Bella
La parola Bella è nata insieme a lei
Col suo corpo e con i piedi nudi lei
È un volo che afferrerei e stringerei
Ma sale su l'inferno a stringere me

(...)

Bella
È il demonio che si è incarnato in lei
Per strapparmi gli occhi via da Dio, lei
Che ha messo la passione e il desiderio in me
La carne sa che paradiso è lei
C'è in me il dolore di un amore che fa male
E non m'importa se divento un criminale
Lei
Che passa come la bellezza più profana
Lei porta il peso di un'atroce croce umana

(Bella - Cocciante-Plamondon-Panella)


E ti bacio la bocca bagnata di crepuscolo.

(Pablo Neruda)


Baci e disillusioni

Candy lo stava fissando, accigliata: sembrava di nuovo combattuta e poteva capirlo da come stringeva i pugni e prendeva respiri profondi. Senza dire nulla, gli diede le spalle e fece qualche passo nella radura, avvicinandosi all'albero.

Albert lo prese come un segno e cominciò a parlare lentamente, a voce bassa, pronto a interrompersi se fosse stato necessario: "Quella sera mi ero accampato qui e avevo acceso un fuoco. Dalla cascata ho udito delle grida e ho visto una piccola barca precipitare: dentro c'era una ragazzina".

Lei pose una mano sul tronco, come appoggiandosi per sostenersi, e lui si ritrovò a deglutire, a disagio. Ricordava qualcosa o stava continuando a lottare contro se stessa?

Stiamo spingendo sull'acceleratore come non abbiamo mai fatto, lo so. Ma è l'unica maniera di riportarti da me.

"Ero io, vero?", domandò guardando in alto, verso le fronde. Una leggera folata di vento le mosse i capelli che a malapena toccavano le spalle: lui li aveva portati anche più lunghi dei suoi.

Eppure non gli era mai apparsa così bella come in quei giorni dolorosi. E così inarrivabile.

"Sì", rispose immobile, ritto in piedi proprio come l'albero accanto al quale si trovava Candy. "Eri scappata da casa dei Lagan e io ti ho tirata fuori dal fiume prima che affogassi. Ti ho messa vicino al fuoco e... quando hai ripreso i sensi e mi hai visto sei svenuta di nuovo per lo spavento".

Il tono divertito o il senso di quello che aveva detto fecero voltare Candy, che lo squadrò con aria guardinga. Poi si voltò del tutto: "Mi stai prendendo in giro?", domandò piuttosto seccata.

Albert rilassò le spalle e fece qualche passo nella sua direzione, gesticolando: "No, perché dovrei?".

"Cosa avevi mai di così spaventoso? Un corno sulla fronte?", ridacchiò incrociando le braccia e guardandolo dall'alto in basso e viceversa.

Si strinse nelle spalle, rabbrividendo un poco al suo esame visivo: "No, ma avevo la barba, i baffi e un paio di occhiali scuri. Inoltre anche i miei capelli avevano una tonalità diversa. Penso di averti fatto paura per questo, hai detto che sembravo un pirata".

L'espressione di Candy mutò prima in una di stupore, poi le sue labbra tremarono e, portandosi una mano alla bocca, alla fine scoppiò a ridere apertamente. Rise così tanto che si chinò tenendosi la pancia.

E Albert si beò di quel suono cristallino, sincero, meraviglioso, che gli era mancato come l'ossigeno stesso. Mentre lei rideva di cuore a lui venne quasi da piangere per la gioia.

Non farti illusioni, trova di sicuro buffa la tua storia.

Attese che lei smettesse di ridere e la guardò con tenerezza mentre si asciugava gli angoli degli occhi, più bella che mai col viso arrossato dalle risa: "Ti sei travestito così bene che spaventavi le ragazzine innocenti! Sei proprio un bel tipo, tu", concluse. "E poi cos'è successo?".

Albert si mise le mani in tasca, camminando mentre raccontava: "Ti ho portata nella mia capanna e ti ho rifocillata. Il giorno dopo sei tornata a casa".

