E adesso andate via
Voglio restare solo
Con la malinconia
Volare nel suo cielo
Non chiesi mai chi eri
Perché scegliesti me
Me che fino a ieri
Credevo fossi un re
Perdere l'amore
Quando si fa sera
Quando tra i capelli
Un po' d'argento li colora
Rischi di impazzire
Può scoppiarti il cuore
Perdere una donna
E avere voglia di morire
Lasciami gridare
Rinnegare il cielo
Prendere a sassate
Tutti i sogni ancora in volo
Li farò cadere ad uno ad uno
Spezzerò le ali del destino
E ti avrò vicino
(...)
E vorresti urlare
Soffocare il cielo
Sbattere la testa
Mille volte contro il muro
Respirare forte il suo cuscino
Dire è tutta colpa del destino
Se non ti ho vicino
Perdere l'amore
Maledetta sera
E raccogli i cocci
Di una vita immaginaria
Pensi che domani
È un giorno nuovo
Ma ripeti non me l'aspettavo
Non me l'aspettavo
(Perdere l'amore - Massimo Ranieri)
Domandarsi perché quando cade la tristezza in fondo al cuore
Come la neve non fa rumore
E guidare come un pazzo a fari spenti nella notte per vedere
Se poi è tanto difficile morire
E stringere le mani per fermare qualcosa che è dentro me
Ma nella mente tua non c'è
Capire tu non puoi
Tu chiamale se vuoi emozioni
(Emozioni - Battisti- Mogol)
Mentre scrivevo ho ascoltato le seguenti canzoni della colonna sonora dell'anime di Candy Candy, vi consiglio di cercarle su Youtube e metterle in sottofondo quando leggete le parti che riguardano Albert, ma in questo ordine: Camino a la esperanza, Takeo Watanabe (per il primo paragrafo) - Un muy triste adios, Takeo Watanabe (per il terzo paragrafo). Grazie!
Di colline, lacrime e corse a perdifiato
Aveva guidato fino alla prima cittadina, da dove aveva mandato un telegramma a George.
Sto tornando a Lakewood da solo. Non cercarmi per un po'. Mi farò vivo appena possibile. Dammi solo un po' di tempo.
Sapeva che lui avrebbe capito, non serviva spiegare altro.
Aveva comprato qualcosa da mangiare, intenzionato a dirigersi verso la villa subito dopo. Ma l'incarto era rimasto sul sedile del passeggero, intatto, e lui tamburellava con le dita sul volante senza avere il coraggio di prendere quella direzione.
Voleva correre da lei, tornare indietro, accertarsi che fosse davvero finita.
Prima ancora di rendersi conto di quello che stava facendo, aveva avviato l'auto e stava sfrecciando di nuovo alla volta della Casa di Pony.
Come un pazzo, irrazionalmente.
Si era infilato in uno sterrato tra i boschi, aveva abbandonato la vettura ed era sceso a piedi, diretto nell'unico luogo dove avrebbe potuto togliersi ogni dubbio residuo.
Semmai ci sia, qualche dubbio. L'unico dubbio che ho è sulla mia sanità mentale.
La Collina di Pony.
Lì, dove aveva fallito, dove l'aveva persa e ritrovata tante volte. Dove si erano dati l'ultimo addio con una fredda stretta di mano.
Non c'era nessuno, nemmeno lei.
Sei già andata via, Candy? O sei dentro a quella casa laggiù, a preparare le tue valigie? Ti stai ricordando di me o stai pensando a quando rivedrai Terence? E io, dannazione, perché sono di nuovo qui?
Doveva andarsene, doveva farlo subito. Il sole stava già iniziando la sua discesa. E lui la propria.
Albert voltò le spalle alla Casa di Pony, ma l'istinto e il cuore lo tradirono e lanciò un'ultima occhiata dalla spalla come se potesse vederla.
Era già accaduto.
L'avrebbe chiamato e si sarebbe gettata fra le sue braccia, baciandolo e dicendogli che lo amava.
Ma no... Candy non era lì con lui. Non lo sarebbe stata mai più, anche se era viva: se ne sarebbe andata in giro per il mondo, forse avrebbe amato qualcun altro e lui non l'avrebbe mai avuta fra le sue braccia com'era stato per quel breve, fugace periodo.
Il più intenso, il più importante e profondo della sua vita.
Mai.
