Ricordo di un amico
Patty osservava tutto ciò che le accadeva intorno come in sogno. Le sembrava di mancare da Chicago da una vita e, soprattutto, di riconoscere a malapena le persone che la circondavano, anche se molte erano facce familiari.
A partire da Candy.
Aveva dovuto asciugarsi gli occhi più volte quando aveva visto quella donna dai capelli corti fino alle spalle, con lo sguardo severo e un cipiglio perplesso nel momento in cui gliel'avevano presentata. Come se non la conoscesse. Come se non le avesse mai affidato una piccola tartaruga, a Londra, un milione di anni prima. Come se non fosse più la ragazza allegra e spensierata che saltava sugli alberi dai balconi per andarsene in giro indisturbata a trovare il suo Terry o l'amico che lavorava allo zoo.
E quel suo amico, quel prozio William così diverso eppure così uguale all'Albert del Blue River e della Casa della Magnolia... aveva parlato con tono deciso, tradendo solo per alcuni attimi la forte emozione nel ricordare i momenti di dolore e incredulità vissuti in carcere da lui e Archie e in casa dalla sua preoccupata zia. Raymond Lagan era intervenuto con le lacrime agli occhi e quell'uomo, più magro di come lo ricordava, lo aveva incoraggiato a parlare senza vergogna.
Ma Patty capiva come mai si vergognasse dei suoi figli! Avevano quasi ucciso Candy e l'avevano ridotta a una sconosciuta, quindi si erano rivolti alla malavita per rovinare gli Ardlay. Si sussurrava che fossero coinvolti addirittura esponenti della mafia, ora assicurati alla giustizia.
Vide Annie scambiare alcune parole con Archie, dietro al tavolo da buffet dove tutti si avvicendavano con discrezione e parlavano a bassa voce. Ogni tanto i giornalisti chiedevano ai componenti della famiglia di posare per una foto, inclusi gli anziani, oppure facevano delle domande e prendevano appunti.
Non c'era musica, anche se era stata allestita la sala da ballo, perché non era una festa. C'erano soprattutto molte sedie e tavoli con documenti che George, il braccio destro di Albert, a volte si prodigava di consultare per dare informazioni più dettagliate a chiunque le chiedesse.
Patty si sistemò gli occhiali sul naso e fissò le grandi finestre, cui erano state appese tende candide e sottili, che lasciavano entrare la luce del giorno illuminando la stanza come se fosse una sorta di grande ufficio stampa con una tavolata di cibo per rifocillare gli avventori.
Con la coda dell'occhio, scorse Candy seduta in un angolo con un uomo che le era stato presentato come il dottor Carter, il suo psichiatra. Era un giovane molto affascinante, con gli occhi molto simili a quelli di Terence e, a pensarci bene, se avesse avuto i capelli più scuri avrebbe persino osato dire che c'era una certa somiglianza. Lei sembrava rilassata in sua presenza e ancora non si era avvicinata né ad Annie, né agli altri, tantomeno ai giornalisti che, sospettò, sia il dottore che Albert preferivano tenerle a distanza.
Patty si avvicinò al tavolo per posare il bicchiere di champagne ancora pieno, scrutando Candy come se potesse, all'improvviso, trovare in lei qualcosa della sua vecchia amica. Una mano sulla spalla la fece sussultare: "Patty, sono io. Scusa, ti ho spaventata?".
Si portò una mano al petto, sorridendo e voltandosi a incontrare lo sguardo preoccupato di Annie: "No, tranquilla. È che... mi sembra tutto così strano e irreale... così diverso dal giorno della presentazione ufficiale di Albert!".
Lei annuì, con un sospiro: "Lo so. Abbiamo tutti passato momenti bui e non è facile abituarsi a...", scoccò un'occhiata significativa a Candy che aveva assunto un'espressione seria e, di nuovo, il cuore le si strinse.
"Domani partiranno per Lakewood?", chiese cercando di capire meglio la situazione.
