Sarà la nostalgia
Sarà che l'estate vola via
Sarà ma sono qua
Un uomo che vive per metà
Sarà la nostalgia
Sarà che ti penso ancora mia
Sarà quel che sarà
Ma tu che ne sai
Di che sarà
Le nostre passeggiate
L'ombra delle tue risate
Le emozioni che
Nascevano con te
Mi mancheranno e tu
Sei come un nodo in gola
Che non scende giù
(Sarà la nostalgia - Sandro Giacobbe)
Mi ritorni in mente, bella come sei
forse ancora di più
Mi ritorni in mente, dolce come mai
come non sei tu
un angelo caduto in volo, questo tu ora sei
in tutti i sogni miei
Come ti vorrei, come ti vorrei...
(Mi ritorni in mente - Battisti-Mogol)
Attenzione: contenuti un po' forti e MOLTO delicati anche in questo capitolo: i Lagan non hanno finito di litigare :-p. Se urtano la vostra sensibilità NON leggete quella parte e passate direttamente alla successiva.
Il secondo amore
Albert uscì nel giardino con la borsa a tracolla: non aveva bisogno di portare con sé molte cose e quelle più importanti erano lì dentro, come era sempre stato quando girava per il mondo.
Una sacca, le proprie gambe e la sua puzzola.
Piccola Poupee, quanto mi manchi.
Gli sembrava la vita vissuta da qualcun altro, qualcosa di lontano e onirico, irraggiungibile come le nuvole bianche che si rincorrevano in quel cielo azzurro.
Alzò il viso per ricevere i raggi del sole e il venticello leggero. Di sicuro apprezzava molto di più quei momenti all'aperto dopo essere stato in una cella per settimane. E in coma, attaccato a un respiratore.
Fece qualche passo e si ritrovò vicino a quella panchina dove aveva confessato il suo amore a Candy e dove, poco dopo, avevano riso fino alle lacrime parlando di Annie che aveva baciato Archie.
Con un sospiro, decise che era ora di smetterla di piangersi addosso temendo il peggio. Lei era nel giardino, in mezzo alle rose, e le guardava sfiorandole con mani esitanti. Le sue Dolce Candy volute da Anthony.
Se fossi sopravvissuto l'avresti resa felice. Forse, a quest'ora, lo sareste stati entrambi. Forse, Candy sarebbe già stata madre.
Non credeva che sarebbe mai stato possibile, ma non provò affatto gelosia a quel pensiero. Pensò che quel desiderio egoistico che l'aveva afflitto fino al giorno prima stesse svanendo, sostituito dalla brama di vedere di nuovo la vecchia, cara Candy sorridere felice a tutti.
In piedi tra i fiori, sembrava una ninfa dei boschi che fosse stata cacciata dalle fate: bella da fare male, con l'abito color rosa antico che le fasciava il corpo di donna, aveva il viso contratto in una smorfia di dolore che disegnava una ruga profonda sulla sua fronte.
Le labbra, serrate come se sentisse un cattivo sapore, si strinsero ancora di più quando lo videro.
Non mi odi. Forse il tuo cuore è ancora desideroso di noi. Ma non riesci a lasciarti andare. E allora, piccola Candy, un giorno di ricorderò il nostro incontro. Quello di cui parli con tanto distacco.
Le si avvicinò e allungò un braccio, senza potersi impedire di sfiorarle il viso con le nocche in una carezza leggera. Sul volto pallido le lentiggini erano quasi scomparse, ma gli occhi brillavano: "Stai bene?".
"Sì", rispose irrigidendosi al suo tocco e chiudendo le palpebre.
"Le rose ti ricordano Anthony, vero?", chiese a voce bassa.
Lei si scostò un poco, guardandole: "Non posso dire di ricordarmi di lui, ho nella testa solo l'immagine vaga di questo ragazzo che va a cavallo. E il dolore che associo al suo volto".
Albert annuì e sentì il bisogno di chiederle: "Credi ancora che sia colpa mia quello che è successo?".
Lei prese una Dolce Candy per il gambo e la raccolse stringendo le dita senza curarsi delle spine. La smorfia di dolore fu inevitabile: "Se tu avessi preso una decisione diversa non sarebbe accaduto. Ma non ho più intenzione di passare il mio tempo ad addossarti colpe. Prenderò atto dei tuoi comportamenti passati senza sforzarmi di capirli. Hai sempre detto che hai agito per il mio bene. Anche se non sono d'accordo sulle tue scelte, non posso farci più nulla".
