Errori e strategie
Eliza stringeva la cornetta del telefono con un sorriso eccitato e rivolse uno sguardo a suo fratello. Ormai erano passate settimane dalla partenza del carico e lei voleva sapere se tutto era filato liscio: ma dovevano stare attenti.
Quando la cameriera rispose al telefono, fece la sua voce più innocente: "Sono Eliza Lagan, posso parlare con mio zio William, per favore?".
La pausa che seguì le fece battere più forte il cuore. Di fronte a lei, Neal dovette cogliere la luce che le si era accesa negli occhi.
"Mi dispiace, signorina, ma il signor Ardlay è in viaggio per lavoro", rispose la donna con voce leggermente tremula.
"Oh, è in viaggio di lavoro!", ripeté facendo un gesto di vittoria con due dita, mentre Neal agitava i pugni altrettanto allegro. "E dove è andato?", domandò sperando di non spingersi troppo oltre, ma non potendo trattenere la curiosità.
La cameriera divenne nervosa, lo poteva percepire da ogni parola: "Io... io non lo so, non ci è dato conoscere gli spostamenti dei signori".
"I signori?", ribatté Eliza alzando un sopracciglio e cogliendo l'espressione interrogativa anche sul volto di suo fratello.
"Sì, io... ecco, se vuole posso farla parlare con la signora, sua zia è...".
"Dimmi un po', Nancy, lo zio è partito con mio cugino Archie, per caso?". Gli occhi di Neil si spalancarono e la bocca gli si aprì a dismisura.
"Io... non lo so. Vado a chiamarle la signora", disse prima che il rumore forte della cornetta appoggiata senza delicatezza su un piano le facesse allontanare la propria dall'orecchio con una smorfia.
"Anche Archie?", mormorò Neil concitato.
Eliza coprì il telefono con una mano: "Credo proprio di sì, vediamo che dice la zia", ribatté parlando piano.
Tormentò il filo del telefono per minuti interi, finché finalmente udì la zia Elroy dall'altro capo: "Buongiorno, nipote, a cosa devo la tua chiamata?", chiese senza preamboli.
"Oh, zietta, che bello sentirti! Come vanno le cose lì a Chicago?", disse con tono allegro.
"Non ci lamentiamo, Eliza. Abbiamo dovuto assumere un'infermiera per prenderci cura di Candice". Perché la sua voce le sembrava improvvisamente dura? Eliza si accigliò.
"Come sta?", domandò andando dritta al punto.
"È ancora senza memoria, ma non credo che tu abbia chiamato per sincerarti delle sue condizioni. Come mai volevi parlare con William?". Eliza tentò di cogliere le diverse sfumature nella voce della zia ma non era facile: rimprovero? Ansia? Apprensione? Difficile dirlo, senza poterla vedere in viso.
Ignorò i gesti teatrali di suo fratello e usò il tono più innocente e leggero che le uscì: "Zia, stiamo aprendo un nuovo albergo e volevo invitarvi tutti qui per la festa che daremo! Ci sarà un ballo in maschera con tutta l'alta società della Florida e non solo. Pensi che lo zio tornerà entro una decina di giorni? Ti prego, dimmi di sì!", concluse come una bambina che chiede un giocattolo.
Neal le fece un segno col pollice a indicarle che la sua recitazione era stata perfetta.
Eliza udì un sospiro tremulo e si morse il labbro, in attesa: "Io... non lo so, Eliza. Si tratta di un viaggio molto lungo per incontrare nuovi investitori e non credo che William voglia sbrigarsi a tornare per un ballo. Sai com'è fatto".
Facendo appello a tutto il suo autocontrollo per non urlare di gioia, Eliza affondò l'ultimo attacco. Tanto per essere sicura: "Che peccato! Beh, ora chiamerò a casa di Archie, spero che almeno mio cugino non mi deluda, anche se non gli sto molto simpatica!", ridacchiò.
"Non lo troverai. È partito con William", ribatté la zia con un tono così duro che per un attimo si sentì quasi accusata. Era un pensiero sciocco, tuttavia.
"Ma che peccato! Beh, pazienza. Vieni tu, zietta, ti sento molto tesa: forse hai bisogno di distrarti", concluse affettuosa, mentre Neil coglieva la sua occhiata e sorrideva da un orecchio all'altro.
Quando ci fu di nuovo silenzio, Eliza pensò che fosse caduta la linea: "Pronto? Zia Elroy, ci sei ancora?", chiese preoccupata.
