta quel sospetto divenne realtà. Annie era seduta al suo scrittoio e gli dava le spalle. Non si voltò ma gli chiese: "Cosa vuoi, Archie?", con un sospiro spazientito.

"Voglio che tu mi ascolti", esordì senza tanti preamboli. La sfumatura decisa e perentoria che aveva impresso nella frase sortì l'effetto desiderato. La ragazza si voltò e finalmente lo guardò.

"Parla", disse secca, senza neanche invitarlo a sedersi. Archie si chiuse la porta alle spalle e si accomodò lo stesso su una poltrona poco distante.

Tutta la determinazione di Archie crollò di fronte a quello sguardo gelido: poteva a malapena sostenere quello di sua madre, ma quello di Annie gli parve addirittura contro natura. Era cambiata, e molto. E la causa di quel cambiamento era lui. Non poteva dire di non apprezzare alcuni lati del suo nuovo carattere, rifletté ripensando a quel bacio rubato a Lakewood, ma la sua freddezza era qualcosa a cui non si sarebbe mai abituato, né intendeva farlo.

"Io... io...", balbettò.

"Tu cosa, Archie? Ti dispiace? Ti sei pentito? Mi ami al punto da volermi sposare? Sì, ho già sentito questa storia. Se non hai nulla di nuovo da dirmi, però, ti pregherei di lasciarmi stare. Sto scrivendo una lettera molto importante", concluse voltandosi di nuovo e rimettendosi a scrivere.

"Santo Cielo, Annie, così non mi faciliti certo le cose!", protestò scompigliandosi i capelli e alzandosi in piedi.

"E perché dovrei rendertele facili? Dovrei rimanere zitta mentre mi rifili le solite scuse? Perdonami, ma la Annie ingenua che conoscevi non è più disponibile!". E, dicendo questo, aprì il cassetto cominciando a cercare rumorosamente qualcosa.

Di nuovo, Archie rimase a bocca aperta davanti a quella dimostrazione di sicurezza. Era abituato a gestire un'Annie docile e remissiva e aveva davanti una specie di leonessa ferita.

Ma doveva reagire, svegliarsi da quel torpore e aprirle il suo cuore prima che fosse troppo tardi. Mentre si accingeva a parlare, però, si rese conto di sentirsi non meno vulnerabile di Albert quando pensava alla nuova Candy: Annie non aveva perso la memoria e ciò rendeva il suo cambiamento ancora più inquietante, se possibile, perché significava che sarebbe rimasta così per sempre.

"Non voglio perderti per un errore, Annie", esordì senza sapere se fosse l'inizio migliore, "e non continuerò a farti le mie scuse senza prima spiegarti il motivo. E il motivo è che ho sbagliato. Aspetta", le intimò vedendo che si era voltata e aveva aperto la bocca per dire qualcosa, "ti prego, lasciami finire perché se m'interrompi non so se sarò in grado di continuare". Odiò il tremore nel suo tono, l'emozione che vibrava dal più profondo del suo essere. Sperava almeno che ciò le indicasse la sua completa sincerità e il suo trasporto.

"Ho sbagliato a interpretare me stesso, i miei sentimenti. Quello che credevo fosse amore per Candy, in realtà era qualcosa di molto diverso. Era l'illusione di restare giovane e spensierato per sempre, come lei... perlomeno, come era fino a poco tempo fa", aggiunse tristemente abbassando gli occhi. Annie taceva e poté vedere un lampo di tristezza passare anche nei suoi.

Non indugiò oltre e proseguì, stringendo i pugni e non osando sedersi: il suo corpo era un fascio unico di nervi e poteva avvertire l'aspettativa emanata dalla figura di Annie. Ora aveva tutta la sua attenzione.

Bene.

"Tanti anni fa, prima di conoscerti, io, mio fratello e Anthony eravamo come dei cavalier serventi per Candy. Lei è arrivata in casa Lagan senza avere mai un briciolo di affetto da nessuno ma, anzi, subendo angherie e cattiverie di ogni tipo. In quel periodo eravamo l'unica famiglia che avesse e cercavamo di proteggerla. Ma, al di là di lei, io mi sentivo vivo, importante: e sai perché? Perché ero circondato dalle persone che più amavo mentre i miei genitori non c'erano. Supportare Candy era diventata una specie missione per noi, ma la verità è che ci divertivamo e vivevamo nella beata spensieratezza giovanile. Almeno finché Anthony non è morto". Archie dovette interrompersi, sentendo un nodo stringersi in gola.

Annie rimaneva in silenzio, guardandolo con un'espressione più morbida.

"Alla Saint Paul School, poco prima di fidanzarmi con te, stavo per confessare i miei sentimenti a Candy: ora so che sarebbe stato un errore, e non solo perché non mi avrebbe mai amato. Soprattutto, non avrei avuto la possibilità di scoprire quanto fossi importante tu".