Annie la invitò a sedersi su due poltrone poco dietro di loro, in un punto un po' defilato. Visto il chiacchiericcio sommesso ma continuo, non dovette abbassare troppo la voce quando le spiegò con tono calmo: "Lei e Albert sono innamorati da... non sanno neanche loro quanto tempo, in realtà. Forse da quando vivevano insieme in quell'appartamento, o forse da prima. Fatto sta che stavano mantenendo segreta la loro relazione aspettando il momento giusto per renderla ufficiale. Neanche la zia Elroy sapeva nulla".
Patty superò rapidamente quel poco di stupore iniziale alla conferma che Candy e Albert avessero una storia: anche se distante, aveva già subodorato qualcosa del genere dalle lettere di Candy e di Annie. Quindi commentò: "Immagino che volessero aspettare soprattutto per lei, non è vero?".
L'amica annuì: "Già, specie perché poi c'è stata quella discussione tra me e Archie e c'era davvero troppa carne al fuoco. Col senno di poi, mi sento quasi in colpa per aver deciso di troncare proprio allora. Forse, se non avessimo causato problemi, lui si sarebbe fatto avanti con sua zia e...". Annie assunse un'espressione triste, guardando verso i due.
Patty le mise una mano sul braccio: "Non rimproverarti, Annie, non potevi conoscere le loro intenzioni, inoltre hai agito come credevi fosse meglio, no?", tentò di rincuorarla.
"Forse hai ragione", ammise con un sospiro.
"E... adesso... come va tra voi due? Sempre come mi hai scritto nell'ultima lettera?", tentò con discrezione, sporgendosi un poco per guardarla.
"Sì, non è cambiato niente. Il nostro legame è ancora... più forte di prima, ma lui è intenzionato a terminare gli studi. A dirla tutta, anche se mi costa ammetterlo, lo ammiro molto per questa sua decisione". Patty notò che Annie era arrossita ancor prima di dichiarare quanto lo ammirasse, ma soprassedette e non fece altre domande.
Sospirò profondamente, giocherellando con la gonna: "Hai deciso se vuoi venire con me o meno?", chiese girandosi un po' per scrutarla meglio.
Annie si morse il labbro inferiore e fece vagare gli occhi per la stanza, come cercando un appiglio. Sembrava molto combattuta e Patty cominciò a scusarsi per la sua intromissione quando disse, a voce bassa: "Non voglio allontanarmi da Chicago. Nel mio cuore c'è ancora una speranza che...".
"Scusate?", una voce sconosciuta le interruppe con gentilezza. Quando Patty alzò gli occhi incontrò quelli blu del dottor Carter, accanto al quale c'era anche Candy. "Perdonateci, non volevamo interrompere la vostra conversazione", aggiunse contrito.
Si alzò in piedi e guardò Annie, che fece lo stesso e si affrettò a rispondere: "Oh, no, non avete interrotto nulla. Stavamo solo... chiacchierando". Eppure le sembrò che Annie stesse arrossendo di nuovo. Patty si ripromise di riprendere quella conversazione, appena possibile.
"Candice ha espresso il desiderio di parlare con la sua amica Patricia, vorrebbe...".
"Vorrei sapere qualcosa in più di Stair. Grazie, ma posso anche parlare da sola", intervenne lei, glaciale, affondandole quel ghiaccio nel cuore.
Carter le lanciò un'occhiata nella quale Patty lesse con chiarezza il rimprovero. Le parve un insegnante che cerchi di disciplinare una ragazzina impertinente. Fu quell'ultima considerazione su Candy che la ferì, anche più del ricordo di Stair. Era proprio quello che era diventata: una donna fredda, senza peli sulla lingua, che poco o nulla si curava dei sentimenti degli altri. E l'aveva capito solo dalle lettere di Annie e dalle poche ore passate a osservarla.
Se davvero Albert era innamorato di lei solo la metà di quanto immaginava, doveva soffrire terribilmente.
