Quinta parte: Remember me
Cosa rimane dentro noi
Questa celeste nostalgia
Questo saperti da sempre ancora
Ancora mia
Mia
(...)
Dentro di me non muori più
Azzurra, celeste nostalgia
Qualche parola affettuosa
È un po' poco, però per noi forse no
Amore mio grande, amica mia
Cara celeste nostalgia
Un'ora, un giorno, una vita
Che cosa vuoi che sia
Resti mia
Amore mio grande, amica mia
Cara celeste nostalgia
Un′ora, un giorno, una vita
Che cosa vuoi che sia
(Celeste nostalgia - Riccardo Cocciante)
Arrivi e partenze
"Eeeeee stop!", urlò il regista con un gesto teatrale della mano, che sventolò in aria da sinistra verso destra. Gli attori e gli scenografi irruppero in un applauso generale, cui Terence si unì più per il sollievo che tutto fosse finalmente finito.
Era troppo preso dai pensieri che gli turbinavano già in testa sul futuro per accorgersi di una delle attrici secondarie che, fosse dannato se aveva mai imparato il suo nome, gli saltò al collo strillando come una pazza e dicendo che era ora di festeggiare.
Terence incontrò gli occhi divertiti di sua madre e afferrò con gentilezza e fermezza i polsi di quella specie di piovra, allontanandola da sé: "Perdonami, bellezza, ma ho delle cose da fare".
Lei si scostò di un passo e lo fissò accigliata, come se le avesse appena rivolto un insulto: "Dì un po', che problema hai? Non ti piace festeggiare con i tuoi colleghi o non ti piaccio io?".
Nel marasma generale che si era creato, Terence vide qualcuno tirare fuori una bottiglia di champagne e ripensò ad Albert e a quello che aveva passato a causa del proibizionismo. Il regista gli diede una pacca sulla spalla e gli fece i complimenti, mentre alcuni collaboratori cominciarono a discutere su quale locale fosse il migliore per andare a bere qualcosa senza rischi.
Stringendo i pugni, Terence cercò d'impedire alla sua lingua di spiegare loro quanto fossero idioti, ma tacque perché non voleva nuocere all'amico usando il suo esempio in quella che poteva diventare una discussione accesa. Inoltre voleva evitare paternali che gli avrebbero solo fatto perdere tempo.
Doveva rimettere in ordine la sua vita, ora che aveva onorato il suo impegno. Soprattutto, doveva decidere cosa fare con Karen.
"Allora?!". L'attrice bionda senza nome, che aveva interpretato una cameriera nel film, batté un piede a terra come una bambina capricciosa e lui cercò di trattenersi dallo scoppiarle a ridere in faccia.
"Terry...?", la voce di Eleanor gli arrivò da dietro le spalle, leggera come un soffio. Voleva forse dirgli di ignorarla? Oppure di risponderle velocemente e andarsene?
Fece un paio di passi verso la ragazza, deciso a giocare un po'. D'altronde, da tempo gli mancava un po' di sano divertimento. Le mise le mani sulle spalle, avvicinandosi al suo volto e calamitando più di uno sguardo. Il regista fischiò persino.
Erano tutti degli idioti, ormai ne aveva la certezza.
L'attrice aveva un rossore diffuso sul volto e tutta la sua baldanza sembrava essersi sciolta nell'imbarazzo che l'affliggeva. In silenzio, lo fissò con occhi sgranati mentre lui le avvicinava le labbra all'orecchio per sussurrarle con tono seducente: "Vuoi sapere se non mi piace festeggiare con voi o non mi piaci tu?", riformulò la sua domanda. Il brivido che l'attraversò a quel leggero contatto non gli sfuggì.
Il silenzio ora era totale, tutti sembravano attendere la sua risposta e Terence ne fu molto felice.
"Beh, non mi piace nessuna delle due cose", dichiarò staccandosi da lei e guardandola in viso. La sua espressione mutò in indignazione così di colpo che Terence scoppiò a ridere, mentre intorno si levavano proteste come se si trattasse del finale di un film non atteso o persino sgradevole.
