Il debole non è mai capace di perdonare. Il perdono è una caratteristica del forte.
(Mahatma Gandhi)

La condanna e il perdono

Albert riattaccò il telefono e incontrò lo sguardo interrogativo di George, che lo fissava con un sopracciglio alzato.

"Li hanno presi, l'incubo è finito", disse con l'emozione che gli vibrava nella voce. L'uomo di fronte a sé cadde a sedere e lui continuò: "Il commissario Johnson mi ha raccontato che durante la retata principale lui e uno dei suoi agenti sono rimasti feriti, ma per fortuna non è nulla di grave. La rete mafiosa si estendeva fino in Messico, ci credi?! Ma grazie agli sforzi di tutti quanti ora quegli uomini sono in prigione e forse non ne usciranno più".

"Sbaglio o in Florida è prevista la pena capitale? Se quegli uomini hanno ucciso qualcuno...", George s'interruppe, giocherellando con una penna sulla scrivania.

Albert appoggiò la schiena sulla poltrona: "Non lo so, mi pare di sì. Però, anche se così fosse, continuo a considerarlo un atto non dissimile dall'omicidio volontario. Credo che uomini come quelli debbano essere giudicati solo da Dio, anche se rinchiusi in carcere fino a quel giorno".

L'uomo annuì: "Sono d'accordo, signorino William. Vogliamo mettere in ordine questi documenti e andare a pranzo?".

Albert gli sorrise. Da qualche giorno, gli pareva di riuscire a mandare giù una quantità maggiore di cibo e si sentiva rinvigorito nel corpo e nello spirito. Sospettò che i pensieri peggiori gli fossero venuti in mente non solo perché era in carcere o in pena per Candy, ma anche perché il suo cervello non aveva più ricevuto il nutrimento necessario a fronteggiare la vita come aveva sempre fatto.

Candy.

Gli bastava ricordarla, però, per tornare malinconico. Su consiglio di Carter aveva evitato di vederla da quando era tornato, perché voleva approfondire prima il suo problema dell'agorafobia e poi affrontare insieme la questione della morte di Anthony di cui, a quanto pareva, lo riteneva colpevole.

"Sta pensando di nuovo a lei, non è vero?". Sbatté le palpebre, conscio degli occhi attenti di George dall'altra parte della scrivania.

Albert poggiò i gomiti sul piano di lavoro e il mento sulle mani intrecciate: "Non la vedo da prima di finire in prigione ed è a pochi passi da me. Non credevo che avrei sentito così tanto la sua mancanza, non mi era mai capitato in passato".

"Credo che sia normale", ribatté lui poggiando a sua volta le mani sulla scrivania. "Una volta che un uomo mette a nudo il proprio cuore tutto cambia. E lei, signorino William, è cambiato profondamente grazie a Candy".

Mentre gli uscivano di bocca, Albert si rese conto che le sue parole sarebbero suonate ambigue: "Grazie a Candy o a causa di Candy, George?".

Le sopracciglia aggrottate del suo amico di sempre confermarono il suo sospetto: "Non fraintendermi, non ho usato quel termine per colpevolizzarla o qualcosa del genere. Candy è stata una vittima degli eventi proprio come tutti noi. O dei Lagan. O del destino, non lo so. Ma il cambiamento che ha operato in me non sempre ha avuto sfaccettature positive: mi ha messo davanti a uno specchio, completamente a nudo, richiamando in superficie lati del mio carattere che non avevo la più pallida idea di possedere. Se non l'avessi conosciuta sarei stato meno felice, meno completo e forse sarei rimasto quello di sempre, col lato ribelle man mano meno preponderante a causa dei miei doveri. Ma ho anche scoperto cose che non mi piacciono: sono arrivato a odiare delle persone perché le hanno fatto del male. Credo di aver odiato un po' lo stesso Terry, quando le spezzò il cuore. Ho scoperto una fragilità che mi ha portato quasi ad autodistruggermi. E mi rendo anche conto di avere tutta una serie di insicurezze che non ti sto qui a elencare, innanzitutto il dubbio di aver messo in pericolo Candy io per primo".

"Lei, signore?", gli occhi di George si spalancarono per lo stupore.

Annuì, chiudendo gli occhi: "Ti ricordi quanti dubbi avevo prima di confessarle i miei sentimenti? Ebbene, forse avrei dovuto capire i segnali del destino già quando mi è arrivato il telegramma inviato da New York. Rivedendola, sulla Collina di Pony dove tutto è cominciato, avrei dovuto essere meno prudente e presentarla subito come la mia fidanzata. Non sono mai stato fatalista e ho sempre tenuto i piedi ben piantati per terra, ma continuo a pensare che se avessi subito chiarito le cose con lei agli occhi di tutti, non sarebbe mai più finita nelle mire di Eliza e tutto questo non sarebbe successo".

