Decisioni e pentimenti

"Ho deciso che tornerò a studiare", disse Archie guardandola negli occhi. Erano nella sua stanza e sedevano uno di fronte all'altra, su due poltrone identiche.

Annie strinse i braccioli e si protese verso di lui: "Vuoi tornare nel Massachussets?", chiese con una nota d'allarme nella voce.

Lui annuì: "Mi manca almeno un altro anno per laurearmi e intendo presentarmi alla sessione autunnale".

Annie poteva avvertire sentimenti contrastanti agitarsi nel suo cuore, ma cercò di rimanere razionale: "Candy ha bisogno di noi", disse a voce bassa, fissandosi i piedi.

"No", dichiarò Archie alzandosi in piedi e camminando per la stanza, i suoi passi che risuonavano sul pavimento implacabili come le sue parole, "Candy non ha bisogno di noi, adesso. Candy ha bisogno di Albert e del suo medico per ritrovare se stessa. Io, come hai ben visto, non sono stato molto utile. Anzi, è colpa mia se adesso è convinta di odiare mio zio".

"Non è colpa tua, stavamo parlando e lei ci ha sentiti! Casomai la responsabilità è di entrambi", puntualizzò alzandosi anche lei, incapace di rimanere ferma.

"Beh, la cosa importante è che io devo riprendere in mano la mia vita. Durante l'estate riscatteremo il nome degli Ardlay e dei Cornwell e poi tornerò da dove avevo lasciato. Annie, tu non volevi andare al conservatorio, o fare beneficienza, o qualunque altra cosa mi avessi detto?". Sembrava davvero interessato alla programmazione del loro futuro.

Un futuro nel quale sarebbero stati separati.

Annie era stufa di parlare, però. Non voleva più discutere delle loro vite e del loro rapporto. Si ricordò di ciò che aveva detto a Candy su Stair e Patty e di quello che lei e Archie avevano perso e, invece di rispondere alle domande del suo ex fidanzato, gli chiese: "Baciami, per favore".

Gli occhi di lui si spalancarono, la bocca si schiuse e un sussurrò gli sfuggì dalle labbra: "Cosa hai detto?".

Annie, colta da un'ondata di emozioni violente, sentendo che lo stava perdendo, si lasciò andare a quello che le dettava il cuore. Chiuse la distanza tra loro, poggiandogli le mani sul torace e protendendo il viso verso di lui: "Ti ho chiesto... di baciarmi", ripeté con le guance che le andavano a fuoco.

Il suo sguardo divenne languido, come se si stesse arrendendo. Le sue palpebre di socchiusero: "Annie", le soffiò sul viso.

Sentì il suo respiro caldo accarezzarle le labbra e, d'istinto, se le leccò con la punta della lingua. Quel gesto fu come un incentivo, perché Archie non perse altro tempo: le prese il volto tra le mani, i pollici a sfiorare i lati della sua bocca e la baciò.

Fu travolgente.

Le bocche si aprirono quasi nello stesso momento e, nonostante la sua inesperienza, Annie si affidò ad Archie e al proprio istinto, esplorando e lasciandosi esplorare, avvertendo mille scosse elettriche ogni volta che le loro lingue si toccavano un una carezza umida.

Le mani di Archie lasciarono il suo viso per scendere sulla schiena e i loro corpi furono ancora più incollati quando la strinse forte all'altezza della vita, per poi scendere sui fianchi.

Annie si staccò per riprendere fiato e lo chiamò per nome.

Lui ripeté il suo e tutto ricominciò, in una giostra di emozioni e tocchi che le fece tremare le gambe.

Era quella la passione? Era quello l'amore di cui tante volte aveva letto nei libri? Ed era così che cominciava quell'atto così intimo da poter essere condiviso solo da un marito e da una moglie? Se così fosse stato, non poteva certo essere spiacevole, perché tutto ciò che desiderava era che le mani di Archie, che ora le accarezzavano in modo sensuale la schiena, venissero a contatto con la pelle nuda.

E, Dio del Cielo, non stava proprio tentando di sbottonarle il vestito, mentre il bacio tornava esigente e più ardente di prima, facendoli ansimare?

"Annie", gemette lui nella sua bocca.

"Non ti fermare, Archie", lo implorò domandandosi che fine avessero fatto le sue buone maniere e tutti gli insegnamenti che le aveva dato sua madre.

Tutto svanito, cancellato, arso dal fuoco che divampava attraverso il corpo e le dita di Archie che, nel frattempo, avevano finalmente trovato la sua schiena nuda. Il suo tocco la incendiò e lei si strinse al ragazzo allacciandogli le braccia dietro alla nuca sentendolo, tutto il suo essere, che la desiderava tanto quanto lei desiderava lui.

