Attenzione: contenuti un po' forti sul finale, che potrebbero urtare la sensibilità.
Intenzioni e speranze
"Questi investitori hanno fatto sapere che vorrebbero aspettare ancora un po' per rimettersi in gioco, d'altronde l'annuncio ufficiale è stato appena pubblicato e circa il 75% dei nostri soci ci ha già dato fiducia". George lanciò un'occhiata a William da sopra la pila di fogli e lo vide apparentemente in ascolto, con il mento poggiato su una mano e il cipiglio di un uomo molto concentrato. Sedeva alla scrivania di traverso, con le gambe accavallate e un piede si muoveva a scatti.
"La Scott Corporation è tornata in pista a tutti gli effetti, grazie anche alle nostre segnalazioni. La Whisky and Wine Company ha chiuso in via definitiva, ma la famiglia sta ricevendo il nostro assegno mensile quale supporto per sopravvivere dopo la morte del capofamiglia", continuò. Un altro sguardo gli rivelò occhi socchiusi e la mano, ora chiusa a pugno, così premuta davanti alla bocca che quasi sollevava la base del naso. "La moglie di Gonzales si è profusa in scuse, confermando che non sapeva nulla, proprio come i suoi figli. Billy aveva solo riferito di dover viaggiare per lavoro. Ora stanno cercando di reinventarsi come industria pasticciera, pare che lei sia molto brava a fare dolci. Nella sua ultima lettera dice che non ha parole per ringraziarti. E, Albert, sai, pensavo quasi di tagliarmi i baffi".
Finalmente, George ottenne l'effetto desiderato e dovette trattenersi dallo scoppiare a ridere quando William staccò il pugno dal viso e lo guardò a bocca aperta, sbattendo le palpebre incredulo: "Cosa hai detto?!", esclamò.
Lui si limitò ad alzare un sopracciglio: "Vedo che alfine ho ottenuto la sua attenzione, signorino William. Ho l'impressione che tempo fa abbiamo avuto una conversazione molto simile".
Lui si alzò, frustrato, infilandosi una mano tra i capelli, ricominciando a camminare in quel modo nervoso che riusciva spesso a far quasi agitare anche lui: "Scusami, George, hai ragione. Per assurdo, quando eravamo a Chicago e cercavo di evitare Candy mi concentravo di più. Qui mi è pressoché impossibile".
"Qui oppure ora?", domandò lui capendo le sue motivazioni.
William si fermò, poggiò la schiena al muro e prese a tormentarsi il labbro inferiore tirandolo con pollice e indice: "È che...", sospirò, frustrato, "è che ogni cosa che dico riesce a rigirarmela contro! Se prima le dicevo che tenevo a lei ero una specie di pervertito, ora che le racconto di averle dovuto nascondere la mia identità per anni, ma le sono comunque stato vicino, mi accusa di non avere fiducia in lei! Mi farà diventare pazzo!", concluse portandosi entrambe le mani ai lati della testa per poi allontanarle, come a sottolineare le sue parole.
George fece scorrere i fogli uno sull'altro con il pollice, suddividendoli per cercarne uno: "Allora è meglio che lei non le racconti che avete vissuto insieme nella stessa casa per due anni mentre era senza memoria". Trovò il documento e lo tirò fuori con cura, posandolo sulla scrivania il cui proprietario aveva ora uno sguardo stralunato.
"Ma... ma... Adrian mi ha detto che dovrei...".
George sorrise e scosse la testa: "Non dicevo sul serio, signorino William, la mia era piuttosto una provocazione. Voglio dire che non può prevedere le reazioni di Candy, né edulcorare la realtà onde evitare discussioni. Credo che, come le ha suggerito il suo medico, le debba semplicemente la verità nuda e cruda".
Lui si strinse nelle spalle, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni: sembrava un adolescente insicuro, cosa che non era mai stato in vita sua e gli si strinse il cuore. "Rischio di perderla per sempre e il mio lato egoista vorrebbe che non accadesse mai".
Aveva parlato come se avesse vergogna di quello che diceva e ciò lo ferì ancora di più. Per la prima volta in tanti anni, George si stava ritrovando sempre più spesso a dover essere per William quella figura paterna che aveva perso troppo presto. Non che lui avesse avuto modelli diversi da William senior stesso, ma gli anni di esperienza in più e l'affetto che nutriva per quel ragazzo lo guidavano in maniera naturale.
