Alleanze, matrimoni, madri
Reggia di Versailles, febbraio 1808
– Figlio mio, siete forse impazzito?! – esclamò la Regina Maria Antonietta mentre rivolgeva a Luigi XVII un'occhiata sorpresa e, allo stesso tempo, agitata.
– Cosa c'è di folle nel volersi sposare, Signora Madre? – chiese il giovane Re, col volto sorridente. – Innanzitutto, la scelta della sposa – replicò prontamente la Regina, corrugando la fronte e stringendo le labbra.
– Élisabeth Clotilde de Girodel è una fanciulla bella, gentile, aggraziata e anche molto istruita. Cosa potrei desiderare di più?
– Una donna di sangue reale, per esempio – rispose la madre, alzandosi dalla sedia, appoggiando una mano sulla spalliera e voltandosi dall'altra parte, affinché il figlio non ne scorgesse l'espressione.
– Le Principesse cattoliche scarseggiano, ora che Bonaparte ha messo suo fratello sul trono di Spagna, ha fatto del Ducato di Varsavia una sua propaggine e ha costretto alla fuga i reali del Portogallo e dei Regni di Sardegna e delle due Sicilie.
– Esistono sempre l'Austria e la Baviera.
– Élisabeth Clotilde de Girodel mi dà serenità. La trovo arguta, gioviale, generosa e ho notato come Vi rispetta e come va d'accordo con Voi.
A questa osservazione, Maria Antonietta non poté trattenere una lacrima e ringraziò mille volte Dio per avere voltato le spalle al figlio.
– Di lei, mi piacciono gli occhi – proseguì il Re – il suono della voce, ciò che dice e come lo dice… Credo che, dopo quello che abbiamo passato dalla morte del Re mio padre… dopo quello che ho passato, prigioniero di Bonaparte… anteporre l'armonia coniugale ai benefici di un matrimonio dinastico sia comprensibile.
– Si tratterebbe di uno sposalizio non alla pari – ribatté Maria Antonietta – perché contratto da un Re e da una nobile non di sangue reale. Andrebbe bene come matrimonio morganatico, ma Voi siete giovane, celibe e privo di eredi e dovete assicurare la prosecuzione della dinastia dei Borbone di Francia.
– In Inghilterra, sono secoli che non si pongono questi problemi. Un Re può sposare una Principessa di sangue reale o una nobile sua suddita e i figli entrano nella linea di successione, con la sola condizione che siano legittimi. La Grande Elisabetta non era figlia di una Principessa di sangue reale!
– E guardate com'è finita la madre! – esclamò Maria Antonietta – Nei paesi di tradizione cattolica, valgono regole diverse. Coloro che nascono da un Monarca e da una donna non alla pari non hanno diritto di succedere al trono! Ma conoscete le regole ed è inutile che Ve le illustri. Mi stupisco, anzi, che mi facciate discorsi di questo genere, Figlio mio, neanche foste il più sprovveduto fra gli uomini anziché il Re di Francia!
– Avete ragione, Signora Madre, conosco le regole, tanto da affermare che è ora che esse cambino! Promulgherò una legge, se necessario!
– Questa Vostra unione darebbe nuova forza alle pretese del Duca d'Orléans che è il probabile assassino di Vostro padre! Il matrimonio di Vostra sorella col Duca d'Angoulême è rimasto sterile, così come quello del Conte di Provenza e anche il secondogenito del Conte d'Artois è senza figli. Fra il Duca d'Orléans e il trono, ci siete soltanto Voi. Volete fargli questo regalo?!
– Io voglio soltanto essere felice… Doveri, rinunce, sono stanco… Siamo tutti stanchi!
– Dimenticate che la fanciulla è corteggiata da Honoré François de Jarjayes et de Lille e che sembra gradire molto questa corte.
– Vorrà dire che competerò con lui nel cuore della dama, come facevano i cavalieri nei tornei medievali!
– Non siamo nel medioevo e non è dignitoso, per Voi, metterVi in competizione con un Vostro suddito!
– Honoré François de Jarjayes et de Lille è bello e prode, ma io sono il Re e ho più cose da offrire. Quando la fanciulla capirà che la amo teneramente, si lascerà persuadere. Questa si chiamerà felicità!
– Questo si chiamerà incesto! – urlò Maria Antonietta, voltandosi di scatto e fissando nervosamente il figlio mentre conficcava entrambe le mani sulla spalliera della sedia.
– Che cosa?! – mormorò il Re, con suono gutturale della voce e sbiancando repentinamente.
– Sarebbe un incesto – ripeté concitatamente Maria Antonietta – Dovete sapere che io ho sposato morganaticamente e in segreto il Conte di Fersen e che Élisabeth Clotilde de Girodel è il frutto di questa unione. Quella giovane è Vostra sorella… Sono costernata, non pensavo che Vi avrei arrecato tanto strazio…
Dopo la confessione, Maria Antonietta crollò di nuovo sulla sedia e si coprì il volto con le mani mentre il giovane Re, pallidissimo e con le gote solcate dalle lacrime, abbandonava in fretta la stanza e cercava conforto nella solitudine, unica compagna di lui da molti anni a quella parte.
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Parigi, Università della Sorbona, marzo 1808
Bernadette camminava a passo veloce, in direzione dell'aula nella quale era da poco terminata la lezione di Diritto Romano. Aveva dimenticato un libro sul banco e stava andando a riprenderlo in tutta fretta, per non fare attendere troppo Honoré, Antigone e i ragazzi de Girodel.