"Andiamo, mamma, ti offro il pranzo", disse porgendole il braccio e notando i suoi occhi ridenti. Capì che, nonostante la sua irriverenza, lei non poteva essere più d'accordo.
A differenza sua, però, Eleanor salutò tutti con cortesia, pur se sovrastata dalle urla della giovane attrice cui aveva appena dato il benservito. Metà delle sue frasi non sarebbero state bene neanche in bocca a una donna di strada.
"Sono felice di andarmene di qui", disse a sua madre quando furono fuori.
Eleanor si girò per guardarlo: "Sai una cosa, figliolo? Questa volta lo sono anche io. Lavorare con te e vedere tutte quelle donzelle sospirarti vicino ogni giorno mi riempie d'orgoglio, ma è anche piuttosto impegnativo. Qualcuna di loro mi ha chiesto persino d'intercedere, ci crederesti?".
Terence spalancò gli occhi mentre faceva cenno a una carrozza di fermarsi: "Cosa?! E me lo dici ora?".
Lei si strinse nelle spalle e accettò il suo aiuto per salire sul predellino, tenendosi elegantemente il vestito con una mano: "Non volevo darti altri pensieri".
Sedette accanto a lei e disse: "Dai, raccontami tutto, voglio proprio farmi due risate!", la incitò.
Dopo aver chiesto al cocchiere di portarli nel miglior ristorante della città, Terence pensò che non poteva trovare un modo migliore per festeggiare che passare un po' di tempo spensierato con sua madre.
Lo avrebbe aiutato a calmarsi, a mettere ordine nel suo cuore, forse. E, magari, a prendere finalmente una decisione.
- § -
Durante tutto il tragitto verso Lakewood, Candy rimase silenziosa.
Si limitò a guardare fuori, lasciando che la mente le desse qualche informazione, ma non accadde. Neanche all'entrata, davanti a un portale enorme circondato da un tripudio di rose bellissime di ogni colore esistente. Nemmeno al portone principale, quando alfine scesero dall'auto.
"Stai bene?", le stava chiedendo Albert e sospettò che, dietro quella domanda, ci fosse una muta richiesta.
Vuole sapere se ho ricordato qualcosa.
Lei annuì e vide un lampo di comprensione nei suoi occhi chiari.
Carter glielo aveva anticipato. Il fatto di essere così vicina al luogo dell'incidente, e forse ad alcuni dei suoi ricordi più cari, avrebbe potuto farle chiudere ancora di più la mente.
Il timore di ricordare poteva diventare molto forte e innescare un effetto paradosso che l'avrebbe allontanata ancor di più dal suo obiettivo.
Albert ha il compito di convincermi che non devo avere paura. Come se fosse facile. Come se, fino ad oggi, quello che ho ricordato fosse piacevole.
George e Albert consegnarono i bagagli ai servitori, alcuni dei quali le lanciarono occhiate curiose veloci come lampi. Dovevano averli istruiti perché la trattassero con una certa distanza.
Una folata di vento li investì e alcuni petali le volarono tra i capelli. Petali bianchi, candidi come...
Le ho chiamate Dolce Candy, perché sono dolci come te.
Ne prese uno in mano, guardandolo e vedendovi riflesso quello che doveva essere il viso di Anthony.
Come immaginavo. Sei molto più carina quando ridi che quando piangi.
Sbatté le palpebre, confusa. Perché in passato aveva sentito quella voce come se fosse di Albert? Era stato Anthony a dire quella frase, nella sua mente. La testa le faceva di nuovo male e Candy chiuse gli occhi.
Fino a poco fa avevo un vuoto confortante, ma mi è bastato vedere uno di questi petali per sentire di nuovo le voci.
Lo gettò via con stizza. Doveva richiudere quella porta a chiave, non poteva lasciar entrare neanche uno spiffero.
"Vorrei andare a riposare", disse desiderando solo un letto dove dormire. Stava regredendo, lo sapeva, specie dopo essersi esposta tanto parlando con Patty. Ma quello era un territorio doloroso che forse non l'avrebbe portata al ripristino della memoria.