"Quello che prova è comprensibile. In passato si è sacrificato molte volte per la signorina Candice e le ha espresso il suo amore più devoto quando le ha inviato un vestito da Rockstown...". Gli occhi seri dell'uomo di fronte a sé gli dissero che se lo ricordava molto bene e non lo avrebbe dimenticato finché fosse stato vivo. "Nonostante sia doloroso, dovrà continuare a farlo. Anteporre il bene di Candy al suo è la prova d'amore più alta che le può dare, anche se significherà perderla".
"Ma sono stufo, George, capisci? Stufo!", tornò a sedersi, prendendosi la testa fra le mani. "Per anni ho represso quello che provavo per lei, dicendomi che no, non era giusto, forse persino immorale! Certo non potevo considerarmi suo padre ma abbiamo più di dieci anni di differenza, lei mi ha sempre visto come un amico e fino a poco tempo fa era innamorata di Terry... Non appena decido di saltare finalmente il burrone mi ritrovo appeso con una mano alla roccia e una serie di piccoli topi mi rosicchiano le dita per farmi precipitare...". Quelle ultime parole le disse con voce velata, come se stesse cercando un ricordo lontano.
Quando alzò gli occhi per guardarlo, dovette leggere lo sconcerto nei suoi, perché si affrettò ad aggiungere: "Mi è tornato in mente ora. È l'incubo che faccio quasi tutte le notti. Tu non sogni mai di cadere, George?".
"Oh, ho sognato molto di peggio, mi creda", disse cominciando a camminare lui stesso per la stanza. "Signorino William, spero che mi perdonerà se mi sono permesso, ma prima di partire ho chiesto al dottor Carter di darmi aggiornamenti sulla sua situazione". Gli scoccò un'occhiata voltando il capo a sinistra.
"Gli hai chiesto di me?", domandò socchiudendo gli occhi, confuso.
"Sì", rispose in tono basso. "Nonostante il segreto professionale ha capito molto bene il rapporto che ci lega e sono riuscito a farmi dare il quadro generale per poterle essere di supporto. Anzi, mi ha proprio chiesto di tenerla d'occhio e di avvisarlo qualora noti qualcosa come una sua nuova perdita di peso".
William si alzò in piedi e andò alla porta-finestra, dandogli le spalle: "Non sono un bambino, George, so che problemi ho avuto e cerco di affrontarli ogni giorno. Non comincerò a darti preoccupazioni adesso. Ammetto che in più di un'occasione ho perso il controllo davanti a te, ma quello che ti ho raccontato non è nulla di più di un incubo notturno e il mio voleva essere un paragone. Ti assicuro che cercherò di ridimensionare le mie reazioni". La voce era calma e controllata, quasi come un tempo, ma lui non si lasciò ingannare dalla sua marcia indietro. Sapeva che stava facendo uno sforzo enorme, come sapeva anche che un altro uomo non ne sarebbe uscito con tanta facilità.
"Signorino William, il dottor Carter mi ha solo dato conferma di qualcosa che già supponevo: lei è stato vittima di un forte esaurimento nervoso e di un disturbo alimentare non indifferente. Il fatto che abbia comunque reagito bene, alla fine, non significa che sia invincibile".
Le spalle sussultarono: "Ho solo mangiato di meno in carcere", protestò lui debolmente.
George avanzò verso il caminetto per regolare l'orologio che vi era posato sopra: "Ha cominciato a nutrirsi di meno quando la signorina Candy ha avuto l'incidente e la situazione si è esacerbata col tempo e le situazioni. Ora si vede che sta meglio, ma deve prestare attenzione alla sua salute per non andare incontro a ricadute che possono rivelarsi pericolose. Se parlare con me o sfogare le sue frustrazioni la fa star meglio, lo faccia. Io non mi tirerò indietro e le darò sempre tutto il mio appoggio", concluse riposizionando l'orologio con cura e chiudendo gli occhi.
Per quasi un minuto intero nessuno dei due parlò e George si concentrò sulla lancetta dei secondi che scandiva il tempo.
"Grazie, George. Non sai quanto significhi per me averti al mio fianco in ogni situazione", gli disse piano, con voce appena incrinata.
L'uomo decise che era ora di spezzare quel momento intenso e commovente, quindi batté le mani con fare pratico e tornò sui suoi passi: "Bene, che ne dice di proporre alla signorina Candice una visita alla capanna nel bosco?".
William si girò per guardarlo da sopra una spalla: "Ma... e il lavoro?".