Annie prese un respiro tremante, sembrava che stesse cercando con tutte le sue forze di non piangere: "Perché mi racconti tutto questo, Archie?".

"Perché voglio farti capire quanto io abbia travisato quello che provavo per Candy! Quando è arrivata la notizia della sua morte era come se fosse morta quella parte spensierata della mia giovinezza che era stata tanto importante per me. E siccome volevo... voglio bene a mia cugina, mi sono illuso che fosse ancora amore. Non avevo capito. Finché tu non mi hai lasciato. So che sembra un luogo comune, ma è stata proprio la tua lontananza a farmi capire quanto tenessi a te".

Gettandolo nel panico e nella confusione più completa, Annie cominciò a ridere. Non era una risata allegra e lo ferì profondamente: stava ridendo davvero di lui? La fissò, sconvolto.

"Quindi? Ora come finisce la storia? Che io mi getto fra le tue braccia e ti perdono, dicendoti 'oh, mio caro Archie, come sono felice di sentirti dire queste parole! Sposiamoci, amore mio!'. Davvero ti aspettavi questo, Archibald Cornwell?!".

Rimase di sasso. Eppure sapeva che aveva ragione. Si era ben reso conto di quanto fosse maturata, veramente si aspettava una resa così facile?

"No, hai ragione. Hai ragione a essere ferita e arrabbiata. Hai tutto il diritto di odiarmi, a dirla tutta", ammise senza più riuscire a sostenere il suo sguardo.

"Bene, allora vattene". Quello però fu come uno schiaffo in pieno volto.

No, non era così che doveva finire.

"Che cosa?", biascicò facendo un passo verso di lei.

"Ti ho detto di andartene!", gridò lei alzandosi di scatto e rovesciando la sedia con un gran fracasso. Ora le lacrime le scorrevano sulle guance.

Ora o mai più.

"No, non me ne vado", disse cercando di dominare il tremore alle mani e il battito impazzito del proprio cuore.

In due passi fu davanti a lei, poteva sentire il suo profumo e avvertire il suo intero corpo vibrare di rabbia e dolore.

"Perché, perché mi fai questo? Perché non mi lasci in pace?!", strillò prendendolo a pugni sul petto, seppellendo il volto nella sua camicia e poi spingendolo via, come se si fosse pentita di quel contatto.

"Perché ti amo", disse con voce tremula, sentendo gli occhi bruciare per le lacrime represse. Gli si stava spezzando il cuore, non credeva che gli avrebbe fatto così male perdere Annie. Devastato, si lasciò cadere in ginocchio davanti a lei, deciso a prostrarsi ai suoi piedi pur di ottenere il perdono. "Ti amo più di quanto mi sia mai illuso di amare Candy. Ti amo come non ho mai amato nessuna. Sei l'unica donna che sia mai stata davvero nel mio cuore in modo così totale. Senza di te... non ho senso neanche io".

La testa china, le lacrime che lo accecavano, Archie lasciò sgorgare qui sentimenti che scopriva di provare troppo tardi.

Sentì il tocco di Annie sul capo e spalancò gli occhi: alzò il viso su di lei, senza curarsi di nascondere le proprie lacrime e fu lieto di scoprire che sorrideva leggermente.

"Alzati, Archie", gli chiese tendendogli le mani.

Lui si asciugò il viso con un braccio ed eseguì, prendendole tra le sue: "Annie...". Lei gli mise un dito sulle labbra.

"Archie, sai quante volte avrei voluto sentire queste parole da te? Quante volte ho sognato una dichiarazione d'amore così semplice invece di ricevere fiori o eleganti baciamano?".

Deglutì, cominciando a comprendere la portata della sua sofferenza durante tutti quegli anni in cui l'aveva amata secondo l'etichetta e non secondo ciò che avrebbe dovuto dettargli il cuore. Come aveva potuto confessarle di avere il cuore diviso a metà? Non lo era mai stato, neanche per un minuto. Forse all'inizio aveva avuto un po' di confusione, ma successivamente si era trattato sempre di due sentimenti distinti che lui aveva mescolato tra loro.

"Mi perdonerai, Annie?", poté solo chiederle, sconfitto, mentre le carezzava con tenerezza il viso. Avrebbe voluto baciarla, anelava il contatto con le sue labbra, ma si trattenne.

Lei sospirò, scostandosi un poco da lui: "Non posso dimenticare tutto da un momento all'altro, Archie. Non posso negare che queste tue parole mi abbiano destabilizzata, ma non posso nemmeno dimenticare la lacerazione che è avvenuta definitivamente in me quando hai confermato i miei sospetti".