Mai avrebbe dimenticato il sapore dolce delle sue labbra, il suo respiro tremante e la sua tenera timidezza da ragazzina. Mai avrebbe potuto provare sensazioni così sublimi solo ascoltando il suono della sua voce accanto a sé, sapendola innamorata di lui. E di lui solo.
Era stato padrone del suo cuore per un brevissimo istante e la sua felicità aveva toccato picchi inimmaginabili.
Ma era finita, doveva lasciarla andare, essere lieto della serenità che avrebbe trovato, anche se lontano da lui.
Come era sempre stato.
Il vento gli accarezzò il viso come Candy non avrebbe mai fatto, con la dolcezza di un'amante. E portò via le sue lacrime, quelle lacrime che non poteva più trattenere e che lasciò scorrere libere sul suo volto, aprendo le braccia per accogliere il refolo assieme alla tristezza, sperando che potesse portarla un po' via, insieme al pianto.
Ma non accadde e lui lo lasciò semplicemente fluire fuori di sé, sapendo che quel dolore non sarebbe mai finito davvero, che nessuno lo avrebbe mai asciugato.
"Addio, amore mio", mormorò con voce tremante, inspirando l'aria tiepida dell'estate e il profumo dei fiori che gli ricordava la sua pelle.
Prostrato, cadde in ginocchio, posò le mani sul terreno e singhiozzò per lunghi minuti, senza consolazione, come un disperato qualsiasi.
Si ricompose a stento, passandosi un braccio sugli occhi.
Non credevo che avrebbe fatto così male. Oh, Candy...
Chinando la testa, volse per la terza volta le spalle alla Collina di Pony e se ne andò. Nessuno lo chiamò. Nessuno gli disse che era un errore, che in realtà c'era una speranza.
Candy era viva ma la speranza era morta.
Camminò finché le gambe non gli fecero male, pianse finché non ebbe più lacrime da versare, pensò finché non ebbe più ricordi da ricordare.
Infine, decise che era ora di tornare a casa. Alla sua vita fredda, ai suoi impegni di patriarca.
Era il suo destino e sarebbe stato abbastanza uomo da rialzarsi ed accettarlo.
Era il suo destino, quello che non era Candy.
- § -
Candy per poco non si scontrò con suor Lane. Rimase a fissarla un attimo, con il cuore che le batteva quasi fuori dal petto e il respiro affannoso.
Suor Lane, Miss Pony... vi chiedo perdono...
"Dov'è, dov'è Albert?!", gridò, posando le mani sulle spalle della donna, sapendo benissimo che avrebbe dovuto dirle mille altre cose, abbracciarla e darle spiegazioni.
Pensò che aveva fatto qualcosa del genere tanti anni prima, quando aveva capito che Terence era andato a trovarla alla Casa di Pony e si erano mancati per un soffio.
La donna sbatté le palpebre, confusa: "Credo che se ne sia andato ieri verso l'ora di pranzo... ma che ti succede, stai bene? Hai dormito per quasi ventiquattr'ore, hai avuto la febbre e...".
E nel frattempo lui è andato via, magari partito per chissà dove, dopo che l'ho trattato così male! Oh, Dio...
Candy capì che la marea di emozioni che stava provando doveva essere condivisa con qualcuno che avrebbe capito e, senza pensarci più, si gettò fra le braccia della donna: "Oh, suor Lane, mi dispiace, mi dispiace così tanto avervi fatto preoccupare!".
Sentì la donna irrigidirsi e poi emettere un gridolino: "Candy...? Tu... hai recuperato la memoria?".
Strozzata dai singulti, con la mente leggera come una piuma che si libra in aria, lei annuì tra le lacrime: "Sì, sì! Mi ricordo di tutto, mi ricordo di voi, dei bambini... di tutti voi!", gemette singhiozzando.
"Oh... oh, mio Dio ti ringrazio! Candy... Candy!". La strinse forte, piangendo a sua volta. Non l'aveva mai sentita piangere così. E mentre aveva ancora il viso sepolto nella spalla di suor Lane, accecata dalle lacrime, sentì un rumore forte di qualcosa che si frantumava a terra e l'esclamazione di stupore di Miss Pony. La chiamò per nome, si strinse in quell'abbraccio e si unirono altre voci, braccia più minute, gridolini, salti, urla di gioia.
Era immersa in un abbraccio collettivo tra le sue madri e i bambini della Casa di Pony e il cuore vuoto si colmò di un amore così grande che pensò potesse esploderle. Ma non aveva paura, lo accolse con una gioia che le riempì l'anima.