"Me la posso cavare benissimo almeno per un paio di giorni, ma l'avviso che se non torna entro quel termine sarò costretto a venirla a prendere come ho sempre fatto".
Finalmente William sorrise, scuotendo la testa: "Va bene, George, saremo puntuali. E... grazie".
Titubò solo per un breve istante, poi annullò la distanza tra loro e lo strinse con un braccio, come si farebbe con un padre. George lottò contro lacrime insidiose che gli appannavano la visuale. Diede un paio di pacche alla schiena del suo figlioccio e si schiarì la voce: "Non si dimentichi di portarla sulla barca del signorino Stair, l'aveva riparata di nuovo, vero?".
"Sì, e se finiremo ammollo potrebbe non essere così male", rispose William staccandosi da quel goffo abbraccio e ridacchiando, una nuova luce a illuminargli gli occhi.
George, soddisfatto, ricambiò il sorriso: era proprio quella speranza che voleva leggervi.
- § -
Elroy Ardlay camminava con passi nervosi per la stanza, ripassando con la mente tutti gli ultimi avvenimenti. William non aveva voluto darle retta e lei era rimasta sola nella villa di Chicago.
Di nuovo.
Archibald era tornato a casa sua e si sarebbe fatto vivo solo quando gli affari avrebbero richiesto la sua presenza in ufficio: si era ben accorta degli sguardi che gli aveva lanciato la signorina Brighton e già quello era qualcosa di molto sbagliato che però lei poteva risolvere.
Prese in mano il campanello e lo suonò per chiamare la sua cameriera. Mentre l'attendeva, si sistemò lo scialle sulle spalle e rifletté sulla decisione di suo nipote di non denunciare il direttore del carcere. Avevano osato tentare di uccidere il patriarca degli Ardlay e, a parte assicurarsi che i colpevoli fossero puniti a dovere, né lui né Archibald avevano ritenuto opportuno fare altro.
"È inutile, zia, il direttore ci ha assicurato che i controlli sono raddoppiati e comunque ormai è qualcosa che appartiene al passato", le aveva detto William, asciutto.
"Ma come, dopo tutti i soldi che abbiamo sborsato per garantire la vostra sicurezza?!", aveva sbottato lei.
Il nipote l'aveva guardata con uno sguardo strano, che lei non era riuscita a decifrare, il volto si era anche leggermente arrossato o era la sua immaginazione?
"Abbiamo avuto due celle singole e nessun altro ci ha mai dato altri... problemi", aveva risposto dandole le spalle. Così, il discorso era caduto senza che potesse fare altro.
Bussarono alla porta ed Elroy tuonò il suo "avanti" con tono urgente. "Ce ne hai messo di tempo! Fammi preparare la carrozza, per favore, devo uscire".
La cameriera, con due occhi spaventati, fece un breve inchino e disse: "Sissignora!", avviandosi a passo svelto.
Distolse gli occhi dalla porta e aprì l'armadio per cercare il soprabito. Aveva fretta e si sarebbe occupata da sola di indossarlo, per quella volta.
E poi, continuò a pensare, cos'era quella storia di perdonare tutti come se non fossero stati responsabili del periodo passato in prigione? La famiglia di quel Gonzales doveva essere in cima alla lista e prendersi le sue responsabilità per aver permesso che quell'uomo testimoniasse contro suo nipote! Certo, lui era morto e aveva saputo che era stato riaperto il fascicolo per verificare eventuali collegamenti con l'organizzazione criminale che aveva supportato i Lagan...
Il pensiero dei Lagan le fece stringere in petto quella sensazione mista di rabbia, senso di colpa e incredulità che la coglieva sempre. Lei non sarebbe stata così tenera con Raymond: peggio, sospettava che William si fosse persino profuso in qualche tipo di aiuto per quel povero diavolo che, se non era stato il diretto colpevole, era comunque caduto in rovina sotto l'azione di quegli stessi figli che non aveva saputo educare.
Mentre si sistemava il cappellino davanti allo specchio e usciva dalla stanza, Elroy sperò che a Sarah non venisse mai in mente di presentarsi alla sua porta, specie ora che William non c'era, o rischiava seriamente di compiere azioni non degne di una signora del suo calibro.
All'uscita, le due cameriere s'inchinarono e l'aiutarono a salire sulla carrozza.
"Dove la porto, signora Ardlay?", le chiese il cocchiere sporgendosi per guardarla.
