Grazie per i commenti a Cla1969, Kecs, Dany Cornwell, Charlotte, MariaGpe22, Ericka Larios, Eydie Chong: sembra che si stia preparando davvero il caos con tutta questa carne al fuoco, vero? Albert deve stare molto attento e guardarsi alle spalle, perché Ethan trama nell'ombra... e pare che abbia in mente nientemeno che un tiratore scelto! La zia Elroy invece che ha in mente col testamento? Candy sta tornando ma non resterà troppo vicina ad Albert... o almeno questa è la sua intenzione, al momento non percepisce il grande pericolo incombente e come potrebbe? Margaret riuscirà a trovare l'amante della figlia e a renderlo innocuo? Di sicuro il ragazzo non è uno che si fa prendere facilmente, anche se sembra tenere a suo figlio molto più della madre... una di voi ha paragonato questi capitoli a una diabolica montagna russa. Quanto ci vorrà per la fine della corsa e cosa accadrà? Grazie per i complimenti! E ora... allacciate le cinture, che si parte...


Nel mirino

24 Settembre, notte

Henry sbatté le palpebre cercando di schiarirsi meglio la vista, dopo che alcune gocce di sudore gli erano finite negli occhi. Le fronde dell'albero erano abbastanza folte da nasconderlo, ma sperava che nessuno passasse per i boschi col rischio di scorgere la punta del suo fedele Springfield M1903.

Da quando era finita la guerra e gli incubi avevano cominciato a popolare il suo sonno, quel fucile era il suo unico amico e il suo peggior nemico.

Quando era accaduto, si trovava proprio nella boscaglia delle campagne francesi e stava puntando un soldato di vedetta: non credeva che il destino lo avrebbe riportato in una situazione simile. Stava per rifiutare la proposta, ma a convincerlo era stato non tanto il denaro, quanto la promessa di avere qualcosa che lo facesse infine dormire sereno.

E non sognare più il momento esatto in cui si era poggiato con un ginocchio su una mina, rabbrividendo di orrore mentre il fucile gli cadeva di mano. Per una frazione di secondo era stato convinto di aver scampato il pericolo, ma il suo corpo già si stava muovendo per fuggire quando l'esplosione era avvenuta, proiettandolo lontano e lasciandolo stordito e con una mano sanguinante.

Se la mina non fosse stata difettosa, esplodendo in ritardo, e non avesse avuto una carica insufficiente, in quel momento non si sarebbe ritrovato a imprecare contro il tronco che gli stava massacrando la schiena e il ramo che gli stava facendo diventare il didietro un concentrato di dolore dall'osso sacro in su.

Si deterse il sudore dalla fronte, spostando un poco il peso del fucile che aveva la punta bilanciata sul ramo di fronte e ricontrollò il mirino: a quanto pareva, gli informatori si erano sbagliati e l'eccentrico patriarca non sarebbe uscito in piena notte per fare una passeggiata nella natura come avevano sperato: l'alternativa era posizionarsi di fronte alla sua finestra passando per il bosco, a una distanza sufficiente per vederlo ma non tanto vicino da farsi beccare dai servitori.

Henry fece una smorfia e si rese conto che avrebbe dovuto chiedere dieci dollari in più solo per il fattore buio. Aveva una vista da aquila, non da felino, anche se doveva dire che le luci dei lampioni predisposti nella zona più a ridosso della villa, nonché il tempo limpido con luna e stelle, giocavano a suo favore.

E se William Ardlay avesse deciso di inoltrarsi nel fitto della vegetazione? Allora sì che sarebbe stato un problema! Come minimo, si sarebbe dovuto sforzare di mirare e colpire un soggetto in movimento e quello era difficile. Non che non ne fosse in grado, però se avesse fallito...

Con un ansito strozzato, Henry aguzzò la vista sulla sagoma che era appena uscita da dietro un albero. Aveva visto decine di foto del soggetto, sia sui giornali che fornite dal committente, e fu sicuro di non sbagliarsi: i capelli biondi e i lineamenti erano i suoi. Persino il portamento e la corporatura erano ben riconoscibili, anche se indossava dei vestiti che erano poco più che degli stracci: a quanto pareva gli piaceva stare comodo, quando non doveva mostrarsi in società.