"Aspetta un attimo, vuoi dire che ho dormito da te e avevo... quanti anni avevo?". Ora sembrava quasi indignata.

Esasperato, Albert allargò le braccia: "Santo Cielo, Candy, avrai avuto tredici anni! Ma perché mi vedi come una specie di persona perversa, te ne ho mai dato motivo? A quel che mi risulta sei stata tu, un po' di tempo fa, a baciarmi senza preavviso".

Aveva colto nel segno. Candy era arrossita fino alla radice dei capelli e si stava di nuovo allontanando verso l'albero.

Ora o mai più.

"Perché l'hai fatto?", chiese con un tono duro. "Fino a poco tempo fa mi odiavi, quindi perché comportarti in maniera così sciocca? Non te l'ho mai chiesto, ma ora vorrei saperlo".

La mano di lei artigliò la corteccia: "Perché volevo essere sicura che non rappresentassi un pericolo per me", dichiarò con voce tremante.

"Non ti credo, Candy. Non poteva essere solo quello". Di nuovo, l'avvicinò. Non voleva e non poteva darle tregua. "Stavi chiarendo qualcosa a te stessa. Già allora sentivi di non odiarmi veramente? Hai finto per tutto questo tempo facendomi impazzire? Rispondimi, Candy!". Strinse i pugni sui lembi della propria giacca per impedirsi di afferrarla per le spalle e scuoterla.

"Io non lo so!", gridò voltandosi a fronteggiarlo, sembrava disperata. "Non ti sopportavo, non sopportavo che tu fossi così gentile con me e che non mi fossi... del tutto indifferente. Volevo fare una prova su me stessa, volevo capire cosa... cosa provassi davvero". Si portò le mani ai lati della testa, scuotendola.

Respirando con un leggero affanno, Albert alzò una mano per sfiorarle una guancia, chiudendo quasi del tutto la distanza tra loro: "E cosa provavi? Cosa provi per me, Candy?".

"Io... io...". Lei sembrava arresa, il viso proteso verso il suo, le loro labbra a pochi pollici di distanza.

Albert attese. E attese. Rimasero fermi a guardarsi mentre i loro respiri si mescolavano sempre più rapidi.

Candy chiuse gli occhi e lui aprì la mano, girandola per posarla più fermamente sul lato del suo volto, usando il pollice per tracciare il labbro inferiore di Candy. Studiando con attenzione il linguaggio del corpo di lei, si azzardò ad allungare il braccio dietro la sua schiena, portandola più vicino a sé.

Quando emise un lieve gemito e schiuse di più la bocca, Albert non poté sopportare oltre e accettò quell'invito, qualunque cosa significasse. Sigillò le labbra sulle sue, inspirando a fondo come se fosse stato sott'acqua per mesi e ora risalisse finalmente in superficie a riprendere fiato.

Non fu un bacio impegnativo, ma labbra su labbra, bocche appena schiuse, movimenti quasi impercettibili, però gli parve di rinascere e morire al contempo.

Dio, quanto ti amo, Candy! Come posso aver pensato di rinunciare a te? Sei la stessa aria che respiro...

Mentre era ancora indeciso se accarezzarla con la propria lingua, bramoso di approfondire quel bacio, lei alzò una mano e la portò al suo petto, facendolo quasi sussultare. La mano strinse la camicia prima con titubanza, poi con più forza, infine si aprì e lo allontanò con una spinta.

Lui barcollò per un istante e anche Candy perse per un attimo l'equilibrio, sotto il suo stesso slancio. Si fronteggiarono, ansimanti, lei con uno sguardo troppo simile a quando sembrava odiarlo.

Dal Paradiso all'Inferno. Oh, Candy...

"Era proprio questo che volevo evitare! Non posso sentirmi attratta da te, non voglio!", gridò esasperata, poggiando la schiena sull'albero.

"Ma perché, Candy, perché?!", gridò, frustrato e amareggiato.

"Perché non ho memoria del mio passato e non è così che deve andare!", ribatté lei usando lo stesso tono.

