Turbamenti
Karen cercò di concentrarsi sulle battute, ma all'ennesimo richiamo di Robert dovette arrendersi all'evidenza: era troppo distratta per lavorare.
"Insomma, che diavolo ti prende? Stai ancora pensando a Romeo? Questa è Troilo e Cressida, se non te ne fossi resa conto!", sbottò il regista, allargando le braccia col copione in mano.
"Lo so, mi dispiace, ma non mi sento bene. Vorrei chiederti il pomeriggio libero, se possibile", disse sospirando.
Robert emise una specie di sospiro dal naso, cosa che le fece pensare a un cavallo sul punto d'imbizzarrirsi. Le si avvicinò tanto che poté sentire il suo alito che sapeva di tabacco masticato sulla faccia: "Di' un po', Karen, non sarai mica incinta?".
Lei spalancò gli occhi e fece un salto all'indietro, guardandosi attorno nel timore che i colleghi potessero aver sentito quello che le aveva appena chiesto il suo principale: "Che diavolo stai dicendo?", sbottò a denti stretti.
Il regista si strinse nelle spalle: "È inutile che ti agiti tanto, qui quasi tutti se lo sono chiesto. Ci siamo accorti di quanto vi siate avvicinati durante l'ultima tournée, prima che Terence se ne andasse per recitare in quel film. Ci siamo sbagliati?".
Karen sentì il sangue affluirle al cervello: era furiosa, allibita, scioccata. "Come vi permettete di parlare della mia vita privata alle mie spalle? E che ne sapete di me e Terence?!".
"Quindi non è vero che avevate una relazione romantica?", chiese Liam, alzando un sopracciglio.
"Fatti gli affari tuoi!", ribatté alzando ancora di più la voce. "Fateveli tutti quanti! Non ho nessuna relazione romantica e non sono incinta, dannazione!", gridò togliendosi la parrucca e sbattendola a terra. "Ci vediamo domattina, ciao Robert!".
Senza aspettare una risposta, né dare altre spiegazioni, uscì dal palco e camminò a grandi passi fino al camerino, sentendo risuonare i propri tacchi prima sul legno e poi sulla moquette. Aprì la porta con uno strattone e se la richiuse alle spalle, appoggiandosi contro e scivolando lentamente a terra.
Si passò le mani tra i capelli, lasciando finalmente uscire le lacrime, singhiozzando per la frustrazione.
L'ultima telefonata di Terry non aveva fatto altro che crearle nuove illusioni e farla soffrire ancora di più. C'era davvero una speranza che si fosse innamorato di lei? Perché, allora, non lo diceva con chiarezza? Era solo l'intesa fisica a farlo parlare o qualcosa di più profondo?
Si passò le mani sul viso, asciugandosi gli occhi con rabbia, odiando quella sua fragilità. Per un solo istante, pensò che se fosse davvero rimasta incinta almeno avrebbe avuto qualcosa che le ricordasse il suo unico amore, ma per fortuna non c'era alcuna possibilità che si trovasse all'improvviso nelle condizioni di dover lasciare la recitazione per allevare un figlio senza padre.
Voleva che lui le lasciasse il suo ricordo indelebile e l'aveva fatto.
Lo sognava ogni notte, in ogni dannato sogno era fra le sue braccia e baciava le sue labbra. Ma tale sarebbe rimasto tutto.
Un sogno.
Si alzò togliendosi gli abiti di scena e recuperando i suoi vestiti. Desiderò con tutto il cuore poter cambiare i sentimenti proprio come stava facendo con quegli abiti.
- § -
Fai finta di non sentirla, guarda davanti a te.
"Tesoro, mi senti, vero? Sono io, la tua mamma! Ti prego, Eliza, parlami! Ti ho fatto l'acconciatura che tanto ami".
Lo specchio che la mano tremante le aveva messo davanti le rimandò l'immagine di una ragazza dai capelli rossi perfettamente curati, ma con gli occhi vacui come due grandi pozze d'acqua piovana.
Non ammirarti, rimani impassibile.
Lo specchio si abbassò e sua madre prese a piangere. Eliza la odiò. Cosa aveva da piangere?! Lei era libera, maledizione, il giudice forse non l'avrebbe nemmeno rinchiusa, dato che lei e Neal avevano raggiunto la maggiore età ed erano responsabili delle loro azioni.
