Grazie dei commenti a Ericka Larios, Kecs, MariaGpe22, Mary Silenciosa, Dany Cornwell, Cla1969, Eydie Chong: di certo, se la zia sapesse di che pasta è fatta Lilian, forse morirebbe anzitempo, anche se Candy tornasse a prendersi cura di lei XD Di sicuro, questa malattia l'ha resa più umana e consapevole e sta cercando di fare di tutto per rimediare, per quel che può. Ethan non aspetta altro che riprendersi Lilian, bambino o no: e se per farlo deve eliminare personalmente Albert, lo farà! E Albert, dal canto suo, non abbassa la guardia, ma i guai sembrano seguirlo ovunque... La storia ha ancora molti capitoli e se a qualcuno sembra noiosa... beh, ci sono storie lampo dove Candy e Albert sono felici già nel primo capitolo! See you later!
Words are flowing out like endless rain
Into a paper cup
They slither wildly as they slip away
Across the universe
Pools of sorrow, waves of joy
Are drifting through my opened mind
Possessing and caressing me
Nothing's gonna change my world
Nothing's gonna change my world
Images of broken light which dance
Before me like a Million eyes
They call me on and on
Across the universe
Thoughts meander like the restless wind
Inside a letter box
They tumble blindly as they make their way
Across the universe
(Le parole scorrono come pioggia incessante
Dentro una tazza di carta
Scorrono selvaggiamente e scivolano via
Attraverso l' universo
Pozze di dolore, onde di gioia
Vanno alla deriva nella mia mente aperta
Mi possiedono e mi accarezzano
Niente cambierà il mio mondo
Niente cambierà il mio mondo
Immagini di luce frammentata che ballano
Davanti a me come un milione di occhi
Continuano a chiamarmi
Attraverso l' universo
I pensieri vagano come il vento incessante
Nella cassetta della posta
Procedono alla cieca mentre si fanno strada
Attraverso l' universo)
(Across the Universe - John Lennon- Paul McCartney)
Nella luce
Aveva le palpebre chiuse, ma il sole era accecante.
La luce sembrava provenire dalle sue spalle, notò mentre le apriva e camminava per un corridoio stretto e lungo, e colpiva tutto ciò che aveva davanti a sé, rendendolo pressoché invisibile. Elroy avanzava con la schiena dritta, avvolta in un lungo abito color prugna che doveva aver indossato di recente, anche se non ricordava in quale occasione.
Nonostante fosse ormai in età avanzata, vide uscire dal fascio luminoso i suoi genitori con le mani protese verso di lei.
"Sei stata una buona sorella maggiore?", chiese sua madre, che le somigliava quasi come una goccia d'acqua.
Lei rifletté per pochi istanti, ricordando il proprio diniego quando William aveva espresso il desiderio di sposare Priscilla: "Ho fatto del mio meglio, madre. Mio fratello ha voluto contrarre matrimonio con una donna di lignaggio inferiore e sono stata in collera con lui per anni".
Ricordò con tristezza le proprie labbra serrate, l'espressione accigliata e il silenzio. Un silenzio che li aveva divisi per tanto tempo. Le lacrime bruciarono dietro le palpebre abbassate e una sgorgò lasciandole una scia bollente sul viso.
"Posso vedere la tua sofferenza, figlia mia, e anche il tuo pentimento. Lui ti aveva perdonata. Perdonati anche tu". La mano di sua madre si posò sulla sua spalla e quando guardò i suoi genitori vide che anche suo padre sorrideva, sotto al cilindro.
Ricambiò quel sorriso e avanzò di nuovo della luce, che li aveva inspiegabilmente inghiottiti. Avanti, ancora qualche passo. Ed eccoli, William e Priscilla, felici e con l'amore che si rifletteva nelle mani intrecciate e nel ventre prominente della donna, bionda e diafana come i raggi di quello strano sole.
"Cara cognata, unisciti alla nostra gioia", disse con la voce dolce che aveva sempre avuto.
"Oh, no, io... non posso...", mormorò voltando il capo, imbarazzata.
"Sì che puoi, sorella mia. Rosemary arriverà presto e tu sarai una zia severa e inflessibile: ma l'amerai. L'amerai molto".
Negli occhi azzurri di lui lesse la devozione e l'affetto in forme diverse: quello passionale per la moglie, che li faceva brillare come la superficie di un lago baciato da un mattino estivo; quello familiare per lei, la sorella che lo aveva persino insultato, che rispecchiava la sua sempiterna calma interiore; e, infine, quello colmo di speranza e aspettativa per la figlia non ancora nata.