Tuttavia non poteva rimanere lì ferma a lungo: c'era qualcosa che doveva fare e doveva farla subito, prima che fosse troppo tardi.
"Vi prego", pianse appoggiandosi alle due donne e cercando un sostegno, "sapete dove è andato? Io... lo amo tanto!".
Loro sorrisero fra le lacrime. "Mi dispiace, tesoro mio, non è venuto a salutarci. È andato via ieri e non abbiamo idea di dove sia. Forse a Chicago...".
Candy cercò di riprendere il controllo: "Perdonatemi, vi prego, perdonatemi tutti. Vi giuro che tornerò prestissimo, che vi racconterò tutto. Ma ora ho bisogno di un telefono. Non ne avevamo fatto installare uno?", chiese trafelata.
"Sì, ma la nostra linea ha avuto problemi dopo la tempesta di qualche giorno fa e il tecnico ha riparato solo quello della Clinica Felice, sarà da noi tra qualche...". Suor Lane le dovette leggere nello sguardo e la consapevolezza calò anche sul suo volto.
"Bambini, potreste chiedere a Tom di raggiungermi alla clinica con il calesse, quando verrà a portarvi il latte? Credo che avrò bisogno di un passaggio alla stazione". Loro urlarono un "sì" così forte e chiaro che scoppiò a ridere.
Quanto tempo era che non rideva così? Quante cose si era persa a causa di quella personalità malamente distorta che si era impossessata di lei come un'entità malvagia?
Con le ali ai piedi, tornò nella sua stanza solo per afferrare le proprie cose e riporre con cura il carillon di Stair nella borsa.
Grazie, amico mio. Il tuo carillon fa sentire davvero felici e guarisce da ogni male.
Uscì dalla Casa di Pony e corse. Corse come non aveva mai fatto in vita sua.
- § -
Il silenzio.
A Lakewood lo aveva accolto il silenzio.
Il giardino delle rose era di una bellezza struggente ed era pregno di ricordi così come del profumo stesso delle rose.
Le Dolce Candy di Anthony.
Albert lo superò velocemente, senza più guardarsi indietro, senza attardarsi nell'aria tiepida della notte e smise persino di respirare per non avvertire quell'aroma carico di nostalgia.
Con mani tremanti, tirò fuori le chiavi e aprì la porta principale, che emise un breve cigolio. Sinistro, come il benvenuto della villa vuota.
Odiò persino il rumore dei propri passi sul pavimento, sulle scale, nel corridoio del piano superiore, dove si trascinò con la lentezza di un uomo anziano con una vita sulle spalle. Il sacco gli pesava enormemente e Albert realizzò, d'improvviso, che non mangiava nulla da quella mattina.
Il vecchio zio William fa i capricci e si rifiuta di nuovo di mangiare...
Ci avrebbe ripensato l'indomani. Alla luce del sole, forse, le cose avrebbero assunto contorni meno tristi. Oppure sarebbero stati vividi come i ricordi, accecandolo.
Buttò la sacca sul pavimento della sua stanza chiedendosi se doveva tirare fuori il kilt e riporlo nell'armadio perché non si rovinasse. Ma rinunciò.
Non mi servirà nell'immediato. Anzi, forse non lo indosserò più.
Sì, erano pensieri infantili, da bambino immaturo. E, sì, lo era anche il fatto che stesse dirigendosi verso lo studio per versarsi un bicchiere di whisky a digiuno, sapendo benissimo l'effetto che gli avrebbe fatto.
Ma era solo in casa sua, non doveva guidare e voleva solo che la sua mente si spegnesse e smettesse di proporgli le immagini di Candy felice, Candy che danzava alla Casa di Pony alla luce della luna tenendosi l'orlo del vestito con le mani, Candy che piangeva fra le sue braccia, Candy che lo baciava nelle stalle...
Mandò giù il primo sorso e la gola arse. Arsero gli occhi che, incredibilmente, trovarono altre lacrime da versare.
Non è più Candy la piagnucolona, qui, sono diventato io. Tornerò mai a essere quello di una volta?
Si portò la bottiglia in camera e la poggiò sul comodino, quindi si stese sul letto, con la schiena poggiata sulla testiera, sorseggiando quella specie di veleno.