"Non posso venire, Eliza, mi dispiace. Devo occuparmi della casa e con il problema di Candice... devo essere presente, mi capisci? Purtroppo tutte le responsabilità ora sono sulle mie spalle, anche quelle più sgradevoli".
Lei fece una smorfia, anche se sapeva che la zia non poteva vederla: "Già, non fa altro che causare problemi quella Candy! Perlomeno adesso lo zio non vorrà più avvicinarla", commentò acida.
"Sì, certo... Eliza, ora devo lasciarti. Ho un forte mal di testa e mi aspettano degli impegni con la servitù. Congratulazioni per l'hotel", concluse la donna.
"Oh, certo, zietta! Vai pure a riposare. A presto!", la salutò. Mentre stava per riattaccare, però, la voce della zia le trapanò i timpani anche se era bassa.
"Eliza? Come mai hai chiamato tu e non tuo padre o Sarah, per invitarci alla festa?". La voce era così fredda che per un attimo avvertì il gelo persino sull'orecchio.
"Perché faccio parte della famiglia, che domande! E mi fa piacere aiutare nell'organizzazione", rispose cercando di apparire naturale.
La zia sospirò di nuovo: "Bene, arrivederci Eliza".
Quando riattaccò fissò per un attimo la cornetta, avvertendo tutta la tensione accumulata.
"Allora? Sono... partiti entrambi?", le chiese Neil eccitato.
"Sì", rispose riattaccando a sua volta con lentezza.
"E allora cos'è quella faccia?", le domandò circospetto.
"Non so, la zia mi ha dato l'impressione di sospettare qualcosa", esplicitò quel pensiero facendo impallidire suo fratello.
"Come... come puoi dirlo? La zia è sempre stata dalla nostra parte! Tu stessa non mi hai dato peso quando quel sospetto lo avevo io!", protestò lui avvicinandosi.
Eliza si tormentò una ciocca di capelli: "Sì, ma non dimenticare che una sera ci ha beccati nello studio dello zio William a frugare nei suoi documenti. Ed era proprio quella sera", gli ricordò riferendosi a quando avevano sottratto il documento.
"E allora?", fece lui allargando le braccia. "Siamo parte della famiglia, come hai detto tu. Inoltre non farebbe mai nulla per tradirci, anche se dovesse avere un minimo sospetto".
"Già, ma...", Eliza odiò la sua voce tremante e si riprese in fretta, "ora stiamo trascinando giù i suoi cari nipoti e forse persino lei stessa. Sarebbe un motivo sufficiente per tradirci, non pensi?".
Eliza non si aspettava la reazione violenta di suo fratello: la prese per le spalle, stringendole come aveva fatto lo zio William il giorno in cui li aveva accusati di aver provocato l'incidente di Candy.
"Ascoltami bene, sorellina. Io ho avuto l'idea, ma tu l'hai assecondata. Ora non venirmi a dire che hai paura perché non ci credo. Non azzardarti a crollare perché ho in mente di andare fino in fondo. Ammetto che all'inizio avevo quasi paura e comunque non sono mai stato d'accordo con il tuo desiderio di eliminare Candy". Il tono era basso e pericoloso.
"Non sto crollando, lasciami! Anche io voglio andare fino in fondo, ma non posso nasconderti che la zia era... era... E comunque non l'ho uccisa, la tua preziosa Candy".
"No, ma ci sei andata vicino. E ti ripeto che io non sono un assassino, ma uno stratega: quindi ora cerchiamo di fare in modo che la notizia della presunta incarcerazione del patriarca degli Ardlay arrivi ai giornali. Così, anche se dovessero provare la sua innocenza, lui sarà comunque distrutto e noi saremo gli unici degni di rappresentare la famiglia".
Eliza annuì, invidiando per un attimo la sicumera del fratello: pensava fosse lui quello più fifone, ma in quel momento i ruoli si erano invertiti. Lui non aveva parlato con la zia, ma lei sì.
"Bene", disse schiarendosi la voce e liberandosi finalmente della sua stretta, "sono sicura che i nostri uomini conoscano giornalisti in grado di farsi passare informazioni dalla polizia senza troppi problemi. Magari ci costerà un po'... quanto ti è rimasto sul conto?", riprese tentando di riacquistare sicurezza. Se avessero mosso bene quelle ultime pedine, sarebbe stato un successo.