"Rose...", disse con voce rotta.
"Eccomi, zia! Ho studiato tutti i libri che mi hai suggerito! Alcuni erano molto interessanti". Un battito di ciglia e anche William e Priscilla erano stati inghiottiti dalla luce
o sono parte di essa
lasciando il posto a una giovane Rosemary, appena adolescente.
"Mi dispiace, cara, se qualche volta sono stata... detestabile". Le si rivolse con voce piena di dolore, cercando di sorriderle.
"Non dire così, ho imparato tante cose da te, anche se ti ho fatta disperare quando ho deciso di lasciare tutto per sposare Vincent". Il viso divenne triste, poi mutò e si distese in un sorriso. "Oh, zia, lo amo così tanto!".
Elroy spalancò gli occhi, rendendosi conto che stava fissando un ricordo. Sì, Rosemary aveva detto proprio quell'ultima frase dopo aver dichiarato che la felicità risiede nel rimanere al fianco della persona che si ama e non nel denaro. E dopo essersi detta pronta a rinunciare anche al nome e alle ricchezze pur di seguire il suo cuore.
"Lo sposerai, figlia. Alla fine lo sposerai, proprio come tuo padre ha sposato Priscilla...". Mentre lo diceva, fu trafitta da un nuovo dolore e dal pianto di un neonato.
William Albert era appena nato e Priscilla era morta. E il suo povero fratello l'avrebbe seguita solo otto anni dopo, lasciandola nella più cupa disperazione. Sbattendo le palpebre e avvicinandosi di qualche passo alla ragazza, si rese conto che era ancora lì e teneva in braccio quel bambino.
"Il mio fratellino non avrà una vita facile, zia, ma so che veglierai su di lui quando io non ci sarò più". Il tono era rassegnato, triste, ma anche molto dolce mentre guardava il neonato avvolto in una coperta. "E che veglierai anche sul mio bambino, quando arriverà".
Con una sensazione di costrizione al petto, Elroy si portò la mano alla bocca spalancata in un urlo muto: "No! Anthony è... Anthony!".
Rosemary chiuse gli occhi e anche lei sparì, lasciandola sola e tremante. Senza sapere cosa fare per rimediare, continuò a camminare velocemente in quello strano spazio trafitto dal sole, cercando un altro volto noto.
"Zia? Zia, puoi sentirmi? Sono io, Archie! Zia, non morire, ti prego!".
Archibald? Ma lui non era morto! Che ci faceva lì? E perché sembrava così infelice? Di certo, soffriva per la perdita di suo fratello Alistear, un altro caro pronipote mancato a causa della guerra. D'improvviso, vide i suoi occhi rossi avvicinarsi tanto che poté toccarlo: sembrava così tangibile che non doveva essere un sogno, ma la realtà! La mano si posò sul suo viso giovane e sofferente e i capelli lunghi le solleticarono il dorso.
"Mi dispiace, figliolo, non aver potuto fare nulla per salvare tuo fratello e Anthony... mi spiace... così tanto...". Nuove lacrime le scesero sul volto e lui le baciò le dita che sentiva gelide.
"Non è stata colpa tua, zietta. Ti voglio bene, mi senti? È tutto a posto".
Commossa, gli sorrise e cominciò a ritirare la mano sotto al suo sguardo allarmato. Si sentiva così stanca, era come se tutta quella luce la stesse consumando dall'interno, ma arricchendola al contempo. E sostituiva i ricordi dolorosi con il perdono e nuove speranze.
La sua anima stava letteralmente rinascendo nel sole.
E fu in quel sole che lo vide: era cresciuto e aveva circa quindici anni. Chino sulla tomba di sua sorella, versava lacrime composte e silenziose mentre stringeva una cornamusa fra le braccia.
"Questo è per te, Rose, dal tuo piccolo Bert", mormorò cominciando a suonarla. La melodia era struggente e meravigliosa, le note si susseguivano con armonia, eppure erano pregne di malinconia.
"Will... Albert", lo chiamò e accadde un'altra cosa strana: quando si voltò non era più un bambino, ma un uomo adulto e i suoi capelli erano più lunghi. Somigliava tanto a suo padre!
"Sono qui, zia", rispose al suo richiamo con voce rotta, gli occhi scintillanti.
"Sei triste per me? Io sto bene, sei tu che sei malato, nipote mio. Voglio solo curare il tuo cuore...". Non capì bene perché affiorarono proprio quelle parole alle sue labbra, ma sentì che erano quelle giuste. Anche lui fece lo stesso gesto di Archibald, stringendo e baciando leggermente la mano, dicendo qualcosa che non udì e si perse in un'eco lontana.