"Figlia mia, perdonami per non esserti stata vicino quando avevi più bisogno di me! Se solo mi fossi accorta di quello che tu e tuo fratello stavate facendo, io...", si voltò e la prese per le spalle, come se le fosse d'improvviso venuto in mente qualcosa d'importante. "Io avrei potuto aiutarvi! Vi avrei suggerito un modo migliore per distruggere Candy e prendere il suo posto".
Prendere il suo posto?!
"William avrebbe potuto sposarti e saresti stata la nuova matriarca! Avresti superato di grado persino la zia Elroy, ci pensi? Ti avrei detto come avresti potuto sedurlo e incastrarlo, sei bella e ci saresti riuscita!"
Pensi che io non ci abbia pensato, stupida di una madre?! Ma lui non aveva occhi che per Candy! Dovevo eliminarla oppure, nella migliore delle ipotesi, infilarmi nel letto del patriarca con l'inganno. Era questo che volevi? Allora perché non l'hai detto subito?
"Perché avete dovuto fare una cosa simile? Perché non siete stati attenti? Tuo fratello rischia l'ergastolo!".
Quelle parole la colpirono come la coltellata che non aveva ricevuto in quella casa putrida di Miami. Neal poteva morire in carcere. E lei anche.
No, non se rimango catatonica.
"Eliza, parlami, non voglio che resti così", supplicò.
Fu tentata di gridarle che era una pazza. Sì, Sarah Lagan era una pazza, non lei che era stata tanto furba da continuare a fingere di esserlo per evitare la galera. Voleva davvero che uscisse da quello stato per andare a consegnarsi nelle mani della giustizia?
La donna chinò il capo, continuando a parlare come se lei potesse sentirla.
E in effetti ti sento, che divertente!
"Tuo padre è andato a prostrarsi ai piedi di quel vagabondo, ma io no! Io vi ho difesi!", disse con gli occhi che le brillavano di lacrime e follia.
Sì, certo, come no. Se mi concentro bene forse riesco persino a crederti.
"Mi sono umiliata io stessa, ma davanti alla zia Elroy e sai una cosa? Ora fa la dura, ma sono certa che vi vuole bene come una volta!".
Sì, mamma, hai davvero bisogno di un ricovero coatto anche tu.
"Signora, dovrebbe uscire, dobbiamo fare il bagno alla signorina", disse la voce nota dell'infermiera dalla porta. Dentro di sé, Eliza tirò un sospiro di sollievo.
Quella era la parte meno divertente, ma poteva sopportarla. Doveva farsi spogliare e muoversi meccanicamente mentre la lavavano e provvedevano alla sua igiene, aprire la bocca e masticare se le avvicinavano del cibo: se solo le avessero portato delle pietanze più gustose!
Un giorno fuggirò da qui, statene certi.
E, in attesa di quel giorno, Eliza Lagan sarebbe rimasta catatonica.
- § -
"Oggi faremo una cosa nuova, Candice", disse il dottor Carter con tono allegro.
Lei lo guardò con sospetto: le stava parlando come a una bambina stupida cui si voglia imporre qualcosa usando il gioco.
"Che fine ha fatto la tua infermiera del cuore? Si è congelata definitivamente?", chiese dandogli del tu come avevano stabilito da qualche tempo. 'Per aumentare la fiducia tra noi', le aveva detto. Come se quello potesse aiutarla a sentirsi meglio.
Stentava ancora a credere di essere stata una donna amichevole e altruista. Forse indipendente, visto che non vedeva l'ora di andarsene da quella specie di villa-prigione, ma la sua anima era pervasa di continuo dal dubbio e dal timore.
Voleva conoscere alcuni aspetti del suo passato, ma temeva di avvicinarsi ad altri e si era convinta che ci fosse qualcosa di oscuro, oltre alla morte di quell'Anthony, che le impediva di rimanere serena. Cos'altro le era successo di così brutto da bloccare determinati ricordi, provocandole un senso di rifiuto non appena vi si avvicinava?
Più ci pensava, più era certa che William Ardlay avesse qualcosa a che vedere con tutto ciò. Di sicuro era successo qualcosa tra loro due, oltre al fatto che aveva ordinato una maledetta caccia alla volpe.