Lakewood invece era una specie di campo minato, per lei.
Albert la guidò a gesti verso la sua stanza senza dire nulla. Non capiva se fosse per timore di sconvolgerla o perché non sapeva proprio cosa dirle. Quando furono davanti alla porta, però, l'afferrò con gentilezza per le spalle e la trafisse con il suo sguardo ceruleo, mozzandole il fiato per un istante.
Dannazione! Mille volte dannazione!
Idealmente, chiuse mille chiavistelli a doppia mandata cercando di concentrarsi solo sulle sue parole e non su quel tono così dolce e su quegli occhi magnetici: "Candice, ti lascerò riposare perché ne hai bisogno. Ma non potrai rinchiuderti in camera tutto il giorno, lo sai, vero? Dobbiamo intervenire sui tuoi ricordi, poco alla volta. Siamo qui per questo".
Chiuse le palpebre e, così facendo, almeno lui sparì dal suo campo visivo. Poteva sentirne ancora il profumo maschile che le ricordava vagamente il legno degli alberi e cercò di trattenere il respiro: "Lo so. E tu non devi anche lavorare?", chiese cercando di deviare il discorso.
Il suo sospiro frustrato le rimandò il calore del respiro sul viso.
Accidenti a te! E a me...
"Sì, ma posso iniziare domattina. Verrò a bussare alla tua stanza quando è ora di pranzo. Riposa, Candy".
Gli occhi le si spalancarono contro la sua volontà, come due tapparelle. Quel tono delicato, il viso ora così vicino al suo... che diavolo voleva fare?! Riprendendo a respirare prima di diventare paonazza e dare adito a fraintendimenti, Candy ebbe il tempo di accorgersi dell'esitazione, breve ma visibile, che gli attraversò i bei lineamenti quando le posò un bacio leggero sulla fronte.
Prima che potesse reagire, forse sconvolto dal suo stesso gesto, Albert girò i tacchi e se ne andò.
Candy si affrettò ad aprire la porta e a richiudersela alle spalle, poggiandovisi contro e portando una mano al petto dove le parve di poter afferrare il cuore in procinto di fuggire.
Poteva trovarsi in una stalla o nella migliore suite degli Stati Uniti, ma non si concentrò né sul letto a baldacchino né sull'armadio che occupava tutta la parete laterale, di certo colmo di vestiti, vedendoli senza guardarli davvero.
Ma quel pensiero fugace rifluì con la velocità di un fulmine: tutta la sua attenzione era rivolta verso quel punto della fronte che bruciava come se vi avessero appena avvicinato un tizzone ardente.
- § -
Albert guardava fuori dalla finestra il sole che stava tramontando: adorava quel momento della giornata, perché il suo ufficio era esposto a sud e da lì poteva apprezzare il cammino dell'astro nel cielo durante le ore.
La mano destra, che teneva la penna, faceva piccoli movimenti facendola ticchettare sul legno ritmicamente, come seguendo i suoi pensieri.
Candy lo chiamava di nuovo Albert e aveva imparato ad avere con lui un rapporto di cordiale amicizia. Era un grosso passo avanti, no?
Una volta la nostra amicizia era mille volte più affettuosa di così.
Pur con le sue riserve, l'aveva seguito a Lakewood e, quando l'aveva baciata sulla fronte, non si era ritratta. Perlomeno, non nei secondi appena successivi. Come se una parte di lui temesse una sua reazione, era scappato come un vigliacco con la coda tra le gambe.
A pranzo avevano parlato della villa e del cibo. Argomenti neutrali, terreno sicuro.
Chiuse gli occhi, sospirò e la penna sbatté più forte. Chi aveva paura di chi, adesso? Possibile che i timori di Candy avessero contagiato anche lui? Eppure sapeva bene di avere poco tempo, perché non lo aveva sfruttato?
Se lei mi rifiutasse... se non si ricordasse mai di me...