Sospirò a fondo, come se tutti quei ragionamenti lo avessero sfinito. Se li era rigirati nella mente per giorni e, anche se non l'aveva detto a sua zia e aveva impedito a Carter di rivelarlo, quei sensi di colpa nei confronti di Candy avevano avuto un ruolo tutt'altro che marginale nel suo rapporto col cibo. Se le preoccupazioni ne erano state la causa scatenante maggiore, l'auto-privazione inconscia aveva inciso abbastanza da farlo giungere al limite.

Ma quello era un segreto che avrebbe tenuto per se stesso.

George si alzò dalla sedia prendendo in mano gli ultimi documenti e riponendoli con cura in una cartellina di pelle: "Non possiamo stabilire come sarebbero andate le cose se avessimo fatto scelte diverse tanto quanto non possiamo tornare indietro nel tempo per cambiarle a nostro piacimento".

"Ma se Candy fosse diventata subito la mia fidanzata, né Neil, né Eliza, né nessun altro si sarebbe mai azzardato a farle del male!", scattò lui alzandosi e battendo un pugno sulla scrivania. Un altro gesto impulsivo che, una volta, non si sarebbe mai attribuito.

"Se io avessi confessato i miei sentimenti a Rosemary, lei mi avrebbe visto con occhi diversi prima di incontrare Vincent?". La furia di poco prima si sgonfiò quando incontrò lo sguardo di George.

Era la prima volta che ne parlava ad alta voce, in tutti quegli anni, e Albert ne fu davvero toccato.

I suoi occhi si ammorbidirono, leggendo in quelli scuri di fronte a sé un'emozione che il ricordo di Rosemary avrebbe sempre illuminato.

L'uomo li distolse, come per impedirgli di guardare troppo a fondo nella sua anima, ma Albert sapeva quanto l'avesse amata.

"Non possiamo sapere come sarebbero andate le cose e se ci soffermiamo a pensarci rischiamo solo di rimanere imbrigliati nei ricordi", concluse con voce bassa.

"Ma, nonostante tutto, tu non l'hai dimenticata, non è vero?", chiese in tono gentile, inclinando un po' la testa.

George alzò di nuovo lo sguardo su di lui e ribatté, deciso: "No. E forse non lo farò mai. Ma cerco di non struggermi chiedendomi cosa sarebbe accaduto se... se...".

Mentre George cercava le parole giuste, qualcuno bussò alla porta e si ricompose in un batter d'occhio: "Avanti", rispose Albert.

Una cameriera entrò e s'inchinò con deferenza: "Mi scusi, signor Ardlay, il signor Raymond Lagan e sua moglie chiedono di parlare con lei".

Cercò d'impedire alla sua mascella di spalancarsi per lo stupore, ma le mani si strinsero in due pugni e lo stesso George sembrava allibito. Si guardarono per un istante e non ci fu bisogno di parole.

La cameriera rimase in attesa finché Albert, con un grosso sospirò, disse: "Falli entrare". Sapeva che sarebbe giunto il momento del confronto, ma non credeva sarebbe arrivato così presto.

- § -

Raymon Lagan aveva deciso di recarsi da William non appena aveva ricevuto la notizia dell'arresto di tutti i componenti del clan mafioso, incluso il pezzo grosso che aveva avuto contatti con i suoi figli.

Aveva chiesto e ottenuto dal giudice il permesso di allontanarsi dai domiciliari, che stava scontando nella loro residenza di Chicago, per poter andare a casa degli Ardlay. Non a testa alta, come avrebbe fatto una volta, ma con la schiena curva, stringendo il braccio della sua riluttante moglie che continuava a dire fosse una pessima idea.

"È una cosa che faremo insieme, Sarah", aveva detto con durezza.

"Ma Eliza ha bisogno di me! Voglio andare da lei!", aveva risposto con le lacrime agli occhi.

"Eliza è catatonica! Non si rende neanche conto che sei lì, davanti a lei!", aveva urlato battendo un pugno sulla scrivania.

Sarah si era portata un fazzoletto alla bocca, piangendo apertamente: "Ma potrebbe farlo, se continuo a parlarle: è pur sempre la mia bambina".

Raymond si era preso la testa fra le mani. Se la loro bambina, come ancora la chiamava sua moglie, fosse uscita da quello stato e si fosse ripresa, sarebbe passata dall'ospedale psichiatrico alla galera e non era sicuro che quella fosse una valida alternativa.

