Arrivati a questo punto, dicesti, o si va oltre o non ci si vede mai più.
Non capivi che il bello era proprio quel punto,
era rimanere nel limbo delle cose sospese,
nella tensione di un permanente principio,
nel nascondiglio di una vita nell'altra.
Michele Mari
Limbo
Le fronde dell'albero si muovevano al ritmo del vento. Candy strinse forte la parte inferiore della finestra, sporgendosi appena per guardare le radici, ben piantate nel terreno, e il tronco robusto e nodoso, fino a risalire di nuovo sui rami che si protendevano verso il cielo.
Veramente io mi arrampicavo così in alto?
Il dolore pungente alle tempie divenne un pulsare sordo, ma tutto sommato sopportabile. Concentrarsi sull'albero era meno doloroso che cercare di ricordare le voci. Le voci facevano male non solo alla testa, ma anche al cuore, le inducevano un panico che le aveva già fatto perdere i sensi in più di un'occasione. E le facevano pensare alla morte.
Lui le accendeva una sensazione di attrazione e terrore insieme. Aveva sfidato se stessa a baciarlo, quella notte, molto più di quanto volesse sfidare lui.
Lui, che ora giaceva ferito in ospedale, forse in punto di morte.
Pensavano che dormissi ma li ho sentiti.
Quella specie di iceberg di Frannie aveva la voce che tremava e il dottor Carter aveva dovuto intimarle di abbassarla. Poi il mormorio era diventato indistinto e non aveva capito se stesse piangendo o no.
Una folata di vento la costrinse a chiudere gli occhi, ma non chiuse la finestra. Quella era la sua terapia giornaliera e stavolta voleva andare fino in fondo.
Hanno detto che è stato accoltellato in carcere. Altro che viaggio di lavoro!
Una sensazione spiacevole alla bocca dello stomaco le fece accelerare i battiti del cuore. Era preoccupata per lui? Di certo non aveva sentito la stessa emozione quando aveva saputo che a sentirsi male era stata la vecchia signora Elroy: quando era andata a vedere cosa fosse successo, nel trambusto generale, avevano parlato d'infarto e lei non aveva reagito.
Ero un'infermiera...
Dalla biblioteca aveva preso dei libri di medicina, ma non le avevano dato le risposte che sperava. Molte di quelle nozioni le erano semplicemente sconosciute o troppo complicate da comprendere appieno. Se le aveva imparate, nella sua vita precedente, le aveva dimenticate, come tutto il resto.
William Albert Ardlay... Albert...
Emise un gemito di dolore. La testa adesso sembrava scoppiarle: era bastato rivolgere il pensiero a lui. E anche alle altre voci. Quella che la chiamava Tarzan, l'altra che parlava di qualcosa chiamato Dolce Candy.
Mi chiamo Candice!
Ogni volta che cercava di ricordare era una tortura. Possibile che si trattasse degli stessi ragazzi che Annie le aveva detto essere morti?
D'altronde era per quello che aveva desiderato dormire e persino morire, per non soffrire più. Alla fine, non stava facendo soffrire anche chi le stava intorno, con il suo comportamento anomalo?
Mi hanno detto che la mia personalità è cambiata, che sono un'altra persona.
Si era svegliata in quel letto d'ospedale senza un passato ed era come se fosse appena nata. Non concepiva in alcun modo di essere diversa e fin da subito non aveva avuto la minima curiosità di conoscere gli eventi della sua vita prima dell'incidente.
Odiava quando il dottor Carter cercava di farla regredire con l'ipnosi. Era come se si addormentasse relativamente tranquilla e si risvegliasse urlando in preda agli incubi. A quel punto, il medico aveva dichiarato che doveva fare prima un lavoro di preparazione su se stessa e abituarsi all'idea di avere un passato, nonché cominciare a guardare il mondo esterno senza paura.
"Bene, i dieci minuti sono passati", disse all'albero davanti a sé prima di chiudere le imposte.
Si sentiva più rilassata, ora che la finestra era chiusa. Sì, bastava chiudere tutte le finestre, anche quelle interiori, per non soffrire più. Candy sedette sul letto, si tolse le scarpe e vi si sdraiò. La sensazione di pace l'avvolse mentre chiudeva gli occhi e si lasciava scivolare nel sonno.
- § -
"Nonno William?".
Nonno William?!
"Lui è mio zio, vero? Il fratello di mia madre".
La luce era accecante e Albert lo riconobbe solo dalla voce: era Anthony e, ancora una volta, il sogno aveva poco senso a livello cronologico, perché si stava rivolgendo a suo padre, William C. Ardlay, che non aveva mai conosciuto, e il ragazzo aveva circa quindici anni.
L'età in cui è morto...
