Reminiscenze
"Ora chiudi gli occhi, Candice, e dimmi che immagini ti vengono in mente".
Frannie guardò la ragazza eseguire la richiesta dello psichiatra aggrottando le sopracciglia come se si stesse concentrando oppure come se non fosse d'accordo. Teneva pronta una siringa con un calmante, casomai ce ne fosse stato bisogno ma, mentre l'uomo le parlava, la mente volò suo malgrado all'ultima conversazione avuta con il signor William Ardlay.
"Mi dispiace, è stata colpa mia se Candy ha perso il controllo", gli aveva detto riferendosi al suo velato accenno al fatto che fosse stata infermiera.
"No, ha perso il controllo quando la cameriera le ha riferito che portava i capelli legati. Me lo ha raccontato", aveva risposto lui piantandole negli occhi quello sguardo azzurro che le mozzava il fiato.
Non era riuscita a sostenerlo, era persino arrossita, dannazione! Lei, Frannie Hamilton, aveva le classiche farfalle nello stomaco ogni volta che quell'uomo posava su di lei quelle pozze d'acqua cristallina.
Anche mentre ci ripensava, accidenti!
Avevano parlato per un po' e lei cercò, ancora una volta, di ricordare se avesse per caso fatto o detto qualcosa che potesse palesare la sua fragilità al padrone di casa. Sperava che la proverbiale freddezza da infermiera l'avesse aiutata a costruire una facciata sufficientemente credibile per non mostrargli che le sembrava di sciogliersi a ogni istante.
"Odio i cavalli, non voglio parlare di cavalli!". La voce cantilenante e acuta di Candy la riportò alla realtà.
Il dottor Carter le scoccò un'occhiata di avvertimento e lei prese in mano la fiala, pronta ad aprirla e a risucchiarne il liquido con l'ago a un suo cenno. Doveva rimanere presente e smetterla di comportarsi come una ragazzina in piena crisi ormonale.
"Perché li odi, Candice?". La voce del medico era come una carezza vellutata, ma il corpo e la postura di lei tradivano un nervosismo evidente. Ormai era chiaro come il sole che i cavalli erano il nocciolo di tutta la questione.
"La volpe... c'è una volpe. No, no...", piagnucolò come se fosse regredita di un paio di decenni.
"Va tutto bene, Candice, cosa fa la volpe? Ti attacca?", il tono continuava a essere pacato ma Frannie vi colse la determinazione di chi sa che si sta avvicinando al fulcro del problema.
"A... AHHHHHHH!", Candy cominciò a gridare sempre più forte, calcando su quella vocale e lo psichiatra si affrettò a risvegliarla, cominciando a contare a ritroso. Frannie strinse la siringa tra le mani, chiedendosi quale oscuro trauma si potesse nascondere nell'allegra e spensierata collega che lei a malapena aveva sopportato fino a qualche anno prima.
Una volta svegliata dall'ipnosi, Candy cominciò ad ansimare come se le mancasse il fiato. Con gesti veloci e sapienti, Frannie riempì la siringa e la inserì nel suo braccio. Mentre si addormentava lentamente e il respiro tornava regolare, la udì sussurrare un nome.
Frannie sbatté le palpebre, insicura se si trattasse della propria immaginazione.
"L'ha sentita anche lei, vero?", le domandò di riflesso il dottor Carter.
Annuì: "Pensa che possa essere collegato alla sua condizione?".
L'uomo inclinò la testa, pensieroso: "Potrebbe, ma ho bisogno di approfondire le cose. Dovrò anche parlare con il mio collega per capire se possiamo darle altre dosi di tranquillante a ogni seduta, non vorrei che il suo fisico debilitato possa risentirne".
"La paziente ha ripreso peso e, a parte la condizione psicologica, presenta normali livelli ematici dalle ultime analisi effettuate", osservò Frannie.
"Sì, ma questi farmaci, come ben sa, possono dare... dipendenza. E Dio solo sa se le condizioni della signorina Ardlay non la mettono a rischio, in questo senso. Si rifiuta di uscire e dorme per molte ore anche durante il giorno: continuando così potrebbe persino favorire un nuovo coma".
L'infermiera trattenne il fiato a quelle parole e un leggero brivido le percorse la schiena: "Capisco", disse gettando via la siringa e i resti della fialetta nel cestino del bagno.