"È andata a lavorare in Europa come volontaria. Era un'ottima collega", rispose Carter distogliendola dai suoi ragionamenti.
Candy alzò un sopracciglio: "Oh, sì, davvero brava", lo liquidò con un gesto. "Se vuoi ipnotizzarmi di nuovo per convincermi che il mio patrigno è un santo, ti dico subito di no".
Lui scosse la testa: "Non faremo questo, anche se prima o poi dovremo affrontare anche tale aspetto. No, usciremo fuori".
Un'emozione contrastante le attanagliò le viscere: terrore, ma non come quello che la coglieva quando la sorprendevano i ricordi. Era più una sensazione di debolezza e di vertigine, simile a quella che aveva avuto appena sveglia. Stare in uno spazio aperto le dava l'impressione di cadere, di essere fragile e leggera come una piuma in mezzo a una tempesta di vento.
Ma provava anche speranza. Quella di potersi muovere da sola e scegliere il suo destino in autonomia.
"Non ti preoccupare, non andremo molto lontano. Ci limiteremo al parco qui vicino". Doveva aver notato la sua titubanza, perché il tono era più serio e conciliante.
"Sì, voglio provarci", disse come se glielo avesse chiesto.
Ordinò alle sue gambe di muoversi mentre il medico apriva la porta e le faceva cenno di uscire dalla sua piccola stanza: "Procederemo per tappe, partendo dai luoghi che ti sono familiari. Cominciamo arrivando alla biblioteca e da lì scenderemo le scale per raggiungere la porta principale. Va bene?".
Candy annuì, tesa, sentendosi come se dovesse seguire una guida turistica in una città sconosciuta. E, in effetti, non le venne in mente alcun luogo familiare.
Camminavano piano, senza fretta, fianco a fianco e Carter cercava di distrarla parlandole delle sue intenzioni di renderla abbastanza sicura di sé da portarla alla famosa Casa di Pony o ovunque ci potessero essere ricordi da recuperare.
Troppo concentrata sul suo respiro e sui suoi piedi, lei non si soffermò troppo su quel futuro che non sapeva se desiderare o meno. Per quanto la riguardava, poteva andarsene fino in Africa e ricominciare una nuova vita con un nome fittizio e sarebbe stata a posto con se stessa.
L'Africa... curioso che le fosse venuto in mente un continente tanto lontano. Forse perché era completamente diverso dalla civilizzata America.
Tra il chiacchiericcio di Carter e le sue divagazioni, infine arrivarono vicino alla soglia della biblioteca, dove lei era entrata molte volte per prendere dei libri da leggere. Toccò la porta come per segnare un obiettivo raggiunto, ma aveva il fiato corto come se avesse corso.
D'improvviso, volle testare fino a che punto poteva cavarsela da sola e si girò verso Carter: "Vorrei provare a girare l'angolo del corridoio per arrivare alle scale principali. Può rimanere un po' indietro, per favore?".
Lui fece un sorrisetto sghembo e soddisfatto che non avrebbe fatto se avesse saputo che i motivi che la spingevano a fare quello sforzo erano molto diversi dai suoi.
Prendendo fiato per darsi coraggio, iniziò ad avvicinarsi a quella curva. Un passo dopo l'altro, contandoli, guardandosi le punte dei piedi e pensando alla propria libertà fuori da quella casa.
All'angolo chiuse gli occhi e fu allora che accadde.
Si scontrò con qualcuno che veniva dal verso opposto, cadendogli direttamente fra le braccia. Non ebbe quasi bisogno di guardarlo, perché era come se il suo corpo ne avesse riconosciuto il calore.
Albert, sei proprio tu!
Anthony... Anthony è morto!
Oh, Albert, io e Terry ci siamo lasciati!
La testa le stava esplodendo. In quel calore, in quelle braccia erano celati ricordi slegati ma chiari nei quali era lei a gettarvisi spontaneamente. E chi era Terry?
Tarzan Tuttelentiggini.
Candy gridò, scostandosi e perdendo l'equilibrio, ma lui fu lesto a riprenderla: le sue mani erano strette sui gomiti, impedendole di cadere e gli occhi celesti la fissavano spalancati.