Ma no, la sua paura era anche un'altra, ben peggiore: e se lei, alfine, avesse recuperato la memoria solo per dirgli che non lo amava più? Carter non si era sbottonato su quelli che potevano essere i suoi sentimenti più reconditi, perché erano talmente personali e imprevedibili che non si era azzardato a fare alcuna teoria.
Tutto era possibile e Albert capì che, mentre lei era senza memoria e poteva risultare plausibile quel rapporto distaccato, se si fosse ricordata all'improvviso tutto per poi lasciarlo di nuovo... sarebbe stata la fine.
Perché non riesco ad accettarlo, nonostante tutti i miei buoni propositi?
Si alzò con movimenti lenti dalla poltrona, raggiungendo la porta-finestra per vedere meglio i riflessi degli ultimi raggi posarsi sull'erba e tra le fronde degli alberi, sul roseto di Rosemary e di Anthony.
Perché l'amo più della mia stessa vita e non potrò mai accettarlo. Non dopo aver sognato il futuro insieme a lei.
Con un nodo che gli stringeva la gola, Albert affondò le mani nelle tasche e cercò disperatamente di raccogliere tutto il proprio coraggio. Pensava di essere una quercia che avesse sopportato le mille intemperie della vita: la perdita di persone care, la difficoltà di trovare il suo posto nel mondo...
Ora si sentiva un albero vecchio e stanco, anche se aveva poco più di trent'anni, con radici poco profonde e pronto a crollare alla prossima tempesta.
Odiava essere così, non lo era mai stato e, anche se il motivo era più che valido, continuava a ripetersi che doveva reagire. Trovare quella forza e quel coraggio, nonché la serenità che lo avevano sempre contraddistinto e fare quello che doveva.
Devo cercare di riportarla indietro e lei sarà libera di decidere della sua vita, come è sempre stato.
D'altronde, perché essere così pessimista? Se Adrian l'aveva affidata a lui come l'unico che potesse aiutarla davvero, significava che il loro legame poteva essere ancora saldo. Non doveva perdere la fiducia in se stesso e doveva combattere per lei e con lei.
Tanto per cominciare le avrebbe raccontato la loro storia come si doveva, inclusa la parte in cui era lui ad essere uno smemorato.
E avrebbe iniziato proprio quella sera.
- § -
Patty chiuse la valigia e, proprio mentre stava per metterla a terra, sentì bussare: "Avanti", disse riavviandosi i capelli.
Annie entrò, seguita da Archie, e lei sorrise vedendoli insieme. Nonostante tutto, erano sempre una bella coppia.
"Siamo venuti a salutarti, ci spiace che tu vada via così presto", le disse la sua amica avvicinandosi, sancendo definitivamente la sua decisione di non seguirla.
Patty le fece l'occhiolino: "Devo tornare all'Università e voi alle vostre occupazioni, purtroppo non è stata una vacanza. Ma mi ha fatto molto piacere essere qui e vedere con i miei occhi che tutto si è sistemato: ho passato giorni di vera angoscia".
Archie si accostò ad Annie: "Sarai sempre la benvenuta, anche a noi ha fatto molto piacere rivederti, dopo tanto tempo".
Per qualche istante rimasero a guardarsi in un silenzio complice, poi Annie disse: "Senti, Patty, noi volevamo chiederti di Candy. Dopo che vi siete allontanate non ho avuto modo di parlarti e insomma... vorremmo entrambi sapere...".
Sedette sul letto, invitandoli a fare altrettanto sulle poltrone damascate di fronte a lei. Giocherellò un attimo con lei dita, cercando le parole adatte a spiegare le sue sensazioni: "Non vi nascondo che sia stato molto strano parlare con lei", iniziò a bassa voce.
"Quando ti ha chiesto di Stair in quel modo...", intervenne Annie con tono contrito.
"Non è stata quella la parte peggiore. Anche quando sono da sola mi capita di piangere per Stair... in realtà, ciò che mi ha fatto più male è stato vederla così cambiata. La vecchia Candy non avrebbe usato quel tono e sarebbe stata molto più delicata. Ma è quello che ha fatto dopo".