Stavano letteralmente bruciando e lei era pronta a concederglisi senza riserve.

Invece, lui si staccò di scatto, voltandole le spalle e appoggiandosi al muro col respiro corto: "Basta, Annie! Quello che stiamo facendo non è giusto. Dobbiamo fermarci".

"Ma tu mi ami e io ti amo! Lo so, non siamo sposati, ma... non mi importa. Archie, non credevo che l'avrei mai detto, ma io... sono pronta a saltare le tappe. Possiamo sposarci quando hai finito l'università, o anche prima. Potrei venire con te!", aggiunse come se avesse avuto un'illuminazione.

"No, Annie!", quasi gridò lui, lasciandola di stucco. Poi si addolcì, passandosi una mano sui capelli e avvicinandosi di nuovo a lei: "Annie, sarebbe molto facile per me fare l'amore con te qui e ora. Non desidero altro. Ma ti mancherei di rispetto e ti amo troppo per farlo".

"Archie", ansimò lei, ancora sconvolta dalle sensazioni inedite che stava provando, turbata fin nel profondo del suo essere.

"Dammi solo qualche istante, Annie", riprese lui, cercando di controllare il respiro.

Si era lasciata andare davvero come una donnetta qualsiasi e non come una signorina dell'alta società, quale era sempre stata. Ma non era cambiata proprio perché si era stancata di tutte quelle convenzioni? Ora, mentre guardava Archie tentare di ricomporsi dopo quello scambio appassionato che doveva averlo scombussolato almeno quanto lo era lei, Annie capì l'enormità di quello che stavano per fare.

Un atto di unione che li avrebbe uniti per sempre. Un salto così enorme che non poteva essere fatto prima di aver chiarito le cose tra loro.

"Mi dispiace, Archie. Non so cosa mi sia preso... Prima, parlando con Candy del rapporto tra lei e Albert, ho ripensato a Patty e...". Si morse il labbro, vedendolo raddrizzarsi e voltarsi con sguardo serio. "Scusami, non volevo ricordati qualcosa di doloroso".

Archie scosse la testa: "Ti è venuto in mente che lei e Stair non potranno mai più essere felici, non è così?", finì per lei, carezzandole una guancia con dolcezza.

"Sì", rispose sentendo gli occhi bruciare. "Vedo intorno a me tanti amori che sarebbero potuti diventare meravigliosi, rendere felici le persone... e che invece sono finiti in maniera tragica o non trovano il modo di sbocciare". Alzò il viso per guardarlo, lasciando le lacrime libere di esprimere l'emozione violenta che la stava struggendo, lasciando che lui le asciugasse mentre l'ascoltava con attenzione. "Ero così certa di averti perso, che quando mi hai confessato quello che avevi capito di provare per me ho provato rabbia. Sì, rabbia, perché mi sentivo tirata in due direzioni diverse: volevo ritrovare me stessa, riscattare la mia vita lontana da te e d'improvviso mi ritrovavo di nuovo a desiderare disperatamente il tuo amore. Poi è successo... tutto questo e non ho avuto più tempo per pensare a nulla".

Riprese fiato, prese le mani di Archie e si sedette senza lasciarle. Lui posò un ginocchio a terra, rimanendo alla sua altezza come un innamorato che stia per fare una dichiarazione importante: "Ora sono qui, Annie. Sono qui per te. Ti amo più della mia stessa vita, senza più dubbi né incertezze. Anzi, una certezza ce l'ho: voglio costruire un futuro per noi, ma senza bruciare le tappe. Voglio fare tutto per bene, capisci?".

Lei gli sorrise, un'altra lacrima che si staccava dalle sue ciglia per aver sentito di nuovo quelle parole uscire dalle sue labbra: "Sì e ti sono grata per essere così. Io stessa desidero mettere ordine nella mia vita ma nello stesso tempo non voglio aspettare troppo. Il destino è così imprevedibile e ogni giorno rischiamo di perdere chi amiamo per una guerra, per una malattia, per un imprevisto... non voglio che tutto diventi un'attesa infinita, Archie. Ti aspetterò se il tuo desiderio è finire gli studi prima di prendere le redini della famiglia con Albert, ma non metterci troppo, va bene?".

Lui la baciò con tenerezza, asciugandole anche quell'ultima lacrima, poi alzò la mano destra senza abbandonare al sua posizione semi inginocchiata: "Giuro sul mio onore che porterò a termine gli studi e poi annuncerò di nuovo il nostro fidanzamento. Ti sposerò ancor prima che la zia Elroy possa avere il tempo di dire 'Archibald!'!", concluse in un'imitazione così fedele della prozia che Annie scoppiò a ridere di cuore.