Camminava lentamente, con le mani affondate nelle tasche dei pantaloni e sembrava stesse assaporando l'aria fresca della notte. Per un istante, Henry ebbe il suo profilo al centro esatto della croce del mirino e l'indice della mano destra si contrasse sul grilletto.

No, non doveva avere fretta ed ebbe ragione: il patriarca riprese a muoversi quasi subito e... che diavolo stava facendo?!

"Che mi venga un colpo! Sapevo che eri strano, ma non fino a questo punto!".

William Ardlay, che a quanto si diceva era arrivato fino in Africa a prestare supporto ed era rimasto vittima di un incidente al suo ritorno, si stava arrampicando sull'albero con un'agilità invidiabile. Se si fosse fermato alla sua stessa altezza, avrebbe avuto il cento per cento di possibilità di colpirlo. Beh, forse il novantanove... ma di certo sarebbe stato molto più semplice.

Si lanciò una breve occhiata alle spalle, ripassando il piano: il fiume scorreva poco lontano da lì e dallo sparo sarebbe comunque passato qualche minuto prima che dalla villa arrivasse qualcuno. Avrebbe avuto tutto il tempo di scendere e correre fino alla barca che lo aspettava.

Anche se avessero scorto un uomo che si allontanava con un fucile, avrebbero dovuto trovare un'altra imbarcazione per seguirlo e a quel punto sarebbe già stato lontano, visto che un'auto era pronta sul sentiero prima della cascata.

Riprese a guardare l'arrampicata dell'uomo più potente di Chicago e attese con pazienza che si fermasse su un ramo. Aveva pensato di cambiare posizione, perché l'obiettivo era un po' decentrato sulla destra e dovette piegarsi in avanti, ruotando il corpo per assestare il proprio peso e quello del fucile. Tutto sommato, però, aveva sparato in condizioni ben peggiori e anche a distanze superiori: la sua buona stella doveva essere lì, che brillava nel firmamento quella sera.

L'uomo appoggiò il capo sul tronco ed era parzialmente in ombra, ma la sagoma del cranio era l'unica cosa che lo interessasse: era lì che doveva finire il proiettile, non altrove con il rischio che sopravvivesse.

Henry sentì l'adrenalina scaricarsi lungo ogni vena del suo corpo e i lineamenti del viso si contrassero automaticamente in un sorriso. Era di nuovo in gioco, non c'erano mine ed era un tiratore scelto anche senza un dito della mano sinistra. E, a breve, avrebbe dormito di nuovo come un bambino.

"Mi dispiace, amico, nulla di personale. O forse sì", mormorò a fior di labbra.

E, contraendo tutti i muscoli per sopportare il rinculo del fucile, Henry dita magiche premette il grilletto e fece fuoco.

- § -

24 Settembre, mattina

Devo calmarmi, respirare e non pensare a niente. Lo saluterò, sorriderò e sarò gentile e composta davanti a sua moglie.

Candy si era ripetuta quella nenia per ore, prima di sbarcare, e se la ripeté anche mentre attraccava e si gettava fra le braccia di Annie e Archie che erano andati a prenderla.

"Sono così felice che questa scena si ripeta alla rovescia, Candy", disse Archie con un sorriso.

Lei lo ricambiò tristemente: "Non dire così... non sono tornata per un viaggio di piacere".

Le labbra del suo amico si rilassarono e lui chiuse gli occhi: "Oh, Candy, è stato così triste...".

"Mi dispiace, davvero". Gli pose una mano sul braccio e restò in silenzio, mentre si ricomponeva.

"Sai, Candy", esordì Annie, "sono venuti anche i Lagan dalla Florida".

"Davvero?". Si sentiva quasi più pronta ad affrontare loro che Albert, per assurdo che suonasse.

"Già, ma a quanto pare hanno fretta di ritornare, perché dopo la lettura del testamento se ne andranno di nuovo, per fortuna". Archie le aveva preso la valigia e si stavano dirigendo verso la strada per andare in macchina.