Voltando un angolo, non si accorse, nella concitazione, del giovane che stava procedendo in senso opposto e lui non si avvide di lei, col risultato che si trovarono, in men che non si dica, l'uno contro l'altra e con i rispettivi libri disseminati in ordine sparso sul pavimento.
– Vi prego di perdonarmi, Mademoiselle – disse il ragazzo, un giovane dall'aspetto gradevole e intelligente – Avrei dovuto fare più attenzione a dove mettevo i piedi!
– No, ci mancherebbe! – rispose Bernadette, affannosamente impegnata a raccogliere i volumi che, nell'agitazione, le ricadevano di mano – E' colpa mia, correvo a recuperare un libro smarrito e non Vi ho visto!
– Pare che recuperare libri sia il Vostro destino! – scherzò il giovane mentre, con calma, raccoglieva i suoi tomi e aiutava Bernadette a fare altrettanto – Ma permettete che mi presenti: mi chiamo Antoine Laurent de Lavoisier, studio Chimica, Biologia e Botanica e, prima che me lo chiediate, sì, sono figlio di quel Lavoisier.
– Monsieur de Lavoisier, è un onore fare la Vostra conoscenza. Io sono Bernadette Châtelet e studio Legge.
– Siete, dunque, una di quelle giovani coraggiose che sono riuscite a espugnare le mura della Sorbona!
– Non so quanto possa definirmi coraggiosa, ma, sì, sono una di quelle giovani – rispose Bernadette, con un vago rossore.
Non era molto abituata ai complimenti e, quando glieli rivolgevano, non sapeva bene come regolarsi, soprattutto se a parlare era uno sconosciuto dell'altro sesso.
– Bene – rispose lui, con aria simpatica e spigliata – Dal momento che siete una celebrità e che io Vi ho travolto, mi offro volontario per aiutarVi nella ricerca dell'ultimo libro mancante.
– Non sentiteVi obbligato, sono stata sbadata io a dimenticarlo!
– Ormai, ho offerto i miei servigi a una dama e, da bravo cavaliere, non posso più tirarmi indietro! – e proruppe in una risata cristallina e coinvolgente.
Dopo che ebbero terminato di raccogliere i libri da terra, si diressero, ridendo e motteggiando, verso l'aula di Diritto Romano.
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Parigi, Palais Royal, maggio 1808
– Sono lieto di rivederVi, Conte di Compiègne. Data la Vostra condizione di ricercato, venire qui non deve essere stato semplice per Voi, ma recarmi a Venezia, dove risiedete, sarebbe stato impossibile per me e, dunque, Vi ringrazio.
Il Duca d'Orléans non aveva la solita forma florida e atletica. Da qualche tempo a quella parte, la salute del cugino del Re era andata declinando e, con essa, erano spariti anche il sarcasmo e la risata indisponente, sostituiti da una stanchezza sempre maggiore.
– Non temete, Vostra Altezza – rispose il Conte di Compiègne – Come sapete, ho le mie risorse e sfuggire alla cattura delle guardie è la mia specialità.
– Come ben potete immaginare – proseguì il Duca d'Orléans – non ho affatto gradito il voltafaccia di Bonaparte. Non che da quell'individuo mi aspettassi onore e lealtà, ma i patti sono patti e, a fronte degli ingenti aiuti che gli ho sempre fornito, egli avrebbe dovuto mettermi sul trono della Francia del sud, così come mi aveva promesso. In fin dei conti, non sarei stato il primo dei Monarchi da lui collocati in regni, principati e granducati.
– Concordo con Vostra Altezza – rispose il Conte di Compiègne, ben felice di togliersi qualche sassolino dalla scarpa – Il comportamento del Generale Bonaparte – volutamente evitò di definirlo "Imperatore" – si commenta da solo. Del resto, egli non ha mai avuto l'eleganza e la squisitezza di modi di Vostra Altezza e mi ha sempre trattato con disprezzo e arroganza.
– Purtroppo, siamo stati entrambi vittime di quel parvenu. Ho bisogno del Vostro aiuto per umiliarlo, Conte di Compiègne. Il figlio di mia sorella Bathilde, il Duca d'Enghien, è a capo di una congiura contro Bonaparte, da me ideata. Egli vive a Ettenheim, nell'elettorato di Baden e ho bisogno che Voi facciate da tramite fra di noi, consegnando plichi e missive. Accettate l'incarico, Conte di Compiègne?
– Ne sarei onorato, Vostra Altezza.
– Vi ringrazio, Conte. Vi farò convocare a tempo debito per impartirVi le prime istruzioni.
Il Conte di Compiègne si profuse in un ampio inchino e uscì dalla stanza.
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Reggia di Versailles, agosto 1808
Nel Cabinet du Conseuil, era riunito il Consiglio del Re, nato dallo scioglimento del Consiglio di Reggenza e rimasto immutato nei partecipanti di quello. Il Re e la madre sedevano ai due capotavola mentre gli altri membri erano dislocati lungo i lati.
Il giovane Re aveva il volto stanco e triste e, da alcuni mesi a quella parte, appariva più taciturno e chiuso del solito. Soltanto la madre sembrava conoscerne la ragione.
– Parlate, Vescovo de Talleyrand – ingiunse il Re al Ministro degli Esteri – Illustrateci i motivi per cui avete ritenuto opportuno far convocare questo Consiglio.