"Grazie, Archie. E io nel frattempo vedrò di fare qualcosa per me stessa, anche se credo che il mio compito con Candy non sia ancora concluso. Mi sta facendo un mucchio di domande, ma penso che a breve non sarò più io a doverle rispondere".

Archie si tirò in piedi e l'aiutò ad alzarsi: "Sei stata molto coraggiosa con lei e sono certo che i suoi progressi maggiori li deve a te. Ora tutto è nelle mani del dottor Carter e di Albert. Spero solo che si riprenda abbastanza da poter affrontare tutto questo".

Annie si accigliò: "Che gli è successo? A cena non è sceso e la zia Elroy sembrava davvero preoccupata. Ancora non si è ripreso dalla ferita che gli hanno inflitto in carcere? Mi hai accennato a un problema psicologico, ma...".

Archie sospirò, stringendola in un abbraccio affettuoso che la fece rabbrividire e desiderare di rimanere in quella posizione ancora a lungo: "No, la ferita è guarita, grazie a Dio, ma lui come ti ho spiegato è molto deperito e ha... sviluppato un disturbo alimentare che gli impedisce di nutrirsi a dovere. Carter se ne sta già occupando".

"Un... disturbo alimentare?", ribatté lei, stupita. "Ma, Archie, da quel poco che so è qualcosa che affligge alcune donne con problemi di linea. O comunque soggetti psicologicamente fragili".

"Sì, ma lui è stato a lungo travolto dalle preoccupazioni per Candy e il carcere non l'ha di certo aiutato. Sono settimane, se non mesi che non ha tempo o voglia di mangiare come si deve, e sospetto che l'appetito gli sia andato via a causa del dolore e dei pensieri".

Annie chiuse gli occhi, crogiolandosi nel calore che emanava il petto di Archie e cullandosi con il battito del suo cuore. Quel cuore che ora gli apparteneva davvero: "Spero tanto che un giorno possano essere felici. Se lo meritano più di chiunque altro".

"Lo spero anche io, Annie, lo spero anche io", mormorò carezzandole i capelli, il mento poggiato sulla sua testa.

- § -

Elroy Ardlay guardava con attenzione Albert che consumava la sua colazione come se si stesse concentrando su un compito molto difficile.

Il dottor Carter era accanto a lui e mangiava in silenzio, non prestandogli attenzione, mentre Archibald ed Annie avevano preferito tenere compagnia a Candice che, come al solito, aveva chiesto di poter fare colazione nella sua stanza.

Erano tutti insieme sotto allo stesso tetto ma, come sempre per colpa di quell'orfana, sembravano eternamente divisi. Beh, non era del tutto corretto. Nell'ultimo periodo, a dividerli erano stati i Lagan.

Con un brivido che le correva lungo la schiena, Elroy rivisse con orrore il giorno del processo che, anche se era stato determinante per la liberazione di William, le aveva svelato fino a che punto Neil ed Eliza avessero tramato alle loro spalle.

Erano riusciti a coinvolgere la mafia e forse un uomo che era a capo di una delle loro vecchie aziende era morto proprio per mano sua. Archibald e George le avevano spiegato, per sommi capi, che era stato attuato un programma di protezione perché i Lagan arrivassero sani e salvi in tribunale ed era stato coinvolto anche il commissario di polizia che aveva comunicato l'erronea morte di Candy per stringere il cerchio attorno ai malviventi che avevano la loro base in Florida.

Quando aveva scoperto che gli Ardlay erano stati sul punto di restare coinvolti nelle maglie oscure e pericolose della mafia, si era sentita mancare. Era stata portata in ospedale, subito dopo l'udienza, dove le avevano trovato la pressione alta ma, a quanto pareva, non correva rischi.

A patto che la sua vita rimanesse tranquilla e priva di eventi traumatizzanti.

Aveva lottato con tutte le sue forze per cercare di non pensare più a Sarah e ai suoi figli, a Neil in carcere, a Eliza in una casa di cura psichiatrica e a Raymond che, insieme a sua moglie, si trovava in detenzione domiciliare in attesa di accertamenti e anche per la loro stessa sicurezza.

Un giorno, avrebbe parlato con loro due. Avrebbe raccontato dei movimenti sospetti che aveva notato nei due ragazzi e forse si sarebbe anche detta costernata per non averne parlato prima che le cose precipitassero.

Ma non ora.

