Di occasioni e treni persi
"Siete tornati pre...", la frase di George fu interrotta da una mano alzata di William mentre inseguiva la signorina Candy, che sembrava una furia sul punto di esplodere.
Quando aveva sentito aprirsi la porta d'ingresso, George aveva pensato che qualcuno stesse cercando di buttarla giù ed era corso a vedere chi fosse il malintenzionato.
Invece era Candice che avanzava a grandi passi con William, il quale le stava dietro con la borsa ancora in mano. Il patriarca gliel'aveva lasciata distrattamente, poi aveva detto ad alta voce rivolto a lei: "Ti stai comportando come una bambina, Candy".
"Mi chiamo Candice!", protestò voltandosi dal fondo della rampa di scale, che pareva avere tutta l'intenzione di fare due a due tenendosi i lembi della gonna. Cosa che, in effetti, iniziò a fare.
"Pensavo che avessimo superato questa fase del nome!", si lamentò lui standole dietro. "George, per favore, puoi far portare la valigia nella stanza di Can... dice?", terminò affrettandosi a seguirla.
"Me la porto da sola!", strillò lei come avrebbe fatto davvero una bambina.
Vedendola riscendere e avanzare verso di lui di gran carriera, per un attimo si strinse la valigia al petto, balbettando: "Se mi permette posso farlo i...".
"No!", rimbeccò strappandogliela di mano e cominciando a portarsela dietro.
"Almeno falla portare a me, visto che è pesante", protestò William.
Per tutta risposta, la lasciò sul pavimento come fosse un sacco di patate: "Sai una cosa? Non mi serve la tua elemosina, lavorerò e mi comprerò i vestiti da sola!".
Riprese la sua marcia verso le scale seguita da William, che gli lanciò una breve occhiata accennando alla borsa: "Senti, parliamone con calma! Non mi rivolgi la parola da ieri sera e non è litigando che risolveremo...".
"Risolvere? Mi parli di risolvere?! Non c'è niente da risolvere, zio William dei miei stivali!", sbottò lei facendogli spalancare gli occhi per lo stupore. Persino lui si ritrasse per un attimo come se lo avesse schiaffeggiato.
Aveva sentito spesso, dai racconti di William, di come fosse cambiata la signorina Candice, ma sentirle in bocca certe parole era un'esperienza che gli mancava. Lei, sempre così gentile e dolce. Lei, che lo chiamava Cavaliere Bianco e lo aveva abbracciato quando era tornata da New York e lui era collassato alla Collina di Pony.
Provando per lei quell'amore filiale di cui le aveva anche parlato con commozione, poté capire come vederla in quelle condizioni sconvolgesse tutti quelli che la conoscevano.
George non poté fare altro che rimanere lì impalato, dopo aver raccolto la valigia, guardando William discutere con lei e ricominciare a seguirla, per la terza volta, su per le scale.
"Candy...".
"Candice!".
"Certo, come vuoi. Ascolta, non puoi mandare tutto all'aria per questo, ti ho già spiegato che ho avuto i miei motivi...".
"I tuoi motivi?! Come quando mi hai fatto credere di essere un vagabondo e hai ordinato una stupida caccia alla volpe?!".
"Anche queste cose le avevamo superate, mi sembra!".
Si gridavano l'un l'altro mentre avanzavano sulle scale e Candy si agitava tanto che George temette seriamente potesse cadere da un momento all'altro. Lei diceva una frase voltandosi a mezzo busto e lui, come una specie di Romeo sfortunato, le stava dappresso con le braccia allargate, impotente e arrabbiato mentre le rispondeva.
Il balletto andò avanti senza che nessuno dei due desse cenno di curarsi della servitù che poteva udirli. Dalle cucine, infatti, fece capolino il cuoco. George agitò una mano e la testa per comunicargli che era tutto sotto controllo.
Strinse la borsa come traendo coraggio e si decise a fare qualcosa che non avrebbe mai creduto di poter fare negli anni passati e fino a quel momento.
Li seguì.
Man mano che si allontanavano nel corridoio del piano superiore, poteva udire i passi fare rumore sul pavimento e le voci affievolirsi.
"D'altronde, ho la valigia della signorina Candy... Candice", disse a se stesso a bassa voce.
La realtà era che voleva fare qualcosa, persino intervenire se si fosse reso necessario, a costo di farsi insultare da lei. Non poteva sopportare di vedere il suo ragazzo soffrire a quel modo e la ragazza solare di una volta trasformata in una furia senza motivo apparente.