"Ma non era vero, te l'ho appena detto!", protestò lui allargando le braccia.

"Ma io non sono una bambola che va a comando, Archie!", rispose con ira. "Ho sentimenti, emozioni e non dimentico come se niente fosse. Possiamo restare amici, possiamo condividere le notizie di Candy e vederci ogni tanto, ma nulla sarà come prima".

Archie sentì la disperazione afferrargli la gola e togliergli il respiro: "Vuol dire... che non torneremo più insieme?", domandò cerando di ricacciare indietro le lacrime.

"Ti prego, Archie, non lo so! Non so niente, lasciami... lasciami ritrovare me stessa e poi potrai chiedermi di trovare noi. Se c'è una lezione che ho imparato da tutto questo è che devo valorizzare di più i miei desideri, a partire da cosa voglio diventare nella vita".

Annie si asciugò gli occhi e gli indicò la lettera: "Voglio studiare al conservatorio, fare qualcosa che amo ed essere egoista. Non appena la situazione di Candy sarà più stabile e definita chiederò a mia madre di spedire questa richiesta".

Archie sospirò, rassegnato: "Allora tanto vale che io rientri all'università quando Albert tornerà a lavorare a pieno regime. Magari stare separati ci farà bene. No, non è corretto: a me farà male, ma aiuterà te a riprendere in mano la tua vita. Io ti aspetterò".

Senza darle tempo di reagire, la prese fra le braccia e la baciò. Il suo primo bacio dato a lei, se escludeva quello che gli aveva rubato a Lakewood. Fu gentile, rispettoso, ma vi impresse tutto l'amore di cui fu capace.

Come temeva, lei lo schiaffeggiò.

"Bene, direi che non abbiamo più nulla da dirci, a questo punto", disse voltandosi per nascondergli quanto fosse arrossita. Archie sorrise: nonostante lo schiaffo, era certo che non le fosse dispiaciuto troppo.

"A presto, Annie", la salutò uscendo dalla stanza e sentendosi un po' più speranzoso.

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Angolo dei commenti:

Guest: La casa nel bosco si trova a Lakewood e attualmente Candy deve rimanere nella villa di Chicago per le cure. Inoltre al momento non penso che seguirebbe Albert tanto facilmente...

Ericka Larios: Purtroppo per quanto Albert sia forte sta davvero crollando davanti a questa nuova Candy e non sono mai stati così lontani come adesso. Terry al momento non sa ancora nulla e i Lagan sembrano all'apice del loro successo. Incredibilmente, ora è sul serio tutto nelle mani e nella mente di Candy, nel suo desiderio di tornare quella di una volta...

Guest 2: La nuova Candy non ha interesse, al momento, a difendere Albert purtroppo. E non 'conosce' Eliza.

Mia8111: Il tuo commento è identico a quello di Ericka... sicura di non volermi spiegare cosa ne pensi TU della storia? :-)

Elizabeth: Purtroppo Candy non si rende conto del male che fa ad Albert perché il suo cuore ha dimenticato l'amore che provava per lui. Avrà mai un lampo di lucidità a ricordarle quanto fosse felice con lui? Eliza e sua madre sono complici, non potrebbe essere diversamente, ma la ragazza le sta tenendo nascosti piani ben più torbidi.

Elbroche: Lo so, anche io odio che Candy tratti così Albert, ma è il suo nuovo modo di essere e bisogna avere tanta pazienza. Purtroppo lei è un'altra persona e Albert ha un bel carico sulle spalle. Vi avevo avvisati che non sarebbe stata una storia semplice...

Charlotte: Lo so, è una sofferenza vedere questa Candy completamente diversa, va tutto davvero alla rovescia! So che seguire questa storia non è affatto facile e scriverla ha portato anche a me tanto dolore, ma è un cammino lungo e occorre essere pazienti, non abbandonare la speranza e vedere cosa accade: Candy ha perso la memoria e la sua personalità, mentre Albert deve venire a patti con questa realtà, al momento. Terence sa che lei è ancora innamorata di Albert, al momento non si sta avvicinando, ma il tuo dubbio è lecito... se lo facesse? Un abbraccio, spero che nonostante tutto tu continui a seguirmi!

Sandra Castro: Ti capisco benissimo, questa Candy non piace a me e a nessun altro, ma se dovevo cambiarle la personalità per via della perdita della memoria dovevo farlo in maniera convincente. E il suo modo di trattare Albert è odioso, sono d'accordo, ma la motivazione profonda andrà approfondita... Come ho già avuto modo di ripetere purtroppo non è una storia facile e capisco che possa sconvolgere, visto che io stessa lo ero mentre scrivevo. Ma spero che mi darete fiducia e continuerete a seguirmi anche se è un po' dura. Un abbraccio!