Quando entrò e vide William Ardlay alla sua scrivania, seduto con le mani intrecciate, avvertì tutto il peso degli eventi crollargli sulle spalle. Abbassando la testa e cominciando a singhiozzare come un bambino, Raymond Lagan cadde in ginocchio davanti a quel giovane patriarca che aveva rischiato di affondare, ma si era ripreso e non aveva perso un briciolo della sua dignità.

La propria era a terra, come le sue ginocchia, sciolta in quelle lacrime che gli bruciavano gli occhi e le guance.

Udì a malapena Sarah che lo chiamava e cominciava a piangere piano, in piedi al suo fianco. Il rumore di una poltrona che veniva spostata e dei passi sul pavimento gli indicarono che lui si stava avvicinando.

Sentì una mano posarsi sulla schiena, l'altra scendergli lungo il braccio come per sostenerlo: "Alzati, Raymond. Ti prego". La voce era gentile, quasi commossa e ne fu colpito.

William lo aiutò a rialzarsi, mentre lui cercava con frenesia il suo fazzoletto nel taschino della giacca per ricomporsi. Quando fu in piedi rimase a testa china, ancora accecato dalle lacrime che cercava di asciugare con quel fazzoletto, una mano andò alla spalla dell'uomo che ancora si prodigava a sostenerlo.

Strinse la mano sul tessuto della giacca mormorando: "Perdonami, William, io non sapevo nulla, io...".

"Non ho nulla da perdonarti, Raymond. So che non è stata colpa tua. L'ho sempre sospettato". Quelle parole lo alleggerirono tanto che pianse più forte, soffocando il dolore e il sollievo nel fazzoletto, mentre sentiva Sarah al suo fianco fare lo stesso. Sospettò che, nel suo caso, fosse l'umiliazione a farla piangere.

"George, per favore, fai portare del tè", ordinò William senza muoversi. Non si era nemmeno reso conto che l'altro uomo fosse lì nella stanza.

"Certo, signorino William. Con permesso". La porta si richiuse e Raymond finalmente si azzardò ad alzare gli occhi sul patriarca. Per un attimo non riconobbe, nell'uomo così magro e dal viso scavato, lo stesso che aveva presenziato all'apertura dei loro hotel. Anche se lo aveva ben visto in tribunale il giorno dell'udienza, solo ora che gli era accanto si rendeva conto appieno di quanto fosse minato nel fisico.

William Albert Ardlay aveva occhi limpidi e fieri, l'espressione serena, ma sembrava si stesse appena riprendendo da una lunga malattia: "Coraggio, accomodatevi. Non restate in piedi".

Ricomponendosi come poteva, Raymond condusse sua moglie al divanetto alle loro spalle. Sarah soffocava i singhiozzi nel fazzoletto e sembrava non avere consolazione. Lui non si sentiva in grado di dargliene.

William rimase in silenzio, in piedi davanti a loro e lo sentì muoversi per prendere una sedia e accomodarsi poco distante. Il fatto che non rimanesse in piedi confermò a Raymond che non voleva tentare di sovrastarli in alcun modo. Tutto, in lui, emanava rispetto e pacatezza. Eppure la sofferenza era scolpita, indelebile, nei suoi lineamenti, come doveva esserlo nei propri.

Raymond lo guardò negli occhi e chiese: "Come sta la signorina Candice?". Mai l'aveva chiamata così, abituato a lei come ad una ragazzina adottata che poi era passata sotto l'ala protettrice degli Ardlay. Quando gli avevano raccontato del suo incidente causato soprattutto da Eliza, capì quale tragico errore di giudizio avesse fatto in passato.

Pensava che i suoi figli facessero i dispetti a quella ragazzina perché non era loro simpatica e, che Dio lo perdonasse, aveva creduto a sua moglie quando gli aveva raccontato dei suoi presunti furti e comportamenti scorretti.

Il fatto che non fosse quasi mai a casa non lo scagionava da tutto il male che le era stato fatto senza che lui intervenisse.

"Candy è seguita da un medico molto bravo, ma ancora non ha recuperato la memoria e non sappiamo se accadrà mai". Sospirò, accavallando le gambe. "Però l'importante è che stia bene con se stessa e su questo sono molto fiducioso".

Raymond annuì e si accorse, con sollievo, che Sarah si stava asciugando le ultime lacrime e riponendo il fazzoletto. Aveva sempre lo sguardo basso.

"Neil mi ha raccontato cosa hanno fatto... lui ed Eliza. E poi anche tutto il resto...".