Morto? Ma allora... un barlume di lucidità lo attraversò e lui volse lo sguardo su se stesso. La sensazione fu la cosa più strana che avesse mai provato, perché sembrava che il suo stesso corpo facesse parte di quella luce, non che vi fosse solo immerso.
Era in un mondo bianco e abbacinante, dove la voce di Anthony era distorta da una sorta di eco. E dove lo fu anche quella di suo padre mentre gli rispondeva: "Sì, è lui". Le parole successive furono inghiottite dall'eco che parve amplificarsi e Albert colse solo la parola "figliolo".
"Padre...", mormorò non capendo bene se l'avesse detto o solo pensato. Ovunque si trovasse era come fluttuare nell'aria: non provava dolore
...dovrei provarne?
né sofferenza. Gli sembrava di non avere peso e di trovarsi esattamente dov'era giusto che fosse, perché aveva di fronte due delle persone più importanti della sua vita che non vedeva da tempo. Se quello era il Paradiso, si sentiva davvero in pace.
Incontrò gli occhi tristi di Anthony e quelli seri di suo padre, di una tonalità così simile alla propria che avvertì la netta sensazione di essere tornato a casa, in famiglia, dopo un lungo viaggio. Tuttavia... perché lo fissavano in quel modo? Non ricordava di essersi mai sentito meglio. Anzi sì, mentre si trovava a contatto con la natura, nei boschi di Lakewood, in Africa...
"Devi farti forza, figlio mio", colse il tono dell'uomo pervaso da una certa urgenza, nonostante l'eco.
Forza? Ma io sto benissimo!
Forse le pensò soltanto, quelle parole, ma di sicuro gli arrivarono perché scambiò uno sguardo con Anthony; sul suo viso, eternamente giovane, si disegnò una smorfia di panico.
Fu per mero istinto che Albert guardò in basso in quel momento.
E si vide.
Vide il proprio corpo, quello che pensava fare parte della luce, quello che a malapena avvertiva intorno alla propria anima monda di ogni sofferenza terrena.
Lo vide e non provò orrore nel riconoscersi, steso in un letto, circondato da tubi e flebo, col volto sofferente e pallido, gli occhi chiusi. Una presenza accanto al suo letto fu l'unica cosa che lo incuriosì: dalla sua posizione sopraelevata poteva vedere solo i capelli castano chiaro, quasi biondi, nei quali erano affondate due mani.
Solo quando alzò lo sguardo in quello strano mondo di luce e vide il volto stravolto di Stair, capì di chi si trattava. "Mio fratello è molto in pena per te. E non solo lui".
Stava muovendo le labbra per rispondergli? Aveva ancora delle labbra? No, non era verosimile, visto che aveva lasciato il proprio corpo laggiù. E come era possibile che i due mondi fossero separati eppure collegati come se ci fosse una specie di finestra? Doveva trattarsi di un sogno, oppure...
Le immagini dei suoi cari stavano svanendo e Albert allungò un braccio, se così poteva definirlo, verso di loro. Voleva parlare con Stair. Voleva abbracciare Anthony e suo padre. Voleva... voleva capire di chi fosse quella sagoma in lontananza, spersa nel bagliore etereo, con i capelli così lunghi e chiari.
Solo rivolgendole il pensiero, fu come proiettato all'istante più vicino e nella mente spiccò la figura di un dipinto che aveva ammirato tante volte.
"Madre...", bisbigliò. Non pensava che l'avrebbe mai incontrata, visto che era morta alla sua nascita. Eppure era lì, di fronte a lui, e il suo sorriso dolce e materno gli fece salire le lacrime agli occhi, in quel corpo inesistente che non poteva avere né lacrime, né occhi.
La donna si stava avvicinando a lui, la lunga veste candida che le vorticava intorno come se si trattasse di un angelo. E il volto, bello e luminoso, cambiò appena mentre avveniva: divenne quello di Rosemary.
Voglio restare qui con te. Con voi. Ti prego.
Come poteva avvertire il calore delle lacrime e della sua mano sulla guancia? Come poteva perdersi nello sguardo dolce così simile a quello che gli rivolgeva quando era solo un bambino? E come poteva sentire la consistenza morbida di quello che gli stava ponendo sulle spalle?
"...quando ridi che quando piangi...". Quelle parole. Quelle parole furono come un fulmine che abbagliò i suoi sensi ancor più di quanto avesse fatto la luce fino a quel momento.
Chi aveva detto quella frase prima di lei?
O dopo di lei...
Perché l'aveva già sentita, ne era certo! Se solo avesse potuto udire meglio la sua voce, senza quella distorsione dovuta all'eco. Era come se la luce stessa fosse tanto forte da inghiottire persino i suoni.
E i ricordi.