Ma non fece scenate da ubriaco o da uomo disperato qual era, cominciando a gridare o a lanciare oggetti, come aveva avuto l'impulso di fare. Il torpore lo raggiunse al secondo bicchiere e lui si rannicchiò sulle coperte, ancora vestito, con una lacrima che scivolava lungo il naso e cadeva sul cuscino.
Il suo sonno fu tormentato come quello della notte precedente ma stavolta, a ogni addio di Candy, lui precipitava in un baratro buio e fetido.
- § -
Il dottor Martin pensò di avere le allucinazioni: guardò la bottiglia di whisky e cominciò a sospettare che, forse, avevano ragione a dirgli che non doveva bere durante il lavoro.
Eppure, mentre riponeva gli strumenti che aveva appena usato per suturare una ferita a un piccolo paziente con un ginocchio sbucciato, alzò gli occhi verso la finestra per un istante e la vide per davvero.
Candy stava correndo con una borsa a tracolla che le sbatteva addosso nel movimento frenetico e non aveva nulla della Candy del giorno prima, sembrava piuttosto...
Oh, santi Numi, possibile?
Inciampando sul tavolino basso al centro della stanza, il poveretto si precipitò verso l'entrata, spalancando la porta mentre lei lo chiamava a gran voce.
"Candy!", articolò senza fiato.
Un secondo dopo, lei lo stava stritolando in un abbraccio così forte che non ricordò di averne mai ricevuto uno simile, neanche dalla sua fidanzata di qualche decennio prima.
Titubante, alzò una mano per darle leggere pacche sulla schiena: "Candy, che ti è successo?", domandò immaginandolo, ma non osando sperare tanto.
"Albert... è qui? Lo ha visto? La macchina non c'è più... Un telefono, mi fa usare il suo telefono?", ansimò inframmezzando le parole con respiri tremuli, gli occhi erano rossi.
Il dottor Martin le afferrò le mani gelide e cercò di calmarsi a sua volta: tra lei e Albert gli stavano seriamente facendo rischiare un infarto.
"Ci siamo visti ieri ma è andato via dopo...", non ebbe il coraggio di continuare perché Candy abbassò la testa e prese a singhiozzare. Gli strinse forte le mani, come traendone forza.
"Ho fatto stare male tutti quanti... Come stava, come stava il mio Albert quando l'ha visto?", chiese come una supplica.
Non se la sentì di mentirle: "Ragazza mia, non posso dirti che non fosse provato. Era furioso, frustrato, sull'orlo delle lacrime... devi raggiungerlo, ti ama più della sua stessa vita. Ha rinunciato a te pur di vederti felice, anche perché non gli avevi lasciato altra scelta. Ma la sua sofferenza era palpabile".
Candy gli lasciò le mani e nascose il viso nelle proprie, piangendo più forte, sconsolata: "Sono stata una stupida, una vera stupida... come ho potuto... come ho...?".
Commosso, il medico pescò un fazzoletto dal taschino della camicia e glielo porse: "Ora calmati, Candy, non ti fa bene affliggerti così. Non è stata affatto colpa tua: la modifica della personalità in caso di perdita di memoria è una conseguenza abbastanza diffusa, anche se gli studi in merito sono limitati. L'importante è che ora tu sia tornata fra noi", concluse sorridendole.
Lei annuì, asciugandosi gli occhi e ridandogli il fazzoletto: "Voglio telefonare a Chicago e sapere se è lì. Oddio, sto tremando, no so neanche se riuscirò a parlare!".
"Vuoi che ti dia un calmante o preferisci un po' della mia speciale medicina?", le chiese tra il serio e il faceto.
La sua reazione lo riempì di gioia e lo fece ridere di cuore: "Nessuna delle due, grazie. E, riguardo alla sua medicina, come la chiama lei, stia attento! Ora che la vera Candy è tornata saprà sempre più spesso di acqua di fiume!".
"Oh, povero me!", proruppe in una risata. "Vai a telefonare a quel povero ragazzo, adesso, corri!".
Ma Candy lo sorprese ancora una volta e, prima di correre via quasi saltellando, gli scoccò un bacio sulla guancia e mormorò un sincero "grazie" che gli sciolse il cuore.
Con un verso di disappunto, Martin si trovò a dover usare a sua volta il fazzoletto mentre la guardava allontanarsi.
- § -
George stava studiando i documenti della banca quando la cameriera bussò alla porta. Aveva sentito squillare il telefono ma non voleva interrompere il suo lavoro: non sapeva bene per quanto tempo avrebbe dovuto occuparsi degli affari di famiglia da solo, ma non era quello a preoccuparlo.