– Si tratta di un unico motivo, ma della massima importanza, Maestà – rispose Talleyrand – L'Imperatore Francesco I d'Austria ci chiede un armistizio e, subito dopo, la stipula di un'alleanza. Egli reputa superati i motivi che, sedici anni or sono, lo portarono alla dichiarazione di guerra e rinuncia a ogni pretesa sull'Alsazia e sulla Lorena e a chiedere un compenso aggiuntivo per il contingente militare che l'Imperatore Giuseppe II inviò in territorio francese.
Mentre Talleyrand faceva una pausa, Oscar ripensò al trattato stipulato, nel 1789, tra Francia e Austria e a tutto ciò che ne era scaturito: l'invio in Francia del contingente austriaco di cinquantamila uomini per aiutare la Regina a tenere a bada i rivoluzionari, la prematura morte dell'Imperatore Giuseppe, l'impugnazione del trattato, reputato poco vantaggioso per l'Austria, da parte dei successori di lui, la dichiarazione di guerra dell'Austria alla Francia e la successiva ascesa di Napoleone. Erano state, infatti, la minuziosa conoscenza austriaca dell'esercito francese, ricavata dalla biennale permanenza in Francia del contingente militare e la conseguente inferiorità bellica rispetto all'Austria a spingere Oscar e Talleyrand a dare fiducia a Napoleone, allo scopo di rimescolare le carte in tavola. Nel tentativo di riorganizzare l'esercito, avevano convinto la Regina a mettere un'intera armata sotto la guida di un homo novus, oscuro e ambiziosissimo, col risultato di allevarsi una serpe in seno.
Talleyrand riprese la parola e Oscar si riscosse dai suoi pensieri.
– Ritengo che l'armistizio possa essere firmato in breve tempo mentre, per i termini e le condizioni dell'alleanza, potremmo concederci alcuni mesi di riflessione.
– Pensate che il popolo capirà la scelta di allearci con chi, fino a oggi, è stato nostro nemico? – domandò il Re al Ministro.
– Il popolo è stanco della guerra, Maestà e penso che quest'armistizio e un'eventuale, successiva, alleanza potrebbero riequilibrare i rapporti di forza. Siamo schiacciati fra la Francia del sud, da diversi anni dominio di Napoleone, la sottostante Spagna, in mano al Re fantoccio Giuseppe Bonaparte e il Regno d'Italia a est, occupato sempre da Napoleone. Quanto pensate che impiegherà il tiranno corso ad allungare gli artigli verso di noi? Ha già invaso la Spagna e i Regni d'Italia e delle due Sicilie. Ha costretto alla fuga i Sovrani del Portogallo. Ha fatto a pezzi la Prussia. Il due febbraio di quest'anno, il Generale napoleonico Miollis ha occupato Roma e Napoleone ha annesso al Regno d'Italia le province di Ancona, Macerata, Pesaro e Urbino, prima appartenenti allo Stato Pontificio. La scomunica dell'usurpatore è soltanto questione di tempo.
Oscar e André si guardarono pensierosi, riconoscendo che le parole di Talleyrand erano vere e che la Francia avrebbe presto seguito le sorti degli altri Stati europei, se non si fossero presi adeguati provvedimenti. Lo stesso fecero gli altri membri del Consiglio del Re che si scambiarono diverse occhiate cariche di preoccupazione.
– Per quanto riguarda l'Austria, essa, se possibile, è stretta nella morsa ancora più di noi. Ad Austerlitz, Bonaparte le ha inflitto una sconfitta che non dimenticherà facilmente e, pochi giorni dopo, Lannes è entrato a Vienna e vi è scorrazzato liberamente. Tutti i territori dell'Italia del nord sono stati sottratti alla sfera d'influenza asburgica e ho ragione di ritenere che, il prossimo anno, Napoleone riprenderà l'offensiva. Per questo, dobbiamo affrettarci a trattare. Finché l'Austria sarà tenuta sotto scacco – nel dire ciò, Talleyrand lanciò un'occhiata rapida a Maria Antonietta che, però, rimase impassibile – in un'alleanza, noi potremmo spuntare condizioni migliori. Se Bonaparte, invece, dovesse avventarsi contro la Francia, diventeremmo noi l'anello debole della catena e dovremmo accettare le condizioni imposteci dagli altri.
Gli astanti si guardavano l'un l'altro e annuivano.
– L'anno scorso, a Tilsit, Napoleone ha stipulato degli accordi con la Russia e la Prussia. So che questi accordi stanno già scricchiolando, perché gli alleati non sono contenti, ma, per adesso, reggono e Bonaparte potrebbe anche decidere di sposare una parente dello Zar. Stringere un'alleanza con l'Austria ci permetterebbe di non rimanere isolati. Un'altra nostra alleata, l'Inghilterra, si sta già muovendo. E' notizia di pochi giorni che Sir Arthur Wellesley, Luogotenente Generale dell'esercito inglese, in Portogallo, ha riportato due schiaccianti vittorie contro i reggimenti del Generale Delaborde, a Roliça e del Generale Junot, a Vimeiro. Le cose si stanno piano piano muovendo e noi non possiamo restare fermi.
– Soprattutto – aggiunse, con tono di voce incisivo, Talleyrand – Dobbiamo infrangere il mito dell'invincibilità di Bonaparte e non possiamo lasciare quest'onore alla sola Inghilterra. Ciò peserebbe troppo nel ridisegnare gli equilibri dello scacchiere politico, dopo la débâcle del tiranno.