Le mani di Rosemary erano sulle sue spalle e, finalmente, Albert capì che gli stava drappeggiando attorno una coperta.
Ho freddo. Rosemary? Posso avere una coperta in più?
Un coltello, una spada, o forse un pugnale. Al petto. No, alla gamba. Con quel ricordo tornò il dolore e Albert si sentì precipitare.
Candy. Rosemary e mia madre somigliano a Candy. No, è lei che somiglia a loro. E Candy è laggiù, dove ho lasciato il mio corpo sofferente.
La sorella aprì la bocca per parlare, le ombre dei suoi genitori, di Anthony e persino di Stair erano macchie luminose dietro di lei e, nonostante i ricordi terreni, Albert protese le braccia
o la mente
verso le loro presenze confortanti.
Era come se fosse tirato in due direzioni opposte. Totalmente opposte. Un limbo tra sogno e realtà. O tra la vita e la morte.
- § -
"Come sarebbe a dire che l'udienza è stata rimandata?", esclamò la matriarca battendo un pugno sul tavolo al quale era seduta.
George si schiarì la voce, a disagio. Era dietro alla scrivania che aveva occupato William fino a poco tempo prima, girato verso di lei, e non doveva lasciar trapelare alcuna emozione. Quel vigore che la signora Elroy stava dimostrando era confortante, considerando che avevano temuto per lei fino a poco prima che accadesse l'incidente a suo nipote, ma i medici stessi si erano detti sbalorditi dalla sua fibra forte.
Sperava che a William bastasse la sua, di fibra, però le prove che aveva dovuto attraversare erano state così dure che adesso era lui quello in pericolo di vita. Persino la signorina Candy, quando era entrata in coma, aveva respirato in maniera autonoma. Per lui, invece, avevano dovuto ricorrere alla respirazione artificiale.
Il patriarca, il ragazzo che aveva praticamente cresciuto, era stato accoltellato come un delinquente qualsiasi non mentre era in viaggio, come suo solito, ma in un carcere statale. Qualcuno avrebbe pagato caro per quello.
"George, mi stai ascoltando, in nome del Cielo?! Spiegami questa storia!".
L'uomo alzò gli occhi su di lei, cercando con tutte le sue forze di mantenere la compostezza che aveva sempre avuto. Nonostante la guarigione e il recupero, il dottor Leonard aveva sconsigliato di metterla al corrente di quell'ennesima tragedia. Sperava di non doverglielo mai confessare, perché avrebbe significato solo una cosa.
E la morte di William era un evento che non voleva prendere neanche in considerazione.
"Stiamo terminando di controllare le fonti, signora, gli investigatori che sono in Florida...", spiegò tormentando una penna che aveva in mano.
"Non mi interessa se le nostre indagini non sono ancora concluse!", tuonò lei alzandosi in piedi e prendendo in mano il foglio che riassumeva i punti cruciali della sua testimonianza. "Io devo far sapere al giudice che mio nipote è stato raggirato! Non mi perdonerò mai di aver atteso tanto per palesare i miei dubbi", gemette poggiando le mani sul tavolo in mogano e chinando la testa.
George deglutì, cercando di non fare emergere in lui sentimenti contrastanti. Se davvero aveva avuto dei sospetti perché aspettare? Davvero aveva tanto in considerazione Neal ed Eliza da tardare in una testimonianza così importante che avrebbe potuto salvare il suo unico nipote diretto?
Quella mancanza gli stava costando la vita.
"Purtroppo i ritardi nei tribunali sono all'ordine del giorno, signora Ardlay, sono certo che quanto prima potremo testimoniare tutti. Non possono emettere verdetto senza aver ascoltato la difesa. Nel frattempo sto lavorando con gli avvocati per far uscire il signorino Archibald, che è il meno coinvolto nella faccenda". Il suo tentativo di distrarla con quella buona notizia funzionò e lui fece un sospiro di sollievo interiore.
"Sarebbe meraviglioso avere di nuovo Archibald qui a casa", disse con voce rotta. Nonostante tutto, la granitica signora Elroy poteva anche commuoversi. "E che mi dici dei giornali?", chiese con gli occhi appena lucidi.
"Abbiamo in pubblicazione nei prossimi giorni un articolo nel quale si specifica che le indagini sono ancora in corso e che stiamo cercando di dimostrare l'innocenza della famiglia. Ci dichiariamo estranei a quella che risulta, in modo evidente, essere una manipolazione atta a screditare il buon nome degli Ardlay". Si alzò in piedi anche lui e riuscì persino a sorriderle.
"Bene, molto bene. Però lo scossone vibrerà a lungo su di noi", aggiunse con tono rassegnato. "Anche se un giorno tutto finisse per il meglio e William e Archibald fossero dichiarati innocenti in via definitiva, la macchia resterà indelebile. A meno che non si rendano pubblici i nomi dei responsabili". Lo sguardo della signora si indurì e George, per una volta, fu d'accordo con lei.