"Non c'è problema", rispose con voce più ferma di quanto si aspettasse. Sentiva gli occhi di Annie puntati su di lei e la mano che le sfiorava la sua in un muto sostegno. "Andiamo nella mia stanza, Candice?", le pareva così strano chiamarla così...
Lei annuì e la seguì senza una parola.
- § -
Albert vide Candy e Patty allontanarsi dalla sala principale e distolse lo sguardo dal suo interlocutore, un giornalista del New York Times molto interessato alla storia della sua figlioccia.
"Pensa che potrei intervistarla brevemente?", chiese con una nota di timidezza nella voce.
"No", rispose asciutto. "Mi spiace, ma le sue condizioni sono molto delicate, come ho già avuto modo di dire ai suoi colleghi, e non è possibile sottoporla a una pressione eccessiva".
Il giovane si portò la penna sulle labbra per un istante e Albert pensò che l'avrebbe mordicchiata come era solito fare lui quando era nervoso, invece l'abbassò e disse: "E con il suo medico? So che per una questione etica non può dirmi molto, ma...".
"Senta...", Albert stava per perdere la pazienza, ma si fermò per lasciarlo continuare quando alzò una mano per chiedere di ascoltarlo.
"Non voglio essere indiscreto, signor Ardlay, ma se è vero quello che ha insinuato il signorino Cornwell e lo sono anche le parole della signorina Lagan al processo...".
"E cosa ha insinuato il signorino Cornwell?", domandò guardandolo di traverso e posando il bicchiere che, se avesse ancora tenuto in mano, avrebbe rotto tanto lo stava stringendo.
"Beh, che secondo lui è stata Eliza Lagan a causare l'incidente, con l'aiuto di suo fratello", concluse l'uomo ritraendosi un po', forse intimorito dalla sua rabbia ormai evidente.
Albert trattenne un'imprecazione tra i denti per un soffio e in suo aiuto venne proprio Raymond, che si accostò tra loro due e il tavolo: "Chiedo scusa se m'intrometto, ma se sta parlando di mia figlia la prego di chiedere a me".
Gli lanciò uno sguardo grato: "Non sei tenuto a dare informazioni mentre c'è un processo in corso". Girò di nuovo gli occhi verso il giornalista, che si strinse nelle spalle. "E le supposizioni di mio nipote non hanno ancora una base dimostrata, quindi la prego, signor...?". Aveva dimenticato il suo nome e voleva che quella riunione finisse prima possibile. Gli stava venendo un'emicrania colossale a furia di dare spiegazioni a tutti.
"Mi chiami solo Roger. Per quanto riguarda il dottor Carter, invece...?".
"No", risposero a una voce lui e il diretto interessato, che era arrivato a dargli manforte alla sua destra.
Il giornalista allargò le braccia, ridendo: "Caspita, non credevo che mi sarei trovato a dover fronteggiare ben tre gentiluomini solo per scrivere un articolo!".
Albert stava per rispondergli qualcosa, anche se non sapeva bene cosa, ma Adrian lo precedette: "Per quanto mi riguarda, Roger, sa che ho un segreto professionale da mantenere, quindi non posso che confermarle quello che di sicuro già le è stato riferito. La signorina White Ardlay ha subito un trauma cranico a seguito di un incidente e ha perso la memoria. Sto lavorando duramente, col supporto dei suoi familiari, affinché possa ritrovare il suo passato. In compenso si trova in buone condizioni fisiche", concluse con voce calma e discorsiva.
"Pensa che queste informazioni le bastino per scrivere il suo articolo, Roger?", chiese Albert cercando di contenere il più possibile il tono ironico. Sapeva benissimo che non gli avevano detto nulla di nuovo.
"Oh, sì, moltissimo", ribatté infatti lui, allontanandosi con aria stizzita. "Con permesso".
Albert fece un lungo sospiro: "Sembra quasi che siano tutti più interessati a Candy che non alla nostra dichiarazione d'innocenza", disse riprendendo il bicchiere e portandoselo alle labbra.