"A casa dei Brighton", disse decisa. Perlomeno, quello era qualcosa che avrebbe potuto risolvere da sola.
- § -
Sarah Lagan si guardò allo specchio, sistemandosi con cura l'acconciatura. Odiava non poter più contare sulla servitù, ma si disse che quella sarebbe stata una delle ultime volte che avrebbe dovuto accontentarsi.
Raymond pensava davvero che se ne sarebbe stata a casa buona buona mentre la loro vita andava a rotoli? Credeva sul serio che l'elemosina che William gli aveva fatto sarebbe stata sufficiente a rimettere le cose a posto? Oh, certo, per Raymond era stato un atto di generosità estrema, come quello di non insistere con i propri avvocati per mandare in galera anche loro! Ma Sarah vi vedeva solo lo sfregio di un uomo che voglia chiudere un capitolo e non saperne più della loro famiglia.
Forse aveva comprato il silenzio e il rispetto di Raymond, ma non il suo.
Avevano bisogno di avvocati in gamba per far uscire suo figlio dal carcere e dare ad Eliza dei medici bravi che la facessero tornare come prima. Se Neil ed Eliza avessero spiegato per bene che non sapevano di avere a che fare con un'organizzazione mafiosa, era sicura che avrebbero al massimo avuto i domiciliari e sarebbero potuti tornare tutti in Florida, ripartendo da zero.
Spruzzandosi del profumo, Sarah pensò che doveva informarsi sui migliori legali specializzati in diritto penale in circolazione a costo di girare da sola in città. Per fortuna, il loro cocchiere sarebbe rimasto fino alla fine del mese e aveva ancora un po' di tempo.
"Dove ho messo la borsa?", borbottò ad alta voce, controllando sul letto e poi sulla toeletta.
Guardò l'ora: se si fosse sbrigata, sarebbe arrivata dalla zia Elroy prima che venisse servito il pranzo e, nella migliore delle ipotesi, avrebbe potuto essere invitata e gustare dei piatti di una vera cucina, dopo giorni di pasti pronti.
Quando tutto fosse finito, avrebbe assunto uno chef francese!
"Dove stai andando, moglie?". La voce, fredda e tagliente come un rasoio affilato, la congelò sul posto, mentre ancora cercava la borsa.
Non aveva mai avuto paura di suo marito, sempre troppo occupato con gli affari, e si voltò a fronteggiarlo a testa alta: "Ho bisogno di vedere una persona". Perché non gli aveva detto semplicemente chi? Non era certo per via di quegli occhi di ghiaccio che sembravano volerla trapassare, né per il fatto che stesse avanzando quasi minaccioso verso di lei.
"E chi, di grazia? Non intendi la zia Elroy, vero?", domandò incrociando le braccia e fermandosi proprio davanti alla toeletta, impedendole di raggiungere la porta.
Sarah sbatté le palpebre, incredula. Sapeva di dovere obbedienza a suo marito, ma lì c'era in gioco l'interesse dell'intera famiglia ed era suo compito farlo ragionare.
"Io... voglio scusarmi con lei e chiederle di riammetterci nel clan", disse cercando d'impedirsi di fare un passo indietro.
Vide distintamente una vena pulsare sulla tempia di Raymond, l'intenso rossore della rabbia affluirgli al volto e gli occhi spalancarsi come due persiane: "Tu non farai niente del genere!", tuonò abbastanza forte da farla sussultare.
Sarah deglutì, aveva la gola secca: "Ascoltami, Raymond, sarò gentile, te lo prometto. Neil ha bisogno di essere seguito dai migliori avvocati ed Eliza da medici che...".
"I tuoi figli hanno bisogno di pagare per quello che hanno fatto!", stavolta l'urlo fu seguito da un pugno sulla sua toeletta. Le boccette di profumo tintinnarono e una spazzola cadde a terra con un rumore forte.
E non poté impedirsi di fare quel passo indietro.
Ciononostante, l'indignazione la pervase ed ebbe la meglio. Stringendo i pugni disse, con una voce stridula che riconobbe a malapena come propria: "Ma sono anche i tuoi figli, Raymond".
"Sei stata tu a crescerli in questo modo e te ne assumerai le responsabilità insieme a me!", continuò seguitando a camminare per farla indietreggiare.
"Ho fatto del mio meglio e lo sai! Neanche io sapevo cosa stessero combinando, ma ora hanno bisogno di noi e giuro sulla mia stessa vita che farò tutto ciò che è in mio potere perché le cose tornino come un tempo", disse decisa, impedendosi di fare un altro passo.