"Direi che è l'unica soluzione possibile. Credo che anche William sarà d'accordo: se qualcuno vuole trascinarlo nel fango, dovrà pagarne le conseguenze o il seme del dubbio rimarrà per sempre".
La signora annuì e si voltò per uscire. George vide la schiena dritta, il portamento fiero e il passo sicuro. Capì che nulla avrebbe abbattuto mai quella donna e che, nonostante tutto, William le somigliava molto più di quanto pensasse.
Aveva appena abbassato lo sguardo sulla scrivania quando udì la donna dire in tono basso e minaccioso: "Se dovesse chiamare di nuovo Eliza, per favore, dai ordine preciso che non mi venga passata la telefonata. Preferisco che sia una cameriera o tu stesso a parlarle. Non sono certa di poter fare finta di niente".
Neanche io, avrebbe voluto dirle, ma poté solo darle una risposta affermativa e augurarle un buon pomeriggio. Quando la porta si chiuse, come per uno strano scherzo del destino il telefono squillò e George sussultò all'indietro, inciampando sulla poltrona e cadendovi a sedere.
Il cuore accelerò i suoi battiti. Eliza. L'ospedale che comunicava una tragica notizia. Oppure l'investigatore che dichiarava che i Lagan erano innocenti.
Toccava a lui scoprirlo, si disse allungando un braccio tremante fino alla cornetta.
- § -
Frannie stava rimettendo in borsa i medicinali che voleva riportare all'ospedale quando bussarono alla porta: "Avanti", disse in tono meccanico.
"Sei pronta?", chiese Adrian entrando con passo disinvolto. Sembrava un marito che chiedesse a sua moglie se potevano uscire a cena.
"Sì, ma dobbiamo aspettare che torni la signorina Brighton", ribatté chiudendo la borsa con uno scatto e posandola sul letto.
Lui alzò un sopracciglio, perplesso: "E dove è andata?".
Frannie si strinse nelle spalle: "A fare spese in città con una delle cameriere. Presumo che non trovandosi a casa sua avesse bisogno di qualcosa".
"E...?". Non disse altro ma fece un cenno col mento in direzione della stanza attigua.
"Dorme, ma l'ho sentita aprire la finestra per dieci minuti come stabilito. Ho ritenuto che le sia costato parecchio, quindi l'ho lasciata riposare". Adrian annuì e cominciò a fare qualche passo verso di lei.
D'istinto, si ritrasse. Non voleva ripetere la scena nel corridoio, quando si era permesso di toccarla. Non voleva più che quell'uomo sperasse in qualcosa che non sarebbe mai accaduto. E, soprattutto, non voleva permettere a se stessa di provare emozioni sbagliate: già ne aveva abbastanza cui far fronte.
"Perché hai paura di me, Frannie?". Alla fine, erano tornati a darsi del tu. Ma rimanevano sempre e solo colleghi. Anzi, lui era il medico e lei l'infermiera.
"È un'affermazione ridicola", rispose voltandogli le spalle.
Lo udì sospirare e fare qualche passo alla sua destra. Non parlò subito, ma quando lo fece le provocò un brivido di rabbia: "Vuoi continuare a crogiolarti in un sogno impossibile? Oppure ti concederai la possibilità di avere qualcosa di tangibile?"
"Non so di che stai parlando", disse a denti stretti, udendolo avvicinarsi.
"Sì, che lo sai, Frannie Hamilton!". Senza che lei potesse prevedere una mossa così repentina, lui l'aveva afferrata per le spalle e l'aveva indotta a voltarsi in un movimento che le fece girare la testa.
Incontrò gli occhi che sembravano un mare in tempesta e nella sua mente si sovrapposero quelli chiari e placidi di William. William, che amava Candy. William, che stava rischiando di morire in un ospedale vicino al carcere. William, l'uomo di cui si era perdutamente innamorata senza poterci fare nulla.
"Lasciami", ansimò odiando il tono remissivo della sua voce.
"Il suo cuore non è tuo, Frannie, non lo sarà mai! Il mio, invece", si portò la sua mano al petto perché ne sentisse il battito forte e ritmico, "il mio invece è già tuo", concluse chiudendo la distanza tra loro in quello che era il suo primo bacio.
Le accaddero una moltitudine di cose, in quegli istanti pure così brevi. Sentì la morbidezza delle sue labbra e la ruvidezza del mento non sbarbato di recente; sentì il respiro solleticarle il naso e muoverle una piccola ciocca sfuggita alla coda; ma, soprattutto, sentì le sue mani allentare la presa dalle spalle e scenderle più delicate sulle braccia per poi passarle dietro la schiena, là dove la vita si restringe. La stava attirando a sé e avvertì il suo corpo tonico, il corpo di un uomo, attaccato al suo in un modo indecente eppure così elettrizzante che ne fu incuriosita.