"Allora lascia che i ricordi ti raggiungano, Candy, non li temere! In passato hai sofferto ma con me eri felice! Non è mai accaduto nulla di brutto tra di noi!".

"Mi hai mentito per tutta la vita!".

"Dovevo farlo!".

"Non hai avuto fiducia in me! E io... io... non voglio ricordare e innamorarmi di nuovo per rischiare di rimanere ancora delusa...". La voce di Candy si abbassò fino a diventare un sussurro e lei scivolò a terra, le lacrime che le rigavano ormai le guance.

Albert fece un profondo sospiro, le si accostò e si sedette accanto a lei: "Lo dici perché è quello che ti ha rivelato Carter sulla tua condizione o perché ne sei convinta?".

"È quello che sento", singhiozzò stringendosi una mano al petto. "Tutti quelli che ho amato... li ho persi! Anthony è morto. Terence mi ha lasciata per un'altra donna. Persino Stair, che era mio amico, è morto in guerra... Non voglio più provare affetto per nessuno, Albert, nemmeno per te!".

Lui chinò la testa, sconfitto, e si appoggiò al tronco mentre Candy piangeva sempre più piano e tentava di riprendere il controllo. Avrebbe voluto consolarla ma non voleva rischiare di abbracciarla di nuovo sconvolgendola, temendo di non riuscire più a lasciarla andare.

Attese che i suoi singhiozzi cessassero quasi del tutto, poi parlò: "Mia madre è morta nel darmi alla luce e mio padre quando avevo solo otto anni. Ho vissuto con zia Elroy e mia sorella finché lei non si è sposata e ha avuto Anthony. Poi, quando lui era ancora un bambino, anche Rosemary è morta e io ho cominciato a studiare lontano da casa, con solo George al mio fianco. Lui è stato come un padre per me e quando ti ho incontrata per la prima volta su quella collina era disperato: pensava fossi fuggito. Cosa che, in parte, ho fatto".

Nonostante guardasse verso il cielo, fissando le nuvole bianche che si rincorrevano pigre, avvertì la tensione nel corpo di Candy e capì che lo stava ascoltando. Così proseguì: "Poco dopo che ci siamo incontrati qui, Archie, Stair e Anthony mi hanno scritto chiedendomi di adottarti e non ci ho pensato due volte, sapendo quanto stavi male con i Lagan". Deglutì, cercando di contenere le emozioni. "Il Clan Ardlay per presentare i nuovi membri ha sempre organizzato eventi come la caccia alla volpe. Forse, all'epoca, ero ancora molto sotto l'influenza di mia zia e la reminiscenza delle mie radici mi ha fatto prendere la decisione sbagliata, considerando che io amo gli animali e non farei mai loro del male. Invece ho fatto del male al mio unico nipote, causando la sua morte. E ho fatto del male a te".

Albert chiuse gli occhi che bruciavano per le lacrime represse, tentando disperatamente di non versarne davanti a lei. Non voleva farle pena, voleva solo che lei ricordasse.

Candy tirò su col naso e quando lui fu di nuovo in grado di parlare lo fece, con voce appena spezzata: "Quando ci siamo rivisti eri disperata, così ho pensato che sarebbe stata una buona idea mandarti a studiare a Londra per allontanarti un po' da quei luoghi".

"E anche questa è una tradizione di famiglia?", domandò lei con un tono abbastanza tagliente.

Finalmente, si voltò a guardarla. Si stava asciugando gli occhi e sembrava arrabbiata: "Sì, ma in quel caso si trattava di un'esperienza che reputavo potesse tornarti utile. E poi ero a Londra anche io per lavoro. Ho conosciuto Terence poco dopo di te e siamo diventati amici. A Londra lavoravo anche in uno zoo e spesso mi venivate a trovare insieme a Patty e ai miei nipoti".

Lei cominciò ad annuire lentamente, come assimilando quel racconto: "Che storia complicata... Vuoi dirmi che anche tu, alla fine dei giochi, hai perso delle persone care ma hai continuato ad andare avanti? A prendere decisioni che reputavi giuste per me? È questa la lezione che mi stai dando?".