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"Il carico è arrivato a Londra assieme a una consegna di materiale senza documenti, ma con regolare bolla di accompagnamento timbrata dalla Whisky and Wine Company".
Si prese la testa fra le mani, cercando di ricordare: gli sembrava di essere tornato un amnesico senza passato.
"Ho firmato molti documenti durante le scorse settimane, George, non posso ricordare ogni singola bolla", disse strofinandosi le tempie.
"Hai letto tutti i documenti, vero?", gli chiese il suo braccio destro accigliandosi.
Albert fissò gli occhi sul muro scrostato della sala dedicata agli incontri con i familiari: a parte le tre sedie e un tavolo vecchio e con il legno marcio non c'era altro, neanche una finestra per guardare che tempo facesse in quel momento.
"Come sta Candy?", domandò, invece di rispondere alla sua domanda. Aveva bisogno come l'aria di saperlo. Ne aveva bisogno ancora di più che della sua libertà.
George emise un sospiro rassegnato e Archie ripeté la domanda, inserendosi nella conversazione: "La signorina ha avuto un collasso, qualche giorno fa, ma in ospedale hanno detto che può succedere a causa della sua scarsa forma fisica e dei ricordi che lei tenta di scacciare con tutte le sue forze. Tutto è tornato sotto controllo, non deve...".
Albert si alzò dalla sedia di scatto, facendola rovesciare: "Perché non mi avete avvisato? Come è successo? Come sta ora?", gridò senza fiato.
"Albert, per favore, calmati, allerterai la guardia così!", lo redarguì il nipote alzandosi e prendendolo per un braccio.
"Signorino William, cosa avrebbe potuto fare lei da qui? E comunque si calmi, Candice sta bene e la signora Elroy ha voluto per lei sia l'infermiera Hamilton che il dottor Carter. La seguono praticamente ventiquattro ore su ventiquattro. Inoltre a casa c'è anche la signorina Annie". George sembrava davvero pentito di avergli dato quell'informazione.
"Annie?". Mentre Albert cercava di ritrovare la calma e raccoglieva la sedia, vide Archie stringere i pugni per la tensione.
Non sono il solo ad aver lasciato indietro qualcosa.
Cercò di rimanere tranquillo e di non lasciarsi trasportare dalla preoccupazione quando George raccontò loro di come i medici raccomandassero prudenza, ma al contempo suggerissero di indurla a venire a patti col suo passato.
"Ma è assurdo, come può fare entrambe le cose allo stesso tempo?", chiese quasi a se stesso, socchiudendo gli occhi e scuotendo la testa.
"La signorina Annie è sua amica e cercherà di accompagnarla in questo delicato percorso mentre il dottor Carter proseguirà con le sedute di ipnosi", spiegò George con tono calmo.
"Ma potrebbe avere un altro collasso, o peggio!", esclamò frustrato, alzando di nuovo la voce.
"Se non la spingono un po' potrebbe lasciarsi morire!", ribatté l'uomo con voce ferma e un po' più alta di prima. "William, se davvero vuoi aiutare la signorina Candice dobbiamo farti uscire di qui. Dimmi se hai letto quei documenti".
George raramente passava a dargli del tu: era successo solo quando lui aveva espresso il desiderio di andarsene in Africa e quando era tornato, dopo aver fatto perdere le sue tracce e preoccupare l'intera famiglia.
Il suo corpo tremava, la rabbia e la frustrazione a malapena contenute gli scorrevano nelle vene al posto del sangue. Sentì di nuovo la mano di suo nipote sul braccio e si ricordò che anche lui aveva bisogno di un supporto: ma quando si parlava di Candy perdeva il controllo, non poteva farci nulla.
Devo ritrovare la mia integrità. Devo essere lucido.
"Leggo sempre i documenti prima di firmarli. Però...", aggrottò le sopracciglia, sforzandosi di ricordare.
"Però?", chiese George alzando un sopracciglio.
Albert si passò le mani sul viso e sugli occhi, come se con quel gesto potesse aiutare i particolari a riemergere: "Era il periodo in cui Candy era in ospedale, ricordo di aver firmato il documento principale dove c'era anche la firma di Archie, ma mi sembra che mancasse l'allegato con la specifica delle merci".
"E l'hai inviato lo stesso senza dire niente?", si sorprese l'uomo di fronte spalancando gli occhi.
"Zio William, non è da te fare questi errori", rincarò la dose Archie guardandolo in tralice. "Allora è tutto lì l'inghippo. Qualcuno ha fatto sparire quell'allegato e inserito una bolla col timbro della distilleria, possibile?".