Elroy, però, colse distintamente il suo "ti voglio bene", tuttavia non riuscì a rispondergli e tentò perlomeno di fargli un sorriso. Chissà se ci era riuscita... le palpebre divennero pesanti e la luce tornò a invadere il suo mondo.
Da lontano, sentiva piangere un bambino. No, era una ragazzina. Una ragazzina bionda con i capelli legati in due buffe code. Il viso affondato tra le mani, singhiozzava sovrastata da due figure che riconobbe come Eliza e Neal. Una figura più alta era in piedi alla loro destra, di certo si trattava di Sarah.
Era assurdo, loro erano in Florida, mentre Candice...
La sua mente, che solo poco tempo prima sembrava aver perduto ogni ricordo, tornò a schiarirsi sempre di più.
È la luce. La luce mi guida e illumina il passato che credevo di aver perduto.
"Non ho rubato niente, lo giuro!", piangeva Candy e, come non aveva mai fatto nel mondo reale, Elroy si affrettò a correre verso di lei e stringerla in un abbraccio per proteggerla dai suoi nipoti e da Sarah, che la guardarono inorriditi.
"Lasciate stare la piccola Candy! Lei è migliore di voi, non ha nessuna colpa!". Non fu il sole a inghiottirli, ma una sorta di oscurità che avvolse solo loro e svanì in un lampo.
Tra le sue braccia, Candy era cresciuta e la guardava con gli occhi grati pieni di lacrime: "Grazie, zia Elroy. Grazie di tutto".
"Ti prego, non andare in Europa, non lasciare solo Albert! Lui ha bisogno di te, devi salvarlo!".
Sotto lo sguardo stupito della ragazza, Elroy fu pervasa da un senso di urgenza. Torna, ti prego, resta accanto a lui. Non importa se ha sposato un'altra donna, lui ama te. Albert ha bisogno di te. Sì, Albert, come lo chiami tu, non William.
Non seppe se quelle parole le arrivarono, né se quella Candy fosse reale. Dopotutto, forse non era più nemmeno in vita. E il sospetto si fece ancora più forte quando le sagome del suo dolce Anthony e del caro Alistear emersero dalla luce, anche loro tendendole le mani con un sorriso.
"Non preoccuparti, zia, non c'è altro che tu possa fare", dissero a una voce, facendole di nuovo salire le lacrime agli occhi.
Allungò le mani per prendere le loro e la luce avvolse tutto anche davanti a lei, chiudendola in un abbraccio caldo, profumato di rose e di vento. Era a Lakewood, a Chicago, in Scozia, nella sala da ballo con tutti i suoi nipoti. Ed era anche nella villa dei suoi genitori. Era fuori in giardino, annusando l'aria fresca che saliva dal lago e si mescolava con l'odore dell'erba fresca.
Era ovunque, in ogni angolo e in ogni momento della propria vita e... oh, come si sentiva leggera! Fluttuava tra i ricordi che infine erano tornati, tra gli sguardi su volti amati che temeva non avrebbe più rivisto. E sentiva una dolce musica, che le ricordava quella delle cornamuse.
E, seguendo la musica e le persone amate, Elroy divenne a sua volta pura luce.
- § -
Candy stava sistemando la flebo a un paziente quando la chiamarono. Riconobbe il tono quasi musicale di Francine, la sua collega che sapeva di poterle parlare in francese se solo scandiva bene le parole.
"C'è un telegramma dall'America, appena hai finito puoi leggerlo nella stanza delle infermiere".
Per poco il contenitore con il liquido non le cadde dalle mani e si impose di fissarlo bene al supporto, ricontrollandolo più volte prima di lasciare la corsia.
I passi furono all'inizio controllati poi, man mano che si avvicinava alla sala dedicata alla pausa, divennero pari a una corsa. Si aspettò quasi di sentire la direttrice Mary Jane gridarle dietro che non doveva correre nei corridoi, ma ovviamente non accadde e Candy giunse a destinazione con il fiato corto.
"Dov'è?", chiese dimenticando di parlare nella lingua locale.
Francine le indicò il tavolo e lei afferrò la busta tra le mani gelide e tremanti, cercando di strapparne i lembi senza rovinare il foglio all'interno.
Le poche parole, fredde e impietose, la costrinsero a sedere di colpo, con un grido strozzato.