"Come sta Eliza, a proposito?". La genuina curiosità nella sua voce, mentre lo interrompeva, lo colpì.

Inaspettatamente fu sua moglie a rispondere, con voce roca: "È rinchiusa in un ospedale psichiatrico, non risponde più agli stimoli e deve essere assistita di continuo! Non sta bene per niente!". Il tono d'accusa fu così netto che Raymond si voltò a guardarla con rimprovero.

Gli occhi di William divennero di ghiaccio e in quel momento esatto arrivò la servitù con il tè a spezzare la tensione.

Che tornò palpabile non appena la porta fu richiusa.

Il patriarca degli Ardlay si alzò con gesti lenti e andò al tavolo dove c'era il bricco fumante. Ne versò tre tazze, prese in mano la sua e restò in piedi a sorseggiarla per qualche istante, facendo loro cenno di servirsi.

Raymond si alzò e prese una tazza per sé e ne porse una alla moglie, che l'accolse con mani tremanti. Per fortuna non sembrava intenzionata a dire altro, ma Raymond sapeva che la risposta di William non si sarebbe fatta attendere e tacque a sua volta.

"Anche se sono il tutore legale di Candy, non so cosa si provi davvero ad avere dei figli", cominciò sedendo al tavolo e aggiungendo dello zucchero. "Ma posso immaginarlo: deve trattarsi di un amore struggente, disinteressato, che prescinde da qualsiasi comportamento scorretto". Si voltò a guardarli, gli occhi ammorbiditi. "Un amore indiscriminato come quello che dovete provare voi per Eliza e Neil".

"William...", tentò Raymond.

"Ed è giusto che sia così", continuò alzandosi e cominciando a camminare, come se dovesse contenere una forte emozione. "Ma mi perdonerete se io non riesco a sentire empatia verso chi ha distrutto la vita di Candy e ha quasi fatto lo stesso con la mia e con quella di tutti noi".

"Se tu non avessi adottato quell'orfana e l'avessi lasciata a noi, forse ora...". Raymond non la lasciò finire e la schiaffeggiò. Lei s'interruppe con un gridolino, portandosi una mano alla guancia e guardandolo scioccata.

"Taci, Sarah! Se tu avessi educato i nostri figli al rispetto e alla devozione per la famiglia, ora non saremmo a questo punto! Perdonala, William, perdonami per averti causato tutti questi problemi. Non mi basterà tutta la vita per riscattarmi dopo quello che ti ho fatto", continuò guardando il patriarca, che era rimasto immobile a fissarlo. "So di essere rovinato e che il mio nome non verrà mai riscattato. Ma lascia che riscatti il tuo prendendomi tutta la responsabilità assieme ai miei scellerati figli". L'emozione nella voce gli impedì di dire altro.

William sedette di nuovo e cominciò a girare il tè. Vide che gli tremava un po' la mano e capì che stava facendo uno sforzo sovrumano per mantenere i nervi saldi. Sperò vivamente che Sarah stesse zitta o aprisse la bocca solo per scusarsi.

Il patriarca prese un sorso, poggiò la tazza e fece un lungo sospiro: "Raymond, a te non ho nulla da rimproverare, te l'ho già detto. Sei un uomo nobile, che ha sempre lavorato e che ha l'unica colpa, in tutta questa storia, di non essere stato abbastanza presente per rendersi conto di ciò che accadeva a casa. Anche mio padre era così, io e mia sorella non lo vedevamo quasi mai, ma siamo comunque cresciuti nell'amore e nel rispetto per il prossimo".

Si alzò, avvicinandosi: "Sarah", chiamò facendola sussultare. Cercò di rimanere composto, perché il suo tono di voce era talmente diverso da quello gentile di poco prima che si domandò se non volesse colpirla anche lui. Sapeva che non lo avrebbe mai fatto, ma se avesse perso le staffe lo avrebbe giustificato.

Capì che voleva un confronto con lei e, dopo avergli scoccato uno sguardo grato, si alzò con la scusa di aggiungere dello zucchero a sua volta e rimase in piedi vicino al tavolino. Sua moglie spostò gli occhi da lui a William, come se non capisse perché l'avesse lasciata da sola di fronte a lui.

Raymond si rese conto che, qualunque cosa fosse accaduta in futuro, il maggior tempo che avrebbe trascorso a casa gli sarebbe stato molto utile per farle capire molte cose fondamentali sulla vita e sul matrimonio.

"William, io... neanche io ne sapevo nulla! Non penserai mica che abbia aiutato Eliza e Neil a contattare quei... quei...". I suoi occhi erano spalancati in qualcosa che sembrava terrore.