Albert alzò gli occhi al soffitto: "Lo so, lo so, ma abbiate un po' di comprensione! Non sapevo ancora se Candy sarebbe sopravvissuta! Archie, avresti sbagliato anche tu se Annie fosse stata...". Non terminò la frase: il modo in cui il nipote aveva distolto lo sguardo era più che eloquente. "Mi pare di aver anche pensato di dirtelo, il giorno dopo, ma poi...".
La sua frase si perse in un silenzio pesante.
"E comunque questo non spiega come mai siano arrivate a Londra due casse di whisky senza che noi abbiamo dato il consenso. Partite da Lakewood, peraltro! Dove Eliza e Neal sono stati fino a poco tempo fa", rincarò la dose Archie.
"Ormai è chiaro che tutti sospettiamo di loro, ma mi sfugge tutto il resto: come avrebbero fatto a spedire da lì senza essere scoperti? E come ha fatto la polizia a risalire subito a noi? Significa che qualcuno dell'azienda ci ha additati pur non conoscendo la provenienza esatta delle casse". Confuso, Albert scosse la testa.
"Bene, signorino William, penso che dovrò venire qui con gli avvocati perché possa raccontare loro esattamente cosa è successo e quali sono i suoi dubbi. In tribunale saranno presentate le prove e se c'è una bolla di accompagnamento di cui non siamo a conoscenza potrebbe rivelarsi fondamentale". George era tornato al lei come se nulla fosse.
"Ma, scusami, se l'unica evidenza che ci collega a quel carico è la provenienza da Lakewood, perché noi siamo qui adesso?", domandò Archie, stizzito.
"Perché si tratta comunque di una delle vostre residenze. La Whisky and Wine Company, inoltre, è ancora in parte di proprietà del signorino William, senza contare la somma mensile a titolo di donazione", George scosse la testa. "Infine, sul documento principale con gli accordi economici con la Scott Corporation compaiono comunque le firme Ardlay e Cornwell. Per questo motivo vi hanno reclusi preventivamente e... bloccato i conti".
"Cosa hanno fatto?", Albert era esterrefatto. Poi si ricordò che la polizia aveva già accennato a qualcosa del genere il giorno del suo arresto.
"Si tratta di una procedura assolutamente normale, in questi casi, ma confido che torni tutto nella norma quando vi rilasceranno", dichiarò George prendendo la borsa che aveva con sé e tirandone fuori due sacchetti di carta marrone.
"Sembri molto fiducioso", disse Archie con tono poco convinto, allungando una mano per prendere quello che gli porgeva. Albert fece lo stesso.
"Lo sono, infatti. Tornerò tra qualche giorno con gli avvocati, cercate di stare tranquilli". Albert aprì l'incarto e vide che dentro c'era una grossa fetta del suo dolce preferito. Quella semplice vista fu sufficiente a fargli salire le lacrime agli occhi: non si era reso conto di quanto gli mancasse casa finché non aveva visto quell'incarto.
"È stata la zia a volercelo mandare, vero?", la voce di Archie era incrinata: anche lui si era commosso a quel gesto.
"Sì, è molto preoccupata che non vi nutriate abbastanza, qui. Soprattutto lei, signorino William".
Albert sorrise, chiudendo la busta e strofinandosi gli occhi con due dita in un gesto stanco: "Non è facile mandare giù una zuppa di fagioli vecchi e pane raffermo tutti i giorni, ma ho mangiato di peggio e mi posso adeguare. Quello che sta messo male è Archie, che è abituato ad anatra all'arancia e patate al forno", scherzò guardandolo di traverso.
"Senti chi parla! Non eri tu quello che ieri ha detto che avrebbe dato un braccio per un po' di uova con la pancetta?", rimbeccò lui.
"Touché".
Incontrò gli occhi di George e li vide brillare.
Così voglio vedervi: morale alto. Ne usciremo.
Lo so, ma ho paura.
Anche io, ma farò di tutto, lo giuro sulla tomba di tua sorella e dei tuoi genitori.
Così Albert immaginò che i loro sguardi conversassero. D'altronde lo aveva sempre pensato: nonostante avesse solo una quindicina di anni più di lui, era sempre stato come un padre.
"Bene, signori. Tornerò quanto prima con gli avvocati", cominciò ad accomiatarsi, alzandosi e riprendendo la valigetta.