Albert era frustrato dall'altalena di sentimenti cui lo stava sottoponendo e sentiva i nervi messi a dura prova. Capì che per lei non doveva essere molto diverso: "Non voglio darti lezioni, Candy, solo farti capire che gli eventi drammatici possono accadere, anche uno dietro l'altro, non dandoti tregua. Ma non si può rinunciare ad amare il prossimo per questo".

Io ti amo ancora...

Candy fece un respiro esasperato, chiuse gli occhi e si appoggiò a sua volta al tronco con la schiena: "Cosa è successo dopo Londra?", domandò come se le importasse ben poco.

"Tu e Terence siete stati espulsi dalla scuola per colpa di Eliza, come ti ho già accennato. Sei scappata per raggiungerlo qui in America e... quando ci siamo rincontrati tu eri un'infermiera quasi diplomata e io avevo perso la memoria".

Candy scattò in piedi a una velocità così repentina che quasi non ne colse i movimenti. I suoi furono più lenti mentre la imitava per fronteggiarla meglio.

"Mi stai... di nuovo prendendo in giro?", sibilò lei guardandolo di sottecchi.

Albert scosse la testa e continuò a raccontare.

- § -

Eliza tremava, nonostante fosse rannicchiata su se stessa e cercasse di far aderire al suo corpo nudo il lenzuolo lercio più possibile.

"Che dite, starà dormendo?".

"Non lo so, ma ricordati che dopo tocca a me indossare il suo vestito!".

"Questo cappellino sarebbe più bello senza fiori!".

Il rumore della stoffa che veniva lacerata le spezzò l'anima. Era come se, dopo aver ucciso la sua vecchia vita, quelle donne stessero facendo scempio del cadavere.

Ed è tutta colpa tua, Molly!

Cercò di ridurre il respiro a un ritmo più regolare, ma il freddo e la paura la stavano facendo ansimare come un cavallo lanciato al galoppo. Per fortuna, quelle oche stavano facendo tanto baccano da sovrastarlo.

Come è potuto succedere, avevo programmato tutto così bene!

Era filato tutto liscio finché non era uscita in cortile: allora ogni cosa era andata in malora.

Il corridoio è vuoto e la luce sfarfalla, dev'essere difettosa. Mi sembra di stare in uno di quei manicomi del secolo scorso di cui ho letto in romanzi macabri. Tengo le scarpe in mano per fare meno rumore possibile e, uscendo dalla mia camera, calcolo mentalmente il percorso da lì fino alla stanza dove si cambiano le infermiere: ce n'è una su ogni piano e io sfreccio lì muovendomi veloce come un felino.

Mi chiudo la porta alle spalle e mi metto subito in cerca di un'uniforme della mia taglia. La trovo e mi guardo allo specchio per essere sicura di non essere riconosciuta.

Mi faccio coraggio, prendo un respiro profondo e mi avvio verso le scale: l'infermiera del piano di sotto è salita cinque minuti fa e dubito che si farà viva prima del prossimo cambio turno. Comunque non nell'immediato.

Lasciando alle spalle la maledetta luce intermittente, mi immergo in quella fissa e vagamente giallastra del piano terra. Da dietro una porta sento qualcuno piangere e da un'altra gemere. Decido di non soffermarmi troppo a pensare a cosa possano avere quelle anime tormentate: non mi riguarda e non mi interessa.

Nancy sta uscendo da una terza stanza e rimango a metà della rampa, attaccandomi al muro con le spalle, il cuore batte forte e rivoli di sudore m'imperlano le tempie. Credevo sarebbe stata nel suo spazio dal lato opposto all'uscita, da dove avrebbe solo visto un'infermiera da lontano che usciva in giardino nel suo momento di pausa.

Ho riflettuto molto su questo punto e mi sono detta che indossare il cappotto e l'abito con il quale sono entrata sarebbe stato rischioso, perché avrebbero potuto riconoscermi. Ma il vestito è nascosto sotto alla divisa e almeno quello potrò portarlo con me.