"Devo ringraziarti ancora una volta", disse piano Raymond facendolo voltare per guardarlo. "Avresti potuto confermare i sospetti di tuo nipote o, peggio, raccontare delle condizioni attuali di Eliza. Se quello che ha detto mia figlia al processo è vero, dovranno pagare anche per l'incidente di Candice".
La mano di Albert tremò leggermente mentre abbassava di nuovo il flute. Raymond non si era reso conto che, dietro quel 'non hanno ancora una base dimostrata' c'erano anche le sue, di supposizioni, e non solo quelle di Archie. Erano, anzi, divenute certezze in tribunale, con l'unica differenza che i giudici ancora non erano a conoscenza di quel maledetto chiodo nella zampa del cavallo.
Stimava davvero Raymond, altrimenti non lo avrebbe aiutato, ma tutta la tensione accumulata in quella mattinata lo aveva snervato, quindi fu con poca gentilezza che rispose: "Oh, ne sono certo. Perdonatemi, vado a parlare un attimo con Macdonald", tagliò corto dirigendosi verso uno dei membri più anziani del clan.
In realtà non aveva bisogno di parlare con lui, né con nessun altro. Si sentiva come se fosse saturo di elargire la sua facciata falsa e controllata al mondo intero mentre voleva, come Archie, gridare che sì, avevano rovinato la vita alla sua Candy e anche a lui; che quell'ingrata di Eliza era sempre stata una serpe velenosa pronta a mordere tutti; e che Candy non era la sua figlioccia, ma la donna che amava più della sua stessa vita e che, un giorno, aveva sognato di sposare.
Ma non voleva, né poteva coinvolgere Raymond o Adrian nel suo terremoto interiore, quello che era iniziato come un violento sisma il giorno in cui aveva deciso di dichiararsi a lei.
Superò Macdonald, George, la zia Elroy e tutti coloro che erano sul suo cammino, muovendosi a grandi passi verso una delle porte-finestre, ignorandoli se tentavano di rivolgergli la parola.
Il benessere dei primi tempi dopo la scarcerazione era stato solo un'illusione, costellato dal difficile recupero psicofisico, dagli incubi notturni in cui lo accoltellavano di nuovo in una stanza lurida e dal bisogno sempre più pressante di riavere Candy.
Arrivato al ballatoio che circondava quella parte della villa, si appoggiò con tutte e due le mani alla ringhiera di pietra e chiuse gli occhi, respirando a fondo per riprendere il controllo e calmare il battito impazzito del proprio cuore.
Non era possibile che per tornare l'uomo calmo e integro di un tempo dovesse appoggiarsi a Candy, anche se l'amava tantissimo, semplicemente non poteva accettarlo. Era sempre stato un'anima libera da imposizioni come da legami e il suo orgoglio gli impediva di far dipendere il proprio benessere da una donna che, forse, non sarebbe mai stata sua.
Era un concetto che si era ripetuto migliaia di volte nella sua testa e c'erano momenti in cui, pur avendo il cuore ancora ferito e dolorante, gli pareva davvero di avere il controllo della propria vita. Ma quando qualcuno infilava il dito nella piaga riprendeva a sanguinare come e più di prima.
"Devo imparare a vivere con te ma senza di te, Candy", disse offrendo il viso accaldato al gentile vento primaverile.
Sarebbe andato con lei a Lakewood perché doveva e voleva guarirla, ma avrebbe seguito il consiglio di Adrian sul limite di tempo da darsi: scaduto quel termine, se non ci fossero stati progressi l'avrebbe lasciata andare. Che Dio l'aiutasse, ma se Candy, con la memoria o senza, non l'avesse più voluto, avrebbe continuato con la propria vita come avevano fatto lei stessa e Terence dopo che si erano detti addio a New York.
Aveva ancora un po' di tempo e l'avrebbe sfruttato.
Poi, magari, sarebbe tornato in Africa per leccarsi le ferite finché non fossero diventate solo cicatrici.