Com'è cambiato!
Rimase lì, paralizzata, con gli strascichi di quei pensieri che le braccia di William Albert le avevano evocato. Si rese conto di due cose: in passato lo aveva chiamato col suo secondo nome e, al momento, sembrava l'ombra di se stesso, magro e con le guance scavate.
Un senso di tristezza le sferzò l'anima, ma passò subito, sostituito da quella paura atavica e dal ricordo, molto più recente, che lei odiava quell'uomo.
"Non mi toccare!", gli urlò divincolandosi dalla sua stretta.
"Candice?", la voce di Carter la raggiunse alle spalle e lei cercò si staccare lo sguardo dall'uomo che aveva di fronte, che sembrava calamitarlo di continuo.
Cosa c'è che non va in me?
"Mi dispiace, ci siamo scontrati", disse con un tono amichevole e più rilassato di quanto i suoi lineamenti sconvolti volessero farle credere. "Ciao Adrian, andate a fare una passeggiata?".
"Sì, è proprio così", rispose lui porgendole il braccio. Vi si appoggiò perché non si fidava delle proprie gambe tremanti.
"Sono felice di rivederti in salute, Candice", fu l'unico commento che le rivolse, con cortesia e fermezza. Eppure in quegli occhi...
"Non posso dire lo stesso di te", ribatté guardandolo in modo significativo.
"Ho passato momenti migliori", si schernì con una risatina, abbottonandosi la giacca nera come se non volesse mostrarsi a lei.
Era caldo. E ossuto. Direi che ho potuto quasi contargli le costole. In carcere devono averlo ridotto alla fame.
"Bene, noi proseguiamo fino al parco, se la paziente se la sente. Ci vediamo più tardi a pranzo", lo salutò Carter portandola con sé sottobraccio.
Mentre si allontanava da William con lui, come una ragazza al fianco del suo fidanzato, Candy sentì all'improvviso di stare nel posto sbagliato.
Quello giusto lo aveva occupato solo poco prima.
- § -
Caro Albert,
come stai? Ho saputo che di recente, per te come anche per Archie, l'incubo è finalmente finito. Mi dispiace non essere più venuto a trovarti, specie dopo che ci siamo lasciati in quel modo, e mi dispiace averti colpito: mi sono comportato come un bambino che rivendichi un giocattolo che non è più suo. Parlando con George ho saputo quello che ti è successo e, credimi, sono stato sul punto di prendere un altro treno per venire a Chicago. Ma lui mi ha suggerito di lasciar perdere, perché eri privo di conoscenza e quando finalmente ti sei ripreso ho immaginato che foste troppo indaffarati col processo.
Un giorno ci rincontreremo e mi racconterai, se vorrai, chi ha osato fare un gesto tanto ignobile da coinvolgere la tua famiglia in qualcosa di così assurdo. Ma sono certo che vi riscatterete a breve, so che è stato annunciato un evento.
Albert, non verrò di nuovo a cercare Candy, anche se avrei una gran voglia di riabbracciarla, perché so che non sarebbe un bene per lei che è ancora confusa e senza memoria. Non voglio neanche disturbare di nuovo il signor Villers, che è stato tanto gentile con me in questi mesi di telefonate e improvvisate.
Ma, ti prego, dimmi se sta bene, che speranze ci sono che recuperi il suo passato e se posso fare qualcosa oltre a starmene qui ad aspettare. Farei qualunque cosa per la mia signorina Tuttelentiggini e no, non devi essere geloso.
Le voglio bene, e molto, ma per me è un capitolo chiuso. Mi sto innamorando seriamente di un'altra donna, ma questo è un discorso troppo lungo che magari faremo un'altra volta...
Abbi cura di te, dei tuoi cari e... di Candy.
Un abbraccio.
Il tuo amico Terence
Terry firmò la sua lettera e la chiuse, poi la inserì nella busta su cui aveva già vergato l'indirizzo e la mise nella tasca della giacca. Quando uscì, l'aria tiepida della tarda primavera lo investì e la respirò a pieni polmoni.
Era un idiota.
Poteva imparare a memoria un copione e scrivere una lettera nella quale esprimeva ciò che sentiva, ma non poteva dirlo direttamente alla donna che stava imparando ad amare.