Quando lui aprì la bocca sulla sua per approfondire quel bacio, Frannie si risvegliò dal suo shock e lo spinse via, schiaffeggiandolo con forza.
Ansimavano entrambi, anche se era certa che i motivi fossero ben diversi.
"Esci subito di qui", gli disse in un ringhio.
Il suo sguardo azzurro, ora, era rassegnato e colpevole: "Frannie...".
"Esci! Di! Qui!", scandì alzando la voce e pregando che Candy non li udisse.
Lui eseguì senza fiatare, le spalle un po' curve.
Quando fu sola, si passò rabbiosamente le mani sulla bocca, desiderosa di cancellare quel bacio, lamentandosi e gemendo fino a comprendere che in realtà stava piangendo.
Piangeva la mancanza di un affetto stabile nella sua vita, a cominciare dalla sua stessa famiglia. Piangeva la donna che non era mai stata e che forse non sarebbe mai divenuta. Piangeva il destino beffardo che l'aveva fatta innamorare di un uomo che non l'avrebbe mai guardata se non come l'infermiera Hamilton, e che forse ora era già morto. E piangeva perché una parte molto lontana di lei aveva appena toccato quella che poteva essere la felicità, ma non aveva il coraggio di accettarla.
- § -
Terence pensò che non avrebbe mai più toccato un telefono in vita sua. I telefoni portavano solo cattive notizie, rifletté in modo irrazionale.
All'improvviso si pentì di averne installato uno prima ancora di disfare gli scatoloni nel suo nuovo appartamento. Si pentì di essersi trasferito per accettare di lavorare in un film che non gli apparteneva. Diavolo, si pentì persino di essere tornato da Chicago così in fretta!
La sua vita sarebbe sempre stata una catena infinita di pentimenti e rimorsi.
"Che cosa è successo?", gli chiese sua madre guardandolo con gli occhi spalancati dal panico.
"George mi ha detto che Albert è stato accoltellato. Rischia di morire", rispose a voce bassa, sentendo tutto il peso di quella dichiarazione.
"Oh, no!", ansimò lei lasciandosi cadere sul divano: anche se non lo conosceva, doveva essere rimasta ugualmente colpita.
In carcere lo aveva preso a pugni e lo aveva accusato perché era stato accecato dalla gelosia e dalla preoccupazione. Ora Candy era sempre senza memoria e lui poteva morire. Non era giusto.
Si passò le mani sul viso, strofinandole come per schiarirsi la mente.
"Non posso fare altro che starmene qui e aspettare. Mamma, perché tutti quelli che mi passano vicino vengono sfiorati dalla tragedia? Candy, Susanna, ora anche Albert", domandò guardando davanti a sé, verso la vetrata di una finestra ancora senza tende.
"Figliolo, non dipende certo da te quello che è successo", protestò Eleanor, accigliandosi.
Lui scattò in piedi: "Certo che dipende da me! Susanna è rimasta senza una gamba per salvarmi e poi è morta, di certo indebolita da quell'incidente".
"Susanna è morta di influenza spagnola, Terry", lo interruppe con tono ammonitore, alzandosi a sua volta.
"E Candy è andata via da me per permettermi di stare con lei!", continuò ignorando la puntualizzazione. "Se non fosse accaduto nulla a Susanna, oggi lei starebbe con me e non avrebbe perso la memoria per colpa di quella serpe velenosa!", concluse tirando un calcio a uno scatolone e provocando un'ammaccatura evidente.
"Terry...".
"Avrei voluto picchiare Albert ancora più forte perché lo ritenevo colpevole di quanto le è accaduto, per disattenzione, per ingenuità, non lo so... e invece il vero colpevole sono io che non ho saputo tenerla al mio fianco!", continuò cominciando a perdere il filo logico.
"Quindi anche il fatto che il tuo amico Albert sia in carcere è colpa tua?", gli domandò sua madre ponendosi di fronte a lui con le mani sui fianchi.
"Io... non lo so, magari era distratto perché pensava a Candy ed è stato incastrato per questo... Ok, sto davvero divagando. Ho perso la ragione, forse". Terence andò alla finestra passandosi una mano tra i capelli, cercando di schiarirsi la mente perché diventasse limpida come quel vetro.
Sentì Eleanor sospirare alle sue spalle: "Ora ti dico io come sono andate le cose, Terry, e ti prego di ascoltarmi con attenzione". Quel tono da madre che rimprovera il figlio piccolo lo fece sorridere un poco, suo malgrado. "Quello che è successo a Susanna non è stato altro che un incidente, una fatalità terribile ed è stata una sua decisione gettarsi su di te per salvarti la vita. Non avresti fatto lo stesso anche tu?".
