Di ritorni e addii

Quando Albert varcò la soglia di casa pensò di sognare. Gli sembrava di mancare da decenni e che il giorno del processo, la comunicazione della sua liberazione e tutto quello che era accaduto fossero parte di un incubo che si era concluso.

Era appoggiato ad Archie, troppo indebolito per camminare da solo, e la servitù si stava inchinando con devozione. George e la zia Elroy erano in mezzo a loro e Albert poté vedere le lacrime brillare negli occhi di entrambi.

Fu la zia a parlare, aprendo le braccia: "Bentornato, figlio", disse con voce commossa, chiamandolo come non lo chiamava da quando era piccolo.

Si lasciò stringere dalle sue braccia, cullandosi nel calore quasi materno che proveniva da lei, sentendola singhiozzare piano e udendo il pianto commosso delle cameriere e dei servitori che mormoravano a turno un "bentornato" sincero.

"Non piangere, zia. Va tutto bene, sono a casa, adesso", disse con voce roca, controllando a malapena la propria emozione. In realtà, tutto quello che voleva fare era salire in camera sua e dormire. Il pensiero fisso di Candy era come una ferita aperta, ma sapeva che non poteva mostrarsi a lei in quelle condizioni, indebolito nel corpo e nello spirito: non le sarebbe stato di alcuna utilità.

Quando finalmente la zia si fu ricomposta cominciò a dare ordini con voce ferma, esigendo che si preparasse il pranzo, ma lui la bloccò esprimendo il desiderio di riposare, prima. Incontrò gli occhi di George e capì che lo avrebbe accompagnato.

"Albert, il dottor Carter mi ha chiesto di poterti parlare, appena possibile. Posso mandarlo da te quando avrai riposato?". Si volse a guardare Archie e gli sorrise, grato.

"Certo, digli che può salire tra un paio d'ore. Dovrebbero essermi sufficienti".

Lui annuì: "Sono felice che tu sia qui. Anche Annie voleva salutarti, ma ha preferito restare con Candy".

Il nome di lei gli provocò una stilettata al cuore. Cosa sarebbe accaduto quando l'avrebbe rivista? Davvero stava rimandando quel momento solo per non farsi vedere malato e fragile? O temeva che la teoria di Carter fosse vera?

Salutò brevemente e assicurò che tutto sarebbe andato bene, d'ora in poi. Sapeva che George, che ora camminava al suo fianco verso la scala, stava sistemando le ultime cose perché gli Ardlay fossero, alfine, scagionati completamente. Ci sarebbero state comunicazioni ufficiali e, forse, persino un evento e l'incontro con i membri anziani del Clan.

Ma ora era sfinito, il sonno lo stava avvolgendo come se la stanchezza di quelle ultime settimane gli si fosse riversata addosso tutta insieme. Come se in carcere e in ospedale non avesse mai dormito. Rabbrividì, pensando a Candy che voleva dormire e rischiava il coma e sperò di non essere giunto a un punto simile.

A metà scalinata dovette fermarsi per appoggiarsi al corrimano, con il fiato corto.

George lo guardò con il volto contratto dalla preoccupazione ma non fece altro che offrirgli il braccio. Albert titubò e l'uomo disse: "Stia tranquillo, signorino William, non ci guarda nessuno".

Grato e impossibilitato a rifiutare la sua offerta, Albert si sostenne a lui come fosse una donzella che viene accompagnata al ballo, ma capì che non era quello il motivo principale per cui si vergognava: farsi vedere in quelle condizioni pietose dalla sua famiglia era l'ultima cosa che desiderava.

Quando era stato trasportato a Chicago senza memoria era sicuramente deperito, ma non aveva mai toccato quel limite. Innanzitutto Candy era stata con lui fin da subito e comunque non si trovava certo in una prigione.

Inoltre, in quell'occasione aveva perso forse poco più di *undici libbre. In quel momento non aveva intenzione di confrontarsi con una bilancia, perché temeva che se lo avesse fatto lo avrebbero ricoverato di nuovo.

E lui voleva stare a casa.