– Abbiamo compreso, Vescovo de Talleyrand – disse il Re – Chi è d'accordo con la stipula dell'armistizio alzi la mano.
– Intervengo soltanto per auspicare una nuova era di pace con la mia terra d'origine – disse accoratamente la Regina Maria Antonietta – E' ora che ogni malinteso sia superato e che si torni al clima di collaborazione e di distensione voluto da mia madre e da Re Luigi XV.
La proposta fu approvata all'unanimità.
– Molto bene – concluse il Re – la proposta di armistizio è accolta. Avvieremo, oggi stesso, le trattative diplomatiche per redigere i termini e le condizioni dell'alleanza con l'Austria. Una specifica commissione se ne occuperà.
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Portogallo, agosto 1808
Sir Arthur Wellesley era finalmente riuscito a farsi assegnare a un reggimento di stanza in Portogallo, con l'incarico di ricacciare i bonapartisti oltre i confini di quello Stato. Il comando della spedizione, tuttavia, non spettava a lui, ma a Sir Hew Dalrymple e a Sir Harry Burrard, due Generali più anziani che, però, avevano una scarsa esperienza sul campo di battaglia.
Sir Arthur giunse in Portogallo per primo, il trenta luglio del milleottocentootto e, terminate le operazioni di sbarco che si protrassero dal primo all'otto agosto, si mise subito in marcia verso Lisbona, nella speranza di fare il più possibile prima che i superiori arrivassero dall'Inghilterra e lo sostituissero nel comando.
Dopo quattro giorni di marcia, il quattordici agosto, l'avanguardia britannica trovò, nei pressi di Obidos, i picchetti e la retroguardia del reggimento del Generale Delaborde. Il sedici agosto, giunse sul posto anche Sir Arthur che, l'indomani, vicino al villaggio di Roliça, combatté la sua prima battaglia in suolo portoghese.
L'ambizioso Generale Wellesley tentò, a più riprese, di accerchiare il nemico, inviando dei distaccamenti a est e a ovest mentre lui teneva impegnato l'esercito avversario al centro, ma il Generale Delaborde, da esperto veterano, non cadde nella trappola.
A un certo punto, il Colonnello Lake del ventinovesimo fanteria commise l'errore di attraversare una gola per raggiungere Delaborde, senza chiedere il permesso a Wellesley e senza ponderare bene le conseguenze. Il risultato fu che il reggimento da lui comandato fu fatto a pezzi e ciò costrinse Sir Arthur a un attacco estemporaneo e azzardato per portare aiuto a ciò che restava di quella parte dell'esercito e limitare i danni.
Dopo un'aspra battaglia, l'esercito napoleonico batté in ritirata e gli inglesi, con i ranghi ancora ridotti e privi di cavalleria, non poterono inseguirli. Malgrado ciò, la vittoria di Sir Arthur fu ugualmente netta, perché il Generale Delaborde perse oltre duecento uomini in più rispetto agli inglesi e tre dei suoi cinque cannoni oltre a rimanere egli stesso ferito.
Quattro giorni dopo, a Vimeiro, nelle vicinanze di Lisbona, l'esercito britannico fu attaccato a sorpresa dal Generale Junot, cugino di Delaborde. Questa volta, furono gli avversari a tentare di accerchiare Sir Arthur sul fianco sinistro, ma non vi riuscirono. Dopo due attacchi al centro e altri alle ali, Junot si ritirò a Torre Vedras e Sir Arthur Wellesley riportò una seconda vittoria ancora più schiacciante della prima, giacché i britannici limitarono le loro perdite a settecento uomini mentre Junot lasciò sul campo duemila soldati e tredici cannoni.
In quell'occasione, l'inseguimento dei bonapartisti sarebbe stato possibile e Sir Arthur avrebbe desiderato ardentemente lanciarsi contro il nemico in fuga e chiudere definitivamente la questione, ma l'arrivo intempestivo di Sir Hew Dalrymple e di Sir Harry Burrard glielo impedì. Pur essendogli stato lasciato il comando delle truppe fino alla fine della battaglia, come terzo ufficiale, dovette rimettere la scelta di inseguire il nemico ai suoi superiori, ma questi, per un eccesso di prudenza dovuto a irresolutezza e inesperienza, decisero di accontentarsi del risultato ottenuto dal loro sottoposto e di non mettersi alle calcagna degli avversari in rotta. Sir Arthur dovette, suo malgrado, adeguarsi e abbozzare.
Il peggio, però, doveva ancora arrivare. I bonapartisti chiesero agli inglesi un armistizio e Sir Hew Dalrymple e Sir Harry Burrard, contro il parere di Sir Arthur Wellesley, accettarono. I termini dell'armistizio, molto simili alle condizioni che solevano concedersi, in caso di resa, a una guarnigione a presidio di una fortezza assediata, prevedevano l'evacuazione del Portogallo da parte dei soldati napoleonici e che costoro, compresi gli ufficiali, potessero andare via liberamente, senza essere internati in un campo di prigionia, portando con sé tutti gli equipaggiamenti militari e i beni personali, costituiti, in gran parte, dal frutto dei saccheggi. Come degna conclusione di questo patto surreale, l'evacuazione sarebbe avvenuta tramite una nave inglese.