Si disse che dipendeva dal fatto che doveva ancora fare chiarezza nel suo cuore, che ancora non era certo di volersi impegnare. Eppure, non poteva ignorare quel senso di vuoto che lo attanagliava ogni giorno di più: gli mancava la sua voce, la sua presenza spesso invadente, il suo sguardo e anche i suoi capelli, la sua pelle profumata di pesca...
Con un sospiro impaziente, entrò nell'ufficio postale cercando di concentrarsi sulla spedizione della lettera e non sui suoi pensieri romantici. Un signore lo richiamò in malo modo quando fu il suo turno e non si mosse.
Se fosse andato avanti così, presto si sarebbe dimenticato le battute. A dire il vero era già successo un paio di volte e per fortuna che non si trovava in teatro ma davanti a una macchina da presa, o sarebbe stato un disastro.
Ancora un mese, solo un mese e sarebbe stato libero da quelle maledette riprese. Avrebbe tenuto fede al suo impegno e non si sarebbe mai più avvicinato a un set cinematografico, di certo non finché i film fossero rimasti muti.
Doveva tornare in teatro e ricominciare ad allenare la mente, provare il brivido e l'adrenalina mentre si calava nei panni di chiunque altro non fosse il se stesso insicuro e fragile.
Uscì dall'ufficio postale e guardò il cielo terso. Chissà se Candy e Karen stavano guardando lo stesso cielo, chissà cosa stavano facendo. Provava ancora una fitta di dolore per la sua Tuttelentiggini, avrebbe voluto abbracciarla, dirle quanto le voleva bene e ricordarle i giorni spensierati alla Saint Paul School, che mai gli erano sembrati più lontani.
E voleva Karen, al suo fianco. Per sempre.
Quella consapevolezza lo accecò: non aveva pensato che forse non era ancora pronto a un impegno a lungo termine, solo qualche minuto prima?
In quel momento di confusione estrema, Terence capì che aveva proprio bisogno della scossa di qualcuno. Qualcuno come Candy o Karen, ad esempio.
- § -
Adrian lasciò sedere Candy sulla panchina. Aveva gli occhi chiusi e il respiro era corto, ma tutto sommato se la stava cavando bene: "Complimenti, Candice, è andata meglio di quanto pensassi", le disse, soddisfatto.
"Mi sento come se fossi fatta di gelatina", ribatté lei con una smorfia, "e potessi volare via da un momento all'altro".
Carter sorrise: "Non succederà, te lo assicuro. Apri gli occhi e guarda verso destra". Il tono di voce era quello calmo e pacato di quando la ipnotizzava, ma non aveva intenzione di farlo. Non se poteva aiutarla mentre era a livello cosciente.
Candy strinse gli occhi ancora più forte, poi lentamente li aprì, scossa da un brivido che non gli sfuggì.
"Cosa vedi?", le domandò sempre a voce bassa.
"Un albero", rispose tremante. Non sembrava più la stessa ragazza arrogante e fredda, ora somigliava più a una bambina spaventata. E, da quello che gli avevano raccontato, non lo era mai stata.
"Concentrati sui particolari. Cosa vedi, innanzitutto?", il tono era carezzevole.
"Il tronco", rispose più ferma.
"Vedi la sua stabilità? Le radici affondano nel terreno e il fusto è solido. Sentiti come quel tronco: salda sulla terra, ancorata al pavimento erboso".
Candy respirava più calma, ora.
"Come va?", le chiese.
"Direi... meglio", le mani si strinsero per un attimo sulla gonna e poi si rilassarono. "I rami vanno verso il cielo, le fronde si muovono al vento. Sono libere ma è solo un'illusione. In realtà sono fermamente vincolate da quel tronco". Sembrava infastidita, ora.
"E tu ti senti vincolata come quelle fronde?", le domandò appoggiandosi allo schienale. Lei lo imitò, allentando la tensione nei muscoli dell'intero corpo.
"Voglio imparare a essere libera per vivere la mia vita", dichiarò aggrottando le sopracciglia.
Carter tacque per un istante, lasciando che le emozioni fluissero in lei, quindi la avvertì: "Puoi scappare anche molto lontano, Candy, ma il tuo passato ti raggiungerà sempre. Prima o poi ricorderai, ovunque tu sia".