Arrivò davanti alla porta della sua stanza col fiatone e dovette appoggiarsi alla porta prima di entrare. George non lo lasciò e, anzi, lo accompagnò a letto: "Desidera cambiarsi, signorino William?", chiese tentando di rimanere freddo ma trasmettendogli tutta la preoccupazione che lo affliggeva.

Albert valutò seriamente la possibilità di farsi aiutare a indossare degli abiti più comodi, forse persino una vestaglia da camera che lo scaldasse, ma la sua dignità fu più forte: "No, grazie. Credo che mi butterò sul letto così come sono. Più tardi farò una doccia e mi cambierò".

George annuì e Albert si chiese se sarebbe stato davvero in grado di fare tutte quelle cose senza svenire. Pensò che, se fosse rimasto in carcere ancora qualche giorno, una mattina l'avrebbero potuto trovare morto.

Mentre udiva appena la voce di George dire: "Buon riposo, signorino William, sono contento che sia qui" e il rumore della porta che veniva chiusa, la coscienza stava già svanendo e Albert si addormentò profondamente non appena poggiò la testa sul cuscino.

- § -

Adrian Carter aveva appena chiuso dietro di sé la porta della stanza di Archibald, dopo aver preso accordi con lui per quanto riguardava le prossime mosse. Avevano discusso della possibilità di chiamare un altro medico che supportasse William ma, per il momento, Adrian aveva preferito monitorare entrambi da solo perché la questione era piuttosto delicata.

La perdita della memoria di Candy e il suo comportamento dopo l'incidente erano strettamente collegati ad Albert e il disturbo alimentare di quest'ultimo aveva di certo a che fare anche con Candy. Ovviamente, nel suo caso avevano giocato anche altri fattori, non ultima la preoccupazione per i suoi cari e l'umiliazione subita a causa di altri. La notizia di una famiglia legata agli Ardlay che aveva incastrato il capofamiglia era su tutti i giornali, ma la polizia si stava muovendo, a detta di Archie, con molta cautela nell'ambito di un programma di protezione generale.

La malavita poteva allungare i suoi tentacoli su chiunque e finché l'intera rete non fosse stata scoperta non potevano rischiare di rivelare troppi particolari. Per fortuna, la confessione di uno dei nipoti di Albert lo aveva scagionato completamente e riportato a casa, ma si mormorava che la sorella fosse crollata e si trovasse reclusa in un ospedale psichiatrico.

Ad Adrian non interessavano i pettegolezzi, tantomeno i nomi di coloro che avevano creato quello scandalo: la sua priorità era che sia William che Candy ricominciassero a vivere.

Bussò alla porta della stanza di Frannie, con l'intenzione di chiederle se era disposta a seguirlo nella riabilitazione del patriarca e, quando entrò, si rese conto che stava preparando la valigia.

"Stai scappando?", chiese ironico, temendo di non essere molto lontano dalla verità.

"Vedila come ti pare. Qui non ho più motivo di restare", rispose lei asciutta, piegando un asciugamano e riponendolo con cura sopra a una pila di vestiti.

"Potrei aver bisogno di un'infermiera per il signor Ardlay", tentò.

Quando si voltò, immaginò subito ciò che stava per uscire dalle sue labbra: "Trovati un'altra infermiera, Adrian. Io non sono in grado di prendermi cura di lui".

Lui camminò per la stanza, senza guardarla, facendo un ultimo, disperato tentativo di far leva sul suo orgoglio professionale: "Ma come? L'inflessibile e professionale Frannie Hamilton, che è stata crocerossina durante la guerra, si arrende davanti a un paio di occhi chiari?".

"Smettila, per favore! Sì, va bene? Che sorpresa! L'occhialuto gendarme è una donna con un cuore che batte e si è innamorata dell'uomo sbagliato. Non mi sento in grado di stargli vicino senza che le mie mani tremino e la mia anima venga sopraffatta. Non potrei nemmeno mettergli una flebo o prendergli la temperatura e questo è tutt'altro che professionale! Ma è il mio unico limite e ti chiedo di rispettarlo!". La voce vibrava di rabbia e i gesti concitati gli fecero capire che aveva tentato di reprimere i suoi sentimenti fin troppo.

Chiuse gli occhi, sconfitto: "Mi dispiace, Frannie. Non volevo costringerti a rimanere. Ho capito, non ti obbligherò di certo: torna pure al Santa Joanna. Vorrà dire che ci rivedremo lì quando il mio lavoro sarà finito".