Sir Arthur Wellesley era contrario, perché gli accordi, condotti dall'abile Generale bonapartista Kellermann e accettati supinamente dai deboli Darlymple e Burrard, trasformavano la sconfitta del nemico in un'onorevole ritirata, con l'aggravante che le navi della Royal Navy sarebbero state utilizzate per scarrozzare comodamente i vinti. Obbligato da un superiore, firmò esclusivamente gli accordi preliminari di armistizio del ventitré agosto, ma non la convenzione ratificata a Sintra il trenta. In cuor suo, sapeva che un'enormità del genere non sarebbe passata sotto silenzio. I giornali inglesi ci sarebbero andati a nozze e avrebbero rafforzato la corrente di coloro che volevano firmare la pace con Napoleone. Molto probabilmente, sarebbe stata aperta un'inchiesta e ciò avrebbe potuto portare a una definitiva battuta d'arresto della carriera militare e politica di lui, perché separare la propria posizione da quella di Darlymple e Burrard non sarebbe stato semplice.
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Versailles, Palazzo Jarjayes, ottobre 1808
Reggendo, con una delle mani, un vassoio d'argento e abbassando, con l'altra, la maniglia, André entrò nello studiolo di Oscar, una stanza non grandissima e, per questo, facile da riscaldare che la donna, quando non era di servizio alla reggia, amava occupare, nei mesi freddi, per leggere.
Si accostò al tavolino accanto al quale la moglie sedeva e vi posò sopra il risultato dell'ultima fatica della cuoca, dal quale erano state estratte due fette, sistemate su altrettanti piattini di porcellana.
– Si sente che è stata sfornata da poco – disse la donna, sorridendo – L'odore che ha il cioccolato appena cotto è inconfondibile!
– Cosa stai leggendo? – le domandò André, porgendole uno dei due piattini – Non si tratta di spartiti.
– E' il resoconto delle ultime manovre belliche di Bonaparte. Quell'uomo è davvero geniale! Non c'è mai un'impresa che sia del tutto uguale alla precedente!
– Suppongo che sia così per tutti i Generali – rispose André, con un appena percettibile velo di fastidio nella voce – E' molto difficile che, da una battaglia all'altra, si riescano a replicare le medesime condizioni.
– Sì, ma per lui è diverso! Riesce a intuire le intenzioni degli avversari, a sfruttare le debolezze del nemico, a utilizzare al meglio le caratteristiche del campo di battaglia, a dominare gli elementi e a costruirsi vittorie su misura! Pensa al capolavoro che ha realizzato ad Austerlitz!
Iniziò a illustrare al marito i particolari della battaglia, finché non si accorse del volto severo di lui e si arrestò, nel timore di averlo annoiato.
– Perdonami, André, alle volte, mi dimentico che non sei un soldato e che coltivi anche altri interessi!
Quella frase punse sul vivo André. Nessun altro avversario aveva impegnato Oscar nella stessa misura di Napoleone e, da tutto ciò, egli si sentiva escluso. Il fervore intellettuale che la moglie metteva nello studiare le imprese di Bonaparte, nell'analizzarle mossa dopo mossa e nel cercare "un antidoto" contro di esse quasi lo ingelosiva. Napoleone affascinava militarmente Oscar che lo rispettava e lo ammirava come uomo d'armi. Finalmente, la leonessa aveva trovato un nemico alla sua altezza, l'aquila imperiale che le stava dando del filo da torcere e, da questa tensione mentale e professionale, egli era tagliato fuori.
– Non ti preoccupare, Oscar, l'importante è liberare l'Europa da questo vento di guerra che la sta flagellando da oltre dieci anni.
– E dire che siamo stati proprio Talleyrand e io a spingere la Regina a consegnare l'Armata d'Oriente nelle mani di Napoleone! Speravamo che riuscisse a riorganizzare dalle fondamenta un esercito che l'Austria conosceva ormai a menadito, a causa della permanenza, per due anni, in Francia, del contingente militare inviatoci da Giuseppe II.
– Né tu né il Vescovo potevate prevedere il futuro, Oscar. La situazione era particolare, l'Austria conosceva alla perfezione i punti di forza e di debolezza dell'esercito francese e ci stava umiliando di battaglia in battaglia. Occorreva una mossa audace per capovolgere le sorti della guerra e voi l'avete fatta.
– Abbiamo tirato fuori dall'ombra Napoleone per sconfiggere l'Austria e, ora, ci alleiamo con l'Austria per battere Napoleone. Se non è questa ironia del destino! – scoppiò a ridere Oscar.
– Talleyrand ha ragione – disse André – Occorre allearsi con l'Austria, sebbene essa, attualmente, sia messa peggio di noi.
– Oh, ma anche l'impero napoleonico sta iniziando a scricchiolare! – ribatté Oscar – In Portogallo, Wellesley sta dando del filo da torcere ai Marescialli di Bonaparte e, dal Portogallo alla Spagna, il passo è breve. Anche qui, ha ragione Talleyreand: non possiamo lasciare tutto il merito dell'indebolimento di Napoleone agli altri. Dobbiamo divenire parte attiva e l'alleanza con l'Austria va nella giusta direzione.
– André – aggiunse Oscar, dopo una breve pausa – Quando il conflitto deflagrerà, tu sarai con me? Mio padre, ormai, è anziano e Girodel non mi è più fedele come un tempo, dopo il ferimento della moglie.