Ora il suo nipote diretto, l'unico figlio rimasto in vita dell'amato fratello, aveva molto più bisogno di lei. Inoltre, doveva occuparsi di rimettere in piedi l'immagine della famiglia nel più breve tempo possibile.

"La colazione non è di tuo gradimento, William?", disse riscuotendosi dai suoi pensieri e pulendosi la bocca con il tovagliolo. Lei e Carter avevano finito.

"No, zia, ti assicuro che è tutto molto buono. Sto riscoprendo sapori che non credevo avrei potuto provare di nuovo a breve. Il fatto è che... mi sento già pieno", rispose lui con un sorrisetto contrito.

Scoccò un'occhiata al toast rimasto e alla tazza di tè bevuta per metà: "Una fetta di pane e mezza tazza di infuso non saranno certo sufficienti a coprire le tue ossa sporgenti. Hai intenzione di sfilare a Parigi, prossimamente?".

Lui ridacchiò ed Elroy fu quasi commossa nel sentire di nuovo la risata franca e dolce di suo nipote: "Occorre che io proceda con gradualità per ordine del dottore, seguendo quello che mi dice lo stomaco. Giusto, Adrian?", disse facendo l'occhiolino al medico.

Lei li guardò, stupita: in apparenza, quei due avevano stretto amicizia: "Con gradualità?".

Il dottor Carter si alzò da tavola, posando il tovagliolo vicino al piatto vuoto: "Signora Ardlay, mi consenta di spiegarle la situazione di suo nipote dal punto di vista medico: quando sono andato a visitarlo in prigione e ho parlato con lui, la prima cosa che mi è venuta in mente è stato un disturbo alimentare di scoperta abbastanza recente, denominato 'anoressia nervosa'".

"Non ne ho mai sentito parlare", intervenne stupita. Le poche volte in cui aveva tempo di leggere, Elroy prediligeva testi storici o riguardanti i suoi antenati, non certo quelli di medicina moderna.

"Certo", annuì Carter passeggiando per la stanza, "si tratta perlopiù di qualcosa che riguarda le donne che non si sentono a loro agio con il proprio corpo". Tra Albert e Carter passarono sguardi divertiti, come se avessero fatto qualche battuta proprio su quella peculiarità della patologia. A Elroy, però, non veniva affatto da ridere.

"Ebbene?", incalzò trattenendosi appena dal battere un pugno sul tavolo.

Il medico si schiarì la voce e continuò: "Naturalmente, nel caso di Albert, che è un uomo forte e sano, le cose sono un po' diverse e i fattori scatenanti sono stati ben altri. In primis, mi ha raccontato di aver attraversato un periodo molto frenetico e pieno di preoccupazioni quando la signorina Candice ha avuto l'incidente. A tutti è capitato di sentirci chiudere lo stomaco o di avere poco tempo per nutrirci a sufficienza quando una persona cara è malata".

"In effetti già allora mi accorsi che William era molto dimagrito, ma speravo migliorasse una volta che Candice fosse tornata a casa. Invece ti ho visto poche volte a tavola, con la scusa del lavoro o... di lei", terminò senza potersi impedire di usare un tono infastidito.

"Lo so, zia, mi rendo conto di aver trascurato me stesso facendoti preoccupare e me ne scuso. Ti giuro che mi ero reso conto di essermi indebolito ed era mia intenzione cercare di rimediare per essere presente per tutti voi. Ma poi...", s'interruppe, chiudendo gli occhi e chinando il capo.

Una fitta di senso di colpa si irradiò nel petto di Elroy e la donna fu costretta ad alzarsi, portandosi il tovagliolo alla bocca per contenere le sue emozioni e dando le spalle a suo nipote.

Forse convinto che la sua reazione fosse dovuta al ricordo del triste periodo del carcere, Carter riprese a parlare dietro di lei: "Purtroppo la vita del carcere non è facile per nessuno e anche il signorino Archibald ci ha raccontato di non essere riuscito più di una volta a mandare giù quello che veniva proposto, mangiando solo per sostentarsi e placare i morsi della fame. Inoltre la compagnia non era certo delle migliori e Albert... William ha avuto la sorte peggiore. Già indebolito a causa degli accadimenti passati, ha subito un'aggressione che la sua famiglia ha preferito tacerle per evitarle ulteriori preoccupazioni".

La mano strinse il fazzoletto e la donna lo premette forte sulla bocca per soffocare un singhiozzo, gli occhi stretti per impedire alle lacrime di uscire.