"Resti con lei, signorina Hamilton, vado a parlare con il signor Ardlay. Sono certo che lo troverò preoccupato fuori dalla porta, dopo averla sentita gridare".
Lei non poté trattenere un sorriso triste: "Ne sono certa anch'io".
- § -
Luke Robinson passava lo sguardo dalle casse di materiali a quelle con le bottiglie, che aveva appena aperto, con gli occhi fuori dalle orbite e la bocca spalancata. Il respiro accelerò, facendogli inalare la nebbia serale di Londra.
Cos'è, uno scherzo?
"Ehi, Robinson! Che ci facciamo con questo carico? Lo lasciamo in mezzo alla strada?", gli gridò uno dei facchini indicando le due grosse casse incriminate.
Lui si voltò a guardarlo con la bocca ancora aperta: "No, aspetta, qualcosa non torna: non c'è la bolla con la specifica dei materiali e...
E in queste due casse c'è così tanto whisky che basterebbe per tre squadre di operai.
"Louis! Louis, dove diavolo sei quando c'è bisogno di te?", chiamò trafelato.
Non voleva neanche guardarle quelle casse di merce, perché dentro c'era qualcosa che avrebbe potuto scoppiargli tra le mani come una bomba. E non erano fuochi di artificio. William Ardlay, o chi per lui, doveva essersi bevuto il cervello.
In senso letterale.
Perché almeno il materiale da costruzione e le attrezzature erano compatibili con quelle che riceveva di solito. E anche il whisky, se non fosse stato per la quantità spropositata e il momento sbagliato per inviarlo.
Chi diavolo è la Whisky and Wine Company?
Mentre prendeva fiato per chiamare il capomastro del cantiere, avvertendo chiaramente l'umidità permeargli la gola come una mano gelida, vide una figura farsi avanti. Il respiro gli si mozzò e al gelo seguirono i brividi.
Siamo fottuti, dannatamente fottuti. E non so neanche perché.
"Polizia di Scotland Yard", si presentò l'uomo con un lungo impermeabile nero. In altri tempi, Robinson gli avrebbe chiesto se per caso non fosse imparentato con Sherlock Holmes, perché sia il cappello che la pipa glielo ricordavano in modo impressionante.
Lui almeno era un personaggio di fantasia. Quello no, quello era un poliziotto vero.
Dio, dammi la forza.
"Io... io...", il dono della parola svanì improvvisamente, facendolo apparire di sicuro ancora più colpevole di quanto non fosse. Ossia per niente.
"Abbiamo ricevuto una segnalazione da Chicago. Pare che si stia verificando uno scambio di merci illegali, ai sensi della legge Volstead, che viola il 18° emendamento, tra la Whisky and Wine Company di proprietà della Ardlay Company e la vostra ditta edile".
Oh, Signore...
"Noi riceviamo solo materiali da costruzione dall'America! C'è un accordo scritto! Gli allegati al contratto...", balbettò senza rendersi più neanche conto che uno di quei maledetti allegati mancava e tra le mani stringeva solo una bolla con un timbro.
L'uomo gliela strappò via senza troppe cerimonie: "Permette?", disse dopo, cominciando a leggere mentre tirava una generosa boccata dalla pipa.
Robinson chiuse gli occhi: metà della sua mente pregava, l'altra metà stava bestemmiando in inglese e in scozzese. Se solo ci fosse rimasto, in Scozia...
Louis scelse proprio quel momento per comparire: "Ehi, che succede qui? Buonasera, agente", esordì col suo tono più amichevole.
"Succede che siamo nella merda fino al collo", gli mormorò a denti stretti mentre il poliziotto alzava due occhi torvi su di loro.
"Aprite quelle casse", ordinò indicandole con la sua dannata pipa. "Nessuno si muova da qui. Credo che vi servirà un avvocato, signori. E non solo a voi".
- § -
"Perché cavolo mi stai seguendo?", domandò Terence, sapendo già la risposta.
Karen si fermò e i suoi passi nervosi smisero di riecheggiare per la via: "Voglio essere certa che tu non faccia sciocchezze, specie dopo aver firmato quel contratto".
