Cosa devo fare?
Fisso qualcosa, con insistenza probabilmente, ma non vedo cosa. Stringo
qualcosa di freddo nella mano, ma non la riconosco. Sento qualcuno parlare,
non so che dice, non distinguo le parole. Il mio corpo è lì, ma io sono
altrove; In quella stanza poco illuminata, pervasa da un odore acre; vedo,
lo vedo, è davanti a me, immobile; sorride, o meglio, ghigna. Risento il
tocco freddo delle sue dita, il suo sussurro tagliente, le parole, quelle
parole.
Non puoi più tirarti indietro.
- Tesoro, ti senti bene? - Sussulto. Le immagini spariscono velocemente. Il
volto di mamma mi appare davanti, mi guarda in modo strano, sospettoso.
- si certo. Sto benissimo. - Sorrido. Lei mi scruta, non è molto convinta.
- CARA è TARDISSIMO! DOBBIAMO ANDARE AL LAVORO! - la voce del babbo mi
salva. Mamma distoglie lo sguardo dal mio volto, vuota la tazzina di caffè.
Il babbo entra in cucina, mi schiocca un bacio sulla guancia, poi prega
mamma con lo sguardo: ti vuoi sbrigare? Lei si alza lentamente e prende la
borsa. Escono. Tiro un sospiro di sollievo. Mi aspettavo la domanda
cruciale.
Dove sei stata ieri sera?
Mamma è cambiata. Non me ne dovevo meravigliare. Una volta le dicevo tutto,
e ora? Quando mi chiede dove vado rispondo con un in giro e poi mi dileguo
chissà dove. sono io quella cambiata, non lei.
Cosa mi era saltato in mente? Accettare una proposta del genere, senza
pensare alle conseguenze, solo per del potere. Avevo un famiglia che mi
voleva bene, la scuola in cui andavo era la migliore di tutto il mondo
magico, ero rispettata e ammirata, se non da tutti, da una buona parte dei
compagni e dei professori. Avevo degli amici. Ho rinunciato a tutto questo
per cosa? Con cosa li ho barattati? Con un desiderio, un illusione.
Desideravo essere potente; ho solamente un padrone.
Non puoi più tirarti indietro.
Guardo la tazza. è piena fino all'orlo, solo un colpo e si rovescia. La
spingo, cade. Pezzi di ceramica, un macchia di latte si allarga sul
pavimento. Prendo il cestino del pane; lo lancio. Non so dove. non lo vedo,
le lacrime offuscano la mia vista.
Non puoi più tirarti indietro, non puoi più, non puoi.
Corro. Non so dove vado. Corro senza fermarmi, senza una meta. Corro
Non puoi più tirarti indietro.
Corro. Non vedo più niente, non sento nulla. Mi taglio ma non sento dolore.
Corro e basta.
Non puoi più, non puoi.
Le lacrime scorrono calde sulle mie guance, tra i capelli il vento, ma non
lo sento. Il sangue macchia la camicia, la gente mi guarda. Ma non vedo.
Corro solo. Corro senza fermarmi, senza meta.
Non puoi, non puoi, non puoi.
Cado. L'odore dell'erba mi penetra prepotentemente dentro. La rugiada mi
bagna il viso segnato dalle lacrime. Il sangue continua a scivolare lento
lungo il mio braccio. Mi alzo, sono debole, troppo debole. Non mi reggo;
crollo sulle ginocchia.
Perché? Perché sono stata così stupida? Perché? Sapevo che non dovevo
fidarmi! Perché lo seguito? Perché ho accettato?
Colpisco il terreno con i pugni, li rialzo. Si abbandonano lungo i fianchi.
Sono esausta. Il volto sprofonda nell'erba e cado, cado.