Alzò un sopracciglio, non capendo appieno la sua risposta: "Quindi continuerai a non odiarmi?", domandò quasi con tono scherzoso.
"Non ci riuscirei neanche se volessi", rispose lei tranquilla, annusando la rosa e alzando gli occhi per fissarlo. "Ora ho fatto chiarezza dentro di me e posso al massimo essere in collera. Odiare... disperde troppe energie".
Anche se la sua ultima frase sembrava più una scusa, Albert si ritenne soddisfatto. "Vogliamo andare?".
Candy fece un sospiro profondo e lo seguì.
- § -
Eliza ascoltava avidamente mentre apriva la bocca in un gesto meccanico e masticava di malavoglia quella specie di minestra disgustosa che le stavano propinando.
Se avesse potuto, l'avrebbe risputata proprio sulla faccia dall'infermiera e al diavolo se non era un gesto da signora.
Ma era troppo interessata a quello che la tipa, sovrappeso e con gli occhi troppo vicini, stava dicendo alla sua collega più giovane che stava rassettando la stanza.
"Stasera ho promesso a mio marito che saremmo andati a teatro, vorrei staccare un'ora prima, potresti coprirmi, Nancy?".
La suddetta Nancy sbatté il cuscino sbuffando e allargando le braccia: "Diane, è la terza volta questo mese! E mi devi ancora due ore! Sai che se se ne accorge la capo infermiera poi ci andiamo di mezzo entrambe?".
"Sì, lo so!", obiettò l'altra, quasi sbattendo il cucchiaio nella ciotola. Eliza avrebbe voluto infilarglielo in gola. "Ma se non mantieni vivo un matrimonio, sai cosa fanno poi gli uomini?".
Nancy le lanciò un'occhiataccia: "Certo che lo so, perché pensi che io sia single?".
Eliza pensò per un attimo che fosse un miracolo che una come Diane avesse un matrimonio da tenere solido e una come Nancy, che era abbastanza carina, fosse rimasta sola. Si sentiva davvero molto vicina alla sua situazione: gli uomini dovevano proprio essere ciechi!
"Oh, e dai, questa è l'ultima volta, te lo giuro!", pregò come una ragazzina capricciosa, giungendo le mani grassocce e voltandosi a mezzobusto.
Diane rimboccò con cura le coperte: "Anche se volessi non potrei. Devo restare comunque per sostituire Julie del piano inferiore, che è a casa malata. Ho già i miei straordinari".
Diane si illuminò tutta e fece un gesto così repentino che per poco non gettò a terra la ciotola. Non sarebbe stata una grande perdita: "Meglio così allora! La mia sostituta arriva alle nove in punto, come si chiama? Quella nuova...". Si mise a schioccare le dita per ricordare.
"Eliza, come la nostra paziente", rispose quella con aria stanca. Ma che coincidenza terribile... lo stesso nome di un'infermiera!
"Sì, lei!", continuò Diane puntando il dito, mentre la minestra si freddava diventando di certo più disgustosa. "Ecco, basterà che tra le otto e le nove tu faccia la spola un paio di volte con il mio piano per controllare che sia tutto ok, poi sarai libera di fare i tuoi straordinari al piano di sotto, che ne pensi?".
Il cuore di Eliza accelerò nel petto. Ora sperava ardentemente che l'altra infermiera accettasse quella proposta, anche se le sembrava da irresponsabili.
"Non posso farlo, Diane! Insomma, se se ne accorge Bertha...".
Diane strinse gli occhi e la interruppe: "Bertha non si è neanche accorta che ti sei intrattenuta con il paziente schizofrenico della stanza numero quindici, un mese fa. E l'altro giorno".
Oh, ma che notizia! Quelle due erano meglio di un romanzo rosa!
Con la coda dell'occhio, Eliza vide Nancy irrigidirsi e avvicinarsi a grandi passi verso la collega. Pensò che l'avrebbe picchiata, invece le mise le mani sulle spalle e sibilò: "Come ti permetti di insinuare certe cose davanti a una paziente?!".
"Sono certa che non andrà a riferirlo a nessuno". Il tono di sufficienza contrastava con lo sguardo malizioso.