"Brutte notizie?". Udì a malapena i passi della collega e la sua voce preoccupata che si sforzava di farle la domanda in inglese.
Boccheggiando, incapace di rispondere, Candy sentì gli occhi riempirsi di lacrime e le immagini di una donna altera e perennemente accigliata le scorsero davanti come se le vedesse in quel momento. La voce, ferma e impostata, le intimava di stare con la schiena dritta, di imparare a memoria i nomi degli antenati e, santo Cielo, di smetterla di sorridere per ogni cosa!
Non era giusto, non doveva finire così: aveva ricevuto lettere da Archie e Annie che si dicevano preoccupati per la salute della zia, ma non credeva che la malattia avrebbe avuto un decorso tanto rapido.
Pur conoscendo bene le implicazioni legate al suo stato, in cuor suo aveva sperato che l'incrollabile matriarca avrebbe combattuto con la fierezza che la contraddistingueva da sempre, persino con quella punta di arroganza che tante volte l'aveva fatta disperare.
Invece, a miglia di distanza e per la sua assoluta incredulità, la zia Elroy era morta prima ancora che le cose tra loro potessero appianarsi del tutto. Ma, a sconvolgerla, non fu solo quell'aspetto così triste.
Fu l'ultima riga del telegramma.
Rientra urgentemente per lettura testamento. Stop.
Archibald Cornwell.
Cosa c'entrava lei con il testamento degli Ardlay, visto che non aveva neanche più il loro cognome?
Asciugandosi gli occhi, finalmente Candy si alzò dalla sedia, poggiandosi al tavolino rotondo perché non si fidava delle proprie gambe, e rispose a Francine: "Sì, purtroppo. È morta una mia parente in America e devo...".
La guardò, rendendosi conto della portata della questione: doveva davvero rientrare?
"Devi tornare a casa, giusto?", la sua collega sorrideva un poco e le aveva posto una mano confortante sulla spalla. "Mi dispiace molto per la tua parente, se vuoi ti accompagno dalla direttrice, così puoi chiederle il permesso di partire: sono certa che mancherai a tutti, ma non avrai problemi".
Tornare a casa. Vicino ad Albert che era sposato con un'altra donna e aveva un figlio in arrivo: tutte cose che già sapeva da tempo, ma che in qualche modo era riuscita a tenere relativamente lontane dai suoi pensieri finché era distante.
A parte la notte, quando sono sola e sogno i suoi occhi e il suo sorriso, la sua voce...
"Io... io non sono sicura che sia necessaria la mia presenza. Devo fare una telefonata". Si rimise il telegramma in tasca e, rivolgendo uno sguardo grato a Francine, cominciò a fare un calcolo mentale del fuso orario: se era fortunata, Archie doveva già essere sveglio.
Senza indugi, Candy si recò dalla direttrice, spiegandole che aveva appena avuto un lutto in famiglia e necessitava di fare una telefonata intercontinentale. L'avrebbe pagata a sue spese, ma la donna di mezza età le sorrise, benevola.
"Non ti preoccupare, cara, puoi andare nella sala dove c'è il telefono e non ti chiederemo di pagare. Apprezziamo molto il tuo lavoro qui e la tua dedizione". Il suo inglese era quasi fluido e tradito solo da un lieve accento.
La ringraziò con le lacrime agli occhi e per un solo, orribile istante, non ricordò più il numero della casa di Chicago. Per fortuna, le tornò in mente mentre sedeva alla scrivania e alzava la cornetta. Attese lunghi minuti che il centralino la mettesse in comunicazione con l'America e, ancora una volta, sperò di trovare Archie o persino Annie.
La voce che le rispose dall'altro capo della cornetta, però, le mozzò il fiato in gola.
"Pronto? Candy, sei tu?!". E come aveva fatto a indovinare che si trattava di lei? Non c'era nessun altro all'estero che potesse telefonare per porgere le condoglianze?
Cercando di stabilizzare la voce e il respiro, rispose semplicemente: "Sì, Albert, sono io. Mi... mi dispiace tanto...". Non seppe se fu per averlo udito tanto vicino da immaginare quasi di vederlo e toccarlo o se il dolore per la zia fosse stato rinnovato, ma un sentimento di dolore e nostalgia l'attanagliò facendola piangere senza ritegno.
Nel tentativo disperato di ricomporsi, cercò freneticamente un fazzoletto nella tasca della divisa e se lo premette sulla bocca per soffocare i singhiozzi.
"Grazie, Candy... non piangere, ti prego...".
Sei più carina quando ridi, che quando piangi.