– Tuo padre è sempre vigile e lucido – rispose André, con voce rassicurante – Quanto a Girodel, egli è rimasto comprensibilmente traumatizzato dal ferimento della moglie e ti ha mosso delle critiche. Detto fra noi, Oscar, non avresti mai dovuto coinvolgere una civile in un'operazione militare. Girodel, però, continua a esserti fedele e a rispettarti, di questo stai sicura.
– André – ripeté Oscar – Quando si arriverà allo scontro finale, tu sarai con me?
– Ma certo, Oscar, sono sempre stato con te! Potrei mai cambiare?
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Parigi, Palazzo Lavoisier, novembre 1808
Bernadette era andata a studiare nel palazzo dei Lavoisier, come sempre più spesso le capitava da qualche mese a quella parte, dopo che lei e il giovane Antoine Laurent avevano approfondito la loro conoscenza. Frequentavano facoltà diverse e seguivano differenti lezioni, ma anche il solo studiare insieme, seppure in silenzio, li aiutava a tenersi compagnia e a farsi coraggio a vicenda.
Dietro l'apparenza brillante, Antoine Laurent era un ragazzo timido ed educato, molto affezionato alla madre e letteralmente abbacinato dal celeberrimo padre di cui temeva di non essere all'altezza. Ciò che di lui più piaceva a Bernadette era l'atteggiamento completamente diverso da quello di Robert Gabriel de Ligne il cui ricordo la faceva ancora soffrire. Il giovane Lavoisier non si comportava come se il mondo intero gli appartenesse, non l'aveva mai corteggiata spavaldamente e non si era ancora spinto oltre gli incerti confini che separano un'affettuosissima amicizia dall'amore eppure ella lo percepiva come un'anima affine e, dentro di sé, sperava in un'evoluzione dei rapporti. In fin dei conti, erano entrambi borghesi, sebbene lui vantasse delle origini molto più illustri e ciò avrebbe potuto facilitare le cose.
– Sono molto orgogliosa di Voi, Antoine, per come avete declamato la Vostra dissertazione di Chimica, lo scorso giovedì! Sapete, c'ero anch'io in aula!
– C'eravate anche Voi, Bernadette? Non Vi ho vista!
– Ero ben nascosta – rispose lei, arrossendo.
– Si tratta di uno dei cavalli di battaglia di mio padre… e di mia madre… Anche lei, infatti, è un Chimico e collabora con mio padre in tutto… Ditemi quando toccherà a Voi dissertare una materia, così verrò ad applaudirVi – aggiunse, poi, mutando discorso.
Subito dopo, si udirono alcuni rumori nel corridoio e Bernadette comprese che Madame de Lavoisier era rincasata.
– Si è fatto tardi, è l'imbrunire – sussurrò Bernadette, quasi temendo che qualcuno la udisse – Devo andare, c'è un po' di strada fra Parigi e Palazzo Jarjayes.
Aveva appena terminato la frase, quando la porta si aprì e Madame de Lavoisier entrò nella stanza, dando forma ai timori della ragazza. La signora, con la sua intelligenza, bellezza ed eleganza, la metteva costantemente in soggezione.
– Sono immensamente felice di VederVi, Mademoiselle Châtelet – disse la dama, con educazione impeccabile da perfetta padrona di casa – Sono onorata che veniate così spesso a farci visita. Lo dico sempre a mio figlio di portare a palazzo i suoi colleghi di Università. Sono entusiasta quando, in queste stanze, si respira aria giovane.
La signora era stata gentile senza trasporto, ospitale senza calore e ciò acuì l'imbarazzo di Bernadette. Ogni volta che la vedeva, si domandava se le donne dell'alta società fossero tutte delle perfette torri d'avorio come lei, ma, in cuor suo, conosceva già la risposta, perché, a Palazzo Jarjayes e alla reggia, aveva conosciuto dame di ben più alto lignaggio molto più spontanee e alla mano. La stessa Regina era decisamente più semplice e calorosa di Madame de Lavoisier.
– E' l'imbrunire, Madame e io Vi devo salutare. La strada per tornare a casa non è breve.
– Porgete i miei omaggi alla famiglia de Jarjayes – disse Madame de Lavoisier, omettendo, come sempre, di menzionare Rosalie – Il mio debito di riconoscenza verso il Comandante Supremo delle Guardie Reali è immenso, per ciò che fece quando mio marito fu ingiustamente accusato.
Al sentir citare il caso Lavoisier, Bernadette arrossì, fece un lieve inchino alla Signora e, stringendosi i libri al seno, si diresse verso la porta.
– Aspettate, Vi accompagno al portone – disse il giovane Antoine Laurent.
Madame de Lavoisier rimase nella stanza e, dalla finestra, osservò il figlio che aiutava Bernadette a salire sulla vettura di piazza, per, poi, rincasare.
Quando questi fu rientrato nello studio, la signora lo scrutò con severità e, poi, con il tono più indifferente che riuscì a ostentare, disse:
– Ancora quella giovinetta? E' così… ordinaria, con quella madre governante e senza una carrozza sua con cui spostarsi!
D'un tratto, il giovane Antoine Laurent de Lavoisier capì cosa gli piaceva tanto di Bernadette. La ragazza non era soltanto bella, intelligente, istruita, beneducata e piena di talento, come l'adorata e carismatica madre. Ella era anche semplice, affettuosa, alla mano, fresca e questa differenza non era ascrivibile soltanto a un fattore generazionale. Bernadette era modesta e umile, tanto quanto Madame de Lavoisier era altera e piena di sé e doverlo ammettere gli procurava un grande dolore.