"E comunque non è successo niente! Mi stava solo raccontando la sua storia!". Le mani non mollarono la presa.
"Certo, tesoro, come dici tu. Allora affare fatto?", concluse la sua amica alzandosi in piedi.
Eliza cercò di rimanere immobile e di mantenere lo sguardo vacuo di una catatonica, ma aveva il respiro corto: nella sua mente stava già prendendo forma un piano geniale.
"È l'ultima volta", ribadì Nancy raddrizzandosi e dirigendosi verso il bagno.
"Certo, è quello che ho detto!", rispose Diane sedendosi di nuovo e adoperandosi per darle un altro boccone.
Eliza si trattenne a stento dal ghignare, invece aprì la bocca e accettò quella robaccia cercando di non farsi venire la nausea. E, soprattutto, concentrandosi sulla sua prossima libertà.
- § -
Sarah Lagan strinse il laccio della vestaglia con mani tremanti. Finalmente si sentiva in ordine, anche se i capelli bagnati erano ancora avvolti in un asciugamano e non ci sarebbe stata nessuna cameriera a sistemarli.
In quel momento non le interessava. Aveva solo bisogno di raccogliere i cocci della propria vita e, forse, cominciare ad accettare le cose.
Aveva camminato nervosamente per la stanza maledicendo il fatto di non avere un telefono per poter almeno parlare con la zia Elroy a distanza, mettendo comunque in conto un suo rifiuto di risponderle all'apparecchio.
Aveva cercato più volte di richiamare l'attenzione del marito bussando alla porta e chiamandolo ed era rimasta in attesa quando lo aveva sentito tornare nella sua stanza, attigua alla propria. Ne aveva udito i passi pesanti, le imprecazioni, e aveva capito che era ubriaco.
Non si era mai presentato a casa in quelle condizioni.
Il rumore di oggetti gettati a terra e alle pareti e le parolacce la terrorizzarono per qualche minuto, prima che girasse finalmente la chiave per andare da lei.
L'uomo che aveva davanti a sé era uno sconosciuto con i capelli ingrigiti dal tempo e dalle preoccupazioni, la camicia sbottonata e sporca e i piedi nudi sotto ai pantaloni sgualciti.
Chiuse gli occhi, ricordando.
"Raymond, che ti è successo?" Gridò indietreggiando, come se non l'avesse già abbastanza terrorizzata qualche ora prima.
"Lo sai che se rivendessi il whisky che ho bevuto saremmo di nuovo quasi ricchi?!", biascicò barcollando.
Sarah deglutì e tacque. Forse, se si fosse sfogato, poi l'avrebbe lasciata in pace. Nella migliore delle ipotesi avrebbe persino dimenticato di chiudere a chiave la porta.
"Ma rischio di finire in galera se lo faccio!", disse con una grossa risata. "Proprio come è successo a quel poveraccio di William che non ha mai fatto del male a una mosca e ha rischiato di morirci, dentro quella fogna. E sai chi è stato a incastrarlo?", chiese alzando un dito come per interrogarla.
"Raymond, ti prego... forse se fai un bagno caldo...". Anche se non aveva detto nulla di male, fu raggiunta dal terzo schiaffo della giornata. E poi dal quarto, che la fece finire a terra, riaprì la ferita e cominciò a farle pulsare anche l'altra guancia.
Era di nuovo sul pavimento a piangere, udendo le parole confuse e sconclusionate del marito, sperando che la smettesse prima di sfigurarla per sempre.
"Ma lui ha un cuore nobile e mi ha dato dei soldi invece di prendermi a pugni! Questi sono i colpi che non hanno ricevuto Neil ed Eliza da lui, che è un grande uomo! Non vi permetterò di rovinare altre persone, diventerò anche io un grande uomo, capito, moglie?".
Cadde in ginocchio di fronte a lei e le si avvicinò: "Hai capito, moglie?!", ripeté la domanda tra i denti stretti.
Sarah annuì, tremando di nuovo violentemente, temendo che le parole avrebbero portato altri colpi e così dolorante che non aveva comunque le forze di fare altro.
"Brava, moglie, brava. Devi obbedirmi, sai?". Raymond si protese su di lei, avanzando con le mani ai lati del suo corpo, soffiandole il suo alito alcoolico nelle narici e rischiando di farle venire dei conati.