Quel ricordo riuscì solo a spezzarle il cuore ancora di più. E pensava di aver appena trovato un minimo di equilibrio nella sua vita: invece il suo destino la stava riportando di nuovo lì, da lui, nella sua terra.
O forse no.
"Scusami, io... penso di averle voluto bene più di quanto lei abbia mai immaginato". Era la verità, la scomparsa della zia Elroy la feriva nel profondo.
"Io invece credo che lei lo sapesse molto bene, specie negli ultimi tempi, in cui...". Albert esitò e avvertì il dolore nella sua voce spezzata. Poco prima si era detta decisa a rimanere in Francia, pur di non doverlo rivedere, ora voleva solo abbracciarlo e consolarlo. "Prima di morire ha chiamato anche il tuo nome".
Spalancò gli occhi, incredula: "Ma... ma non è possibile, io... non l'ho neanche salutata come si conveniva! Doveva essere furiosa con me". Si asciugò gli occhi e tirò su col naso, il senso di colpa che l'attanagliava di nuovo.
Il lungo silenzio di Albert le suggerì che forse, nella sua sofferenza, non riuscisse a parlare e in lei si rinnovò il desiderio ardente di stringerlo. Invece, fu con tono appena velato che le confessò: "Poco tempo prima di morire, la zia Elroy mi ha chiesto perché non avessi sposato te. Ha detto...", la voce tremò e lo sentì schiarirsela, "...ha detto che ci amavamo tanto".
Era inutile cercare di asciugarle o di fermarle: Candy lasciò che le lacrime fluissero dai propri occhi e le inzuppassero le guance, la divisa, persino la cornetta del telefono. Piangeva per la zia Elroy, morta in modo così repentino, e per quel loro amore, mai sbocciato come avrebbe potuto. E piangeva perché, anche se fosse stata là, non avrebbe potuto comunque abbracciare Albert, visto che aveva una moglie. Tuttavia, era certa che non fosse lì con lui, asciugando un pianto silenzioso che lei poteva solo percepire a miglia da distanza.
Quando fu di nuovo in grado di parlare, finalmente spiegò il motivo della sua chiamata: "Albert, ho ricevuto un telegramma nel quale Archie mi chiede di tornare per la lettura del testamento. Ma deve esserci un errore! Io non faccio più parte della famiglia e la zia... insomma, non credo che volesse...".
"Ti ha inclusa nel testamento, Candy, te lo posso assicurare". La voce di Albert le apparve più ferma.
"Io... io... non posso accettare...".
"Candy", la sfumatura accondiscendente invocava ascolto. "Non vogliamo che la zia si arrabbi, ovunque si trovi, non è vero? In questi ultimi mesi ha chiesto di te più di una volta e non solo a me, ma anche a Georges e forse persino ad Archie. Ha voluto modificare il testamento e gli avvocati lo hanno dichiarato valido. Purtroppo, per i funerali di domani non c'è nulla che tu possa fare per essere presente, ma abbiamo predisposto le cose affinché la lettura delle sue ultime volontà avvenga tra due settimane, così avrai tutto il tempo di tornare... hai bisogno di qualche giorno in più, a proposito?".
Candy non seppe che rispondere: in pratica tutto era stato già deciso e, a dirla tutta, non se la sentiva davvero di disattendere l'ultimo desiderio della zia.
Prendendo il coraggio a due mani, rispose con un sospiro: "Non c'è problema, due settimane dovrebbero essermi sufficienti. Parlerò subito con la direttrice, spiegandole che ho bisogno di un periodo... di permesso".
Dopo una breve esitazione, Albert chiese: "Quindi... ripartirai?".
"Io... io credo proprio di sì".
"Bene, va bene... Candy, sono felice di averti potuto parlare di nuovo. Non sai quanto... ti ho pensata, in questi mesi".
"Albert...". Cosa stava per dirgli? Non pensare a me, ma a tua moglie e a tuo figlio. Non dirmi quanto ti manco, perché andrei di nuovo in pezzi.
"Stai attenta durante il viaggio di ritorno. Hai abbastanza soldi? Vuoi...?", aggiunse.
Candy si concesse il fantasma di un sorriso, sentendosi riempire l'anima del suo affetto e della sua dedizione: "Tranquillo, Bert, non viaggerò di nuovo da clandestina e ho soldi a sufficienza per tornare". La sua risata sommessa le fece bene al cuore e le ricordò dolorosamente quanto lo amasse. "Ora devo andare, devo avvertire la direttrice e preparare i bagagli. A presto, salutami Archie e gli altri".