"Tu non farai un bel niente", gridò Raymond colpendola così forte che cadde di peso a terra, la metà superiore del corpo che impattava sul lato del letto.
Gridando pietosamente, stordita da quel colpo che era il primo che riceveva dal suo composto ed elegante marito, Sarah cercò di alzare gli occhi su di lui e vide una maschera di furia.
"Tu", le disse indicandola con un dito che sembrava volesse penetrarle nella carne come un coltello, "non hai trasmesso il benché minimo valore nelle teste dei tuoi figli. Sono cresciuti illudendosi che tutto fosse loro dovuto, incluso il rispetto! Ma sai una cosa? Il rispetto si guadagna con l'umiltà! Eravamo nel clan di una delle più potenti famiglie scozzesi emigrate in America grazie ai lontani gradi di parentela e, anche se non eravamo potenti come loro, avevamo una posizione, ricchezze... rispetto!".
"E tu saresti disposto a rinunciare a tutto questo per un errore che non abbiamo commesso?! Perché invece di prostrarti ai piedi di quel vagabondo non gli hai chiesto di ragionare con un po' di buon senso? Sarebbe bastata una sua parola per ridarci il prestigio che la zia Elroy ha voluto toglierci, invece hai accettato la loro decisione chinando la testa come... come un vigliacco!", gridò con furia cieca, tentando di rialzarsi, una mano premuta sulla guancia in fiamme.
"Taci, donna!". Stavolta il colpo fu talmente forte che Sarah sentì il labbro spaccarsi sui denti e il sangue colare sul mento. Ricadde di peso direttamente sul letto, piangendo più forte.
Ricordò quando Eliza le aveva raccontato di essere stata schiaffeggiata da suo cugino Archie e poi persino da suo fratello. Era quello il destino delle donne? Essere malmenate dagli uomini per ogni errore o presunto tale?
Senza poterselo impedire, Sarah continuò a piangere, sentendosi di nuovo impotente come poco prima di scoprire Neal mezzo impiccato con un lenzuolo nella sua stanza.
"Lacrime di coccodrillo", la derise suo marito. Lo sentiva camminare per la stanza e lei non ebbe neanche la forza di tirarsi su, le mani sul viso e gli occhi serrati dal dolore. "Avrei dovuto cominciare ad avere i miei sospetti quando hai deciso di adottare Candice dalla Casa di Pony e mi hai raccontato che si metteva a rubare gioielli. Anche in quell'occasione, William è stato più che caritatevole perdonando le vostre insulse accuse e pretendendo solo la rivelazione pubblica del vostro errore. Ci ha permesso di sfruttare i fondi della famiglia per aprire degli alberghi, mandandoci in Florida pur di mantenere il nostro posto nel clan, allontanandoci allo stesso tempo. E Neil ed Eliza che fanno? Prima attentano alla vita della sua protetta, poi si azzardano a incastrarlo per chissà quale vendetta!".
Sarah intuì che si era avvicinato dai passi e dalla voce e, senza smettere di singhiozzare, tentò di alzarsi a sedere sul letto. Sentiva il labbro gonfiarsi e il sapore del sangue in bocca le diede la nausea.
"Io... non lo sapevo", balbettò.
"Perché eri troppo preoccupata di te stessa per vedere più in là del tuo stesso naso!", gridò sporgendosi su di lei con una mano poggiata sul materasso. "Invece di occuparti della casa e dei ragazzi passavi forse il tuo tempo a imbellettarti e a provare acconciature nuove pensando al prossimo ballo?!".
Il suo viso si era avvicinato tanto che poteva sentire il suo fiato leggermente alcoolico e minuscole goccioline di saliva raggiungerle le guance.
Tremando, in preda al terrore, Sarah balbettò: "Volevo... che tutto fosse all'altezza del nostro nome, che quando fossi tornato potessi trovare...".
"Cosa?! Una moglie ignara delle macchinazioni dei suoi stessi figli e la mia rovina servita su un piatto d'argento?! Questo mi hai fatto trovare, razza di essere inutile e viziato!". Raymond si era proteso ancora di più su di lei, un ginocchio era quasi attaccato alle sue gambe ripiegate e le bloccava il vestito e i movimenti, mentre le mani le stringevano tanto le spalle che temette volesse fratturarle le ossa.