"Volevi sedurmi, prima, vero? Era questo che volevi?", domandò staccando le mani da terra e mettendogliele addosso, sul corpetto, tra le gonne, facendosi strada senza alcuna gentilezza.
Raymond l'aveva violentata una volta sola e forse sarebbe rimasta anche l'unica nella sua vita. Forse, dopo essere crollato addormentato sul letto della sua stanza, dove si era trascinato alla fine della sua performance, lo aveva persino dimenticato.
Ma lei ne sarebbe rimasta segnata per sempre.
Mentre si faceva strada nel suo corpo con la forza aveva chiamato il nome di un'altra donna, forse quella che aveva amato e con la quale non si era sposato. Lei aveva soffocato le urla di dolore piangendo in silenzio, sperando che finisse tutto al più presto.
Erano stati gli istanti più lunghi della sua vita.
Sfinita, si lasciò cadere sul letto, l'asciugamano che aveva sulla testa si sciolse un poco ma Sarah non ci fece caso.
L'errore dei suoi figli, che lei non aveva seguito a sufficienza, si era concluso con la violenza, con la malattia e con la galera.
Sarah si chiese se, alla sua età, potesse rimanere di nuovo incinta e quel pensiero la fece rabbrividire e sperare allo stesso tempo.
Che sarebbe accaduto se avesse ricominciato da capo con una nuova creatura? Aveva davvero imparato qualcosa da quell'esperienza o era ancora fermamente convinta di essere dalla parte della ragione?
Non lo sapeva, davvero. Ora voleva solo dormire e riposare. Il suo intero corpo le sembrava un tizzone incandescente pervaso dal dolore.
Eppure, il sonno arrivò, benefico e misericordioso.
- § -
Quando arrivarono davanti alla capanna, Albert si fermò prima di entrare e Candy lo guardò, stupita.
"Beh, che succede? Ci hai ripensato?", chiese perplessa.
Lui scosse la testa: "No, ma mi chiedevo... puoi aspettare un attimo qui, per favore? Devo controllare una cosa".
Si strinse nelle spalle: "Fai pure". In realtà non le importava molto di quella specie di fuga nella natura. Non che non le piacesse stare in mezzo al verde, ma era ancora troppo combattuta tra desiderio e timore: cosa ci sarebbe stato lì, in quella casetta, che potesse evocarle ricordi?
Se lo chiese mentre vedeva il suo tutore sbirciare dalle finestre mettendo le mani ai lati del volto per schermarsi dalla luce e se lo chiese mentre socchiudeva appena la porta con circospezione.
"Candy, vorrei sottoporti a un esame prima di entrare", disse con un sorrisetto enigmatico sulle labbra.
Lei rimase di stucco. Che diavolo voleva fare, adesso? Senza attendere una sua risposta, aprì la porta e la invitò ad avvicinarsi all'uscio.
Non era pronta a quello che accadde dopo.
Daini, scoiattoli, castori e persino alcuni uccellini uscirono dalla capanna circondandola come se la conoscessero. Era talmente basita che rimase perfettamente immobile, non sapendo bene se avere paura o meno di tutti quegli animali: "Che diavolo è, uno...?".
Cos'è questo, uno zoo?
Ah ah ah! Tutti vogliono essere tuoi amici!
"...zoo?", concluse, folgorata da quello scambio di battute che si era acceso come un cerino nella sua testa, mandandole una serie di fitte dolorose lungo le tempie.
Albert si limitò a fissarla, il sorriso che ancora gli tremava sulle labbra: "Erano i miei unici amici prima d'incontrare te", disse sparendo all'interno.
Candy alzò una mano tremante e la pose sul capo morbido del docile daino, che rispose al gesto leccandola. Si guardò attorno e si rese conto che le sembrava mancasse qualcuno all'appello... però, anche se si sforzava, non riusciva a ricordare chi fosse.
Cercando di farsi strada tra gli animali, seguì Albert che stava aprendo le imposte delle finestre. Un tavolo e un caminetto erano le uniche cose, assieme a una piccola dispensa, presenti in quella parte della casa.
"Quindi quelli... erano tutti i tuoi amici?", domandò cercando di fare una domanda indiretta.
"Una volta avevo anche una puzzola. Ma è morta anni fa, in Africa", concluse con un tono triste.