Ora, il costoso cappotto che le avevano concesso di riprendere alla clinica prima di essere arrestata era stato trattenuto dalle guardie all'entrata, mentre l'abito stava passando di mano in mano alle detenute della sua cella, che glielo avevano tolto di dosso con la forza.

"Ma è vero che è scappata da un manicomio?", una voce roca, profonda come quella di un uomo. Forse era una fumatrice.

"Quindi è pazza?!", voce e risatina stridule.

Eliza batteva i denti e le lacrime erano bollenti sul viso che sentiva altrettanto gelato.

Nancy entra in una stanza, non prima di essersi guardata intorno con circospezione. È il mio momento. Che lei s'intrattenga pure con il suo amante schizofrenico, io me ne vado per sempre di qui per fare la modella o la creatrice di moda! Ah ah ah!

Cammino velocemente andando verso l'uscita, verso la libertà, l'aria frizzantina della sera mi rinfresca il viso. Oh, che splendida sensazione!

"Infermiera!", la voce di una donna mi paralizza e, curiosamente, mi viene in mente suor Grey della Saint Paul School. Quando mi giro, impietrita e tremante, vedo proprio una suora ma non è suor Grey. Cammina con passi pesanti, la corporatura massiccia e le labbra contratte all'ingiù in una smorfia come di disgusto.

"Io... sono nel mio momento di pausa e volevo prendere una boccata d'aria. Fa così caldo qui dentro!", cerco di assumere un tono e una postura rilassate e vedo la suora strizzare gli occhi come se non ci vedesse. Dal taschino cerca di tirare fuori qualcosa per qualche istante prima che io possa vedere che si tratta di un paio di occhiali. Li pulisce borbottando qualcosa e capisco che sono stata fortunata.

MOLTO fortunata.

Questa donna non ci vede bene e deve avermi scambiata per quella Nancy di cui ora, senza volerlo, sto coprendo la scappatella.

"Bene, mi raccomando, rientri in orario!", dice inforcandoli.

"Certo, sorella", rispondo voltandomi velocemente prima che mi metta a fuoco.

Sono fuori! Sono davvero fuori! Ora, se riesco a farmi aprire il cancello da una guardia con la scusa che devo comprare una medicina per mia madre malata...

"Ehi, Nancy! Ancora dietro a quello schizzato della stanza quindici?". L'uomo si avvicina a grandi passi, uscendo dal gabbiotto di guardia e io indietreggio.

Com'era la parola che ripeteva Neal? Merda, merda, merda!

"Lasciami uscire, per favore", rispondo tremando e cercando di nascondere il mio viso dalla luce del lampione.

"Vuoi uscire?". Anche se non lo vedo, l'uomo sembra davvero perplesso e continua ad avvicinarsi pericolosamente.

"Sì, devo... comprare delle medicine. Mia madre, sai...".

Le mani. Le sue mani. Le sento sulle spalle e io mi dimeno, lamentandomi come un animale in trappola. Ma lui è più forte, riesce a voltarmi e io chino ancora di più la testa.

Non serve a niente.

"La madre di Nancy è morta tanti anni fa e tu sei un'imbrogliona!".

Da lì in poi, tutto era stato una confusione di urla, proteste, suppliche e lo strenuo tentativo di mostrarsi di nuovo catatonica. Lo schiaffo di una suora aveva posto definitivamente fine alla sua copertura.

Era spacciata.

Altro che Parigi e sfilate di moda! La polizia era andata a prenderla ed era stata trasferita nel carcere femminile di Chicago, dove era iniziata la sua discesa all'Inferno.

Nuda e inerme nel suo letto sporco, Eliza cominciò a capire cosa avesse spinto Neal a tentare il suicidio.

- § -

"Un sorriso, prego!". L'ennesimo fotografo che lo voleva accanto all'attrice principale gli fece quasi perdere il senno.

A denti stretti, mostrando più un ghigno contrariato che il sorriso che gli avevano chiesto, Terence fece di nuovo scivolare il braccio intorno alla vita della sua finta innamorata.