- § -
Candy vide Patricia, o Patty, come si voleva far chiamare, tirare fuori qualcosa dalla valigia e trasportarlo come se si trattasse di una reliquia preziosa o un piccolo animale spaventato.
In realtà, quando le si avvicinò e aprì le mani vide che era un carillon, minuscolo ma veramente ben fatto.
Lo guardò senza capire, poi alzò lo sguardo verso la ragazza, che aveva gli occhi lucidi: "Questo lo ha fatto Stair prima di partire per la guerra. In realtà lo aveva regalato a te, ma tu me lo consegnasti dopo i suoi funerali".
Rimase immobile, accigliandosi e avvertendo qualcosa di sgradevole nel petto: "Perché mi ha fatto un regalo del genere, visto che eri tu la sua ragazza?", domandò.
Il volto di Patty si contrasse in una smorfia di dolore: "Perché ti voleva bene... come a una sorella...". Detto ciò, scoppiò a piangere allontanandosi da lei e sedendosi sul letto, dove la sua valigia era ancora aperta.
Candy rimase in piedi, con i pugni stretti, senza poter fare nulla per quella ragazza che soffriva così tanto. Eppure la mancanza di empatia che la caratterizzava stava diminuendo sempre di più e lei aveva sempre maggiori difficoltà a padroneggiare quei sentimenti di dolore che la coglievano quando li vedeva negli altri.
Era successo con William... con Albert, ed era stato come spingersi oltre un dirupo e precipitare. Era una sensazione simile a quella che aveva quando ricordava, ma più violenta e profonda. E mentre il suo cammino verso la comprensione degli altri avanzava, il timore fisico degli spazi aperti diminuiva, come se prima si fosse imprigionata nel suo corpo e nella sua testa e ora cercasse davvero di uscirne.
Sperava solo che il tempo che avrebbe passato con Albert non la sconvolgesse troppo, perché quell'uomo aveva toccato corde così profonde nel suo essere che era come ritrovarsi nuda tra le sue braccia.
Quel paragone la colpì come uno schiaffo, restituendole un'immagine che non seppe se la facesse inorridire o rabbrividire di desiderio.
Cercò di concentrarsi sulle lacrime di Patty e, come le era accaduto con quelle di Albert, anche se non con la medesima intensità, sentì di non poterle sopportare. Di volerle fermare. Di volere che lui, la sua amica, chiunque smettesse all'istante di soffrire.
Le si avvicinò in pochi passi, sedendole accanto e mettendole una mano sulla spalla. Patty sussultò al suo tocco gentile e girò verso di lei il viso madido e senza gli occhiali, che aveva tolto e stava tenendo in mano. Sembrava stupita mentre cercava con affanno un fazzoletto.
Candy frugò nella sua tasca e le porse il proprio: "Mi dispiace", le disse. "Non... non volevo farti soffrire", disse esitando, alzando una mano a carezzarle i capelli mentre lei si asciugava gli occhi.
"Candy!", esclamò stupita, chiamandola con quell'odioso nomignolo cui, ormai, si stava quasi abituando. D'altronde, anche Patricia si faceva chiamare Patty... "Oh, Candy!", ripeté abbracciandola di slancio.
Lei si gelò e, mentre con un gesto quasi meccanico si sforzava di restituirle un abbraccio di conforto, vide sul letto quel piccolo carillon e non resistette all'impulso di aprirlo per sentirne il suono.
Un torrente in piena la investì. Nostalgia, dolore, malinconia, dolcezza, tutto si riversò in lei.
Questa è la mia ultima invenzione... il carillon della felicità...
Le sue labbra pronunciarono quelle parole silenziosamente, mentre la ragazza stretta a lei continuava a singhiozzare più forte, forse a causa di quel suono.
Ogni volta che ti senti triste aprilo e ascolta il suono, ti sentirai subito felice.
Non si era accorta di averlo detto ad alta voce, né che le lacrime scendevano anche sulle sue guance, staccandosi finalmente dagli occhi.