Candy si accigliò, camminando in quello spazio angusto con circospezione: "Non so se è più singolare il fatto che avessi una puzzola per amica o che ti trovassi in Africa", disse accasciandosi su una sedia e prendendosi la testa fra le mani. Aveva di nuovo una leggera nausea.
I passi di Albert che si muovevano per la stanza e il rumore delle ante di legno le indicarono che stava controllando quello che avevano da mangiare: "Fa parte della storia che non ti ho ancora raccontato, ma non credo sia il momento giusto. Vuoi che cucini qualcosa?".
Alzò il capo per guardarlo: "Tu sai cucinare?", domandò esterrefatta.
"Molto meglio di te", ribatté lui tornando a sorridere.
In un impeto di rabbia, Candy si sporse sulla sedia: "E come fai a sapere che io...?!".
"Ti racconterò anche questo", la interruppe, enigmatico, tirando fuori pentole e scodelle, scatole di quelle che dovevano essere conserve e persino delle uova.
Mentre lui controllava le confezioni di latta, lei prese in mano un uovo e lo studiò per un attimo: "Da quanto tempo è qui?", chiese circospetta.
Albert posò un barattolo e ne prese un altro, studiando l'etichetta: "George ha rifornito la dispensa pochi giorni fa. Ehi, andiamo a lavarci le mani prima di metterci all'opera".
Candy sbatté le palpebre e socchiuse gli occhi, posando l'uovo con un gesto tanto repentino che non lo ruppe per poco.
Candy, ben tornata! Vai a lavarti le mani, la cena è pronta!
Con un respiro profondo, si poggiò con i palmi sul bancone e strinse le palpebre. Un tocco caldo le si posò sulla schiena, carezzandola piano come se volesse farle passare il malessere.
"Mi dispiace. Tutto questo è necessario, ma andremo per gradi, va bene?", disse la sua voce tranquilla.
"Dov'è il bagno?", domandò con urgenza.
Lui la guidò senza dire nulla, le chiese solo se aveva bisogno di aiuto ma Candy scosse la testa: "Lasciami sola, per cortesia", lo pregò.
La porta si richiuse lentamente e lei rimase per lunghi minuti davanti al lavandino, prendendo respiri profondi e lottando contro la nausea. Il disagio fisico era solo una parte del suo diniego nel ricordare.
Poteva sopportare il mal di testa. Poteva sopportare la nausea.
Ma non poteva sopportare quella sensazione lancinante di sentirsi esposta a qualcosa che le appariva come troppo grande da sostenere. Adrian l'aveva chiamato paura dell'amore. Per lei era il terrore di soffrire ancora e ancora.
Cosa doveva fare? Farsi raccontare tutta la storia e se era convinta lasciarsi andare ai ricordi, altrimenti chiudere la sua testa con un lucchetto? Davvero funzionava così?
Mentre si sciacquava le mani e il viso, Candy si rese conto che, per quanto ci provasse, non riusciva a trattenere indietro le voci o le immagini come faceva all'inizio: una parte di lei stava già accettandole.
Tremò al pensiero e si disse che, alla fine, sapere prima non sarebbe stato poi tanto male. Ma avrebbe cominciato chiedendo di Terence.
Quando tornò in cucina, Albert stava armeggiando con una padella, rompendo le uova e muovendosi nella piccola cucina come se in vita sua non avesse fatto altro. Sapeva di aver già vissuto qualcosa di simile. Ma quando e, soprattutto, dove?
E non aveva appena deciso di chiedere di Terry?
"Stai meglio?", le chiese lui voltandosi a guardarla.
"Sì e dopo mangiato vorrei che mi raccontassi della mia storia con Terence", disse prima di fare altri passi indietro. Voleva che tutte le carte fossero in tavola, costasse quel che costasse.
Percepì perfettamente il momento in cui Albert s'irrigidì e i suoi occhi divennero di ghiaccio. Ma non abbassò lo sguardo, rimanendo a fissarlo come se lo stesse sfidando a dirle di no.
Allora se ne sarebbe andata davvero e avrebbe chiesto a qualcun altro che fosse disposto a parlarle.
"Ma certo, come desideri, Candy", rispose invece lui stirando le labbra in un sorriso che le sembrò quasi vero.