"Potresti sforzarti di sembrare più allegro?", le sibilò lei attraverso il proprio sorriso, senza neanche voltarsi.

"È la quindicesima foto che ci fanno, comincio ad avvertire una paresi facciale", ribatté lui alla stessa maniera.

"Un bacio, datevi un bacio!", li sollecitò il tipo da dietro la macchina, sporgendosi un poco per farsi sentire.

Terence prese un respiro profondo, incrociò per un attimo lo sguardo imbronciato dell'altra coprotagonista che si era innamorata di lui e si domandò, per l'ennesima volta, come potesse essere sempre circondato da tutte le donne tranne che da quella che...

"Ma quella non è Karen Kleiss?", domandò qualcuno facendogli scorrere nelle vene adrenalina rovente.

Si scostò di scatto dal viso della protagonista, che aveva già chiuso gli occhi e proteso leggermente le labbra e si guardò attorno con frenesia.

"Ehi!", fecero a una voce la donna e il fotografo.

"Scusate", disse facendosi largo tra la folla di colleghi e paparazzi per andare verso la voce che aveva udito. S'imbatté in sua madre, che gli chiese cosa fosse successo. La prese per le spalle, guardandola con intensità: "Dov'è Karen?", le domandò.

Il sorriso raggiunse gli occhi di Eleanor che gli fece un cenno con un dito. Terence seguì la direzione che indicava e gli si mozzò il respiro in gola.

Come era potuto succedere?

Come aveva fatto, in appena poche settimane di lontananza, a innamorarsi di lei a tal punto da sentirsi come un adolescente alle prese con la prima cotta? Non sapeva neanche che dirle, gli sembrava così bella che temeva di rimanerne abbagliato, guardandola troppo. Non aveva forse pensato, una volta, che Karen non era come il sole che per lui rappresentava Candy?

Ora quel sole non solo lo accecava e lo illuminava, ma stava rischiando di bruciarlo. E non solo il corpo, ma gli occhi, il cuore e l'anima stessa.

Colto da un desiderio primordiale, percorse a grandi passi gli ultimi metri che lo separavano da Karen e lei ebbe appena il tempo di accorgersi della sua presenza che lui la stava stringendo fra le braccia e baciando.

Il flash e lo schiaffo arrivarono nello stesso momento.

Eh, no, basta!

Quella storia di essere schiaffeggiato ogni volta che baciava la donna che amava lo stava seriamente stancando.

"Sei impazzito, forse? Ci hanno fatto una foto!", protestò lei piantandogli addosso due occhi di ghiaccio.

"Pazienza, volevano una foto con la protagonista del film e invece ne avranno una con te", disse con un sorrisetto. "Sei ancora più bella di quanto ricordassi".

"Oh, per l'amor del Cielo, Terry!", s'indignò lei fuggendo.

Come un'orda affamata, i giornalisti li seguirono scattando altre foto e facendo domande a raffica.

"Siete fidanzati?", "Signor Graham, come mai ha baciato la signorina Karen invece della sua fidanzata?".

Fidanzata? Fidanzata?! Da quando quell'attrice era la sua fidanzata?!

"Signorina Kleiss! Quello schiaffo significa che non ricambia i sentimenti di Terence?".

In quel marasma lui cercava di farsi largo ignorando le urla del regista, i commenti allusivi dei colleghi e persino i richiami di sua madre. Come una falena attirata dalla luce, poteva solo seguire la scia rossa del vestito di Karen fino all'uscita.

"Terence, Karen!". Stavolta, la voce di Eleanor era perentoria ed entrambi si fermarono, fissandosi per qualche istante.

Negli occhi di lei poté vedere il dolore.

No, non era questo che volevo. Karen, lascia che ti spieghi, che ti dica...

"Il film sta per iniziare, rientriamo? Potrete parlare dopo", concluse Eleanor in tono conciliante.

Come due bambini colti in un litigio, chinarono il capo e s'incamminarono, Terence che ogni tanto la guardava di sottecchi.

Forse complice il fatto che la prima stava per avere inizio, tutto il caos di poco prima sembrava sotto controllo e l'attenzione generale era rivolta all'entrata della sala cinematografica.