Orripilata da quel Raymond che non aveva mai visto, cercò di ricordarsi quando mai lo avesse visto perdere così il controllo e capì che non lo conosceva affatto. Il loro era stato un matrimonio combinato e senza amore, ma le aveva dato la possibilità di diventare una vera signora. Ora, però, non era altro che una donna come tutte le altre, in una posizione persino peggiore di quella Candice.
Capì che c'era un'ultima arma che poteva usare contro quell'uomo che conosceva così poco e se la giocò: "Raymond", articolò a fatica, sentendo altro sangue colarle dal labbro rotto, "ricominciamo tutto da capo, vuoi?". Alzò le mani tremanti portandogliele al petto, cercando d'insinuarle tra i bottoni della sua camicia e tentando goffamente di slacciarla. Non aveva mai compiuto un atto del genere in vita sua.
Lui abbassò lo sguardo oltraggiato su quelle mani, poi la fissò di nuovo, come se non capisse. Le sue, di mani, strinsero più forte e quasi poté sentire le scapole scricchiolare.
S'impose di continuare: "Lasciami parlare con la zia", tentò di usare un tono seducente, mentre il suo tocco scendeva più in basso. E ancora di più. "Sono sicura che ci vuole ancora bene e noi non possiamo lasciarla sola... dovremmo...".
"Non mi toccare, mi disgusti!", urlò spingendola via così forte che batté il capo contro la testiera del letto, mille punti luminosi che si accendevano dietro le palpebre chiuse.
Sull'orlo di uno svenimento, avvertì il peso del marito sul materasso svanire, i suoi passi veloci e la porta che si chiudeva.
E il rumore di una chiave che girava nella toppa.
Sarah spalancò gli occhi, sorpresa: l'aveva chiusa dentro?! Aveva osato chiuderla dentro la sua stessa stanza?
Barcollando come un'ubriaca, corse verso la porta e cominciò a sbattervi i pugni: "Raymond! Fammi uscire, Raymond! Non puoi farlo! Ti prego, parliamone! Eliza ha bisogno di me!".
Batté i pugni e chiamò il marito per più di un minuto, poi si accasciò a terra, senza più forze.
Suo marito era contro di lei, contro i suoi figli e persino contro se stesso. Perché avrebbe dovuto lavorare per mantenerli e... orrore, forse avrebbe costretto anche lei a farlo.
Colma di paura, ribrezzo, rabbia e frustrazione, Sarah si rannicchiò contro la porta piangendo tra le mani chiuse sul viso gonfio.
Non poteva arrendersi, non l'avrebbe mai fatto. Se Raymond avesse voluto impedirle di agire, avrebbe dovuto ucciderla.
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Angolo dei commenti:
Ericka Larios: Sembra proprio che Albert si stia arrendendo, vero? E in effetti non hai tutti i torti: perché struggersi per una donna così piena di rancore invece di voltare pagina? Ma, come dici tu, il povero Albert dovrà risorgere davvero dalle proprie ceneri come una Fenice...
Mia8111: Grazie!
Elizabeth: Tranquilla, anche io a volte vorrei schiaffeggiare Candy come se fosse Eliza, ti capisco benissimo! La terapia d'urto sarebbe perfetta, possibilmente facendola ruzzolare per le scale XD Grazie a te per seguirmi anche se vi sto facendo soffrire, un abbraccio!
Dany Cornwell: Hai detto bene, per un passo avanti che fa, Candy ne compie molti indietro e questo rende ancora più insicuro il povero Albert, che non sa più che fare. La Collina di Pony potrebbe anche essere una possibilità, ma Candy deve prima acquisire fiducia e smetterla di vedere solo le cose negative in lui! Grazie per seguirmi, a venerdì!
Charlotte: Guarda, ti confesso che a volte ero confusa persino io che scrivevo! XD Candy sta cercando di evitare a tutti i costi i ricordi con Albert trovando le scuse più fantasiose. Si è chiusa a riccio nonostante siano a Lakewood perché qualcosa la spaventa tanto... vedremo se Albert ne uscirà davvero col cuore a pezzi o vittorioso ;-)
Sandra Castro: Carissima, non preoccuparti, sono ben conscia di quante energie ci tolga la real life, ti comprendo benissimo! E capisco anche quanto sia frustrante vedere Candy in queste condizioni e il nostro povero principe soffrire così! Bisogna farsi coraggio, il cammino è lungo e procede, incrociamo tutti le dita. Un abbraccio dall'Italia!