– Bernadette è una protegée di una delle famiglie più illustri del regno ed è anche lettrice del Re – abbozzò il ragazzo, con poca sicurezza, come in tutte le occasioni in cui doveva farsi valere davanti alla genitrice – e… e mi addolora che, ogni volta che la vedete, rammentiate l'arresto di mio padre…
– Perfetto – disse la madre, con sarcastica leggerezza – Vorrà dire che, quando saremo stanchi, ci rivolgeremo a lei per farci leggere il giornale.
Antoine Laurent guardò la madre uscire dalla porta e, dentro di sé, pregò di non dovere mai fare una scelta. Inconsciamente, allontanava ogni presa di posizione che lo avrebbe condotto a un bivio senza ritorno, coglieva l'attimo, si beava della vicinanza della dolce e bella Bernadette, ma non faceva progressi nel corteggiamento.
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Londra, dicembre 1808
A seguito della firma della Convenzione di Sintra e del clamore che ne era seguito in Inghilterra, Sir Hew Dalrymple, Sir Harry Burrard e Sir Arthur Wellesley erano stati sollevati dal comando che era stato assegnato al Generale John Moore.
I tre erano stati richiamati a Londra, dove si era aperta un'inchiesta ufficiale, presieduta dall'anziano Generale Sir David Dundas. L'istruttoria aveva avuto luogo nella Great Hall del Royal Hospital di Chelsea, dal quattordici novembre al ventisette dicembre.
Darlymple e Burrard si erano incolpati a vicenda e si erano scagliati contro Sir Arthur che, invece, aveva preferito attenersi ai fatti e spiegare le sue decisioni.
Alla fine dell'inchiesta, tutti e tre i Generali erano stati prosciolti, ma Darlymple e Burrard non avrebbero più ricevuto alcun incarico militare operativo e il primo fu anche ufficialmente rimproverato.
Sir Arthur Wellesley, invece, fu encomiato per le battaglie da lui vinte e non fu messo in quiescenza. Sapeva che gli sarebbero stati affidati nuovi incarichi, ma temeva che l'ostilità di parte della stampa e dell'opinione pubblica avrebbe indotto lo Stato Maggiore a trattenerlo in patria per mesi o addirittura anni. Lui, invece, voleva ritornare in servizio attivo al più presto, ripartendo da dove aveva interrotto e, cioè, dal Portogallo.
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Milano, Palazzo Serbelloni, dicembre 1808
Napoleone era tornato fulmineamente nel Regno d'Italia, dopo una veloce campagna in Spagna dove si era recato per reprimere alcuni moti di ribellione e consolidare il trono del fratello Giuseppe.
A Madrid, aveva saputo che il Generale John Moore, che aveva assunto il comando dell'esercito inglese dopo il rimpatrio di Darlymple, Burrard e Wellesley, si stava dirigendo a nord. Poiché il Maresciallo Soult non era distante dalle truppe di Moore, Napoleone aveva costretto l'esercito a una lunga marcia a tappe forzate per chiudere Moore in una trappola fra lui e Soult.
Aveva sfiancato uomini e animali nel tentativo di attraversare la Sierra de Guadarrama, malgrado le avversità del rigido inverno iberico, con il ghiaccio che rendeva scivolosi i sentieri e le raffiche di vento così forti da impedire ai cavalli di reggersi in piedi e agli uomini di mantenersi in sella. Non aveva voluto sentire ragioni, imponendo a se stesso e agli altri uno stoicismo ai limiti della follia. Aveva perso molti uomini, animali e pezzi d'artiglieria, rendendosi incomprensibile a tutti, al punto che i soldati gli urlavano contro e i sergenti, invece di punirli, facevano finta di non sentire.
Un altro problema era costituito dalle popolazioni locali che aborrivano i soldati napoleonici, a causa dei saccheggi e delle violenze di cui si erano resi responsabili. Gli spagnoli e i portoghesi erano popoli fieri e sanguigni, a tratti cruenti, che, non avendo la forza per contrapporsi frontalmente ai bonapartisti, facevano guerriglia senza sosta. Più di una volta, nel marciare, le truppe si erano imbattute nei resti di cadaveri di soldati orrendamente torturati e Napoleone aveva imposto ai sergenti di non rimuovere i corpi, ma di lasciarli in bella vista, in modo che le truppe, al loro passaggio, capissero quale sarebbe stata la sorte di disertori e ritardatari.
Dopo una lunga ed estenuante marcia, aveva appreso che gli sforzi erano stato inutili, perché il Maresciallo Soult si era spostato verso est e, quindi, la possibilità di imbottigliare Moore era sfumata. Aveva deciso, quindi, di lasciare Moore al solo Soult e di tornare a Milano, dopo avere appreso di una congiura per rimuoverlo dal trono.
– Fatemi il Vostro rapporto, Berthier – disse l'Imperatore, seduto davanti alla scrivania del suo studio in Palazzo Serbelloni.
– Ho fatto delle indagini e ho scoperto che, a capo della congiura, c'è il Duca d'Enghien, Sire.
– Quel grandissimo bastardo! Dietro di lui, c'è sicuramente lo zio, il Duca d'Orléans che non ha gradito che io gli abbia negato la Francia del sud!