"Sai una cosa? Voglio crederti. Neanche tu saresti stata così... imprudente da fidarti del primo malvivente incontrato per strada. La tua colpa è un'altra ed è quella che ti ha appena ricordato tuo marito. Hai cresciuto i tuoi figli nel vizio e nell'impertinenza, dando loro l'impressione che tutto fosse dovuto solo per il fatto di far parte di un clan con un nome che, a dirla tutta, non è neanche strettamente collegato agli Ardlay".

Sarah emise un gridolino di sorpresa, sembrava davvero ferita e Raymond annuì. William aveva appena espresso a parole quello che aveva sempre saputo.

"I tuoi figli non valgono insieme neanche la punta di un'unghia di quell'orfana, come la chiami tu, mi capisci? Non sono degni di respirare la sua stessa aria perché Candy White Ardlay, questo è il suo nome, ricordalo bene, ha un cuore pieno di tutti quei buoni sentimenti che fanno di lei una persona speciale. È altruista, onesta e antepone sempre il bene degli altri al proprio ed è per questo che tutti la amano".

Sarah scattò in piedi e Raymond si allarmò, pronto a intervenire: "Anche tu, vero? Eliza mi aveva detto che volevi farne la nuova matriarca, prima... prima di...", singhiozzò ma si riprese. "La zia Elroy non sarà mai d'accordo su questo, voglio parlare con lei!".

Raymond si rese conto, con orrore, che sua moglie si stava muovendo come se volesse uscire e fece per avvicinarsi con lo scopo di fermarla. Se avesse saputo che aveva perso la ragione quasi al pari di Eliza, non l'avrebbe mai portata con sé e si rese conto che conosceva Sarah meno di quel che pensasse. Quante cose si era perso durante le sue lunghe assenze?

"Tu non parlerai con la zia!", tuonò William con un tono così profondo e perentorio che lei si bloccò sul posto.

Si girò a guardarlo, con gli occhi pieni d'odio, e Raymond decise d'intervenire: "Sarah, hai perso il senno, per caso? Come osi parlare così al patriarca! Invece di fargli le tue scuse!".

"Io non sapevo nulla di quello che stavano facendo Eliza e Neal! E neanche loro erano a conoscenza della portata...", cominciò strillando, fuori controllo.

"Vuoi forse dire che non sapevano che stavano rischiando di uccidere una persona manomettendo lo zoccolo di un cavallo? Che non erano a conoscenza del fatto che rivolgersi alla malavita per distruggere la reputazione di un uomo avrebbe mandato in galera degli innocenti?! Che non sapevano che le loro azioni avrebbero mandato all'aria il lavoro di una vita del loro padre? È questo che mi stai dicendo, Sarah Lagan?!".

Raymond non conosceva William da molto tempo, dato che la sua presentazione ufficiale risaliva a pochi anni prima. Ma fu certo, da ciò che gli era stato riferito e da quello che aveva potuto intuire sul suo carattere, che non era solito urlare a quel modo, specie nei confronti di una donna.

Ansimava come se avesse fatto una corsa e i pugni erano così contratti che pensò li avrebbe sbattuti al muro o su sua moglie. Pregò che Sarah stesse finalmente zitta o quella visita sarebbe finita molto male.

L'effetto che il suo schiaffo non aveva sortito parvero farlo quelle parole e Sarah si mise a sedere, la testa china e le mani strette sulla gonna: "Ho desiderato non averli messi al mondo". La sua voce era così flebile che Raymond pensò di aver capito male, ma gli occhi di William che si spalancavano per lo shock gli indicarono che aveva capito benissimo.

"Che Dio mi perdoni, ho desiderato che non fossero mai nati dopo aver saputo che... che...", singhiozzò ricorrendo di nuovo al fazzoletto e tentando di parlare ancora. William la fissava in silenzio, l'espressione ancora tesa. "Li ho cresciuti dando loro quello che pensavo si meritassero e non posso, non riesco a paragonarli a que... a colei che tu tanto ammiri. Per me rimarranno sempre due mondi diversi. Ma ora tutto è perduto. Non hanno colto l'opportunità che avevano e adesso siamo tutti persi per sempre. Per sempre!". Il pianto la vinse e il patriarca chiuse gli occhi, sospirando e tornando a guardarlo.

"Raymond, spero capirai la mia reazione, così come capirai che posso perdonare solo te che sei sinceramente pentito per qualcosa di cui, oltretutto, non hai responsabilità diretta". Poi si volse un'ultima volta verso Sarah, il suo sguardo ora appariva disgustato: "Non provo pena per te, Sarah. Spero che almeno Dio vi perdoni".