Rivederla, anche solo come collega, gli sarebbe bastato. Doveva bastargli.

"Non vado al Santa Joanna", disse chiudendo la valigia con uno scatto, la voce fredda. "Vado in Francia. C'è ancora bisogno di infermiere. Molti soldati che hanno combattuto hanno sviluppato patologie a lungo termine e alcuni ospedali sono ancora in fase di ricostruzione".

La tristezza pervase il cuore di Adrian, il gelo calò sul petto e il senso di perdita lo avvolse come un manto oscuro: "Quindi preferisci andare lontano per dimenticare, Frannie?".

"I miei motivi personali non ti riguardano", dichiarò allontanandosi anche da lui, sempre di più.

Sapeva che era irrazionale, specie per un uomo di scienza come lui ma, proprio come Frannie, non poteva impedirsi di provare dei sentimenti. La prese delicatamente per le spalle, chiudendo la distanza tra loro: "Resta con me, ti prego. Io ti amo", supplicò.

Lei distolse lo sguardo: "Adrian, per favore, ne abbiamo giù parlato", lo allontanò con un gesto ma lui l'afferrò di nuovo. Desiderava solo toccarla e prolungare quell'istante in eterno.

"Lo so che non mi ami e non m'importa. Lasciami essere tuo amico, io ti aspetterò". Era la sua ultima possibilità di non perderla.

Frannie, allora, fece qualcosa che lo lasciò di stucco. Si tolse gli occhiali e con essi sembrò spogliarsi anche della sua freddezza. Gli prese le mani e lo guardò dritto negli occhi, facendogli desiderare solo di baciarla e non lasciarla andare mai più. Invece rimase immobile, godendosi quel momento magico solo per loro due.

"Adrian", anche la sua voce suonò più dolce, "nella mia vita non ho avuto mai nessuno che mi amasse, neanche la mia stessa famiglia. Sono dovuta andare avanti da sola, costruendomi una corazza che mi aiutasse a vivere senza mai avere il sostegno di nessuno, contando sulle mie forze sempre e comunque. Volevo fare l'infermiera e l'ho fatto. Per me è diventata una missione, l'unico scopo, ed è per questo che sono partita al fronte. Quando sono tornata mi sono chiesta se, da qualche parte nel mondo, ci fosse qualcuno che mi avrebbe mai amata: me, la scialba e rigida infermiera Hamilton".

"Per me sei la donna più bella del mondo, perché il tuo fascino viene irradiato dalla tua anima. E non sei affatto scialba, anzi... i tuoi capelli, il tuo sguardo, il tuo corpo...", fu tentato di accarezzarla, ma la mano rimase sospesa a mezz'aria e lei vi intrecciò la sua in un gesto di confidenza che forse sarebbe rimasto l'unico.

"È meraviglioso sapere che un uomo come te mi apprezza e mi ama, davvero. Sono lusingata ma so che non è un 'grazie' quello che vuoi da me. E io non posso che offrirti questo. Contro la mia volontà e la mia stessa logica, il mio cuore appartiene qualcuno che non sarà mai mio. Mi dispiace che sia andata così. Non sai che darei per potermi innamorare di te".

Adrian sentì gli occhi bruciare e inghiottì le lacrime, conscio che quello sarebbe stato un addio: "Frannie", articolò con voce rotta, stringendo la mano che era intrecciata con la sua e avvicinandola a sé con l'altra dietro la schiena.

Sorprendendolo, con il volto arrossato e gli occhi chiusi, Frannie si sporse su di lui e lo baciò dolcemente. Gli sfiorò le labbra con una tenerezza struggente e una lacrima infida gli scese sul viso a quel contatto. Quando si staccò, vide che anche lei stava piangendo: "Perdonami, Adrian. Cerca di essere felice. Addio".

Quasi correndo, prese la valigia e uscì dalla stanza, chiudendo la porta senza fare troppo rumore.

Adrian rifletté che Frannie era entrata nella sua vita allo stesso modo: in punta di piedi, in silenzio. Nella medesima maniera gli era penetrata nel cuore, nella pelle, e non credeva l'avrebbe mai dimenticata. Come uno sciocco, si ritrovò a sperare che un giorno l'avrebbe rivista.