Ad avergli fatto cadere un peso sul cuore era stato il telegramma di William che poneva fine a ogni speranza di riavere tra loro la signorina Candy, almeno nel breve periodo.
Saperlo solo e quasi certamente disperato a Lakewood non gli andava giù neanche un po', ed era sua intenzione sbrigare gli affari più urgenti per raggiungerlo ed accertarsi che stesse bene.
Non aveva mai fatto una cosa simile, neanche quando gli aveva annunciato che se ne sarebbe andato in Africa. Ma quello era un altro William. Il William che, nonostante i colpi della vita, aveva gambe forti e spalle solide, oltre a una missione importante: proteggere una ragazzina orfana di cui si sarebbe poi perdutamente innamorato.
In pochi mesi, aveva visto quel William soccombere sotto ai bombardamenti implacabili di un destino avverso che pareva davvero essersi accanito. Soprattutto, quel destino aveva toccato la sua sfera più profonda, strappandogli in modi diversi quello che di più prezioso aveva nella vita e che non erano certo le ricchezze materiali.
Sapeva che, con il tempo, si sarebbe rialzato e avrebbe continuato ad andare avanti per la sua strada, come aveva sempre fatto, ma era anche sicuro che non sarebbe mai più stato lo stesso.
A meno che non si compisse un miracolo.
Quando la cameriera gli annunciò che al telefono c'era la signorina Candice che aveva bisogno di parlargli con urgenza, George alzò la testa di scatto, la bocca spalancata, la penna che rotolò lungo la scrivania e cadde sul pavimento.
Cosa stava osando sperare? Con tutta probabilità lo chiamava per parlargli dei documenti dell'adozione, che già erano stati parzialmente compilati e mancavano solo della firma di William. Forse, prima di andarsene in giro per il mondo, desiderava completare quell'aspetto.
Eppure, fu con il cuore che gli rimbombava nelle orecchie che alzò la cornetta e rispose in maniera così composta che sembrava stesse parlando a uno dei loro investitori.
"George! Ti prego, dimmi dov'è Albert!", quasi gli gridò in un orecchio, facendolo sobbalzare.
Colto alla sprovvista e sommerso da una marea di emozioni diverse, George rimase senza parole. Provò a formulare la risposta ma emise un verso quasi strozzato.
"Ti prego, mio Cavaliere Bianco, dimmi se Albert è lì!", aggiunse lei con il pianto nella voce, spazzando ogni dubbio residuo.
Solo la vecchia Candy lo chiamava Cavaliere Bianco. E la vecchia Candy era tornata.
"Lui", si schiarì la voce, rendendosi conto a malapena che stava cominciando a piangere. Perché anche lui era un essere umano con dei limiti. E quei limiti li aveva superati a sua volta da un po'. "Si trova a Lakewood, da solo. Vuole che la venga a prendere?", si propose, cercando di controllare il tremito violento della voce e della mano che stringeva sulla cornetta.
"No, no, grazie George, sto per prendere un treno, sarà più veloce". Di certo era così, ma era anche sicuro che volesse stare sola con lui, in quel momento, e ne aveva tutte le ragioni. "George?", lo chiamò con una breve risatina.
"Sì, signorina Candy?", rispose asciugandosi gli occhi.
"Stavolta non devo passare dal retro, vero?".
George scosse forte la testa, ben sapendo che non poteva vederlo, ma di nuovo privo di voce. Alla fine, riuscì a dirle: "Entri dalla porta principale, lo trovi e lo renda felice. Non sa quanto mi fa piacere riaverla di nuovo tra noi...".
"Grazie, grazie, George... ti voglio bene! A presto!".
Sopraffatto dalla commozione, l'uomo crollò a sedere sulla poltrona. Rise in mezzo a lacrime di gioia e sperò ardentemente che nessuno entrasse in quel momento.
Invece, con suo sommo imbarazzo e disappunto, la cameriera era ancora sulla porta e si stava soffiando rumorosamente il naso. Aveva di certo assistito a tutta la conversazione.
"Mi... mi perdoni, ma quando ho sentito la signorina con quel tono di voce che non udivo da tanto tempo non ho saputo resistere alla tentazione e...".
George si ricompose velocemente e alzò una mano per interromperla: "Massimo riserbo, mi raccomando. Si tratta di un momento molto delicato e sarà William a dettare i tempi. La signora Elroy per ora non deve sapere nulla".