"Se vuoi fare un altro film con me, Graham, d'ora in poi ti consiglio di evitare queste manifestazioni di affetto inopportune", gli ringhiò il regista all'orecchio mentre facevano il loro ingresso in sala.

Le luci erano basse e nel buio non colse del tutto la sua espressione, ma era certo che fosse adirata. Si voltò verso di lui, piegandosi un poco per rispondergli: "Ma io non voglio fare un altro film con te. Torno a teatro".

Colse solo l'ansito strozzato di sorpresa, poi si accomodò nel posto accanto a sua madre e a poche poltrone di distanza da Karen.

Una volta usciti da lì le avrebbe parlato, fosse stata l'ultima cosa che avrebbe fatto.

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Angolo dei commenti:

Elizabeth: Incredibile che a rimettere al suo posto la zia Elroy sia stata proprio la solitamente docile Annie, vero? Archie ha molta fiducia nel futuro e in Albert, incrociamo le dita! Candy sta seguendo questo percorso e la cosa si sta rivelando dolorosa sia per lei che per Albert. Speriamo che porti almeno buoni risultati! Grazie, alla prossima!

Cla1969: E per una Annie che finalmente mostra gli attributi (XDD), ecco una zia Elroy più odiosa: d'altronde è rimasta fedele a se stessa... Terence lo volevo caratterizzare un po' insicuro in questa sua nuova fase della vita, anche lui non ha avuto un destino in discesa. E infine Candy e Albert: il titolo della storia, come vedi, la dice... lunga! Forza e coraggio! Grazie mille per il tuo commento, al prossimo capitolo!

Ericka Larios: La zia Elroy è cambiata solo fino a un certo punto: per molti versi, rimarrà sempre la stessa. Purtroppo è anche possibile che Albert, alla fine, si arrenda e si allontani da Candy: che può fare, d'altronde, più di quel che sta facendo? Per ora, la speranza è l'ultima a morire...

Mia8111: Grazie di cuore!

Charlotte: La zia Elroy non si smentisce mai! Ma Archie e Annie non si lasceranno così facilmente a causa sua, anche se dovessero aspettare una vita! Hai colto nel segno: io vedo in Terry un ragazzo che fa tanto lo sbruffone ma alla fine è un insicuro, sotto sotto. E meno male che mamma Eleanor è un po' più intraprendente e gli da una spinta! Albert è un santo, ormai è ufficiale, lo sa anche il Vaticano ahahahaah! Parla a Candy di Terence senza battere ciglio anche se di certo gli sarà venuta la gastrite cronica, ma ha troppo a cuore la sua felicità e quindi si immola per lei. Piccoli passi in mezzo a tante paure... chissà come andrà a finire! Grazie di cuore, alla prossima!

Sandra Castro: Il fatto che tutte siate rimaste basite dal comportamento di Raymond mi fa riflettere: non ve lo aspettavate dal personaggio creato da Nagita o trovate che la mia caratterizzazione sia stata poco coerente? Per me è interessante saperlo perché volevo proprio creare un personaggio, di cui di fatto si sa poco o nulla, abbastanza poliedrico: da un lato l'uomo pentito e pronto a ripartire; dall'altro il marito autorevole che perde anche la testa con la moglie stolta. Il fatto, invece, che Candy chieda di Terry proprio ad Albert, per quanto sgradevole possa risultare, è quasi una prova di fiducia che lei inconsciamente ha verso di lui: Annie più di tanto non ha voluto rivelare, se ben ricordi sugli argomenti più intimi della vita di Candy preferisce non intervenire; Patty la conosce poco e già le ha chiesto di Stair. Chi rimane, se non il nostro povero Albert, che sopporta stoicamente tutte le avversità? E per quanto ancora reggerà il nostro povero principe? E mentre Eliza pianifica la fuga perfetta (ma ci riuscirà?), Annie ne dice quattro alla zia Elroy! Beh, ogni tanto c'è qualche soddisfazione, no? Un abbraccio, alla prossima!