I due si guardarono, stupiti: "Dici davvero?", chiese Archie con gli occhi spalancati, protendendosi dalla poltrona con le mani strette sui braccioli.
Patty annuì: "Quando ho tirato fuori il carillon della felicità le è bastato vederlo per cambiare atteggiamento. Mi ha vista con le lacrime agli occhi e si è persino scusata per il suo comportamento... poi lo ha aperto e sentendo la musica...", s'interruppe, ancora preda di forti emozioni. Candy, Stair...
"Cosa è accaduto quando ha sentito la musica? Si è ricordata qualcosa?", chiese Annie dolcemente, alzandosi per andare accanto a lei.
Patty si asciugò l'angolo dell'occhio infilando un dito sotto agli occhiali: "Sì, ha mormorato una frase che deve averle detto Stair il giorno in cui le ha dato il carillon. Annie, io... gliel'ho restituito. Sono certa che l'aiuterà a ricordare e che anche lui... anche lui...". Non c'era nulla da fare, anche se era passato del tempo il ricordo di Stair le avrebbe sempre fatto male.
Annie l'abbracciò e lei posò la testa sulla spalla dell'amica, cercando di ricomporsi. Incontrò gli occhi lucidi di Archie che, comunque, le stava sorridendo e gli restituì il gesto: "Mi spiace, Archie, sono ancora così... fragile...".
Lui scosse la testa e tirò leggermente su col naso: "Non preoccuparti, cara, credo che continueremo tutti a reagire così ancora molto a lungo quando parleremo di mio fratello. Sono certo anche io che vorrebbe che la sua invenzione torni nelle mani di Candy, ora che ne ha bisogno".
Patty si scostò un poco da Annie per recuperare l'ennesimo fazzoletto della giornata: "Io sono sicura che nel suo cuore c'è ancora la vecchia Candy e se lei e Albert si amavano tanto quanto erano amici... beh, sono molto fiduciosa. Cosa dice il suo medico?".
Annie si passò il dorso della mano sugli occhi: "Il dottor Carter è andato via oggi, lui e Albert hanno parlato a lungo nel suo studio per fare il punto della situazione prima della partenza. Io sono quella che le è stata più vicina, in questi ultimi tempi, con Archie non è andata altrettanto bene". Si voltò a guardarlo e lui girò la testa, imbarazzato.
Patty ricordava che, in una delle lettere, Annie le aveva spiegato che Candy lo aveva sentito parlare della caccia alla volpe e da quel giorno aveva colpevolizzato Albert per la morte di Anthony. Si chiese come le cose tra loro fossero cambiate tanto in meglio da concedersi persino di allontanarsi insieme.
"Comunque, prima di partire per Lakewood, Albert ci ha confermato che starà con lei e le racconterà il suo passato. Forse la porterà addirittura in visita alla Casa di Pony". Annie s'interruppe per un attimo, mordendosi il labbro inferiore come se stesse per dire qualcosa di scomodo. "Però se le cose non dovessero cambiare affatto nelle prossime settimane, allora sarà lei a decidere cosa fare della sua vita", concluse infatti, facendola trasalire.
"Vuoi dire... che Candy potrebbe anche decidere di andarsene per sempre?", chiese spalancando gli occhi.
Annie e Archie annuirono lentamente.
"Ma... ma non sta bene con la sua famiglia? Capisco che il suo carattere sia molto cambiato e non si ricordi di voi, però...".
"Patty", intervenne Archie, "come Annie ti avrà scritto, Candy ha espresso più volte il desiderio di andarsene. I primi tempi nessuno ci faceva caso più di tanto, perché era appena uscita dall'ospedale ed era sconvolta, ma poi con Carter abbiamo chiarito che, forse, è l'unico aspetto della nostra vecchia amica a non essere mutato. Candy è ancora uno spirito libero e, superato del tutto il timore degli spazi aperti, la decisione spetta solo a lei. Come è sempre stato".
La ragazza chiuse gli occhi e chinò il capo: "Quindi se non si ricorda dell'amore per Albert e di tutto il resto della sua vita non ha più motivi per rimanere".