"Avrei dovuto prestare più attenzione alla mia famiglia", disse e William annuì. In maniera tacita, gli stava addossando quell'unica, grande colpa. "William", riprese poi, "so che a breve ci sarà una riunione con il clan. Vorrei formalmente fare le mie scuse pubbliche e scagionare gli Ardlay".

"Ma Raymond, così noi...", cominciò Sarah, mentre ancora piangeva.

"Taci, donna!", la interruppe subito, urlando quasi quanto aveva fatto il patriarca poco prima. "Non abbiamo nulla da recuperare, l'hai detto tu stessa. Riporterò personalmente la famiglia in piedi, se mai vi riuscirò, con le mie sole forze".

Fu allora che William gli si accostò, parlando a bassa voce come se non volesse che Sarah lo udisse: "Hai chiuso la catena di alberghi, vero?", chiese.

Scosse la testa: "Non potevo fare altrimenti, lasciarli aperti nelle mani dei direttori sarebbe stato inutile visto che siamo tutti agli arresti. Neal è stato trasferito nel carcere dove... beh, dove siete finiti tu e Archibald. Penso che rimarremo tutti qui fino al processo, poi forse lo riporteranno in Florida". Chiuse gli occhi, sentendo il sudore che gli colava sulle tempie. Avrebbero potuto recludere per vent'anni suo figlio, nella peggiore delle ipotesi, e anche a Eliza se fosse tornata in sé.

William lo guardò e disse, in un sussurro: "Dovranno entrambi avere modo d'imparare la lezione". Quella frase gli fece capire che sperava soprattutto che, una volta fuori, entrambi fossero già cambiati in meglio.

"Lo spero anche io", rispose con le lacrime agli occhi. "Nonostante tutto sono sangue del mio sangue. Non voglio vederli... completamente distrutti...", concluse stringendo le palpebre e sentendo le guance inumidirsi.

"Moriranno se rimangono rinchiusi!", sbottò Sarah. "Non avrei mai dovuto desiderare che non nascessero, Dio mi sta punendo!". E, così dicendo, ricominciò a piangere.

"Sono loro stessi che ti hanno punita per non essere stata una buona madre", intervenne una voce a Raymond nota. Alzò gli occhi per incontrare lo sguardo duro della zia Elroy e si avvicinò a lei con l'intenzione di farle un baciamano e scusarsi, ma lei si scostò: "Non osare toccarmi, Raymond. Da oggi non fate più parte della famiglia!", continuò con tono duro.

"Zia, Raymond...", ma il tentativo di William fu messo a tacere dalla matriarca.

"So quello che è successo e ritengo entrambi responsabili! Avete tutti tradito la mia fiducia, non vi siete resi conto di come i vostri figli fossero gravemente deviati e questo è inaccettabile". Ogni parola era una pugnalata, ma era anche la verità.

Sarah si alzò e fu lei a inginocchiarsi, stavolta ai piedi della prozia Elroy: "Ti prego, zia, perdonaci! Non lasciarci sul lastrico, se io avessi saputo...".

"Stai zitta!", le intimò alzando la voce. "Ringrazia il Cielo che sono una signora e che i tuoi figli non sono qui, altrimenti vi schiaffeggerei tutti! Avete gettato nella vergogna il nome degli Ardlay e dovreste marcire tutti in carcere per esservela fatta fare da loro sotto gli occhi, specialmente tu!".

Sarah crollò con le mani sul pavimento, piangendo in maniera penosa, e Raymond capì che era ora di andarsene. Aiutò la moglie ad alzarsi, sentendosi come un profugo di guerra che cerchi di trascinare via quello che rimaneva della sua famiglia dalle bombe e si volse solo una volta verso William, che stava in piedi con le sopracciglia aggrottate e i pugni contratti: "La mia offerta resta valida. Verrei da solo a fare il mio intervento e non avrei nulla da pretendere. Non mi basterà il resto della mia vita per ripagarvi di ciò che Neil ed Eliza vi hanno fatto. Zia Elroy...". Tenendo ancora un braccio intorno alla vita di Sarah, che pareva far fatica a stare in piedi, si inchinò profondamente di fronte al viso contratto della donna.

Mentre usciva dalla stanza, nessuno provò a fermarlo e Raymond capì di essere solo. Non si aspettava il perdono di William e gli sembrava già tanto. Sperava solo che, da quel momento in poi, la sua vita non gli rendesse conto ogni singolo giorno degli errori commessi.