Con un sospiro, lui annuì e la donna continuò: "Bene. Il fatto che Candy abbia deciso di lasciarti a Susanna è stata lo stesso una decisione presa in tutta coscienza da lei e dubito che tu avresti avuto il coraggio di allontanarti, dopo ciò che è accaduto, anche se su questo ci sarebbe da discutere... Ma, con il senno di poi, posso dire che almeno gli ultimi anni della sua vita quella poveretta li ha vissuti felicemente".
"Non l'ho mai amata e lei lo capiva benissimo", sussurrò con tristezza.
"Lo so, ma alle volte la felicità può avere sfumature diverse e sono certa che averti al suo fianco le bastava. Una donna merita di più, questo è certo, ma anche in questo caso c'è il libero arbitrio. Per quanto riguarda Candy, invece... ecco, non sono sicura che sarebbe andata bene tra voi due".
Terence si voltò all'improvviso, con la bocca aperta per lo stupore: "Che stai dicendo? Io l'amavo e da quel che so anche lei mi amava! Perché, altrimenti, sarebbe scappata da scuola per imbarcarsi clandestinamente e venire a cercarmi?!".
Eleanor fece un passo verso di lui: "Figlio mio, sono certa che fino a un certo punto lei ti amasse con tutto il cuore. Non ho dubbi, su questo. Ma mi hai raccontato che poi ha cominciato a vivere con quell'Albert, prima ancora di scoprire la sua vera identità, o sbaglio?".
Lui scosse la testa, allargando le braccia: "Sì, ma solo perché lo conosceva da tanti anni e lui aveva perso la memoria e voleva aiutarlo! Me l'ha confessato subito e io non ho pensato mai, neanche per un attimo, che tra loro potesse esserci qualcosa di diverso".
Eleanor puntò un dito verso di lui: "Esatto, Terence, e forse anche loro la pensavano alla stessa maniera. Ma un'amicizia che dura da tanto tempo e la vostra lontananza hanno fatto il resto".
Terry aggrottò le sopracciglia, urtato da quella dichiarazione: "Vuoi dire che il fatto che io non fossi corso subito da lei ha fatto morire i sentimenti che provava per me? Ti ricordo che alla prima di Romeo e Giulietta lei era a New York e se non fosse...".
"Aspetta, Terry", lo interruppe di nuovo con un gesto della mano. "Prima ancora di questo dobbiamo chiederci quanto le cose tra voi stessero già cambiando. Potrebbe anche essersi innamorata di Albert mentre vivevano insieme ed essere confusa. Ti sei mai chiesto come mai abbia rinunciato a te con tanta facilità, senza neanche provare a lottare?".
Il gelo scese nel cuore di Terence, che si ritrovò a deglutire più volte cercando di assorbire il senso di quelle parole. Fu solo dopo parecchi istanti che dichiarò: "Lo ha fatto perché è sempre stata molto generosa e altruista. E sono certo che abbia continuato a soffrire".
Eleanor annuì e gli si avvicinò fino a mettergli le mani sulle spalle: "Terence, io non so cosa sia accaduto nel cuore di Candy, né quando sia cominciato il suo cambiamento. Ma posso dirti che quando l'ho incontrata a Rockstown, dopo che ti abbiamo visto in quel teatro itinerante...".
"Le hai parlato?", esclamò di punto in bianco, portando lui stesso le mani sui gomiti di sua madre con urgenza: "Cosa ti ha detto?!".
Eleanor si liberò con lentezza dalla sua stretta: "Terence, lei è andata avanti con la sua vita. Era molto dispiaciuta di averti visto in quelle condizioni ma, come donna, posso indovinare che il suo cuore fosse già libero... oppure occupato da qualcun altro. Ti vedeva come un caro amico di cui preoccuparsi".
Terence le voltò di nuovo le spalle, ricordando la sua conversazione con Candy: "Stava cercando Albert. Lui... aveva recuperato la memoria e mi aveva visto. Ha tentato di riavvicinarci".
L'ansito di sorpresa di sua madre gli indicò che non se lo aspettava: "Deve amarla davvero molto per aver fatto una cosa simile per lei", commentò.
"Anche io l'amavo, dannazione! E ancora adesso...". S'interruppe, stringendo i pugni.
Eleanor lo costrinse a voltarsi: "Terence, io credo che tu stia facendo quello che forse ha fatto Candy all'inizio: ti stai aggrappando a un sentimento che è stato bello e vivo in passato, ma che ora sta venendo pian piano sostituito da qualcos'altro".