"Non le farò. Ora vattene", le intimò desiderando che non gli desse retta. Ormai era diventato come una sorta di gioco tra loro due. Terence si stava abituando lentamente a vivere con le sue sole forze, imponendosi di fare scelte che lo tenessero occupato ma non era ancora pronto a fare a meno di Karen.
Continuava a mal sopportare il bisogno che aveva di appoggiarsi a una donna, lui, Terence Graham, soprattutto considerando che il loro era un rapporto del tutto platonico.
"Vuoi davvero che me ne vada? Va bene", disse lei con disinvoltura e, in un momento di orrore, udì i suoi passi allontanarsi. Si voltò, seguendola con lo sguardo mentre la notte la inghiottiva, boccheggiando come un pesce cui abbiano appena tolto l'amo dalla bocca.
Non era forse quello che voleva?
Entro pochi giorni non l'avrebbe più rivista, perché il tour si avvicinava al termine e lui avrebbe avuto appena il tempo di fare i bagagli per cominciare le riprese del film.
"Addio Karen", disse alla strada buia mentre una sensazione di panico gli torceva lo stomaco. Continuò a guardarle la schiena, ignaro di ciò che stesse provando: piangeva? Rideva? Provava indifferenza? Certo, la sera dopo l'avrebbe rivista, ma...
Che diavolo succedeva? Perché non svoltava l'angolo e, anzi, indietreggiava?
Lanciando un'imprecazione ad alta voce, Terence cominciò a correre fino a raggiungerla, proprio nel momento in cui un uomo le metteva un panno davanti alla bocca e altri quattro la attorniavano con tutta l'intenzione di portarla nel vicolo.
Stavo davvero lasciando che se ne tornasse in albergo da sola? A quest'ora?!
Senza pensare alle conseguenze, caricò un pugno in direzione del tipo che le teneva il panno sul viso, a malapena consapevole dei lamenti sempre più flebili della donna.
Le conseguenze arrivarono e furono dolorose e peggiori di come le avesse immaginate.
Mentre cercava, da solo, di difendersi da cinque energumeni schivando pugni, allungando calci e tentando disperatamente di non svenire sotto i colpi ricevuti, Terence pensò ad Albert.
Lui se la sarebbe di certo cavata molto meglio di me, fu il suo ultimo pensiero prima di perdere la battaglia con la lucidità. In lontananza, gli parve di udire un urlo.
- § -
"Chi è Anthony?", gli aveva chiesto il dottor Carter nel suo studio solo un'ora prima.
Il sangue gli si era gelato nelle vene, ma aveva risposto: "Era mio nipote. È morto alcuni anni fa, aveva appena quindici anni".
Il medico aveva chiuso gli occhi, annuendo lievemente e aggrottando le sopracciglia come se stesse facendo un ragionamento: "Devo chiederle scusa, signor Ardlay, ma avrei bisogno di sapere in quali circostanze ha perso la vita il ragazzo".
Albert si era alzato dalla sedia, perché non sopportava di rimanere fermo: un senso d'inquietudine lo aveva colto senza che lui potesse farci nulla. Il ricordo di Anthony gli avrebbe fatto sempre male, anche se fossero passati cento anni: "Stava partecipando a una caccia alla volpe. Il cavallo si è imbizzarrito quando ha visto l'animale, poi ha messo la zampa in una tagliola e... lui è caduto, morendo sul colpo".
Non l'aveva mai raccontato nel dettaglio ad alta voce e farlo lo aveva scosso nel profondo.
"Mi perdoni, vedo chiaramente quanto parlarne sia doloroso per lei, ma mi dica un'ultima cosa: la signorina Candy era forse presente al momento dell'incidente?".
L'espressione del medico sembrava quella di un uomo che avesse finalmente avuto conferma delle sue intuizioni: "Sì, era lì. Mi sta dicendo che la ritrosia di Candy nel recuperare i ricordi deriva da quell'incidente?".
"Lo sospetto fortemente. Mi ha parlato di quanto odiasse i cavalli, di una volpe e quando era già sveglia ha mormorato il nome di Anthony".
Albert aveva chiuso gli occhi.
"Sono sempre la causa della tua infelicità, non è vero, Candy?", bisbigliò mentre le carezzava i capelli corti, guardandola dormire. Pensava di essersi lasciato alle spalle il senso di colpa per aver organizzato quella dannata battuta di caccia, quando era tornato a Lakewood con lei e avevano visitato il luogo maledetto in cui suo nipote aveva perso la vita. Ma ora, quello stesso senso di colpa tornò a pugnalarlo in pieno petto.