Quando riagganciò, dovette attendere lunghi istanti per rialzarsi. Le gambe le tremavano tanto che, se avesse tentato di stare in piedi, forse sarebbe caduta.
E ora come affronto tutto questo?
- § -
Risentire la tua voce in questo momento di dolore è stato come respirare l'aria dolce e profumata di Lakewood. Hai riportato pace e serenità nel mio cuore tormentato.
Eppure, questo cuore gioisce e si dispera nello stesso tempo, trafitto dalla consapevolezza che siamo lontani e lo rimarremo anche quando tu tornerai qui.
Il tuo pianto così sincero mi ha toccato l'anima, perché so che stai soffrendo anche tu e che la morte della zia Elroy è solo parte del motivo delle tue lacrime, pur vere.
Tu, che piangi la perdita di una donna che non ti ha mai considerata con l'amore che meritavi, se non quando ormai era troppo tardi; tu, che mi hai perdonato una colpa che ancora non so se sia anche mia; tu, che sei fuggita lontano per lenire la sofferenza; tu, che sei carina sia quando ridi che quando piangi.
Tu, mia dolce, dolce Candy.
Sarai sempre tu la stella più luminosa in questa notte oscura e a breve verrai affiancata dalla creatura che amo già come fosse qui. Non sei mia moglie, ma è come se lo fossi. Non siamo una famiglia, però tu e il bambino siete le due persone più importanti della mia vita.
Albert ripose la penna nel calamaio e si stropicciò gli occhi stanchi: era stata una giornata che gli aveva lasciato sentimenti contrastanti, ma soprattutto era stata una delle più faticose.
Il giorno della morte della zia Elroy pensava di aver toccato il fondo mentre le teneva la mano insieme a suo nipote, ascoltandola parlare come se vedesse anche altre persone oltre loro due e l'infermiera che controllava i segni vitali. E lo aveva chiamato Albert, commuovendolo nel profondo. Gli aveva detto, con un filo di voce, che voleva curare il suo cuore e lui, non comprendendo appieno cosa intendesse, era riuscito solo a ribadirle che le voleva bene, mentre la vita le scivolava via.
Il resto delle ore lo aveva vissuto preda di un dolore cupo, comportandosi meccanicamente per adempiere a tutte le formalità assieme ad Archie. Anche i giorni successivi erano come avvolti in una nebbia nella quale a malapena ricordava di essersi fermato per mangiare o per dormire.
Mentre si trovava alla villa di Chicago, i telefoni avevano squillato quasi ininterrottamente e la servitù era impegnata a preparare un rinfresco per i membri anziani del clan che si erano riuniti. Non sapeva come fosse accaduto, forse il destino o la stessa zia Elroy ci avevano messo lo zampino: all'ennesima telefonata aveva risposto lui, bloccando con una mano Georges che stava per farlo.
Se lo sentiva, per strano che suonasse. Sapeva che il telegramma doveva ormai esserle arrivato e non avrebbe sprecato la possibilità di parlarle di nuovo.
Richiuse il diario a chiave nel cassetto della scrivania e andò alla finestra aperta alle proprie spalle: la luna mostrava i suoi tre quarti tra le stelle del limpido cielo estivo e sembrava così grande che poteva quasi afferrarla solo allungando una mano.
Ma, come Candy, appariva vicina essendo in realtà lontana. Molto lontana.
C'era stato un tempo, prima che accadesse tutto, in cui aveva immaginato la sua conversazione con la zia Elroy, quando le avrebbe confessato che voleva sposare Candy. Si vedeva, risoluto e solo un po' nervoso, bussare alla sua porta e incontrare il viso imperturbabile e severo della matriarca.
In quel momento, udì persino la propria voce spiegarle quanto Candy fosse stata importante per lui e non solo perché gli aveva praticamente salvato la vita quando aveva perso la memoria. La zia avrebbe urlato, magari battuto un discreto pugno sul bracciolo della poltrona dove era intenta a sorbire il suo tè pomeridiano. E gli sarebbe toccato calmarla, rabbonirla, con tono fermo ma dolce.
E, se avesse insistito, l'avrebbe messa di fronte a una scelta, proprio come aveva fatto sua sorella tanti anni prima: per Candy era disposto a rinunciare persino al suo cognome.
Invece Candy non farà mai parte della mia vita e tu sei morta prima che potessimo discutere o parlare ancora una volta. Oh, cara zia...
Sfinito nel corpo e nello spirito, Albert lasciò che una lacrima scivolasse pigramente sul viso, rinfrescandolo un poco quando il vento gentile di fine estate cominciò a soffiare.