Sentendosi come se fosse nudo di fronte a sua madre, abbassò lo sguardo: "Di che stai parlando?".
Lei sorrise, alzandogli il viso con il dorso della mano sotto il mento: "Non so bene cosa sia successo tra te e Karen, ma posso dirti che ho notato quanto avessi bisogno di lei, finché era al tuo fianco. Anche da lontano, anche al telefono, capivo dalla tua voce che avevi trovato un equilibrio nuovo".
"Le nostre strade si sono separate. È stata... una storia che non poteva avere seguito", disse cercando d'ignorare la sensazione di mentire.
Eleanor alzò le mani, in segno di resa: "Oh, se lo dici tu". Fece una lunga pausa, poi cercò di nuovo il suo sguardo: "Terry, figlio mio, sei ancora molto legato a Candy, questo è certo. E sei anche in pena per uno dei tuoi migliori amici di sempre, come è giusto che sia. Ma liberati dei fantasmi del passato e lascia che il tuo cuore ti parli senza catene. Non portarti il peso del senso di colpa o di qualunque altra cosa sia morto e sepolto. La vita va avanti ed è giusto che tu ti conceda la possibilità di essere felice. Non ripetere i miei errori, non lasciar andare ciò che è tuo".
Terence spalancò gli occhi, con una consapevolezza che gli trafisse il petto, la testa e l'anima: "Ciò... che è... mio".
Le mani di Karen sulla sua schiena, mentre lo guardava e gli chiedeva di baciarla, di non smettere. Di prendere il suo bene più prezioso. Le sue braccia che gli portavano la testa al seno, quando nel suo calore si era perso nell'estasi ed era finalmente crollato. Le dita che gli affondavano nei capelli e le sue gambe che ancora lo stringevano come se non avesse più voluto lasciarlo andare.
Ma lo aveva salutato, come se niente fosse, salvo poi raggiungerlo alla stazione prima che partisse. Quell'abbraccio, quell'addio...
"Bene, vuoi che ti aiuti con questi pacchi, Terry?", interruppe i suoi pensieri Eleanor, cominciando ad aprirne uno.
Ancora sconvolto dai suoi stessi sentimenti, lui la fermò: "No, non ce n'è bisogno. Ho assunto una persona che mi aiuti a mettere un po' di ordine, arriverà domani. Per stasera dormirò così, in mezzo al caos", ridacchiò, grato di potersi concentrare su qualcos'altro.
"Bene, allora io vado. Fammi sapere se hai notizie del tuo amico, va bene?", si raccomandò lei prima di baciarlo su una guancia e andarsene.
Terence rimase solo e andò verso la sua stanza con passi stanchi. Si gettò sul letto di peso, in posizione prona, girando un poco il viso sul cuscino. Il profumo di Karen divenne un ricordo così vivido che gli parve di sentirlo, pungente ma dolce come quello dei fiori selvatici, così diverso da quello fruttato di Candy.
Vide i visi delle due donne, altrettanto differenti: l'una mora e dalla pelle bronzea e l'altra bionda con la pelle chiara e le sue buffe lentiggini sul naso.
"Mia dolce Tarzan senza memoria, vorrei tanto sostenerti, ora". Il sentimento era agrodolce, lontano dal desiderio che lo coglieva quando si ricordava di Karen. Forse cominciava a capire cosa avesse provato Candy quando si era innamorata di Albert.
Albert. Il suo amico, il suo fratello maggiore, quello che aveva fatto a pugni per lui e che in carcere aveva trattato così male, pur offrendosi di aiutarlo. Ora non avrebbe più potuto.
Ora, avrebbe potuto farlo solo Dio.
- § -
Archie teneva la testa bassa mentre il direttore del carcere, un uomo di mezza età con una pancia prominente e due grossi baffi neri, gli riferiva le ultime decisioni.
"Le consentiremo ancora di rimanere al fianco di suo zio, durante il giorno, ma ho deciso di prolungare l'arco di tempo per darle modo di aiutarlo nella guarigione", disse e lui alzò la testa di scatto.
"Davvero?", chiese sentendo rinascere una nuova speranza. Sapeva anche che George e gli avvocati stavano facendo di tutto per far uscire almeno lui dal carcere, forse concedendogli i domiciliari. Ma, al momento, l'idea di poter vegliare Albert lo sollevava ancora di più.
L'uomo annuì, lisciandosi i baffi: "Certo, i medici hanno riferito che udire una voce amica durante il coma può aiutare".
Archie prese un respiro profondo, grato al direttore, ma non mancò di chiedere: "E che mi dice degli uomini che lo hanno aggredito?".