Si volse a guardare quella porta, soffocando un singhiozzo e asciugandosi gli occhi con il dorso della mano: "Addio, amore mio", disse alla stanza, ora vuota come il suo cuore ferito.

- § -

"È tornato, vero?". Annie sussultò. Candy era rimasta così in silenzio che si era quasi addormentata sulla poltrona. Avevano parlato a lungo, poi lei si era rinchiusa nel mutismo.

Non aveva voluto sentire ragioni, non voleva discuterne. Il fatto che lo zio William avesse ordinato la caccia alla volpe per lei era sufficiente a condannarlo. A nulla erano valse le spiegazioni di Annie sui costumi e le abitudini che lui non aveva mai condiviso, sul fatto che l'avesse sempre amata come una sorella e come un'amica.

"Magari anche come una donna, o sbaglio?", aveva sbottato lei, sorprendendola.

"Io... io...", Annie non sapeva che risponderle, fin dove spingersi. La verità era che anche lei ne sapeva poco: per quanto la riguardava la loro storia era piuttosto recente, anche se affondava le radici in un passato lontano.

"Ho perso la memoria ma non sono stupida. Dimmi, lo ricambiavo? Stavamo per sposarci?", aveva domandato, incalzandola.

Annie aveva chiuso gli occhi, determinata: "Da quello che so non l'hai mai incolpato di nulla e gli hai sempre voluto un gran bene. Qualunque altra cosa dovresti chiederla a lui".

In quel momento, Candy aveva le mani poggiate sulla toeletta e la guardava dal riflesso dello specchio, attendendo la sua risposta.

"Sì, è tornato", le disse.

Lei si era raddrizzata, camminando per la stanza come se stesse pensando: "Forse dovrei affrontarlo. O forse dovrei semplicemente ignorare tutto questo e andarmene di qua. Non mi avete sempre detto che ero una persona molto indipendente? Che ho sempre desiderato vivere la mia vita senza restrizioni?".

Annie era sbalordita: Candy voleva davvero andarsene? Ma se era a malapena in grado di uscire da quella stanza!

"Sì, ma è diverso! Sei senza memoria, temi gli spazi aperti e...".

"Chiederò al dottor Carter di guarirmi dall'agorafobia".

"E noi siamo la tua famiglia!", quasi gridò Annie, con rabbia. Non poteva accettare che Candy se ne andasse così, senza neanche tentare di recuperare il suo intero passato.

"La mia famiglia?". Candy restrinse gli occhi, come assaporando quelle parole e cercando di decidere se le piacevano o meno. "A quanto mi risulta la mia famiglia mi ha abbandonata su una collina appena nata. Sono un'orfana. E anche tu".

Annie, che era rimasta seduta, si alzò di scatto con il desiderio di schiaffeggiarla. Non sopportava quelle sue uscite cattive, le ricordavano troppo Eliza: "Sei cresciuta in mezzo a persone che ti amano e gli Ardlay ti hanno adottata!", ribadì evitando di parlare di sé.

"Il mio patrigno o tutore è innamorato di me! E io lo odio!", sbottò lei facendole defluire il sangue dal viso.

Candy che odiava Albert. Ogni volta che lo diceva, o si riferiva a lui in termini simili, qualcosa le si torceva nel cuore. Perché un amore così bello, così sofferto, così cresciuto nel silenzio degli anni doveva finire in quella maniera?

Le venne in mente Archie e tutto quello che avevano passato e si sentì fortunata: era ancora in tempo a recuperare le cose con lui e, forse, gli avrebbe parlato quella sera stessa. Se davvero lui si era reso conto di amarla totalmente, lei non avrebbe chiuso quella porta.

Chiudere la porta all'amore aveva fatto soffrire Candy più di una volta, anche se in realtà non era mai stata colpa sua.

"Tu non lo odi, Candy. Lui c'è sempre stato per te. E tu per lui", disse mentre gli occhi le si riempivano di lacrime.