"Va bene", annuì quella ritirandosi con un inchino e chiudendo la porta.
George prese un respiro profondo e guardò fuori dalla finestra: era una giornata meravigliosa e quel sole sembrava intenzionato a splendere anche sul loro futuro, adesso.
Per la prima volta dopo il buio dell'inverno, George sentì che era davvero estate piena.
- § -
Candy si perse nell'ennesimo abbraccio, quello di Tom, che l'aveva vista smemorata per poco, ma che era ugualmente emozionato all'idea che fosse tornata quella di sempre.
Ma non era più tempo per le lacrime, anche se amava tutti loro: adesso Tom doveva portarla alla stazione e non per andare a New York, ma a Lakewood.
Lì c'era l'uomo della sua vita, colui che aveva sofferto forse più di tutti, colui a cui voleva dedicare il resto della propria esistenza da quel momento in poi. Senza riserve, senza barriere, sfidando la società, il mondo e il cielo stesso.
Voleva perdersi fra le sue braccia e non lasciarlo più, vivere l'emozione traboccante di quell'amore che era quanto di più bello e folgorante avesse mai provato in vita sua. Non il sentimento dolce e platonico per Anthony; non la passione giovanile per Terence; ma l'amore maturo di una donna che desiderava unire anima e corpo all'unico che potesse davvero renderla completa.
Quello che c'era sempre stato per lei.
Una parte di sé comprendeva come, senza memoria e con la personalità cambiata, avesse temuto l'intensità di quel sentimento. Ma sapeva che Albert l'amava e che non c'era ostacolo che non potessero superare insieme, quindi vi si abbandonò tremando per l'aspettativa, desiderando essere già lì con lui.
Eppure, mentre Tom spronava i cavalli al galoppo e attraversavano il paese, Candy si rese conto che c'era un'ultima cosa da fare prima di prendere quel treno.
"Tom, fermati un attimo!", lo pregò quando vide una panetteria aperta.
Lui la guardò stralunato, poi tirò le redini e fermò i cavalli, facendo stridere le ruote: "Che succede?", gli chiese.
"Devo andare a comprare una cosa, aspettami qui un secondo", disse mentre saltava giù e correva verso il negozio.
Quando tornò, lui le stava rivolgendo uno sguardo interrogativo: "Andiamo, Tom, sbrighiamoci. Devo arrivare da Albert quanto prima o mi scoppierà il cuore", disse sorridendo.
Mentre si lanciavano di nuovo al galoppo e lui le scoccava occhiate comprensive, Candy seppe che, stavolta, la sua corsa verso la stazione sarebbe stata l'ultima prima di una vita radiosa.
Fine quarta parte
Sì, certo che c'è una quinta parte e inizierà il prossimo venerdì, con il consueto aggiornamento ;-)
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Angolo dei commenti:
Cla1969: Grazie di cuore per le tue parole, spero ti sia piaciuto anche questo capitolo!
Sandra Castro: Ebbene sì, alla fine... la memoria è tornata! Capisco bene il tuo mix di emozioni, il loro incontro sulla collina è andato davvero storto, ma adesso Candy sta correndo da Albert: farà in tempo a trovarlo? Albert è un uomo distrutto, ma alla fine si è anche rassegnato...
Ericka Larios: E ovviamente, nel momento in cui Candy finalmente si ricorda tutto, Albert è già andato via, rinunciando. Sarà davvero tutto perduto a un soffio dalla risoluzione? Tu continua a fare il tifo e tieni le dita intrecciate, che serve sempre! XD
Charlotte: Carissima, temo che ti serviranno altri fazzoletti XD Candy ricorda tutto, la sua memoria è finalmente tornata, ma... Albert se n'è andato e lei deve correre! Un abbraccio!
Elizabeth: Troppe lacrime dovremo versare ancora dietro a questi due XD La memoria è tornata un po' troppo tardi e ora Candy deve correre per raggiungere il suo Principe: dove sarà andato, di preciso?
Dany Cornwell: Prometto che da questo capitolo in poi aggiungerò una fornitura di fazzoletti: ne serviranno a pacchi! Anche io continuo ad avere voglia di picchiare Candy per quanto fa soffrire il nostro povero Albert, ma da un lato non è neanche colpa sua, se vogliamo... Ora, finalmente ha ricordato e corre, corre da lui!
Mia8111: Grazie di cuore!