Patty smise di piangere di colpo e si allontanò per guardarla, le loro espressioni di stupore dovevano essere identiche. Candy si portò le mani alla testa, colta di nuovo da un dolore lancinante.
"Stai bene? Ti sei ricordata di lui?", le stava chiedendo con la voce ancora rotta.
"Io... io... ricordo queste parole, ma nulla di più. Questa musica...". Strinse gli occhi, cercando di contenere la nausea, il capo ancora chino tra i palmi delle mani.
Sentì la ragazza muoversi per prendere l'oggetto e chiuderlo, poi l'afferrò con gentilezza per il polso e glielo consegnò: "Te lo restituisco. Tienilo finché non recupererai la memoria, per favore e... anche dopo. In fondo, Stair l'ha regalato a te".
"Ma... ma", voleva protestare, dirle che doveva tenerlo lei che ne era stata innamorata, ma Patty stava già scuotendo la testa.
"Io ho molti altri ricordi del mio Stair, incluse un paio di marionette con le nostre sembianze". Ridacchiò a quella confessione. "Inoltre, devo andare avanti con la mia vita e questo ti appartiene. Sono certa che anche lui avrebbe voluto che lo avessi tu, in questo momento". E le richiuse le dita sul carillon, suggellandone il possesso.
Candy deglutì altre lacrime, chiedendosi come fosse possibile provare dolore per la morte di un ragazzo di cui ricordava a malapena qualche frase: "Te la senti... di parlarmi di lui?", chiese con molta più gentilezza di quanto non avesse fatto poco prima in quella sala.
Quando la guardò, Patty sorrideva, anche se gli occhi erano rossi. Inforcò di nuovo gli occhiali e giunse le mani in un gesto deciso, pronta a cominciare.
Lei l'ascoltò avidamente.
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George chiuse il portabagagli dell' auto, dove aveva riposto le ultime valigie, sotto lo sguardo stizzito della signora Elroy.
Sapeva che non le andava affatto a genio quella vacanza che William stava per fare con la signorina Candice, ma stavolta era pronto a spalleggiare quello che considerava come un figlio. E fu mentre controllava che tutto fosse in ordine anche all'interno della vettura che la signora parlò.
"Continuo a pensare che Candice abbia bisogno di un'accompagnatrice. Abbiamo appena rimesso piede in società con tutte le carte in regola e rischiamo che comincino a parlare di questa specie... di fuga romantica!". Quelle ultime parole le soffocò in un fazzoletto come se si trattasse di un tosse stizzosa da dover sopportare.
L'uomo s'impose la calma che, in quell'ultimo periodo, era stata messa davvero a dura prova: "Con tutto il rispetto, signora Ardlay, si tratta di un viaggio meramente terapeutico per la signorina Candice, caldeggiato dal suo stesso psichiatra. Qualora i giornalisti dovessero inventare storie di fantasia sarà mia cura occuparmene di persona".
I lineamenti della donna si contrassero in un'espressione di disgusto: "Mio nipote ha preso troppo a cuore questa ragazza orfana che, tra l'altro, è già maggiorenne e non dovrebbe più neanche essere sotto la sua tutela. Con tutto quello che è accaduto, poi, William dovrebbe rimanere qui a seguire gli affari, invece di dare adito a voci inopportune sul suo conto!".
George evitò di rispondere alla prima parte della sua osservazione, perché si trattava di un argomento molto delicato che solo William poteva affrontare. Poco prima dell'incidente avevano parlato della possibilità di annullare l'adozione in vista di un futuro fidanzamento ma, ovviamente, era un elemento che avrebbe tenuto per sé. Cercò, invece, di tranquillizzare la matriarca sul secondo punto.