"No, no, NO!", esclamò lei mettendosi le mani sul capo, scuotendo la testa come se stesse avendo una delle sue crisi. Poi si calmò, riflettendo e accadde quello che aveva temuto: "Io so solo che l'ho incontrato per caso da piccola e che poi mi sono innamorata di suo nipote. E che poco prima del mio incidente eravamo... cosa? Fidanzati? Amanti? Innamorati clandestini? Ma nel frattempo cosa è accaduto?! Quando ci sarebbe stato per me? Mi ha adottata e abbiamo vissuto sotto lo stesso tetto?".

L'urgenza con la quale Candy le stava facendo tutte quelle domande la misero in difficoltà. Cosa poteva raccontarle? Che in realtà il prozio William non era altri che un vagabondo che le era stato amico fin da quando era ragazzina e che le aveva mentito? Avrebbe sicuramente peggiorato le cose! E se fosse saltata direttamente al momento in cui anche lui aveva perso la memoria e avevano vissuto insieme avrebbe potuto trarre le conclusioni sbagliate.

"Candy, non posso parlarti io di queste cose. Dovete risolverle tra voi, non è giusto", disse seria, asciugandosi gli occhi. "Lascia che si riprenda da tutta questa storia che gli è piombata addosso e parlane con lui e con il dottor Carter. Te l'ho già suggerito, ricordi?".

Candy fece un verso stizzito: "Vigliacca!", sbottò. "Di sicuro tu ne sai molto e non hai il coraggio di parlarmene".

Annie allargò le braccia, esasperata: "Ma se fino a poco tempo fa avevi delle crisi non appena si parlava del passato! Ora non vedi l'ora di conoscerlo? E cosa pensi di fare se te ne vai? Dici cose senza senso!".

"Sono stufa di vivere in questo limbo!", scattò lei, sedendosi sul letto e prendendosi la testa fra le mani.

"E pensi che fuggendo o trattando male le persone che ti amano ne uscirai prima?", rimbeccò Annie inginocchiandosi davanti a lei e prendendola per le spalle. "Reagisci, Candy, il tuo passato non è così doloroso da non poterlo ricordare! Hai sofferto ma hai vissuto anche tanti momenti felici! Ti ricordi di Patty? Lei era innamorata di Stair e lui è morto in guerra! Ora vive in Florida con sua nonna e si strugge ogni giorno perché non lo rivedrà mai più!".

"Perché mi racconti tutto questo? Anche il mio Anthony è morto!", protestò Candy, scostandosi da lei con rabbia.

"Ma tu hai amato di nuovo! Hai superato la sofferenza e...". Annie tacque e capì che stava andando troppo oltre. Avrebbe rischiato di parlarle di Terry e non sapeva se fosse giusto farlo.

"Adesso capisco", riprese Candy a voce bassa. "Credevo di essermi innamorata di quel William perché gli somigliava. Ora tutto mi è chiaro".

Annie scosse la testa con vigore: "No, non è così. Sono certa che non è così".

"E te ne ho mai parlato, cara Annie? O è solo una tua supposizione?", le domandò con tono aggressivo.

La porta si aprì in quel momento e Candy sbottò: "Non si bussa più?!".

"Perdonami, Candy, ma vorrei parlare con Annie. Me lo permetti? Oltretutto, urlando in questo modo non arriverai da nessuna parte". Il tono di Archie, la sua postura... tutto indicava ad Annie che il ragazzo aveva preso delle decisioni ed era pronto a riprendere le redini della sua vita. Non sembrava neanche più a disagio davanti a Candy. "Mi spiace, non volevo origliare ma gridavate così forte che ho sentito tutto. E sono d'accordo con Annie: qui tutti ti vogliamo bene e siamo la tua famiglia. Con questo tuo comportamento capriccioso e ostruttivo fai del male innanzitutto a te stessa. E a chi ti ama. Annie?".

Lei rimase per un attimo incantata a guardare quel ragazzo, che fino a poco prima le era sembrato così fragile, diventare pacato e deciso come ricordava di aver visto solo Albert. Probabilmente era addirittura arrossita.

Si alzò e si scusò con Candy.

"Ma sì, andate pure a tubare, piccioncini. Io non scapperò, almeno non stasera. Divertitevi!", disse sdraiandosi sul letto e mettendosi le braccia dietro la nuca.