Alzò lo sguardo e incontrò quello triste di Annie: "Proprio così. E noi non potremo fare altro che sostenerla, nel bene e nel male".
Patty ripensò a quella Candy ribelle e spensierata che aveva conosciuto, pronta a prendere in autonomia le sue decisioni ovunque l'avessero portata, ma anche a tornare a casa nel momento del bisogno o solo per ritrovare i propri affetti. Se la nuova Candy fosse rimasta tale, forse non l'avrebbero più rivista, a meno che non si ricordasse di loro.
Quanto poteva volerci, a quel punto? Mesi? Anni? Albert era stato smemorato per due anni ma era rimasto con i suoi amici, accettando il loro amore e il loro aiuto. E se non avesse mai ricordato nulla?
Mentre, alla fine, si congedava da Archie e Annie raccomandando loro di stare bene e di tenerla sempre informata, Patty sentì di aver perso un'altra persona importante della sua vita.
- § -
Candy fissò le lingue di fuoco sollevarsi nel caminetto fino a svanire in una serie di scintille. Albert sedeva alla sua destra e se ne stava con le gambe accavallate e un bicchiere in mano. Alla sua offerta di bere qualcosa lei aveva rifiutato: non ricordava se avesse mai assaggiato alcool in vita sua, ma temeva che potesse far abbassare le sue difese esponendola più del necessario.
E lei aveva bisogno di mantenere il controllo.
Era riuscita a rimandare quella conversazione fino ad allora, ma ora stava per iniziare e lei ricominciò a sentire quell'ambivalenza spiacevole che la spingeva a fuggire da un lato e a pendere dalle labbra di quell'uomo dall'altro.
"Il giorno che ci siamo incontrati su quella collina ero scappato di casa. Avevo 17 anni ed ero stufo di rimanere recluso in attesa di diventare il patriarca del clan degli Ardlay", cominciò lui con lo sguardo remoto puntato sull'ipnotica danza delle fiamme. "Questa è la versione molto sintetica della mia vita, un giorno se lo vorrai entrerò nei dettagli, ma non credo t'interessi".
"Vuoi dire che ti hanno rinchiuso in casa per tutta la vita?", chiese voltandosi verso di lui e alzando un sopracciglio. La luce del fuoco si rifletteva sui suoi capelli e sul suo viso rendendolo ancora più bello e lei dovette distogliere lo sguardo per non rimanerne abbagliata.
Doveva concentrarsi e per farlo non doveva guardarlo: ascoltare la sua voce calda e dolce era già una tortura.
"Fino a un certo punto sì, poi me ne sono andato in giro per il mondo vivendo come un vagabondo perché volevo essere libero prima che mi richiamassero per prendermi le mie responsabilità: è per questo che quando ti ho adottata non ci siamo conosciuti. E non ero presente nemmeno quando è morto Anthony. Almeno, non come il tuo zio William".
Candy si accigliò e i loro sguardi s'incontrarono, non poté farne a meno: "Che vuol dire che non eri presente come mio zio? E poi non mi hai adottata come padre?".
Albert rise, mandandole in fiamme anche il viso. Accidenti a lei e a quando il suo cuore aveva reagito alle sue lacrime! Il fatto che tutti volessero proprio che lei si affezionasse ad Albert, incluso lui stesso, non significava che per lei sarebbe stato un bene. Significava ricordare e soffrire di nuovo.
Sì, perché ogni volta che si ricordava qualcosa del suo passato o aveva dei lampi in cui sentiva delle voci, l'assalivano la tristezza e la nostalgia più profondi. Le persone a cui teneva di più le aveva perse. E se ricordarsi del suo amore per Albert l'avesse esposta di nuovo alla sofferenza?
Il fatto era che più gli stava accanto, più si sentiva invadere dal desiderio di provarci, perché non era detto che le cose dovessero sempre andarle storte. Quel timore atavico che le impediva di recuperare, volontariamente ma anche involontariamente, il proprio passato era come una morsa che le si stringeva attorno appena provava ad avere qualche dubbio.