Berthier alzò un sopracciglio, quasi a sottolineare l'ovvietà del comportamento di un ex alleato che, essendo stato scaricato, si era rivoltato contro, ma non osò commentare.
– E' così, Sire – si limitò a dire – Il Duca d'Orléans si appoggia al figlio della sorella che è molto più giovane di lui e che, vivendo a Ettenheim, nell'elettorato di Baden, è a metà strada fra Voi e lui.
– E quei due cani come comunicano?
– Tramite il Conte di Compiègne, Sire.
– Quell'altro mercenario figlio di puttana! Non mi è mai andato a genio! Continuate a spiare l'attività del Duca d'Enghien, Berthier. Esigo i nomi di tutti i congiurati. Alla fine delle indagini, voglio il Duca d'Enghien davanti a un plotone d'esecuzione.
– Ma egli non vive nei territori da Voi conquistati, Sire. Non è in Vostro potere farlo fucilare.
– Io dico di sì, invece! Se necessario, lo farò rapire, ma quel verme deve essere fucilato! Potete andare, Berthier.
Berthier si alzò, fece un inchino all'Imperatore e uscì dallo studio.
Napoleone stava iniziando a concentrarsi sulle sue carte, quando il segretario, dopo avere bussato, entrò e si apprestò ad annunciare il nome di un visitatore, ma quest'ultimo, anzi quest'ultima lo sorpassò e fece irruzione nella stanza prima ancora di essere annunciata.
– Devo parlarti, Napoleone – disse sbrigativamente Maria Letizia Ramolino, dirigendosi, a passo lesto, verso la sedia davanti alla scrivania mentre l'Imperatore si alzava per salutarla – Siediti pure. – Madre, in questo momento sono impegnato e…
– Napoleone, lo strapotere di quella donna deve finire! Mettiti in testa che è tuo dovere, adesso, assicurare un erede ai tuoi sudditi.
– Ci sto pensando, Madre e…
– I figli non si fanno pensando, Napoleone! Devi sposarti al più presto con una candidata alla tua altezza. Hai stretto alleanza con lo Zar a Tilsit o sbaglio? Chiedi la mano di Anna Pavlovna, la sorella di Alessandro, prima che questa sposi un altro o che l'aristocrazia russa, con i suoi complotti, metta lo Zar contro di te, impedendo le nozze!
– Non è così semplice, Madre…
– E' semplicissimo, invece. Basta che tu chieda la mano di Anna Pavlovna o devo spiegarti come si fa? Entro la fine del prossimo anno, voglio vederti sposato con la sorella dello Zar!
Nel pronunciare queste ultime parole, Maria Letizia Ramolino assestò un sonoro pugno sul ripiano della scrivania.
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Reggia di Versailles, gennaio 1809
Seduto a capotavola nel Cabinet du Conseuil, il Re guardava i membri del Consiglio con volto pallido, ma determinato.
I componenti del Consiglio del Re erano incuriositi da quella convocazione inaspettata. Osservavano, a loro volta, il Sovrano e si scrutavano vicendevolmente, nella speranza che qualcuno di loro sapesse qualcosa di più.
– Vi ho convocati per comunicarVi un'importante novità e non intendo farVi aspettare oltre – disse Luigi XVII, con voce lievemente stanca, ma chiara e risoluta.
Tutti i Consiglieri rivolsero al Re un'occhiata interrogativa ad eccezione della madre che, conoscendo già l'oggetto della comunicazione, sedeva silenziosamente, con un'espressione calma e un po' mesta.
– Al fine di rendere ancora più salda l'alleanza con l'Austria, in ordine alla quale sono in corso le trattative, ho deciso di chiedere la mano dell'Arciduchessa Maria Luisa d'Asburgo Lorena, figlia primogenita dell'Imperatore Francesco I.
Quando il Re tacque, i membri del Consiglio proruppero in esclamazioni di stupore, culminanti in congratulazioni e auguri di ogni felicità al Sovrano. Soltanto la Regina Maria Antonietta, seduta all'altro capotavola, taceva. Dentro di sé, sapeva che quella era la cosa giusta da fare, ma, conoscendo i retroscena, aveva il cuore colmo di dolore. La dinastia dei Borbone avrebbe avuto degli eredi, ma il prezzo da pagare sarebbe stato un matrimonio dinastico di cui sarebbe stato oberato quel figlio che già tanto aveva sofferto, così come, in passato, era toccato a lei e alla figlia primogenita.
Il rapimento, il processo sommario e la fucilazione del Duca d'Enghien a opera di Napoleone, storicamente, ebbero luogo nel 1804, ma io, per esigenze di trama, ho spostato gli eventi più in là.
Lavoisier e la moglie, in realtà, non ebbero figli mentre è vero che la signora, così come il marito, era altera e autoritaria. Il caso di Lavoisier, ingiustamente accusato di avere assassinato Bernard Châtelet, è trattato nel corso del quarantesimo capitolo, intitolato: "Antigone".
La storia del contingente militare inviato dall'Austria alla Francia è trattata dal trentaseiesimo capitolo in poi ed è l'argomento di cui l'Imperatore Giuseppe II, sotto la copertura di Conte di Falkenstein, era venuto a trattare con Luigi XVI nel corso del primo capitolo.
Come tutti sanno, Luigi XVII fu indotto ad accusare la madre di incesto e io, in questo capitolo, ho ripreso il tema, sebbene totalmente rivisitato.
Come al solito, grazie a chi vorrà leggere e recensire.