"Se non si mangia a sufficienza per molto tempo, non solo gli organi soffrono indebolendo il soggetto, ma lo stomaco stesso non riesce più a trattenere il cibo perché si riduce di dimensione. A quel punto le opzioni sono due: l'alimentazione artificiale d'emergenza, che William ha avuto finché era in stato comatoso, e quella tradizionale poi. Quest'ultima deve però essere attenta e seguita da un medico, perché dovrà risultare nutriente ma non eccessiva o causerà un rigetto. So che il medico della prigione ha imposto delle variazioni adatte ad Albert, monitorandolo di continuo, ma stando a casa le cose andranno di certo meglio".

A quanto pareva la lunga e chiara spiegazione di Carter era terminata, ma lei non riusciva ancora a voltarsi. Era sopraffatta, annientata. Cosa aveva causato il suo silenzio? Stava per portare alla morte William per non aver espresso subito i suoi dubbi, e per che cosa? Per difendere quei due sciagurati?!

"Zia?". William aveva dovuto accorgersi delle spalle che le tremavano e sentì i suoi passi avvicinarsi. Quando la toccò leggermente, chiamandola di nuovo, la donna crollò e si gettò fra le sue braccia.

"Oh, William, perdonami! Perdonami, figlio mio! Era da quando ci trovavamo a Lakewood che mi ero resa conto che quei due stavano combinando qualcosa di strano ma non credevo... non sapevo...". Il pianto non la lasciò parlare. Elroy Ardlay, la matriarca controllata e fredda, che aveva versato lacrime discrete ai funerali di Anthony e Stair, si era appena resa conto della portata che il suo silenzio aveva avuto sugli eventi e del rischio che avevano corso.

"Calmati, zia, non fare così, è tutto passato ora". La voce dolce di William le ricordò quella di suo fratello e questo la fece solo piangere più forte.

"Mi sono lasciata trascinare dalle loro moine, ignorando la cattiveria che albergava in loro! Anche quando Eliza mi ha detto di voler allontanare Candice da te...". I muscoli del corpo di suo nipote s'irrigidirono e lui smise di carezzarle la schiena. Lo sentì trattenere il respiro e capì che aveva parlato troppo. Ma non aveva potuto farne a meno. Aveva bisogno di confessare, così come aveva visto confessare Neil in tribunale cercando il suo sguardo e il suo perdono.

Albert la scostò da sé, offrendole il proprio fazzoletto e rinunciando quando vide che stava già usando il tovagliolo che aveva tra le mani: "Ora basta, non ti fa bene agitarti così", disse cercando di essere gentile.

Ma non le sfuggirono l'espressione seria e glaciale che illuminava i suoi occhi chiari, né la linea contratta della mascella come se volesse impedirsi di aggiungere altro o fare domande. Elroy si accorse anche che erano soli: il dottor Carter doveva essersi defilato con discrezione.

"Sto bene, non preoccuparti per me. Voglio alleggerire la mia coscienza perché, semmai mi accadesse qualcosa, anche Dio possa perdonarmi", disse asciugandosi gli occhi con cura.

William tacque. Non le disse di non fare certi discorsi, né che l'avrebbe perdonata. Ma era pronta ad assumersi le responsabilità delle sue azioni. Sedette, invitandolo a fare lo stesso, e cominciò: "Come ben sai non ho mai sopportato la presenza di Candice e a Lakewood mi sono resa conto che tra voi le cose stavano diventando troppo... ambigue".

"Zia", il suo tono di voce le indicò che era pronto a negare o a dare spiegazioni, ma lei alzò una mano.

"Non ho intenzione di affrontare l'argomento ora, William", lo interruppe tornando al suo equilibrio di sempre. Tuttavia, fu con emozione malcelata che gli parlò dell'intenzione di Eliza di portarla a cavallo e del comportamento anomalo che avevano avuto sia lei che Neal per tutto il periodo in cui lei era rimasta in ospedale, menzionando anche la sera in cui la nipote le aveva dato la medicina.

Per tutto il tempo, William rimase perfettamente immobile, contraendo i pugni o la mascella quando arrivava in un punto focale del racconto e spalancando gli occhi non appena seppe che erano stati nel suo studio.

Alla fine, si sentì svuotata di un peso.

Senza dire una parola, lui si alzò e andò alla finestra. Elroy rimase seduta sulla sua sedia e non poté trattenersi dal chiedergli: "Potrai mai perdonarmi, William?".

Con le mani intrecciate dietro la schiena, i capelli biondi che gli sfioravano le spalle e la postura aristocratica nonostante la perdita di peso, ancora una volta William le fece pensare a suo fratello.