Non erano più solo il mal di testa o la nausea, ma il terrore stesso di vivere il futuro. Si chiese se si fosse mai sentita così in vita sua.
"Sono il tuo tutore, non è proprio come se fossi mia figlia. In realtà tutti mi chiamano prozio William. Finché non mi sono presentato pensavate tutti che fossi un vecchio decrepito in punto di morte", disse divertito.
Candy deglutì, imponendosi di non fare nessun paragone tra quella visione distorta e la realtà che aveva di fronte. Tornò a guardare il fuoco.
"E per rispondere alla tua prima domanda... ci siamo incontrati molte volte nel corso degli anni. Persino a Londra, quando come zio William ti ho mandata a studiare alla Saint Paul School insieme ad Archie e Stair, dopo la morte di Anthony. Solo che tu mi conoscevi come Albert il giramondo".
Scattò in piedi in un gesto veloce, colta da una furia cieca e lo affrontò: "Vuoi dire che ci siamo incontrati ma ti sei preso gioco di me senza mai raccontarmi la verità? Nascondendomi la tua vera identità per... anni?!". I suoi occhi spalancati dallo stupore non la intenerirono, stavolta.
Ecco perché aveva tanta paura, almeno un motivo l'aveva trovato: quell'uomo le aveva sempre mentito!
Lui si alzò per fronteggiarla, assumendo un'espressione ferma ma pacata: "Calmati, Candy... Candice. Dimmi come vuoi che ti chiami".
Lei sbuffò: "Cambi discorso, eh? Chiamami come ti pare, ma dimmi la verità".
Lui si avvicinò al caminetto e posò il bicchiere pieno per metà sul ripiano, appoggiandovisi con l'altra mano: "Ho dovuto nasconderlo a tutti. Non potevo rischiare che si sapesse chi fossi prima del tempo. Non è stato facile neanche per me".
Candy era sbalordita e i lineamenti le si contrassero in una smorfia oltraggiata: "E ti fidavi così poco dei tuoi nipoti e... di me da non voler condividere quel segreto neanche non noi?!".
Quelle parole parvero colpirlo perché si raddrizzò e sbatté le palpebre come cercando di metterla a fuoco. Sembrava davvero interdetto e lei si sentì soddisfatta: per una volta lo aveva lasciato senza parole pur non ricordandosi nulla: "Io... io non potevo. C'erano troppe implicazioni legate alla situazione e se avessi rischiato che le voci girassero prima del tempo...".
Determinata ad andare a fondo, Candy decise di sfruttare quell'esitazione e gli si avvicinò combattendo contro se stessa: "Non ti fidavi neanche di me, Albert?", gli chiese con un tono quasi risentito. In realtà era solo arrabbiata, ma voleva che si sentisse colpevole.
Lui deglutì vistosamente, facendo andare su e giù il pomo d'Adamo e serrando la mascella, mostrandole i tratti virili del volto contratti.
Una volta, quando si era messa in testa di capire i suoi sentimenti e anche i propri, lo aveva baciato, per poi seppellire quella scena nei meandri più reconditi della sua mente già difettosa. Ora si chiese se avrebbe avuto la forza di non ripetersi.
"Ho cercato di supportarti sempre, lasciandoti fare le tue scelte e guardandoti da lontano per essere certo che non ti accadesse nulla", disse con una dolcezza che non la commosse.
Nonostante l'attrazione fisica, era abbastanza furiosa da mantenersi fredda: "Tutte belle parole, zio William. Adesso capisco cosa m'impedisce di ricordarmi che ero innamorata di te: sei sempre stato un bugiardo".
"No! Non è così, Candy, io...". Le sue parole dovevano averlo atterrito, sembrava disperato.
"Vorrei andare a dormire, adesso. Buonanotte, zio William", ribadì quel nome girando i tacchi sui suoi occhi sgranati. Sembrava sbalordito e aveva allargato le braccia in un gesto d'impotenza, la bocca aperta come se le parole vi fossero rimaste intrappolate.
Perlomeno, grazie a quella confessione, lei era ancora al sicuro.