William doveva averle raccontato di quando aveva perso la memoria. Possibile che il fatto di aver vissuto insieme a lui l'avesse sconvolta a tal punto?
No, doveva esserci qualcos'altro ed era fermamente intenzionato a scoprirlo.
Arrivato in cima alle scale sentì una porta chiudersi forte, poi riaprirsi e richiudersi ancora: "Come ti permetti di entrare in camera mia, screanzato? Non viviamo più insieme!", disse la voce attutita della signorina Candy.
"Hai forse paura di me?", rispose William con tono più basso.
"Mi hai baciata contro la mia volontà già una volta! E chissà cosa è successo in quella casa mentre eri senza memoria!".
"Ancora con questa storia?! E poi senti da quale pulpito...!", risata nervosa. "Ti ricordo, cara mia, che sei tu che mi hai baciato a tradimento, a Chicago. Quando è successo nel bosco mi sembravi più che consenziente!".
Ma senti senti...
"Ti sbagli!".
"Oh, non credo proprio...".
"Insomma, cosa vuoi?! Esci subito dalla mia stanza!".
"No!", tuonò William, che sembrava davvero arrabbiato, adesso.
"Lo sapevo, lo sapevo che stavo sbagliando a fidarmi di te, sapevo che la memoria non tornava per un motivo valido! Mi hai abbandonata anche tu!".
Oh, no...
"Non ti ho abbandonata, Candy! Ho dovuto farlo per salvare la tua reputazione!". Decisamente non aveva mai sentito William urlare così, se non quella sera, a Chicago, dopo che gli aveva riferito che i Lagan non sarebbero stati accusati del tentativo di omicidio nei confronti di Candice.
"Se non fossi venuta io da te, avrei dovuto sposare quel... quel...".
"Neal", suggerì lui a voce più bassa. "No, non sarebbe successo. Sarei venuto a saperlo...".
"E quando, visto che eri sparito dalla mia vita come tutti? Dopo che mi avesse sposata? O quando gli avessi dato il primo erede?!".
"La mia presentazione ci sarebbe stata a breve e avrei...". All'improvviso, William era sulla difensiva.
"La TUA presentazione! Il TUO nome, la TUA famiglia, le TUE perdite, il TUO desiderio di libertà! Senti anche tu quanto suona egoistico, William Ardlay? Mi pare che nella TUA vita tu abbia dimenticato un po' troppe volte che esistono anche gli altri!".
Oh, mio Dio...
Il silenzio che seguì gli indicò che Candy aveva colpito e affondato. Non sapeva come William le avesse raccontato la sua vita, ma lei aveva distorto gravemente le cose, rinfacciandogli una realtà che non esisteva.
La risposta fu sommessa e pregna di un tale dolore che gli si strinse il cuore. Dovette avvicinare quasi l'orecchio alla porta per udirla: "Tutto quello che ho fatto da un certo punto in poi è stato solo per il tuo bene, Candy...".
Chiuse gli occhi, sconfitto. Se quella era la fine delle loro speranze, avrebbe raccolto i cocci di William per i prossimi anni.
"Sì, l'ho già sentita questa. Ora, per favore, lasciami sola".
George si allontanò velocemente, pronto a scusarsi con William per avere origliato in modo così sfacciato ma, quando uscì, lui lo degnò a malapena di uno sguardo e gli prese di mano la borsa.
Si voltò di nuovo, con aria stanca, per bussare: "Candice, la tua va...".
La porta si aprì di scatto, lei allungò una mano con il viso contratto in una smorfia per riprendersela e, prima ancora che William potesse aprire bocca, gli chiuse l'uscio a pochi centimetri dalla faccia. Lui sussultò appena, con gli occhi chiusi.
Vi poggiò la fronte, le mani con i palmi aperti sulla porta come se volesse trasmetterle i suoi sentimenti attraverso il legno.
George provò una pena immensa.
William fece un respiro profondo e cominciò a camminare verso lo studio: sembrava essere invecchiato, tanto camminava curvo.
"Posso... fare qualcosa, Albert?", lo chiamò col suo nome e lui si fermò.
Voltò appena il capo e poté vedere solo parte del suo profilo: "No, l'unico che può convincere Candy a restare, adesso, è Adrian. Se non ci riesce neanche lui significa che l'ho persa definitivamente. Forse avrei dovuto raccontarle qualche bugia, invece della verità, a quest'ora non saremmo a questo punto".