"Sai, zia, tutto quello che mi hai raccontato mi fa pensare solo che tu sia stata vittima del tuo stesso amore per i tuoi nipoti. Non potevi credere che i Lagan, che tu hai sempre accolto sotto la tua ala protettiva, ci stessero giocando un tiro tanto sinistro, per quanto abbiano peccato d'ingenuità. Devi aver sofferto molto quando ti sei resa conto che i tuoi sospetti avevano un fondamento e non ti giudico per aver atteso tanto a parlarne con George, anzi, ti ringrazio di averlo fatto perché altrimenti le cose sarebbero potute andare molto peggio".

Elroy chiuse gli occhi e li asciugò di nuovo con il tovagliolo: "Grazie, nipote, grazie per aver compreso i miei sentimenti".

"Però, zia, il tuo errore di giudizio è quello che mi causa più sofferenza. Perché per un tuo reiterato errore di giudizio hai assecondato Eliza in un piano nel quale Candy avrebbe potuto rimanere uccisa: e per quale motivo? Perché non ti sei mai soffermata a capire chi fosse veramente, al di là delle sue origini. Non hai mai riflettuto sul fatto che fosse molto più nobile dei tuoi nipoti che, anzi, hanno fatto di tutto per farle del male".

Strinse le labbra, sentendo la rabbia invaderla. C'era sempre e solo lei nei suoi pensieri!

Si voltò a guardarla con espressione triste e contrita: "Posso sopportare di finire in galera, di ricevere un'aggressione e di dovermi riabituare a mangiare come un bambino. Ma non posso sopportare la sofferenza di Candy, saperla ferita e senza memoria, rinchiusa in un mondo che non è più il suo, priva di quell'allegria e voglia di vivere che tanto... la caratterizzavano".

Mentre parlava, Elroy capì che alla fine aveva omesso di dire ciò che pensava davvero. La voglia di vivere che tanto amavo. Quelle erano le parole che si era rimangiato all'ultimo istante?

"Il dottor Carter e la signorina Brighton si stanno prendendo cura di lei e fino all'altro giorno c'era anche quell'infermiera. Mi hai lasciato una bella responsabilità sulle spalle: Candice avrebbe avuto bisogno di una struttura adeguata alle sue condizioni". Non voleva e non doveva sentirsi in colpa più del dovuto.

"Candy ha bisogno della sua famiglia. E la sua famiglia siamo noi", riprese con tono fermo.

"Ora che è maggiorenne non dovresti ritirare la richiesta di essere il suo tutore, o sbaglio?", chiese alzando gli occhi su di lui.

William si voltò di nuovo verso la finestra: "Sì", soffiò come se gli dispiacesse.

"Finché lo sarai puoi decidere per lei, ma poi dovrà trovare la sua strada", dichiarò.

"Io non ho mai preso decisioni al posto suo. È sempre stata libera di fare la sua vita".

"È proprio questo il punto! William, quella ragazza è scappata da una scuola prestigiosa dove tu l'avevi mandata con il chiaro intento di educarla e si è messa a lavorare come una qualsiasi donna del popolo!", incalzò battendo il palmo della mano sul tavolo.

Voleva solo scusarsi con lui per non aver parlato prima, non mettersi a discutere di Candice!

"Ha fatto un lavoro nobile e mi ha salvato la vita, casomai te ne fossi dimenticata! E tu l'hai ripagata assecondando i piani vendicativi di Eliza e facendole rischiare la sua, di vita! Ricordi cosa stava per dire tua nipote in tribunale prima che la portassero via? Com'è che ha detto? Voleva cancellarla!". Il suo tono si era alzato e lui si era voltato completamente, avvicinandosi e sovrastandola.

Quasi intimorita, si alzò anche lei: "Mi dispiace, William, non sapevo che quella sciagurata avesse in mente... idee omicide. Mi ha parlato di una corsa a cavallo e non ci ho visto nulla di pericoloso. È ovvio che se avessi saputo le sue reali intenzioni non glielo avrei mai permesso. Volevo solo che Candice uscisse dalle nostre vite e facesse la sua lontana da te".

Era sincera. Non poteva desiderare certo la morte di una persona, anche se la odiava. Ma non voleva neanche che costituisse una potenziale minaccia.

La mascella di William si contrasse ancora una volta, indicandole che stava inghiottendo altre parole. "Vai a riposare, zia", disse lasciando la stanza.

Su Candice non sarebbero mai stati d'accordo, quello era indubbio. Ma, almeno, William l'aveva perdonata per tutto il resto. Sperò che fosse sufficiente per far tornare l'armonia in famiglia.

- § -

Frank Johnson era sempre stato un uomo d'onore, dedito al suo lavoro e devoto alla famiglia. Durante la sua carriera aveva sempre cercato di imparare dai propri errori, pagandone le conseguenze e prendendosi le sue responsabilità.