"George", lo richiamò Archie, "ti prego, dì ad Annie... che la penso".
Lui annuì con un leggero sorriso, poi guardò Albert. Stavolta le parole uscirono dalle sue labbra senza fermarsi nello sguardo: "Assicurati che Candy stia sempre bene e tranquillizza la zia".
"Mi prenderò cura di loro, lo prometto".
George si infilò il cappello, nero come il completo elegante che portava, e uscì dalla stanza. Lui e Archie rimasero per un po' seduti e Albert si accorse che il nipote aveva gli occhi rossi per il pianto trattenuto: stava guardando il dolce e sembrava inebriato dal suo profumo.
"Perché non ce lo mangiamo prima che tornino a prenderci?", propose Albert, dandogli una pacca sulla schiena.
"Pensi che le guardie possano rubarcelo?", chiese lui con espressione quasi oltraggiata.
"Sai che possiamo aspettarci di tutto, qui dentro. Ma se siamo più furbi di loro non ci accadrà nulla. D'altronde è un luogo di detenzione, non una specie di spazio punitivo". Non credeva lui per primo alle proprie parole, ma fece di tutto per essere convincente.
"E che mi dici dei tizi nelle docce? Ho pensato che preferisco rimanere sporco piuttosto che rischiare la pelle o... o... altre cose". Archie arrossì e Albert non poté fare a meno di scoppiare a ridere.
Meglio prenderla con filosofia.
"Tranquillo, Archie, sono certo che prima che possano rubare la tua virtù lotterai strenuamente", dichiarò tuffando il naso nell'incarto. Il profumo di vaniglia inondò i suoi sensi e Albert diede un grosso morso alla torta assaporando i canditi che erano stati messi all'interno, come piaceva a lui.
Archie lo imitò e rimasero un po' in silenzio, gustandosi il loro dolce. Albert era certo che, finché non si fossero focalizzati sul problema, il senso di oppressione e di rabbia sarebbe rimasto lontano. A parte quel giorno, evitavano accuratamente di affrontare l'argomento: ci sarebbe stato tempo, davanti al giudice, di parlarne per dimostrare la loro innocenza.
E sarebbe andato tutto bene.
L'ultimo boccone di dolce lo fece quasi rinascere e Albert sentì la speranza rifiorire in lui, come se il pieno di zuccheri lo avesse rinvigorito. Accartocciò la carta e centrò il cestino al primo colpo, proprio mentre una delle guardie tornava indietro per riportarli in cella.
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Angolo dei commenti:
Ericka Larios: Archie e Albert stanno cercando di sostenersi a vicenda, per quanto possibile, anche se Archie è davvero poco abituato (anzi, per niente XD) a fare questa vita. Candy vive nella sua beata ignoranza, intanto...
Mia8111: Molte grazie!
Charlotte: Lo so, hai ragione: il carcere è orribile e Albert parte già svantaggiato e persino denutrito! Se Candy fosse nelle sue piene facoltà sarebbe disperata, in questa sua nuova condizione ha il vantaggio di soffrire di meno, anche perché al momento non ne sa nulla. La zia Elroy ancora non riesce a credere che i suoi amati nipoti possano essere la causa... Grazie di cuore, alla prossima!
Sandra Castro: Il carcere può distruggere un uomo, sotto molti punti di vista: per fortuna, gli Ardlay possono ancora pagare per avere celle singole e proteggersi almeno dalle conseguenze peggiori... E Albert... anche io adoro quando parla dei suoi sentimenti per Candy, è un amore così grande e struggente! La zia Elroy sta facendo i conti con una lotta interiore enorme: possono davvero essere stati i suoi amati nipoti Lagan ad aver combinato tutto questo? Intanto il dottor Carter sembra volersi avvicinare a Frannie che a sua volta sospira per il bel William... potrebbe essere l'inizio di un triangolo amoroso? Grazie di cuore per le tue parole, al prossimo capitolo!
Elizabeth: Purtroppo la vita in carcere è dura sia per Albert che, soprattutto, per Archie, abituato alla vita comoda. Per quanto riguarda Candy si trova in una situazione diversa da quella di Albert: la modifica della sua personalità è MOLTO più profonda e l'affetto di cui necessita, al momento, può darglielo solo Annie, per questo è accanto a lei oltre al medico (che comunque la sta trattando con la giusta delicatezza, ammettiamolo). Insomma, seppure in modo differente vista la situazione complessa che si è creata, chi ama Candy sta facendo il possibile per lei.