"Non puoi esserne certo", sbottò lei.
"Sta già accadendo, Candy. Quando abbassi la guardia, nel sonno, o se sei preda di emozioni violente come quella di poco fa, le tue barriere si possono abbassare", spiegò scrutando con attenzione i lineamenti del viso. La bocca si contrasse.
"Anche se ero impaurita non ho avuto alcun ricordo", si difese voltandosi a guardarlo, "quindi ti sbagli".
"Non mi riferivo alla nostra uscita. Ma al tuo scontro con Albert, nel corridoio".
Candy risucchiò aria tra i denti e trattenne il respiro. Il volto si arrossò ma non per l'imbarazzo, intuì, la sua era rabbia autentica: "L'unica emozione violenta che ho avuto è stata il fastidio di trovarmelo davanti", sibilò.
"Ho visto come lo guardavi e ti ho sentita urlare. Hai ricordato qualcosa". Adrian abbandonò il tono pacato in favore di uno più serio e fermo, seppur gentile.
Una folata di vento mosse i capelli di Candy, che stavano già ricrescendo, e la linea contratta delle sue labbra strette gli suggerì che si sentiva scoperta. Nonostante tutto, Adrian capiva come mai Albert si fosse innamorato di lei: era veramente molto bella, con quelle lentiggini sbarazzine che di certo le avrebbero donato di più se avesse sorriso più spesso.
Anche se il suo cuore apparteneva a una mora con gli occhiali e il fascino meno appariscente, era un uomo e sapeva riconoscere la bellezza autentica.
"Chi è Terry? Lo conosci?". La sua domanda lo spiazzò. Non aveva ammesso di aver ricordato qualcosa ma era come se l'avesse fatto.
Adrian cercò nei recessi della propria, di memoria, tornando alla conversazione avuta con Albert. Gli aveva parlato di Anthony e dell'attore Terence Grandchester che si faceva chiamare Graham, avendo rinunciato al cognome nobiliare di suo padre.
Terry... Terence... possibile?
"Cosa ti è venuto in mente di questo Terry?", chiese aggirando la domanda per capire se stavano parlando della stessa persona.
Candy si voltò di nuovo a guardare l'albero, come cercando in lui la forza: "A volte sento delle voci nella mia testa e... ho capito di chi sono. Quello che parla delle rose è Anthony, so che le coltivava e mi ha dedicato una qualità che dicono sia molto bella". Tacque per un attimo, deglutendo come se le facesse male, come se il sentimento che la legava a lui fosse tangibile. Era un aspetto che avrebbe dovuto approfondire. "Poi c'è la voce di quel William, che mi dice che sono più carina quando... rido che... quando piango". L'esitazione e l'emozione forte che fecero vibrare la sua voce gli indicarono quanto era tesa. Ma, come al solito, lei passò oltre ignorando il fulcro di tutto il problema. "Infine c'è una terza voce, credo sia questo Terry. Mi chiama con un nome del tipo... signorina Tuttelentiggini".
Il dubbio gli rimase, ma Carter tentò: "Sei stata innamorata di un certo Terence Graham, o Grandchester".
Le sopracciglia si aggrottarono di nuovo: "Terence... Terry...". Le mani salirono alle tempie e lei riprese a respirare pesantemente, sull'orlo di una crisi isterica. Adrian riconobbe i segnali. Stava avendo le stesse reazioni che aveva con Anthony e con Albert.
E l'unica cosa in comune che avevano loro tre era che avevano occupato il suo cuore, in tempi diversi.
Non c'entravano niente la morte, il trauma dei cavalli e la presunta colpevolezza di Albert: la sofferenza per la separazione doveva essere alla base del suo rifiuto.
Ma Albert era lì per lei poco prima che le accadesse l'incidente! Qualcosa gli sfuggiva, ma non poteva pensarci adesso, perché Candy era in preda ai conati e stava gridando, attirando l'attenzione di alcune persone lì intorno.
Adrian l'aiutò ad alzarsi e, con non poca fatica, cominciò a sussurrarle parole confortanti all'orecchio, inducendola a calmarsi mentre la riportava verso casa.