Quando quel Diaz lo aveva chiamato per dargli informazioni importanti riguardo un'associazione mafiosa che operava in Florida, per un attimo era stato tirato in due diverse direzioni: in una suonavano mille campanelli d'allarme che gli ricordavano che la sua giurisdizione era ben lontana; nell'altra, spiccava l'orgoglio di lavorare per sradicare quello che si stava rivelando, sempre di più, un problema enorme nella società.

Poi l'uomo gli aveva spiegato che sarebbe stato un buon modo per redimersi dopo aver inviato un telegramma sbagliato alla famiglia Ardlay e tutto gli era tornato in mente. Aveva raggruppato i suoi uomini migliori e, assieme ad altri agenti del posto, avevano ideato una retata da attuare non appena i testimoni chiave del processo fossero stati portati al sicuro.

Tutto era filato più che liscio e, a quell'ora, anche il patriarca doveva essere tornato a casa. Aveva letto dello scandalo dai giornali e aveva subito nutrito dei dubbi sulla veridicità della notizia.

E ora eccolo qui, nel quartiere più malfamato di Miami dove, in apparenza, il pesce grosso aveva il suo covo e muoveva le fila.

La schiena appoggiata al muro, la pistola stretta fra le mani, anche se non era più un giovanotto, Johnson aveva scelto di stare in prima linea. Non era la prima volta e, a Dio piacendo, non sarebbe stata neanche l'ultima.

Il grosso della retata era nella mani degli altri agenti, tra cui uno dei suoi migliori sottoposti che aveva chiesto coraggiosamente di essere al suo fianco.

Uno sparo.

Quello era il segnale e Johnson si sporse dalla sua posizione per sbirciare nell'oscurità della notte: "*Se fué por allà, hijo de puta!", gridò una voce.

Quello doveva essere uno degli agenti del suo collega. Anche se, di certo colto dall'agitazione, aveva parlato nella sua lingua natia, capì che il bersaglio si era appena dileguato.

Con cautela uscì dal nascondiglio, maledicendo lo spazio troppo aperto e guardandosi attorno con frenesia, dove ora vedeva le luci delle torce dei suoi colleghi illuminare l'area. Scattò verso la parete di un'altra abitazione in disuso e vi si poggiò con la schiena, i sensi all'erta.

Un fruscio proveniente da sopra la sua testa attirò la sua attenzione e Johnson si rese conto che veniva dalle fronde di un albero. Alla sua sinistra e dietro la casa continuava a udire i richiami degli agenti che si erano lanciati all'inseguimento e capì di essere solo.

Respirando pesantemente, con la luce fioca di un unico lampione soffocata dallo stesso albero, alzò lo sguardo e puntò la pistola.

Il fuggitivo lo aveva sentito arrivare? Aveva con sé un'arma e stava per fare fuoco? In una manciata di secondi, capì che doveva prendere una decisione e la prese: "Sei sotto tiro!", gridò esponendosi del tutto.

Catherine, perdonami se morirò. Abbi cura di te e dei nostri figli.

I rumori dell'inseguimento cessarono e il silenzio divenne quasi inquietante. Poteva sentire solo il ronzare del sangue che gli pulsava nelle orecchie e il proprio respiro, che tentava disperatamente di tenere sotto controllo.

Non voleva sparare a vuoto o rischiare di ucciderlo prima che venisse interrogato, ma non sapeva se il malvivente ci vedesse meglio di lui, dalla sua posizione sopraelevata, o le fronde gli coprissero la visuale.

Era una situazione molto rischiosa.

Una mano lo sfiorò e Johnson ringraziò tutti gli anni di addestramento e il suo autocontrollo perché riuscì a non gridare. Si voltò, invece, con la pistola spianata solo per incontrare gli occhi spalancati del suo agente, le mani alzate e una torcia spenta in mano.

Abbassando l'arma, gli indicò l'albero e lui annuì. A gesti, concordarono le successive, semplici mosse. Johnson alzò tre dita della mano sinistra e, in un silenzioso conto alla rovescia, le abbassò una ad una.

Mentre la portava al calcio della pistola per impugnarla meglio, il ragazzo accendeva la torcia e la puntava in alto.

Ci giochiamo tutto.

Fu uno di quei momenti in cui i secondi parevano ore, ma i suoi occhi allenati individuarono subito la punta di una scarpa e tirò il grilletto mirando in quella direzione: se era fortunato, la pallottola gli avrebbe centrato in pieno il piede o una caviglia.

Il colpo, però, gli parve stranamente amplificato e si rese conto che anche l'altro aveva sparato.