Come lo aveva pugnalato il grido che lo aveva fatto correre alla sua porta, prima che lo psichiatra lo intercettasse e gli chiedesse di parlare.
Come lo aveva pugnalato il volto serenamente addormentato di Candy, quando era entrato nella sua stanza di nascosto, come un ladro, e lo aveva visto così simile, nel sonno, a quello che aveva amato e conosciuto.
Ancora non gli era chiaro come la sua presenza le fosse così sgradita, che relazione ci fosse tra lui e il suo presunto trauma legato alla morte di Anthony. Lo stesso dottor Carter aveva promesso che avrebbe approfondito la questione, ma con tutta la delicatezza che sarebbe stata necessaria per non sconvolgere la paziente.
"Cosa devo fare io, nel frattempo? Continuare a nascondermi da te, mia dolce Candy?". Se la sua lontananza fosse stata indispensabile al suo recupero, ebbene, l'avrebbe osservata senza essere visto, rimanendo nell'ombra, come faceva da una vita. Sarebbe stato devastante, ora che si erano avvicinati tanto, ma avrebbe persino rinunciato a lei per il suo bene. Lo aveva già fatto in passato, quando pensava fosse ancora innamorata di Terence e l'aveva guidata da lui inviandole un pacco da Rockstown.
Perché l'amava al di sopra di ogni cosa, anche della propria felicità.
Candy si mosse nel sonno proprio mentre lui stava uscendo dalla stanza e si voltò per un attimo a guardarla.
"Anthony... Al... Albe...".
Il cuore accelerò rimbombandogli nel petto, nelle orecchie, lo sentì pulsare in ogni vena del proprio corpo. Stava per dire il suo nome, dopo aver nominato Anthony?
Mentre rimaneva lì, congelato nell'atto di aprire la porta, Candy scattò a sedere con un grido e si prese la testa fra le mani. Poi si portò una mano alla bocca, scossa da conati sempre più forti e, come se non l'avesse neanche visto, scese dal letto inciampando e corse goffamente verso il bagno.
Era successo tutto così velocemente che Albert restò fermo per un attimo a riflettere su come dovesse comportarsi, prima che il suo istinto di protezione avesse il sopravvento e lo guidasse da Candy.
Dove lo aveva sempre guidato, anche quando non aveva un'idea precisa di dove fosse ma riuscisse sempre a incontrarla.
Quel filo invisibile che ci unisce...
Così era stato alla fine di quella cascata, molti anni prima. Così era stato per le vie di Londra, quando sapeva che si trovava alla Saint Paul School ma non immaginava minimamente che si trovasse per strada di notte.
E così fu ora, mentre lei se ne stava scompostamente inginocchiata sulle piastrelle del bagno con la testa immersa nel water, il corpo che aveva tanto desiderato scosso da singulti strozzati e rauchi.
Anche io ho provato una forte nausea quando ho recuperato la memoria. Cosa hai sognato, Candy?
Con un gesto lento e timoroso, le mise una mano sulla fronte, sostenendola: "Che diavolo vuo...", riuscì a dire prima che la testa le scattasse di nuovo in basso per la forza di un conato.
"Ti sto solo aiutando. La tua infermiera dorme". La sua debole spiegazione non la intenerì, anzi, la fece infuriare di più.
"E che ci facevi qui? Volevi approfittarti di me...", altro conato, altro scatto del corpo che lui sostenne fermamente con le braccia.
"Ti ho già detto che non devi temere nulla da me. Ero qui perché ero preoccupato, so che non lo apprezzi, mi dispiace".
Lei non riuscì a rispondergli per lunghi istanti, troppo presa dal suo malessere. Quando finalmente sembrò non avere più nulla da rigettare, però, lo spinse via con il braccio. Lottando contro il desiderio di aiutarla ad alzarsi, la vide tirarsi in piedi appoggiandosi al muro, far scorrere l'acqua del water e aprire il rubinetto del lavandino per lavarsi la faccia.
La osservò in silenzio, sapendo che si sarebbe infuriata, ma incapace di lasciarla sola. Candy si girò verso di lui e Albert si ritrovò con la bocca secca: la camicia da notte si era bagnata mentre si rinfrescava e le stava appiccicata in alcuni punti del torace, mettendo in evidenza il seno piccolo ma ben formato.