Quando chiusero la porta, Archie le chiese: "Sei sicura che possiamo lasciarla sola?".

Annie si strinse nelle spalle: "Non scapperà certo dalla finestra come faceva una volta. Potremmo avvisare il dottor Carter, magari possono parlare della sua curiosità rispetto alla storia con Albert e decidere il da farsi".

Archie la guardò con serietà e la costrinse ad allontanarsi fino ad arrivare alla porta della stanza che era stata di Frannie, come se non volesse rischiare di farsi sentire: "Annie, c'è un problema con Albert. Il dottor Carter sta andando a parlare con lui e credo voglia approfondire alcuni aspetti... psicologici".

Annie aggrottò la fronte. Aveva sognato di parlare con Archie di loro due, invece usciva fuori un altro problema: "Parli di Candy, vero?", chiese sperando di aver capito male.

Lui scosse la testa: "No, Annie. Pare che da tempo Albert si rifiuti di mangiare. Tu non lo hai visto, ma io sì. La zia Elroy stava per sentirsi male l'altro giorno, in tribunale. È l'ombra di se stesso".

Annie si portò una mano alla bocca e soffocò un'espressione di stupore. Senza parlare, lo seguì in un'altra stanza.

- § -

"Albert?". Qualcuno lo stava chiamando, ma le palpebre erano così pesanti che non ne volevano sapere di aprirsi.

"William Albert Ardlay, si svegli!", tuonò la voce più vicina.

Con un grugnito di disappunto, si voltò verso lo scocciatore e cercò di aprire gli occhi per vederlo. Si sentiva la testa e le membra così pesanti che pensò fossero di piombo: "Che c'è, è ora di andare alle docce?", chiese confuso.

"No, è ora di mangiare".

Albert mise a fuoco qualcosa che non avrebbe mai creduto di vedere, suggerendogli che forse si trattava di un sogno. Il dottor Carter, lo psichiatra di Candy, era in piedi di fianco al suo letto con un vassoio di cibo tra le mani.

E non erano né fagioli né uova. Dall'odore avrebbe detto che era arrosto.

Il suo stomaco brontolò ma gli mandò messaggi contraddittori. Lo colse una specie di nausea che si contrapponeva al vuoto che avvertiva.

"Perché è salito lei con la cena?", chiese mettendosi a sedere mentre lui poggiava il vassoio sul comodino.

"Perché voglio parlarle e sincerarmi di quanto riesce a mangiare. Ho dovuto discutere con la cuoca, con una cameriera e anche con sua zia Elroy, ma alla fine mi hanno concesso questo piccolo strappo alla regola. Però ho dimenticato il grembiule", concluse facendo l'occhiolino.

Albert ridacchiò: gli piaceva quell'Adrian, aveva un carattere molto simile al suo, sempre spensierato e pronto a sdrammatizzare. Almeno fino a qualche tempo prima.

"Grazie, Adrian. Immagino saprà che non riuscirò a finire tutto", disse lanciando un'occhiata ai piatti.

"Mi stupirebbe il contrario, viste le dimensioni ridotte che deve aver assunto il suo stomaco. Ma la prego, prima di tutto vorrei conoscere il suo peso".

Albert sbatté le palpebre e guardò dove gli indicava Carter. Accanto all'armadio c'era effettivamente una bilancia: "E quella?".

"L'ho fatta portare qui mentre dormiva", spiegò mentre lui cercava di alzarsi, con non poca fatica. Scoccò un'occhiata all'orologio sul comodino e rimase stralunato.

"Credevo che avrei dormito solo un paio d'ore!", esclamò sentendosi colpevole. Chissà da quanto tempo lo aspettava il povero Adrian.

"Non si preoccupi, Albert. È normale nelle sue condizioni. Ora, per favore, salga sulla bilancia e cerchi di ricordarsi quanto pesava prima di vivere questa brutta avventura".

Le mie condizioni.

"La verità è che non lo so. Non è che controllassi il mio peso prima... anzi, forse non l'ho mai fatto in vita mia", dichiarò obbedendo comunque al medico.

Quando l'ago si fermò, Carter gli si accostò e vide la sua mascella contrarsi: "Sa almeno quanto è alto?".