Riprese a dirigersi verso lo studio del primo piano senza dire altro ma George, da dove si trovava, poté udire i singhiozzi sommessi della signorina Candy.
Perché, mio Dio, perché tanta sofferenza? Eppure sono certo che, se solo lei volesse, potrebbe ricordarsi di lui e di noi tutti...
Ma gli apparve evidente che Candice non voleva affatto.
- § -
Terence si sentiva un'anima in pena e aveva già litigato due volte con sua madre. Tutto era cominciato dopo la visione del film che, nonostante le sue basse aspettative, non era così male come immaginava.
D'altronde, se Eleanor Baker aveva successo al cinema un motivo ci doveva essere e quel regista, anche se abbastanza fuori dagli schemi e per nulla simpatico, sapeva come valorizzare le capacità degli attori, anche quelli meno dotati.
La sua sorpresa era stata di breve durata perché, una volta usciti dalla sala, era ricominciato l'assedio dei giornalisti e lui voleva solo trovare Karen e spiegarsi con lei. Ma, nella confusione generale e sotto l'insistenza del regista che voleva per forza che rilasciasse interviste e posasse per foto, l'aveva persa di vista.
Quando alla fine la folla si era diradata e gli ultimi avventori stavano lasciando il cinema, Terence aveva individuato Eleanor che parlava con un fotografo e le aveva chiesto: "Dov'è?".
Lei gli aveva messo una mano intorno alle spalle, portandolo in un angolo appartato: "Abbiamo chiacchierato insieme poco fa, ma è tornata in albergo perché il viaggio l'ha stancata molto. Mi ha detto che il film le è piaciuto e di salutar...".
"Ma che vuoi che m'importi di cosa pensa del film?! Perché l'hai lasciata andare via?!", aveva ribattuto lui con rabbia.
Il viso bello ma accigliato della madre gli aveva ben fatto presagire la sfuriata successiva: "Ascoltami bene, Terence Graham", aveva sibilato con tono pericoloso, "Karen è mia ospite e se non l'avessi invitata io tu saresti ancora lì a stracciare lettere mai scritte, struggendoti come un adolescente intimorito! Se veramente sei innamorato di lei, muovi le gambe e vai a dirle la verità, evitando scene come quella di prima".
Il suo dito lo aveva colpito, implacabile, sul torace a ogni singola frase.
"Ma l'ho solo baciata!", si era difeso.
"Esattamente! Quello viene dopo, prima devi dichiararti. Possibile che ti debba dire tutto io?".
Se solo sapessi, mamma, quanto abbiamo bruciato le tappe...
Quello pensava, mentre andava dalla sua camera alla porta d'ingresso come un'anima in pena. Perché non trovava il coraggio di andare in quell'albergo e fare quel salto?
D'istinto, si diresse verso la scrivania e aprì il cassetto dove aveva riposto la risposta di Albert alla sua lettera: gli parlava di Candy e dei suoi progressi, ma non solo. Sedette sulla sedia a rileggere la parte che gli interessava, come se stesse parlando con il suo amico in quel preciso momento:
...il dottor Carter dice che Candy ha sviluppato una specie di timore nel lasciarsi andare a sentimenti amorosi ed è per questo che il passato è bloccato nella sua mente. Amare vuol dire sofferenza, ricordare significa rivivere quel dolore. Mi spiace dirti queste cose, non voglio instillarti sentimenti di colpa, so come andarono le cose con Susanna e posso dirti, nonostante abbia visto Candy soffrire molto in quel periodo, che capisco perfettamente le ragioni che ti hanno portato a fare quella scelta. Credo che ognuno di noi l'avrebbe fatta.
Terence chiuse gli occhi e sospirò: il destino era stato strano. Se non fosse rimasto con Susanna e avesse davvero chiesto a Candy di sposarlo allora, senza darle la possibilità di comprare quel maledetto biglietto di ritorno, come sarebbe andata a finire? Sarebbero stati comunque infelici? Lei avrebbe scoperto, troppo tardi, di amare un altro uomo?
Col senno di poi, Terence si stava convincendo sempre di più che lui e Candy non si erano mai conosciuti davvero a fondo: il loro rapporto era stato adolescenziale, tormentato, più simile a una tempesta che a una vera storia d'amore. I sentimenti, da soli, non erano bastati a tenerli uniti e forse non lo avrebbero fatto neanche se Susanna non avesse avuto l'incidente.