"A Lakewood seguiremo gli affari come se ci trovassimo qui, di questo non deve preoccuparsi e il signorino Cornwell sarà un ottimo tramite con Chicago. Per quanto riguarda la reputazione del signorino William non vedo problemi, perché oltre a me saranno presenti anche il cuoco e la servitù". George sapeva benissimo dove volesse andare a parare la signora Elroy, che di certo si era accorta di quanto fossero cambiate le cose tra Candice e suo nipote, nonostante avessero cercato di nasconderlo. Non solo, ma bastava guardare negli occhi William per leggere con chiarezza cosa ci fosse nel suo cuore.
La signora Elroy si accigliò: "Non dubito certo dell'integrità di mio nipote, George. È Candice a rendermi nervosa, con questo strano... carattere che ha sviluppato da quando ha perso la memoria. Chi mi assicura che ora non voglia ingraziarselo per mettere le mani sulla fortuna degli Ardlay? Potrebbe... sedurlo o peggio", concluse girando il volto imbarazzato e distorto ancora dalla rabbia.
George strinse i denti e i pugni, cercando di respirare a fondo e di non mostrare nulla del suo tumulto interiore. Solo quando fu certo di essere padrone di se stesso parlò: "Signora Elroy", iniziò, quindi si schiarì la voce per eliminare la leggera vibrazione che l'affliggeva, "la signorina Candice ha espresso più volte il desiderio di fare la sua vita, a quanto mi è stato riferito, e non è mai stata molto felice di stare qui. Inoltre, come avrà di certo notato anche lei, non ha mai sviluppato nei confronti di William quei sentimenti di affetto e di amicizia che aveva prima. Francamente non troverei molto plausibile, in questo scenario, che la signorina Candy possa attuare quello che lei teme".
La matriarca tirò fuori il ventaglio e vi nascose dietro il volto, senza più poter aggiungere altro, se non un "Ingrata" appena sussurrato che cozzava persino con la sua affermazione precedente. George tirò un sospiro di sollievo, ma si sentì in dovere di lanciare un'ultima osservazione, con tono carico di emozione: "Vorrei inoltre permettermi di ricordarle quanto Candice sia stata fondamentale nella vita di William quando è stato lui a trovarsi solo e privo di memoria. Sono certo che lui stesso le ha espresso il suo desiderio di ricambiare questa cura con grande devozione".
Finalmente, gli occhi della donna si ammorbidirono. Solo un po', ma per George fu sufficiente. S'inchinò, chiese permesso e rientrò in casa per vedere se ci fosse bisogno di lui in riunione e se William volesse comunicargli un orario per la partenza.
Fine quarta parte.
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Angolo dei commenti:
Cla 1969: Purtroppo i capitoli di transizionelasciano quel leggero senso di frustrazione ma sono necessari XD Albert è stato davvero generoso, vero? Eliza invece... è sempre Eliza!
Ericka Larios: Eliza è rinchiusa ma non si sa mai cosa possa combinare, hai ragione: è proprio pericolosa! Ora Lakewood attende Albert e Candy. Ma Candy sembra di nuovo distratta da un altro paio di occhi... che succederà durante questa specie di vacanza?
Elizabeth: Albert dimostra sempre di essere molto nobile e sa scindere i colpevoli dalle persone che meritano il suo rispetto. Eliza, invece, ha perso la testa e non si sa cosa potrebbe combinare dopo quello che ha fatto in tribunale. Neal io lo avrei lasciato senza protezione... si meritava tutti gli onori del carcere XD Vedremo che succede!
Mia8111: Grazie mille, ne sono felice!
Charlotte: Anche io non amo molto il personaggio di Annie, per questo ho cercato di darle una scossa e svegliarla un po'! Patty sta cercando di andare avanti con la sua vita, anche se non è facile, chissà se l'amore busserà di nuovo alla sua porta... Raymond è una vittima e non è da tutti aiutare il padre di due degeneri come Eliza e Neal. Descrivere Albert mi appassiona tanto, cerco sempre di rendere lui, ma anche tutti gli altri, più veri possibili, come fossero reali e sono felice se ci riesco! Eliza è davvero capace di tutto, chissà che non ci arrivi per davvero, a Parigi. Grazie mille, un abbraccio!