"Dottor Carter... Adrian, se sta cercando di fare una proporzione perfetta tra il mio peso e la mia altezza posso dirle senza problemi che, a occhio e croce, sospetto di aver perso almeno ventidue libbre**. Forse anche trentadue o trentatré***. È così rilevante, adesso?". Albert si passò una mano tra i capelli, frustrato e anche un po' infastidito dalle sue domande. Chiuse il pugno quando si rese conto che gli erano rimasti di nuovo tra le dita.

Gli occhi del medico passavano dalla sua mano alla bilancia e lui capì che non poteva nascondergli nulla. Si era ripromesso di affrontare la questione, ma non voleva sentirsi messo sotto a una specie di microscopio. Certo, il valore che aveva letto sulla bilancia sarebbe stato adeguato per una signora un po' sovrappeso e non per un uomo della sua età, ma era certo che avrebbe recuperato in fretta, ora che si trovava a casa.

Peccato che abbia cominciato a mangiare male prima ancora di finire in galera.

Si riscosse da quei pensieri e sedette sul letto, prendendo diligentemente il vassoio: "Che profumino invitante! Mia zia deve aver mobilitato l'intera cucina, per l'occasione".

"Già, lo sospetto anche io", disse Adrian sedendosi dall'altra parte della stanza. Albert gliene fu grato. Non sarebbe stato molto a suo agio sapendo che lo controllava a vista.

Prima di assaggiare l'arrosto provò la zuppa, che era ancora calda. Gli aromi delle verdure e dei legumi gli inondarono le narici e, al primo boccone, le sue papille gustative sembrarono rinascere.

"È bello sentire di nuovo i sapori di casa", disse commosso.

"Oh, quella zuppa è deliziosa. Io ne ho prese due porzioni, a cena", ribatté lui sorridendo.

"Quindi ha già mangiato?", chiese assaggiando l'arrosto.

"Sì, ho chiesto espressamente che per questa sera le fosse concesso di mangiare da solo mentre discutevamo. Spero non le dispiaccia".

"No, tutt'altro. Non avrei potuto rispondere a tutte le domande che mi sarebbero state rivolte. Credo di avere bisogno di una buona notte di sonno prima di ricominciare con la mia vita", aggiunse bevendo un sorso d'acqua.

Fece un respiro profondo. Lo stomaco fece una capriola e Albert lottò per mantenere il contenuto al suo posto.

"Come sospettavo", disse Carter alzandosi e andando alla finestra.

"Di cosa parla?", chiese guardando il contenuto quasi intatto dei piatti.

"Albert, è arrivato a un punto tale che il suo stomaco si è rimpicciolito alle dimensioni di quello di un bambino piccolo. Ma lei è un uomo adulto e, se gli occhi non m'ingannano, la sua altezza sfiora i ****settantatré pollici. Ora è come se lei fosse un'automobile di ultima generazione con un piccolo motore che non può farla muovere. Capisce cosa intendo?".

Sospirò: "Sì, ho capito perfettamente". Un singhiozzo gli sfuggì dalle labbra, come se avesse mangiato un bue intero.

"Ha voglia di vomitare?", gli domandò scoccandogli un'occhiata di traverso.

Albert fece una smorfia: "In effetti sì, ma mi tratterrò".

"Beh, buona fortuna", ridacchiò Adrian. Poi, seriamente: "Non ho nemmeno più un'infermiera che possa metterle una flebo per reidratarla, quindi ce la dovremo cavare da soli se non vogliamo che finisca in ospedale".

Albert posò il vassoio e si alzò, massaggiandosi lo stomaco ribelle e cercò di camminare per indurre il cibo a rimanere giù, accostandosi a lui: "Frannie è andata via?", chiese, incuriosito.

"Sì. La signorina Candy non aveva più bisogno di un'infermiera e lei... se n'è andata in Francia a lavorare come volontaria". Il suo tono era così cupo che ad Albert venne in mente che c'era dell'altro. Gli occhi tristi e l'espressione provata di Adrian erano quelli di un uomo che abbia ricevuto una delusione d'amore.

Aprì la bocca per chiedergli lumi quando lui si riscosse, voltandosi a guardarlo: "Bene, Albert, mi dica quando ha cominciato ad alimentarsi in maniera così scorretta da arrivare a questo".