Ma era inutile continuare a fare tutte quelle supposizioni, come Candy stessa aveva avuto modo di dirgli durante il loro ultimo incontro. Il passato era passato e ora...
...non sai quanto mi faccia piacere sapere che ti stai innamorando di nuovo. Voglio darti un consiglio, prendilo come quello di un fratello maggiore che ha maturato un po' più esperienza di te, almeno nell'ultimo periodo: se è davvero così non lasciarti sfuggire la possibilità di essere felice. Alle volte basta aprire un attimo la mano per farsi portare via quella felicità da una folata di vento.
Terence alzò la propria, di mano, chiusa a pugno: "Basta aprire un attimo la mano...",
"Per Amore non c'è ostacolo di pietra, e ciò che Amore può fare, Amore tenta", così diceva Shakespeare. D'altronde, io sono sempre stato Romeo e lei era la mia Giulietta.
"... per farsi portare via...".
"La felicità è un dono e il trucco è non aspettarla, ma gioire quando arriva". Questo non è Shakespeare, ma Dickens. Hanno capito tutti tranne me, idiota che non sono altro!
La mano si aprì e Terence spazzò via dubbi e timori. Candy era senza memoria, ma lui si ricordava benissimo cosa era accaduto negli ultimi mesi e non l'avrebbe ignorato, mai più.
Afferrò la giacca dall'attaccapanni e volò in strada in cerca di una carrozza o di un taxi. Gli sembrò di stare lì, con un braccio alzato a saltellare come uno stupido per un tempo infinito, quando finalmente un cocchiere si fermò.
"Mi porti al Resort Inn", chiese con le mani che gli tremavano e l'aspettativa che gli faceva accelerare deliziosamente il battito cardiaco. Per fortuna sua madre era stata abbastanza gentile da dirgli dove alloggiava Karen, anche se non aveva mancato di fargli notare quanto fosse stato fin troppo indeciso.
Gli aveva urlato, attraverso la cornetta, che se voleva continuare a comportarsi come un'anima in pena sarebbe stato meglio evitare anche il teatro, o avrebbe rischiato di mandare a monte anche la sua carriera di attore.
Quello era stato il secondo litigio nel quale, a dirla tutta, lui aveva risposto solo a monosillabi: Eleanor aveva ragione.
Gettò i soldi della corsa letteralmente in grembo al cocchiere, il quale andò via borbottando un "che modi!", che udì appena. Si precipitò alla reception, dove chiese dei lei e, ancora una volta, ebbe il sospetto che il tempo si dilatasse all'infinito mentre l'uomo compìto sfogliava con gesti lenti il maledetto registro.
Stava per intimargli di sbrigarsi quando le sue parole lo gelarono: "Mi spiace, ma la signorina Kleiss ha lasciato l'albergo un'ora fa".
"Che cosa?!", esclamò lui sbattendo le mani sul bancone, protendendosi verso quell'uomo quasi potesse fare qualcosa come riavvolgere il tempo.
"È andata via", ripeté accigliandosi.
Terence trattenne a stento l'impulso di scavalcare il bancone e afferrarlo per i lembi della sua ridicola giacca rosso mattone: "Dove, dove è andata?!", domandò sapendo che il receptionist poteva anche non esserne a conoscenza.
La fortuna, però, gli sorrise: "Ha chiesto un'auto per andare alla stazione centrale, ma è tutto quello che...".
"Grazie!", gridò mentre volava, letteralmente, di nuovo in strada. Avrebbe offerto dieci volte la corsa in taxi a chi gli avesse permesso di giungere a destinazione alla velocità della luce.
- § -
Il treno era in ritardo e Karen si chiese, ancora una volta, perché avesse accettato quell'invito da Eleanor. Davvero aveva pensato che Terence le avrebbe detto quello che avrebbe voluto sentirsi mormorare al chiaro di luna, neanche fossero davvero in un teatro o su un set cinematografico?
Lei, così realista e poco avvezza al romanticismo, non poteva sul serio aver sognato un finale da romanzetto rosa.
"Stupida illusa!", borbottò sistemandosi la valigia accanto ai piedi, mentre sedeva sulla panca e lanciava un'altra occhiata all'orologio. Ne aveva abbastanza di quella città e di quelle illusioni, magari avrebbe raggiunto sua madre in Europa, dove era andata in viaggio, e si sarebbe fatta una meritata vacanza.