- § -

Elroy Ardlay marciò verso il nipote, che era impallidito e sembrava sull'orlo dello svenimento: "William!", lo chiamò mentre si appoggiava al tavolino del tè e si portava una mano alla fronte.

"Va tutto bene, zia, tranquilla. Il fatto è che non mi aspettavo una loro visita e sono dovuto ricorrere a tutto il mio sangue freddo per non fare qualcosa di sconsiderato nei confronti di Sarah", disse lui mettendosi a sedere. Lei lo imitò e si versò una tazza di tè.

"Perché non mi hai mandato a chiamare?", chiese.

"E per che cosa?", ribatté il nipote allargando le braccia. "Per farti assistere all'umiliazione di Raymond e farti udire le parole sconclusionate di Sarah, il cui unico scopo era tentare di farci pena?".

"A me non ha fatto pena neanche Raymond, a dirla tutta", ribatté sorseggiando dalla tazza.

"Zia, Raymond è quello che ha meno colpa di tutti, in questa storia, ed era davvero dispiaciuto. Non me la sono sentita di infierire: è un uomo finito. Ma è stata dura sopportare i piagnistei di Sarah. Capisco che sia in pena per i figli, ma non ha ancora ben chiaro quale sia il suo ruolo in tutto questo". William si passò una mano tra i capelli mentre parlava, poggiando il gomito sul tavolo.

"Sei troppo buono", disse Elroy posando la tazza. "Raymond doveva essere più presente e controllare sua moglie e la sua prole".

Suo nipote fece un sorrisetto triste: "È strano sentirti parlare così di Neal ed Eliza, fino a poco tempo fa erano i tuoi pupilli".

Si appoggiò allo schienale, pulendosi discretamente gli angoli della bocca con un tovagliolo: "So riconoscere i miei errori a differenza di Sarah, come hai avuto modo di vedere". Lo sguardo intenso di William le suggerì che c'era un errore che ancora non aveva riconosciuto, ma preferì ignorare quel segnale. "E non voglio che i Lagan mettano mai più piede qui dentro, né in nessun'altra delle nostre proprietà! Chiederò ufficialmente che vengano estromessi dal clan".

William si alzò, poggiando entrambi i palmi delle mani sul tavolino: "Zia, occorre scindere gli oneri dei vari componenti di quella famiglia. Avrai ben capito che, per svariati motivi, non ho mai nutrito nei loro confronti particolare... trasporto. Ma ho sempre visto in Raymond una vittima degli eventi: come mio padre ha viaggiato molto per lavoro, per necessità o per colpa che sia, e non è sua completa responsabilità ciò che accade tra le mura domestiche mentre lui è assente. Odio dirlo, ma suppongo che persino Sarah sia stata giocata dai suoi stessi figli, che a loro volta hanno peccato tragicamente d'ingenuità".

"Li stai giustificando?!", sbottò alzandosi per guardarlo meglio. Aveva di certo ripreso peso, ma era ancora ben lontano dall'essere in forma.

"Certo che no! Sto solo dicendo che non è Raymond che deve pagare. Si è proposto di ribadire pubblicamente la nostra estraneità agli eventi quando riuniremo il clan con i giornalisti e ho intenzione di accettare il suo aiuto".

"Ma William!".

"È inutile accanirsi, zia. Vuoi estrometterli dal clan? Sono anche d'accordo. Ma, per il resto, la legge farà il suo corso e chi dovrà pagare lo farà, inclusi Raymond e Sarah. Sospetto che lei stia rischiando di seguire la stessa sorte di sua figlia perché, nonostante tutto, ha detto una frase che mi ha fatto venire i brividi". Il volto pallido divenne d'improvviso serio.

"Cosa ha detto?", chiese, domandandosi se ci fosse di peggio che chiedere in ginocchio di non essere mandata sul lastrico dopo tutto quello che aveva combinato.

"Che ha desiderato non averli mai messi al mondo", mormorò.

Elroy chiuse gli occhi: dunque aveva sentito bene quando era entrata. "Mi spiace, nipote, ma non mi stupisce". Lui rimase impassibile a guardarla. Capì che la proverbiale freddezza degli Ardlay era presente in entrambi ma in misura molto differente: "Anche se devo dire che mi sarei vergognata più di me stessa. Alla fine, Neil ed Eliza sono la copia esatta della loro stolta madre. E lo sono stata anche io a non rendermene conto, dopo aver vissuto con loro sotto lo stesso tetto. Meglio tardi che mai", concluse, sapendo che avrebbe sempre avvertito quella punta spiacevole di senso di colpa opprimerle il petto.