Albert chiuse gli occhi, pronto a confidarsi: "Credo proprio che tutto sia cominciato quando Candy ha avuto l'incidente. Ero preoccupato e avevo poco tempo da dedicare a me stesso. Quando lei è tornata a casa sono stato arrestato e, invece di nutrirmi meglio, ho ricevuto un vitto degno... di un carcere".

Adrian fece un sorrisetto sbilenco: "Bene, forse dopotutto non sarà così complicato riportarla indietro".

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* circa 5 chili

** circa 10 chili

*** circa 15 chili

**** circa un metro e ottantacinque

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Angolo dei commenti:

Innanzitutto lasciate che ringrazi i presenti a questo capitolo per le recensioni alla mia one-shot "Carillon": grazie di cuore, sono felice che vi sia piaciuta, purtroppo molte di voi sono "Guest" e non posso rispondere personalmente!

Ma veniamo a noi...

Ericka Larios: Frannie è molto confusa, perché è la prima volta che prova attrazione per un uomo, ed è più che normale che perda la testa per uno come Albert XD Tu pensi che Candy, nel dare la colpa ad Albert per la morte di Anthony nasconda il suo stesso sentimento colpevole? Punto di vista interessante, chissà se hai ragione o no... Il confronto fra loro due sembra imminente, ma come avverrà? Meno male che, in tutto questo, almeno Eliza e Neal sembrano finalmente avere ciò che si meritano!

Sandra Castro: Ebbene sì, il processo è finalmente entrato nel vivo e Neal ed Eliza sembrano al fine stretti nella morsa della giustizia! La zia Elroy ha accusato il colpo nel vedere il suo povero nipote ridotto così, si è resa conto della portata del proprio silenzio: persino Neal, alla fine, vuole alleggerirsi la coscienza e confessa senza tralasciare nulla! Eliza, invece, è sull'orlo della follia e blatera insulti e cose senza senso: lei parla di relazione incestuosa, ma i presenti sanno che non è così. Persino la zia Elroy è a conoscenza del fatto che Candy ha salvato William mentre era senza memoria, e i giurati non daranno certo retta a una pazza furiosa che ha commesso un crimine! Per cui, nonostante le sue parole cattive e pesanti (oddio, che mi ricordano persino quelle di certe amanti di Terence che vogliono vedere il male nella relazione tra Candy e Albert, ma non voglio sollevare polemiche...), nessuno da peso più di tanto alle sue farneticazioni. In tutto questo caos del processo, intanto, Frannie capisce che la sua attrazione verso William è arrivata a un punto limite e Candy... beh, Candy sta distorcendo la realtà in maniera MOLTO tragica! Grazie mille, alla prossima!

Mia8111: Grazie di cuore, sono lieta che ti piaccia!

Guest: C'è una luce in fondo al tunnel e Albert sembra aver risolto almeno il problema del carcere. Ma... Candy? Grazie, al prossimo capitolo!

Charlotte: Aahahaha, credo che il sogno di Frannie lo abbiamo invidiato un po' tutte, no? XD D'altronde ho voluto pensare che anche lei è una donna e non sia fatta di metallo ma di carne e ossa... Vedo che l'idea di questo triangolo amoroso vi intriga un po' tutte! E chissà che non avvenga... chissà... Eliza ormai l'abbiamo persa, almeno mentalmente, ma almeno non dovrebbe più fare danno (speriamo!). Con gli occhi della zia Elroy ho voluto mostrare il dolore di Albert ma anche il suo, che lo vede in quelle condizioni: sono felice che tu ti sia sentita coinvolta, cerco sempre di entrare anche io nella pelle dei personaggi e se ci riesco per me è una vittoria. Grazie di cuore, alla prossima!

Elizabeth: Eliza ormai ha perso la testa e si fa persino male da sola, sputando cattiverie e verità: d'altronde, non ha più niente da perdere. Hai proprio ragione: Albert è arrivato allo stremo, è un bene che le cose si stiano risolvendo ora, non avrebbe resistito ancora a lungo in carcere senza cure e assistenza... e senza Candy! Che accadrà ora? Si rivedranno? E lei come reagirà?