Un rumore alle sue spalle lo fece sussultare e fu con grande disappunto che incontrò lo sguardo quasi spaurito di LIlian.
- § -
Era stufa di tutto e di tutti.
Non sopportava più quella reclusione mentre William andava avanti e indietro tra casa loro e la villa di Chicago, impossibilitata a muoversi come fosse una detenuta. La scusa ufficiale di lui era che doveva rimanere a riposo, quella reale era molto diversa...
Tuttavia, Lilian capiva perfettamente che era appena morta la matriarca degli Ardlay e questo non poteva portare che vantaggi, da un certo punto di vista. Anche se l'ultima volta che si erano viste aveva riscontrato che era senza dubbio dalla sua parte, la sua dipartita significava che la sua fetta di fortuna sarebbe presto entrata a far parte di quella già esistente e che lei sarebbe diventata la nuova matriarca. E proprio ora che il bambino stava per nascere.
Mancavano solo un paio di mesi al termine e l'arrivo di un'eredità aggiuntiva era forse l'unica buona notizia: in realtà, Lilian veniva spesso presa dal panico. Il parto sarebbe stato prematuro agli occhi di suo marito e ancora non sapeva se sarebbe somigliato a lei o a Ethan. E non aveva alcun modo per mettersi in contatto con lui.
Frustrata, scese dal letto intenzionata ad approfittare della fragilità attuale di suo marito per chiedergli di farla andare a fare shopping da sola, per una volta, così lui non avrebbe dovuto sorbirsi lunghe attese in auto assieme al loro autista. Magari proprio l'indomani, dopo i funerali o, più propriamente, entro un paio di giorni al massimo.
La porta dello studio era accostata, come se William non si aspettasse una sua visita in piena notte. Ne approfittò per fare meno rumore possibile, cogliendo l'attimo esatto in cui riponeva qualcosa che le parve un diario nella sua scrivania e si alzava per andare alla finestra.
Sembrava così perso nei suoi pensieri che non la vide neanche quando fece un ulteriore passo, scorgendo parte del suo profilo. Sembrava così vulnerabile, in quel momento, che se solo avesse avuto il veleno con sé forse avrebbe persino potuto...
Lilian spalancò gli occhi, incredula: era una lacrima quella che brillava alla luce della luna? Il potente e inflessibile William Ardlay, che le aveva rivolto parole dure e la degnava a malapena di uno sguardo stava... piangendo?
Gli istanti le parvero eterni mentre si voltava per scorgerla, ma le furono sufficienti per provare qualcosa che somigliava in maniera troppo pericolosa all'empatia, ricordando il proprio dolore alla perdita del padre. Non sapeva se William piangesse la morte di sua zia o persino la lontananza di Candy, ma in quei giorni lo aveva visto serio e composto
glaciale
mentre manteneva il solito distacco da lei. L'espressione rilassata aveva però lasciato posto a un cipiglio profondo e l'aveva ringraziata senza particolare emozione quando gli aveva porto le sue più sentite condoglianze davanti alla servitù. Era stato più un gesto di cortesia, la sensazione di dover adempiere a un obbligo, eppure in quel momento sentì che gli doveva qualcosa in più.
Dopotutto, l'aveva sposata accettando la sua storia, anche se controvoglia.
"Non dovresti essere a letto?", esordì con voce dura, gli occhi ora freddi e asciutti.
"Io... non riuscivo a dormire". Non era una vera e propria bugia.
I lineamenti di William si ammorbidirono come quando era preoccupato: "Non ti senti bene, forse?".
È solo per il bambino. Si preoccupa per il bambino.
"Sto bene. Volevo solo...".
Voglio che mi lasci uscire, dannazione! Devo comprare delle cose per me stessa e per il bambino che, anche se tu credi nascerà il prossimo anno, vedrà la luce nel mese di novembre! E devo incontrare l'uomo che amo per farmi dare il veleno con cui ucciderti!
"...dirti che mi dispiace, sinceramente".
Se avesse avuto uno specchio, di certo avrebbe visto la propria faccia stupita non meno di quella di suo marito, che aveva persino lasciato cadere un po' la mascella e sbattuto le palpebre come per accertarsi che ci fosse lei, lì davanti, e non qualcun altro.
Perché aveva detto una cosa simile? Davvero provava quei sentimenti così altruistici verso il suo carceriere?!
"Ti... ringrazio, Lilian". La titubanza fu breve, ma la sfumatura di gratitudine vera nel suo tono fu una novità, per lei.