Negli istanti successivi, si rese conto di tre cose: il braccio sinistro gli bruciava come l'inferno, il suo agente aveva emesso un verso strozzato e il fascio di luce si stava spostando in basso rivelando un uomo vestito di nero che cadeva finalmente dall'albero.

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* "È scappato di là, figlio di p*****a!".

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Angolo dei commenti:

Ericka Larios: Un confronto fra Candy e Albert prima o poi sarà inevitabile, ma lei ha ancora la mente confusa ed è di certo spaventata. Carter sta procedendo gradualmente sperando di trovare una breccia nella sua anima e nel suo cuore... Intanto, Annie ha messo in discussione la propria relazione e si rende conto che il tempo non è infinito e deve fare qualcosa per recuperarla: almeno lei ha giudizio!

Guest Dady: Ti ringrazio innanzitutto per la sincerità: mi fa piacere che, almeno fino a qui, la mia storia ti sia piaciuta e comprendo la tua frustrazione per una situazione che sembra non risolversi mai, anzi, peggiorare. Ma, credimi, risolvere tutto in un capitolo o due rovinerebbe la storia che ho concepito con tanta fatica: sarebbe come saltare subito all'epilogo di un libro e qui occorre andare per gradi proprio perché le cose si sono complicate tanto. A questo punto capisco se vorrai abbandonarla, ma se decidi di continuare a seguirmi sappi che questo è il mio stile e non ci sarà nulla di affrettato. Un saluto!

Elizabeth: Il tuo punto di vista è interessante, ma ricordiamoci che questa non è la vecchia Candy che prova empatia per un Albert fragile e provato e il risultato potrebbe non essere lo stesso di quando lui ha perso la memoria. Intanto, lasciamo che recuperi un po' e chissà...

Mia8111: Grazie mille!

Dany Cornwell: Penso che i nervi li ho fatti venire un poco a tutti, sono venuti persino a me mentre scrivevo! E sì, anche io vorrei schiaffeggiare Candy, ma l'ho creata così e me la devo tenere ancora smemorata e cattiva XD Grazie per il tuo apprezzamento di CARILLON, in molti vorrebbero che scrivessi il seguito dopo le nozze, chissà come mai XDDD LOL! Intanto sappi che sto lavorando ad altri missing moments del manga e del romanzo, ma per una specie di luna di miele... beh, non hai letto AFRICA (rating M)? La trovi tra le mie fanfiction, è più un esperimento che altro, però, ti avviso... Grazie mille, al prossimo capitolo!

Yagui: Prima di scrivere una fanfiction con una Candy così cambiata mi sono documentata e, credimi, le persone smemorate possono effettivamente cambiare. Per quanto sia spiacevole, Candy ha perso o nascosto in modo determinante la sua essenza, il compito di Carter è proprio quello di riportarla indietro!

Charlotte: Carissima, parto dalla fine: Carter si riferisce ad Albert, che gli sta raccontando delle sue vicissitudini facendo persino una battuta, quindi lo trova nello spirito giusto per ricominciare a nutrirsi! Adoro descrivere e tracciare il personaggio di Albert e mi dispiace mostrare quanto sia deperito, ma ora che è a casa speriamo che, con l'aiuto di Carter, le cose vadano meglio. Perlomeno per quanto concerne il nutrimento fisico, ma Candy...? Il povero psicologo ha ricevuto una brutta delusione d'amore: alla fine, niente triangolo, Frannie se ne va addirittura in Francia! Alla prossima, grazie!

Sandra Castro: Ciao! Non è stato facile inserire un argomento così delicato come l'anoressia in una fanfiction, ma volevo far comprendere come anche un uomo incrollabile come Albert, sotto i colpi della vita, possa crollare fino ad avere un disturbo alimentare quasi sconosciuto all'epoca. Per fortuna è tornato a casa e ha Carter vicino! Ovviamente il motivo principale è Candy, che ora sta facendo i conti davvero con il suo passato anche se, come dici tu, mancano molti tasselli: tutta la sua storia con Albert in primis e anche il rapporto con Terry. Lei è rimasta al dolore per Anthony, ne ha di strada da fare! Nonostante abbia letto che molte di voi sarebbero state intrigate da un bel triangolo Frannie/Candy/Albert era una cosa assolutamente non plausibile, così quando ho scritto la storia all'epoca l'ho fatta semplicemente defilare: arrivata a questo punto era davvero l'unica via possibile. Annie, attraverso la storia tormentata di Candy e Albert, si sta davvero rendendo conto che può e deve recuperare con Archie, anche se all'inizio la colpa è stata dell'affascinante Cornwell. Grazie di cuore, alla prossima!