Il pranzo era ottimo e si svolse nel più completo silenzio. Stupita, avrebbe voluto fare altre domande ma si trattenne. Invece squadrò Albert rendendosi conto che sembrava di nuovo in forma e aveva riacquistato un po' di peso.
Pulendosi la bocca, e di certo sentendosi osservato, le chiese: "Che c'è?".
Candy si voltò dall'altra parte: "Niente, è che... non sembri più uno scheletro con dei vestiti addosso", disse timidamente.
Albert la sorprese scoppiando a ridere e quel suono le provocò una strana fitta di nostalgia: "Beh, non ti sarà sfuggito che non ho passato dei bei momenti, Candy. Per fortuna il dottor Carter è stato tanto gentile da darmi dei consigli e quando ha saputo che mi piaceva cucinare mi ha suggerito di farlo per me stesso non appena ne avessi avuto l'occasione. Mi... sarebbe stato utile per ricominciare ad apprezzare il cibo", concluse con un tono che lasciava intendere che non voleva approfondire quell'argomento.
Cosa voleva dire? Che in carcere non si era nutrito volontariamente? Candy cercò d'impedirsi di fare altre domande perché non era di quello che avevano bisogno. Né lei, né Albert.
"Bene", fece lui alzandosi, "mentre sparecchiamo comincerò a raccontarti, ma fermami se ti senti poco bene, d'accordo?".
Lei annuì e, posando i piatti nel lavello, si lasciò trasportare dalla voce gentile e bassa di Albert che le raccontava del suo secondo amore.
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Angolo dei commenti:
Cla1969: Ciao! Ti ringrazio, sono contenta che la storia ti piaccia nonostante sia molto frustrante la situazione tra i due protagonisti XD Purtroppo non riesco proprio a scrivere storie facili dove tutto va sempre bene, così devo rendere la vita difficile a tutti ;-) Alla prossima!
Ericka Larios: Purtroppo Sarah Lagan si è rivelata un fallimento innanzitutto come donna, attirandosi solo odio e disprezzo e di conseguenza anche come madre, perché gli stessi "valori" li ha trasmessi ai figli. Ha poco da lamentarsi e, anche se odio la violenza, deve capire a sue spese quanto ha sbagliato. Anche la zia Elroy non scherza: cosa è andata a combinare dai Brighton? Grazie per i tuoi complimenti, al prossimo capitolo!
Mia8111: Capisco che scrivere in italiano sia limitante, perché la traduzione Google non è delle migliori. Ma purtroppo, per ora, finché si tratta di una storia breve posso anche tradurre in spagnolo, per una multi-capitolo così lunga dovrei chiedere di farmi un clone XD Grazie comunque per seguirmi!
Elizabeth: Grazie a te per le tue parole! Raymond non vuole che Sarah vada a disturbare la zia Elroy e desidera solo andare avanti con la propria vita con le sue sole forze. Anche se non mi piace la violenza, all'epoca le cose andavano così (a volte anche oggi, purtroppo) e lui non può più permettere che la moglie vada a fare danni in giro. Alla prossima!
Charlotte: Purtroppo questa incertezza, unita al diniego di Candy non svanisce con l'arrivo a Lakewood, anzi. Albert si sta rivelando forte, ma anche lui è arrivato quasi al limite: farà di tutto, fino alla fine... Raymond si è comportato come il classico marito vecchia maniera che punisce la moglie, mentre la zia Eltoy ne sta combinando una delle sue... che avrà in mente?! Ciao, alla prossima!
Sandra Castro: In effetti anche Anthony dice la frase magica a Candy, perlomeno nell'anime (anche nel manga?): "Sei più carina quando ridi che quando piangi", ma la prima che ha ricordato è stata quella di Albert! Su questo, perlomeno, non si è confusa XD Attaccare Albert è un modo per esprimere questa sua paura di soffrire: lo chiama bugiardo, lo tratta male ma così si sente "al sicuro". Però è vero, l'attrazione nei suoi confronti è innegabile e a volte deve allontanarsi per non cadere in tentazione XD Per quanto riguarda Sarah... in effetti non ha ancora ben capito che sta tirando troppo la corda e forse non conosce bene suo marito, che reagisce come purtroppo molti uomini dell'epoca: con la violenza. La zia Elroy ne sta per combinare una delle sue...? Chissà... Grazie per le tue recensioni, alla prossima!