Se solo mi amassi un po', allora forse... io...
Cosa avrebbe fatto? Sarebbe rimasta al suo fianco rinunciando a Ethan? No, certo che no. Però si sarebbe guadagnata poco a poco la fiducia di William e Ethan sarebbe diventato il suo amante, quando fosse stata libera di uscire.
Lo avresti fatto solo per elemosinare un po' d'amore da lui o perché desideri che corrisponda questo tuo capriccio?
Il suo spirito ribelle si contorse, quello pragmatico lo sostenne e tutto ciò che poteva scadere nel sentimentalismo fu ricacciato a forza nei meandri della propria anima. Quelli più oscuri. Ethan era l'unico proprietario del suo cuore e non avrebbe fatto confusione per un paio di occhi chiari e limpidi.
"Nei prossimi giorni ho bisogno di fare delle compere", disse cercando di modulare il tono perché apparisse deciso. "Ma capisco che sarai molto impegnato: perché non mi lasci andare con l'autista? La cameriera può accompagnarmi e...".
"Farò in modo di accompagnarti io, come al solito. Però devi concedermi almeno un paio di giorni dal funerale". Nonostante i momenti condivisi poco prima, William riprese subito le redini e non sembrava avere intenzione di mollarle.
Tanto le bastò per fare marcia indietro al piano originario: cosa si aspettava, che si sarebbe trasformato in un agnellino di punto in bianco? E con quei presupposti, anche ammesso che l'avrebbe infine lasciata più libera, quanto avrebbe impiegato a convincerlo? Il solo fatto che il bambino stesse per nascere faceva pendere l'ago della bilancia verso l'unica soluzione possibile.
Ma che non poteva mettere in atto finché non avesse rivisto Ethan.
"Hai intenzione di entrare anche in sala parto quando arriverà il momento? No, perché anche lì io potrei decidere di fuggire dalla finestra, anche se ho le doglie, per andare chissà dove! Siamo ancora a questo punto dopo tre mesi di matrimonio?!".
"Lilian...".
"Non puoi obbligarmi a seguire i tuoi tempi, capisci? Se tu devi lavorare e io uscire, devo sempre attendere che tu sia libero! Se ho bisogno di vedere un'amica da sola, non posso portarti in una sala da tè e coinvolgerti nelle nostre chiacchiere!".
Lui si accigliò e fece un passo avanti: "Hai delle amiche, Lilian? Davvero? Non è che per caso hai una sola amicizia maschile per cui la sala da tè sarebbe troppo affollata?!".
Lo schiaffo partì senza che quasi se ne accorgesse e William lo incassò con gli occhi chiusi. Forse aveva capito da solo di essere andato oltre.
Se solo sapesse che è la pura verità...
"Credo di meritarmi più rispetto, tutto sommato, non credi?". Il tono era pericoloso, irato, e Lilian non fece nulla per nasconderlo.
Suo marito la osservò con attenzione: aveva gli occhi cerchiati e si vedeva che era stanco e aveva bisogno di riposare. Chissà cosa diavolo aveva scritto, in quel diario? Forse erano lettere mai spedite alla sua amante? Un bel giorno gli avrebbe rubato la chiave e allora...
"Va bene, Lilian, ammetto di essermi fatto prendere la mano. Ma le regole non cambiano, inoltre preferisco sincerarmi che non ti succeda niente nelle tue condizioni".
Ipocrita.
"Me la cavo benissimo a fare le scale da sola e a uscire in giardino", ribatté ironica.
William sospirò e si passò una mano tra i capelli: "Lilian, è molto tardi e abbiamo entrambi bisogno di dormire. Domani sarà un giorno molto doloroso, per me. Possiamo evitare discussioni, per favore?".
Come posso passare dall'attrazione, all'empatia, all'odio in maniera così repentina con quest'uomo?!
Stava quasi per chiedergli di seguirla nella sua stanza, dove lo avrebbe consolato come nessuna donna aveva mai fatto, ma si trattenne. Di certo avrebbe rifiutato e Lilian voleva continuare a mantenere la propria dignità: era stufa di prostrarsi ai suoi piedi, specie se non ce n'era motivo.
Lo faresti per lui... o per te?
Ignorando la voce nella propria testa, Lilian lasciò che l'accompagnasse nella propria camera prima di chiudersi nella sua e si rese conto, d'improvviso, che al funerale della matriarca forse sarebbe intervenuta anche sua madre.
Piove sul bagnato.
E lei non aveva davvero alcuna voglia di rivederla.