Distolse lo sguardo, a disagio, maledicendosi in silenzio.
"Tra quello che dice e come si comporta non c'è corrispondenza, lo sa, signor zio William?", lo canzonò avvicinandosi e tornando a dargli del lei.
Albert si ritrovò a indietreggiare.
Chi è questa sconosciuta con il viso di Candy? Neanche lo sguardo è più il suo.
"Credo che sia ora che tu torni a letto", dichiarò con voce ferma.
"Le piacerebbe accompagnarmi, William?", disse in tono sensuale attaccando il corpo al suo, prendendogli il volto tra le mani e baciandolo con una velocità che gli impedì di reagire per tempo.
Tutti quei gesti repentini gli fecero girare la testa e, per un attimo, Albert si vide mentre le strappava di dosso quella camicia da notte e la faceva sua contro lo stipite del bagno. Gli ci volle una quantità eccezionale di autocontrollo per staccarla dolcemente da sé e guardarla persino con una dose di rimprovero.
La desiderava come un disperato, ma non era così che doveva essere. Assolutamente. Non mentre lei era senza memoria e stava facendo chissà quale dispetto a lui o a se stessa.
"Questo non è da ragazza perbene, Candice", le disse trattandola come una bambina. Sperava che questo la scuotesse, invece lei cominciò a ridacchiare.
"Oh, scusami, paparino!", disse facendolo rabbrividire e raffreddando all'istante ogni desiderio carnale. Ancora una volta, si chiese chi diamine fosse quella donna. "Stai a vedere che devo fidarmi di te per davvero! Eppure mi sembrava che non ti dispiacesse la mia vicinanza... o forse sì. Magari hai altri gusti", gettò la testa indietro e la sua risata gli ferì le orecchie. Dovette combattere contro se stesso per non tapparsele con le mani.
Candy era davvero morta. Quella davanti a lui era una donna glaciale, rancorosa e irriverente.
"Ti lascio sola, Candice. Buonanotte", poté solo ribattere. Non sapeva come affrontare la sconosciuta in quel bagno.
"Sì, fammi dormire. È tutto quello che voglio. Dormire e non svegliarmi più". Non fu solo il suo tono triste a colpirlo e a farlo tornare sui suoi passi. Fu la determinazione che aveva udito.
Potrebbe tornare in coma, se si ostina a voler dormire tanto e non sono certo che a quel punto si sveglierà di nuovo. Potrebbe lasciarsi morire.
Le parole del dottor Carter gli martellarono il cervello. Albert strinse i pugni e, mentre faceva un passo verso di lei, disse a denti stretti: "Non voglio sentire certi discorsi, Candy. Non voglio che tu muoia". Aveva anche sbagliato il nome e lei ora sembrava furiosa, dannazione!
"Devo chiedere il permesso per morire? Odi tanto quella parola? Non vuoi vedermi morire?! E perché, di grazia?". Il suo tono si stava alzando pericolosamente e i nervi di Albert cominciavano a entrare in risonanza con quelli di lei.
Male, molto male.
"Ho visto morire troppe persone a me care, nella mia vita. Non lascerò che muoia anche tu", le rispose odiando la vibrazione nella sua voce. Rabbia, dolore, impotenza: tutto gli ribollì nel sangue come un veleno.
"E io ti ripeto che voglio morire!", gridò Candy artigliandosi i capelli. "Morire, morire morire!".
Lo schiaffo partì senza che lui se ne rendesse conto. La mano impattò contro la guancia di Candy con una forza che Albert riuscì a controllare solo all'ultimo momento. La litania di lei smise all'istante e con essa defluì anche la marea in tempesta che lo stava sommergendo: a breve, avrebbe avuto bisogno anche lui di uno psichiatra.
"Che diamine succede?", la voce di Frannie fu sufficiente a fargli riprendere una parvenza di controllo.
"Mi spiace, Candice, finché sarai sotto al mio stesso tetto avrò cura che tu stia bene e non parli più di morire. Spero che le cure che stai ricevendo ti aiutino a stare presto meglio. Sono spiacente di averti colpita, ti giuro che non entrerò mai più nella tua stanza. Per favore, infermiera Hamilton, si prenda cura di lei: ha dato di stomaco e credo sia un po' agitata", terminò uscendo senza neanche guardarla.