"Ora basta, zia. Non voglio più recriminare o attribuire colpe a nessuno. Voglio lavorare per riportare in pista la famiglia e riprendermi la mia vita. E...". La frase rimase sospesa, mentre lui chiudeva gli occhi.

Sapeva perfettamente a chi stesse pensando.

"Andiamo a pranzo, nipote", suggerì chiudendo il discorso ed evitandone altri che si sarebbero potuti rivelare sgradevoli.

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Comunicazione di servizio: in via del tutto eccezionale il prossimo aggiornamento avverrà mercoledì, in quanto mi assenterò per una decina di giorni e non potrò postare il capitolo successivo prima del 10-11 settembre.

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Charlotte: Sono contenta di averti chiarito quella parte! La spin off con il triangolo mi sa che prima o poi dovete scriverla (io non so se ne ho il coraggio XD), me la state chiedendo in tanti! Gli spunti ci sono, eccome! Aahahaahah! No, Annie non voleva incastrare Archie (LOL!), ma riflettendo su ciò che è accaduto a Patty e a Candy ha pensato che il tempo scorre e spesso divide le coppie, quindi... meglio approfittarne subito! La zia Eltoy ha visto quanto vicino sia andato il suo adorato nipote a perdere la vita e ha forti sensi di colpa... ciò non significa che apprezzi di più Candy, anzi... Ho capito perfettamente cosa vuoi dire ed è uno dei più bei complimenti che puoi fare a un'aspirante scrittrice. Grazie, sono commossa dalle tue parole: poter rendere reali i personaggi amati per me è bellissimo e cerco sempre di fare del mio meglio. Se poi sono come Albert, descriverne i gesti e il portamento è solo un piacere! Adrian non doveva essere tra i protagonisti, all'inizio, ma poi ha preso il sopravvento e ho cercato di farlo simpatico e amabile, sono lieta che ti piaccia! Un abbraccio!

Ericka Larios: Sorpresa da Annie e Archie, vero? In effetti, in mezzo a tanta tragedia vogliono godersi il loro amore, ma non vanno certo saltate le tappe! La zia Elroy ha preso un bello spavento, per assecondare Eliza e Neal per poco non ci rimetteva la pelle il patriarca! In tutto questo Candy è vista ancora come un'intrusa e sì, hai ragione, lei è iperprotettiva: da un lato la capisco anche, visti i lutti in famiglia... Anche tu volevi il triangolo con Frannie? Scusa ma non l'ho capito XD Ora la situazione, almeno da quel punto di vista è appianata ma ce n'è di strada da fare...

Mia 8111: Grazie mille!

Elizabeth: Archie e Annie hanno fatto passi da gigante, vero? Ma la zia Elroy un po' meno... ancora non sopporta Candy: anche il suo è un lungo cammino, arriverà mai alla fine? La pazienza di Albert, invece, sembra infinita, un po' meno quando si tratta di Candy. Vedremo come andranno le cose da qui in poi...

Guest: Ciao! Capisco perfettamente cosa significhi leggere una fanfiction "difficile" come questa, ne ho lette davvero a decine e se si ama la coppia Candy/Albert non è facile vedere tante difficoltà. Vedrò quello che posso fare, intanto Albert è a casa sano e salvo, per ora ;-)

Yagui: Sono felice che la mia storia ti piaccia: riguardo la traduzione, purtroppo spesso uso un linguaggio non semplice, quindi capisco che la traduzione possa non essere eccelsa... mi spiace... Sarebbe bello trovare un'anima buona che la traduca fedelmente, ma dovrei pagarla, vista la lunghezza della storia, ahahaha! Albert è di certo al centro dell'attenzione e una Candy smemorata priva della sua solita personalità è molto difficile da accettare! Persino lui stava per rimetterci la vita... La zia Elroy non ha mai accettato Candy: per lei rappresenta una minaccia (anche se ha salvato suo nipote), specie da quando si è accorta che tra lei e Albert le cose stavano cambiando! Ora ci vuole molta pazienza... grazie di cuore, alla prossima!

Sandra Castro: Annie e Archie stanno scoprendo cosa significhi davvero essere innamorati e temere il tempo che passa, finalmente hanno messo in chiaro i rispettivi sentimenti! Al contempo, la zia Elroy si è tolta il peso che aveva sul cuore, chiedendo perdono e rendendosi alfine conto di che razza di nipoti stesse difendendo! Per quanto riguarda Candy, la vedrà sempre come una minaccia per via delle sue origini: ormai ha ben capito che William è innamorato di lei, non la vede affatto adatta a essere la nuova matriarca! Grazie di cuore, alla prossima!