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Comunicazione di servizio: Dalla prossima settimana ricomincerò con il doppio aggiornamento, che avverrà quindi ogni martedì e venerdì.
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Angolo dei commenti:
Sandra Castro: Il personaggio di Patty mi è sempre piaciuto più di Annie, perché offre molteplici spunti: incontrare di nuovo Candy in quelle condizioni per lei non è stato facile e in merito alla domanda che le pone, me la sono sempre posta anche io, proprio come te. Io credo che Stair, come Archie, abbia sempre mantenuto un affetto speciale per Candy, pur avendo abbandonato l'idea dell'amore vero... In nome di questo affetto ha voluto donarle quel carillon. Un oggetto che doveva, forse, aiutarla ad essere felice qualora gli fosse accaduto qualcosa in guerra. A Patty ha lasciato altre cose (le marionette e altre invenzioni) e sì, chissà che non immaginasse anche un epilogo tragico a New York... Il confronto fra le due amiche, alla fine, ha sciolto un po' Candy, comunque! In tutto questo, Albert è sempre quello che ha la maggiore responsabilità: non solo, come patriarca, si deve sobbarcare le domande dei giornalisti e riscattare l'immagine degli Ardlay, ma deve ancora sopportare questa separazione dolorosa da Candy. Volevo che fosse chiaro che, nonostante la sofferenza, anche lui ha un limite e non sappiamo se lei alla fine cederà o lo lascerà nella disperazione più nera... Avrà ragione la zia Elroy? La nuova Candy avrà davvero il coraggio di sedurlo? E lui si accontenterebbe di questo interesse distorto? Lo scopriremo presto...
Cla1969: Grazie a te che mi segui! Facciamo tutte il tifo per Albert, ma anche lui è davvero stanco di doversi confrontare con tante difficoltà... mollerà o resisterà?
Ericka Larios: A forza di far andar male le cose ti ho resa pessimista, vero? XD In effetti c'è poco da stare allegri per ora: Candy fa i suoi piccoli passi avanti, ma Albert sembra sempre escluso da questa equazione. E non ce la fa davvero più a far dipendere la propria esistenza da lei, vuole riprendere in mano la sua vita! Come finirà? Certo è che i due sono ancora fortemente attratti e Candy non è per nulla indifferente né alla dedizione di Albert né al suo magnetismo!
Dany Cornwell: Grazie di cuore, sono lieta che apprezzi il mio modo di scrivere, anche se vi faccio disperare XD La zia Elroy è una spina nel fianco, ma alla fine non è neanche lei il problema più grande, al momento. Anche Albert vorrebbe tanto vedere la luce in fondo al tunnel, ma pare lontanissima e irraggiungibile. Che accadrà a Lakewood?
Elizabeth: Il carillon della felicità di Stair secondo me ha qualcosa di magico al suo interno, tanto che gli ho dedicato la one-shot omonima! Ho capito benissimo la tua domanda sulla zia Elroy e se leggi bene persino George rimane confuso: la prozia non accetta Candy e teme che possa infangare la reputazione di Albert, ma nello stesso tempo non capisce come possa trattarlo così male dopo tutto quello che ha fatto per lei. Da lì, quell' "ingrata". Sì, volevo sottolineare che esiste una contraddizione in lei, che non è mai contenta quando si tratta di Candy. Cambierà mai? XD
Charlotte: Riportare Candy a provare empatia è un passo importante perché fa parte della sua vecchia personalità. Anche se pare volersi chiudere ad Albert è comunque un passo avanti. Sì, ho immaginato Carter un po' somigliante a Terry, così che lei in qualche modo lo riveda nel suo medico... ora aspettiamo di vedere se Lakewood si tramuterà in paradiso o in inferno...
Ringrazio, inoltre, tutti coloro che mi hanno lasciato un commento all'altra mini-fic "Ritorno", alla one-shot "Desideri: la Bella e la Bestia" e alla one- shot in spagnolo "Hasta el ultimo aliento" e ai quali non ho potuto rispondere personalmente! Siete tutti gentilissimi!