Ancora scosso per tutte le emozioni violente che Candy aveva suscitato in lui, Albert si diresse a grandi passi nel corridoio e si sentì libero di respirare normalmente solo quando si fu chiuso nella sua camera. Si appoggiò alla porta e si coprì il viso con le mani che gli tremavano.
Quante lacrime dovrò ancora versare per te, Candy? Quanto dolore, prima di riaverti? Quanto tempo prima di arrendermi al destino che non mi vuole al tuo fianco?
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Angolo dei commenti:
Sandra Castro: Devo confessarti una cosa: i codoni di Candy dopo un po' non li sopportavo più neanche io, quindi ho approfittato del suo attuale stato mentale per darci finalmente un taglio, anche se un po' troppo netto. In realtà non sapremo mai che intenzioni avesse con le forbici in mano, magari tutto o nulla, chissà, fatto sta che Frannie l'ha 'disarmata' subito. Mi interessa molto l'analisi che fai della psiche di Candy perché non c'è cattiveria pura nel suo modo insolito e sgradevole di trattare tutti, Albert in testa: c'è la perdita della propria personalità, della memoria e forse sì, anche della sofferenza. Cercherò di tracciare la sua condizione psicologica delicata nei prossimi capitoli, spero ti convincerà! Per rispondere alla tua domanda su Frannie... ebbene non hai le allucinazioni: anche lei è rimasta stregata da Albert, ma come non capirla? Annie e Archie hanno bisogno di stare un po' separati per riprendere le fila della loro relazione, speriamo ne escano migliori, soprattutto Archie! Infine... anche a me fa male vedere Albert soffrire, ma pensa che anche Candy, a modo suo, sta soffrendo... il cammino è lungo e doloroso per tutti. Grazie per continuare a seguirmi!
Guest: In biblioteca si possono fare mille incontri diversi. Oppure no...
Guest 2: L'istinto di Albert è sempre stato quello di proteggere Candy, anche se lei al momento lo allontana per timori che sono tutti ancora celati nella sua mente. E proteggerla, per lui, significa anche non forzarla più di tanto per non sconvolgerla, così come gli hanno suggerito i medici. Per quanto riguarda Frannie alla fine anche lei si è lasciata incantare dal nostro Albert, ma lui sarà così disperato da consolarsi con un'altra donna?
Ericka Larios: Sia Albert che Archie sono rimasti senza fidanzata... ma, mentre Archie se l'è anche un tantino cercata, Albert poveraccio è solo una vittima degli eventi e dei Lagan. Candy sta combattendo una lotta contro la sua stessa mente e non si può far altro che affidarsi ai medici, per ora. Frannie, per quanto si sia invaghita del bel biondo, non farebbe mai nulla di meno che professionale.
Mia8111: Ciao! Gli aggiornamenti ci sono ogni venerdì e martedì. Grazie.
Elizabeth: Beh, non siamo forse un po' tutte innamorate di Albert? XD Anche Frannie alla fine è caduta ai suoi piedi, come darle torto? L'importante sarà l'evoluzione che comporterà questo suo sentimento. Candy ha un comportamento che a molti non piace, ma come dici tu neanche lei sta bene così com'è: lei e Albert sono vittime di dolori diversi ma molto forti. Il loro cammino è lungo come il titolo... E in tutto questo solo i Lagan sembrano divertirsi. Annie ha fatto quello che farebbe ogni donna: ha accettato le scuse ma si è presa il suo tempo per riflettere bene e dare tempo ad Archie di maturare.
Charlotte: Carissima, tutti vogliamo che Candy torni quella di una volta, ma il danno cerebrale che ha subìto è molto esteso e bisogna armarsi di tanta pazienza. Cercherò nei prossimi capitoli di delineare meglio la situazione. Frannie è rimasta affascinata da Albert come accadrebbe a qualsiasi donna normale, direi XD Tutto sta nel vedere come evolve questa cosa... Archibald ha fatto un errore e lo sta pagando, ha bisogno di maturare e Annie ha bisogno di tempo per far guarire le sue ferite e occuparsi di se stessa. Anche loro hanno davanti un cammino difficile. Grazie mille per seguirmi, un abbraccio!