Le grosse sopracciglia si strinsero in un cipiglio e lui si alzò, portandosi su un lato della scrivania, un braccio ripiegato dietro la schiena e l'altra mano poggiata sul piano colmo di documenti: "Li abbiamo messi in isolamento e sono oggetto di nuova indagine. Si trovano qui per commercio illegale, ma ora ci sono tutti gli estremi perché il giudice possa incriminarli per tentato omicidio".
La gratitudine di Archie sparì d'improvviso, sostituita da un sentimento di rabbia: era da quando aveva messo piede nell'ufficio del direttore che voleva chiederglielo, ma la notizia che sarebbe potuto stare più a lungo al fianco di Albert lo aveva distratto.
"Come è possibile che avessero un coltello? Non dovrebbe essere un carcere di massima sicurezza, questo?", domandò con tono duro e accusatorio. Avrebbe anche voluto chiedergli come mai nessuno facesse nulla per insegnare un po' di sana, buona educazione ai carcerati, ma omise quel particolare.
La reazione dell'uomo non lo sorprese più di tanto: d'altronde, lui era il capo e Archie un semplice detenuto, anche se di buona famiglia. "Signor Cornwell, la prego di abbassare il tono. L'estrema sorveglianza del mio carcere", cominciò sottolineando il termine di possesso, "lo rende uno dei più affidabili del Paese. Purtroppo sono certo che il livello di delinquenza di determinati soggetti a volte possa farli diventare tanto scaltri da consentire loro di eludere persino la sicurezza e questo include anche i visitatori esterni. Non abbiamo occhi ovunque, anche se ci piacerebbe, e facciamo tutto il possibile perché eventi del genere non si verifichino mai".
Ma sono accaduti, avrebbe voluto urlare, e ora la vita di Albert è appesa a un filo.
"Bene", lo congedò l'uomo, di nuovo rilassato, "domattina sarà scortato dalle guardie fino in ospedale e potrà rimanere tutto il giorno. Spero vivamente che il signor Ardlay possa riprendersi al più presto".
Mentre andava via, negli occhi dell'uomo Archie notò finalmente una nota di panico. Il direttore sapeva che la loro era una famiglia importante e influente e che, nonostante tutto, potevano rappresentare un grosso problema per lui e il suo carcere se il patriarca fosse morto. E questo, a prescindere dalla loro colpevolezza.
Tutti i tasselli andarono al loro posto: era per quel motivo che gli stavano facendo quella concessione così grande.
Mentre lo riaccompagnavano in cella, Archie udì le risate, i pianti e le male parole degli occupanti nelle celle vicine. Per l'ennesima volta guardò verso quella vuota che era stata di Albert: era rimasta così come l'aveva lasciata, con la branda rifatta e una giacca a righe nere appesa a un chiodo.
Guardandola, cominciò a pregare.
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Angolo dei commenti:
Ericka Larios: Forse l'unico evento davvero positivo di questo capitolo è la paura che i Lagan cominciano a sperimentare nel comprendere cosa hanno combinato. Quello che è successo ad Albert è terribile, lo so, ma è plausibile, purtroppo, in un carcere. E Candy forse è quasi "fortunata" a non ricordarsi di lui o sarebbe disperata, ora. In tutto questo, Terence sembra capire che deve farsi da parte... ma sarà davvero convinto?
Guest: Il tuo commento mi compare al capitolo 1, ma dalle tue parole deduco che tu sia già arrivata fin qui. Ed ecco a te il successivo! Spero di non averti deluso...
Mia8111: Grazie mille!
Elizabeth: Alla fine Albert è quello che se la passa sempre peggio di tutti, povero il nostro Principe! Certo, ora i Lagan sì che hanno paura e timor panico! Bisognerà vedere se l'assassinio del testimone chiave andrà davvero a loro sfavore o li aiuterà addirittura. Incrociamo le dita...
Charlotte: Sì, il capitolo è doloroso e ci lascia con un Albert che viene ferito gravemente e si sente morire... Terry sa che deve tornare al suo film, ma è anche tanto in pena per Candy e anche per Albert, nonché in dubbio sui propri sentimenti per Karen. Il povero George sta davvero facendo i salti mortali! Speriamo resista e risolva le cose. Coraggio!
Sandra Castro: Gliene sto combinando davvero di tutti i colori al nostro povero Albert, vero? Che gli succederà, adesso? Dopo tanta sofferenza davvero finirà così male? Archie, come dici tu, ora è doppiamente in pena, perché si ritrova all'inferno da solo.George ha il peso di tutto sulle sue spalle, mentre la zia Elroy... diciamocelo, un po' se l'è cercata continuando a dare retta ai Lagan! E a proposito di loro, adesso sì che cominciano a sentire il fiato della paura sul collo! Alla fine, quello che ha fatto la scelta più saggia è stato Terence che se n'è tornato al suo film... grazie mille, alla prossima!