Nonostante ciò, Candy non vomitò e non svenne come accadeva le prime volte e fu abbastanza collaborativa da consentirgli di riportarla nella sua stanza. Quello era un segnale importante che stava imparando a gestire la sua sofferenza.
Lui, da parte sua, era vicino alla soluzione dell'enigma e intendeva cercare una conferma a ogni costo.
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Comunicazione di servizio: come già preannunciato, il prossimo aggiornamento ci sarà dopo il 10 settembre.
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Angolo dei commenti:
Ericka Larios: Perdonami, allora ho capito male! La zia Elroy, purtroppo, tiene molto alle origini della futura matriarca e non riesce ad accettare che il suo William possa provare tanto trasporto per una donna dalle origini ignote. I Lagan, invece, hanno avuto quello che si meritavano e Raymond è forse quello meno coinvolto di tutti. Sono felice di sapere che continuerai a seguirmi anche se in silenzio, anche se il confronto per chi scrive è sempre stimolante. Alla prossima!
Dany Cornwell: Ho sempre immaginato Raymond come una vittima ignara degli eventi, alla fine a casa stava davvero poco! Per questo Albert ha avuto pietà di lui. Purtroppo la zia Elroy non ha lo stesso cuore generoso del nipote e ancora non tollera che Candy possa essere una Ardlay, con le sue origini ignote. Intanto lei, come ben dici, non sa quanto il suo Albert stia soffrendo...
Elizabeth: Grazie a te per avermi fatto sapere cosa ne pensi del capitolo! Alla fine il confronto è stato duro per tutti, ma Albert ha mostrato, ancora una volta, la sua integrità e il suo buon cuore nonostante i colpi della vita. La zia ha già rinnegato i Lagan ed è un passo avanti, per Candy forse ci vorrà più tempo...
Dady: Ciao! Infatti il triangolo amoroso si è paventato a lungo ma non è mai avvenuto perché sono assolutamente d'accordo con te: era una soluzione lontana anni luce dal personaggio di Albert. Lui è un uomo integro che non tradirebbe mai se stesso, figuriamoci la donna che ama! Per questo ho fatto andare via Frannie: e anche lei, a dirla tutta, non è proprio tipo da fare la corte a uomini già innamorati. Quindi tutto a posto, giusto? XD Ok, ci sono un bel po' di cose da sistemare, c'è ancora strada da fare... al prossimo capitolo, grazie!
Charlotte: Grazie per le tue parole! La scena di Raymond che s'inginocchia davanti a William mi era chiara quasi fin da subito: volevo evidenziare la grande bontà di Albert e la sua capacità di non giudicare mai le persone dall'apparenza (come ci dice Nagita) ma dalle azioni. E Raymond, di fatto, è una vittima stessa dei propri figli, si pente per non aver insegnato loro l'umiltà, a differenza di sua moglie Sarah che sta ufficialmente impazzendo perché non capisce che ormai non c'è più nulla da fare! Ero indecisa se farli cacciare o meno dal Clan, per rimanere fedele al romanzo, ma alla fine neanche lì è specificato bene cosa accade ai Lagan, se non che sono un lontano ricordo...
Il momento con George ho voluto inserirlo per far comprendere che tra lui è Albert c'è complicità, amicizia, fino al punto di nominare Rosemary...
Intanto Candy non sa quanto sta facendo soffrire Albert e soffre lei stessa, anche se in modo diverso... Un abbraccio!
Sandra Castro: Ciao! Ho sempre pensato che Raymond fosse un po' come William senior: sempre in giro per lavoro, quindi non avesse sempre tutto sotto controllo. Ovviamente, nel suo caso abbiamo una moglie arpia e due figli che non augurerei neanche al peggior nemico... lui si prende una responsabilità che non ha del tutto, anzi, forse per nulla. Ma si sente comunque in colpa e cerca il perdono di Albert che si comporta da signore con Sarah: hai ragione, anche io e persino la zia Elroy avrebbe voluto picchiarla! Ma lui, ovviamente, si limita a farsi sentire con decisione. La prozia ha rischiato di perdere il suo unico nipote diretto, l'erede della famiglia, per lei i Lagan sono come morti dopo tale affronto. Ora il problema rimane Candy, con la sua memoria difettosa...