Magari avrebbe davvero incontrato qualcuno che l'avesse apprezzata per quella che era.
Terence le aveva rubato un altro bacio senza dirle nulla ma, soprattutto, l'aveva fatto davanti a tutti come se fossero fidanzati. Una cosa era stata darsi a lui lontano dai riflettori e mettendo bene in chiaro le cose, un'altra sarebbe stato rendere pubblico qualcosa che non si sarebbe mai verificato.
Di nuovo, ripensò alla sua telefonata sibillina, di nuovo rifletté che Terry doveva essere solo molto confuso.
Eppure...
Il fischio del treno la fece voltare di scatto. Finalmente stava arrivando.
Non mi ha cercata dopo la prima, quindi è tutto molto chiaro. Devo smetterla di pensarci.
Si asciugò una lacrima furtiva, riflettendo che non era tipo da piangere facilmente e che l'aveva fatto solo con Terence. Si alzò, afferrando la valigia e guardò, come in sogno, il treno entrare in banchina e sbuffare mentre si fermava.
Senza voltarsi indietro, col cuore che pesava più della sua valigia leggera, Karen salì sul mezzo e cercò il proprio posto.
"Karen!".
Quella voce...
No, aveva di sicuro un'allucinazione. Oppure quell'idiota voleva ricambiare il saluto che lei gli aveva fatto quando era partito per Pittsburg. All'ultimo momento, naturalmente.
"Kaaaaren!".
Aprì il finestrino e lo vide che correva come un matto, chiamandola come se ne andasse della sua vita. Il cuore le fece un balzo, ma cercò di mantenere la calma.
Un saluto, è solo un saluto.
"Sono qui, Romeo", lo apostrofò con una risatina. "Smettila di urlare, stai di nuovo attirando l'attenzione di tutti".
Lui la raggiunse e le prese le mani: "Karen, ti prego, non te ne andare", ansimò, senza fiato.
"Di' un po', sei venuto a piedi?", gli chiese ignorando la sua richiesta. Aveva smesso con le illusioni, no?
Terence scosse la testa: "Quel... dannato taxi... ha bucato una ruota a metà strada... quando sono arrivato... mi hanno detto che il treno era in ritardo, per... fortuna". Deglutì, cercando di normalizzare il respiro ma senza lasciarle le mani, che stringeva forte.
"Terence, se hai fatto tutta questa strada per me...".
"Sì! Non posso lasciare che tu te ne vada così, devo parlarti, devo dirti...". Il fischio del treno lo interruppe e lui imprecò tra i denti.
"Grazie per essere venuto a salutarmi, sono felice che il film sia andato bene. Ora lasciami, ti prego, il treno sta per partire", lo supplicò. Non voleva soffrire ancora per lui. Non voleva averlo vicino e perdersi nei suoi occhi, desiderare la sua bocca e quelle mani...
"No, non ti lascerò mai più!", ringhiò. E quelle mani scesero poco al di sopra della vita, afferrandola con forza mentre il motore del treno rombava intorno a loro e il capostazione gridava qualcosa. Terence la tirò via e lei, d'istinto, gli si aggrappò al collo per non cadere ed ebbe persino l'impulso di spingersi in avanti sporgendosi di più.
Se il treno fosse partito, sarebbero finiti entrambi sotto ai binari in quella posa pericolosa e assurda.
Incredibilmente, lui fu così veloce che i piedi si staccarono dal pavimento del treno e ricaddero a terra nel giro di pochissimi, pazzeschi istanti. Karen si girò per vedere il finestrino aperto, dal quale lei si era sporta poco prima, solo per accertarsi che non stesse sognando.
Ora mi bacerà senza spiegarsi e io avrò perso il treno...
Invece, nonostante il suo volto fosse così vicino che avvertiva il suo respiro sulle labbra, Terence si limitò a fissarla con intensità.
"Perché, Terence, perché hai fatto una cosa tanto stupida?", domandò di nuovo sull'orlo delle lacrime.
"Lo stupido sono io, a non avertelo detto prima. Ti amo, Karen Kleiss, ti amo come non ho mai amato nessuna donna nella mia miserabile vita".
Era strano che, mentre il mondo si fermava insieme al suo respiro, il cuore invece sembrasse voler fuggire dal torace e il treno si muovesse alle loro spalle.
Boccheggiò e a Terry dovette sembrare molto simile a un pesce. Molto romantico, davvero. "Cosa hai detto?", pigolò con una vocina che non riconobbe come propria.
"Che ti amo", ripeté lui con l'espressione più seria e intensa che gli avesse mai visto in viso, "e voglio stare con te tutta la vita".
Tutti i suoi buoni propositi divennero foglie al vento. Terence le aveva detto quello che desiderava sentirsi dire, senza mezzi termini, con sincerità cristallina e lei pensava che sarebbe scoppiata dalla gioia. Gli sorrise, con le lacrime che ormai le scendevano sul viso: "Oh, Terence... dici sul serio?", domandò incredula, le mani ancora allacciate al suo collo, quelle di lui che erano scivolate dietro la schiena dopo averla strappata letteralmente via dal finestrino.
"Non sono mai stato più serio in tutta la mia vita. Perdonami se ti ho fatto aspettare tanto, sono stato un vigliacco", rispose con voce vibrante, prima di asciugarle le lacrime con i pollici.
"Mi hai... sempre detto che ero bella e pensavo che...".
"Oh, sì che lo sei. Ma non è solo questo. Amo tutto di te. La tua forza, la tua sincerità, questo sole che splende nella tua anima e ti rende così unica, così... mia...". Le sfiorò il naso col proprio, carezzandolo con la punta e Karen chiuse gli occhi, commossa, attendendo il suo bacio.
Quando capì che non lo avrebbe fatto, li riaprì e lo fissò: "Perché non mi baci?", gli chiese sospettando la risposta.
"Perché ho paura che tu mi prenda a schiaffi e mi spezzi il cuore. Dopo tutto quello che ti ho fatto...".
Infatti...
C'era solo una cosa da fare, tappargli la bocca con la propria prendendo l'iniziativa. E lo fece, tra i fischi delle persone intorno a loro, le urla del capostazione che parlava di gesti pericolosi e polizia e lo sferragliare del treno che si allontanava.
"Anche io ti amo, sciocco", bisbigliò quando si staccò per riprendere fiato.
"Karen, amore mio...". Le prese il volto tra le mani e reclamò ancora la sua bocca, chiedendole di aprirla con il tocco della lingua, deliziandola e accendendola di desiderio...
L'incanto fu interrotto da un pensiero improvviso e Karen si irrigidì, facendo allontanare Terry per guardarla: "Che succede?", domandò ansimando come se avesse corso di nuovo.
"La valigia! Ho lasciato la valigia sul treno!", esclamò gesticolando verso il mezzo che era diventato un puntino fumante all'orizzonte.
Terence scoppiò a ridere e Karen batté un piede a terra: "Non è divertente! Avevo tutto nella borsa... soldi, vestiti, biancheria...", si morse il labbro, rendendosi costo di quello che aveva appena detto.
Lui smise di sghignazzare e le si avvicinò guardandola con intensità tale che le tremarono le gambe: "Non ti servirà nulla di tutto ciò, a casa mia".
E, così dicendo, la prese sottobraccio e la scortò fuori dalla stazione.
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Angolo dei commenti:
Ericka Larios: Purtroppo le speranze si affievoliscono, anche se Albert non si arrende e Candy di certo non rende le cose facili. Per un bacio dato, l'ennesima fuga. Come andrà a finire?
Cla1969: Eliza è andata vicinissimo a fuggire, ma alla fine l'hanno beccata con le mani nel sacco... Terence sta rischiando di perdere qualcosa d'importante, speriamo se ne renda conto prima che sia troppo tardi! Il momento tra Candy e Albert è stato intenso, ma per ora non ha risolto le cose: Candy ha ancora troppa paura. Grazie mille per il tuo commento!
Mia8111: Grazie mille!
Elizabeth: Un bacio non risolve le cose, ma può avvicinare di più Albert e Candy, anche se quest'ultima non ha ancora le idee chiare e teme l'amore... Eliza ha tentato la grande fuga ma è stata colta con le mani nel sacco, ora è in galera! Terry deve muoversi se non vuole perdere Karen! Grazie, un abbraccio!
Charlotte: La sofferenza di Albert e Candy è duplice, anche se lui sembra soffrire di più: nonostante quel bacio, le cose tra loro non si sono appianate affatto e Candy è ancora molto spaventata. Eliza ha avuto quello che meritava: fino a un certo punto il suo piano di fuga ha funzionato, ma non poteva andare molto lontano... Terry a volte è esasperante (come dice Candy di Albert nelle lettere XD), agisce senza pensare: speriamo che metta presto giudizio! Un abbraccio, grazie!