Durante il viaggio in auto, parlarono dei Lagan, del suo lavoro in un ospedale francese dove aveva scoperto nuove tecniche per irrigare le ferite e soprattutto della povera zia Elroy che era stata battuta dalla malattia degenerativa in modo tanto repentino.

Candy si tormentò le dita e il cuore ebbe un tuffo quando riconobbe il paesaggio noto fuori dei finestrini: non era ancora arrivata e già sentiva l'ondata di sentimenti rischiare di sommergerla.

Non va bene, non va per niente bene! Che succederà quando lo incontrerò?

"Candy?". Annie le aveva posto una mano sulla propria, facendola sussultare: era gelida.

"Non ce la faccio, non ci riesco, mi dispiace...". Come una diga che fosse stata incrinata e poi definitivamente spaccata da un fiume in piena, alla fine crollò. Non era pronta a tornare a casa, era passato troppo poco tempo e lei non era abbastanza forte.

Si sentiva come se fosse appena morto Anthony, Terence le avesse dato l'addio sulle scale di un ospedale di New York solo un'ora prima e al contempo avesse ricevuto la notizia della morte di Stair. Tutto quel dolore che aveva avuto modo di elaborare, imparando col tempo a conviverci, si rinnovava e si confondeva con la propria incapacità di affrontare l'uomo che amava al fianco di un'altra donna.

Albert è vivo e sta bene, dovrei poterlo sopportare solo per questo.

"Ce la puoi fare invece", intervenne Archie guardandola dallo specchietto. "Sei sempre stata una combattente!".

"Non sono più io, capisci? Sono come morta, il giorno... il giorno in cui...". Si staccò lievemente dall'abbraccio di Annie e accettò il suo fazzoletto.

La ragazza aveva gli occhi lucidi, ma le prese il viso tra le mani: "Candy, mentirei se ti dicessi che ti capisco, ma posso immaginare come ti senti mettendomi al tuo posto e ipotizzando che ci sia Archie nei panni di Albert". Chiuse le palpebre come se si stesse davvero calando nella situazione. "È devastante, ma hai superato di peggio e oggi stai facendo qualcosa di molto nobile, perché hai percorso miglia di distanza per assecondare uno degli ultimi desideri di una donna che non ti ha mai amato come meritavi".

"Non mi crederai, ma ho sofferto davvero quando mi è arrivata la notizia. Stavamo... cominciando a entrare in sintonia prima che...". Si asciugò gli occhi e lasciò che Annie la interrompesse.

"Lo so che hai un cuore buono e provi dolore sincero. Allora concentrati su di lei, quando vedrai Albert, pensa che stai facendo la cosa giusta e non dare anche a lui un motivo in più per preoccuparsi, d'accordo?".

"Come... come sta?", singhiozzò tentando di smettere di piangere ma non potendo trattenere quella domanda.

"Beh, è molto addolorato ovviamente, ma lavora tanto e si tiene impegnato". La risposta di Archie le rimandò la descrizione perfetta del proprio comportamento.

"Quando ho telefonato gli ho parlato e sembrava quasi quello di sempre. Ma ho avvertito il suo dolore come se lo provassi io...". Si strinse le mani al petto. "Voglio solo sperare che sua moglie gli sia di conforto in qualche modo e si renda conto del suo reale valore".

Annie distolse lo sguardo e Archie disse solo: "Siamo arrivati".

Tanto le bastò per capire: Lilian Rousseau non amava Albert, non quanto lei perlomeno, e non aveva la più pallida idea di che tesoro avesse trovato in lui, se non quello rappresentato dal denaro. A quel punto, quando fosse stata nella stessa stanza con loro, avrebbe dovuto sperare che vedessero nelle sue lacrime solo il dolore per la perdita della zia e non quello per la consapevolezza di sapere che l'uomo che amava era altrettanto infelice.

- § -

Albert era nervoso, emozionato e provava persino una punta d'insicurezza. Lui, che aveva sempre avuto ben chiaro cosa fare della propria vita e che ne aveva sempre le redini. Beh, a parte quando aveva perso la memoria o negli ultimi mesi...

"Signora, lasci che le drappeggi meglio il vestito perché cada nella maniera corretta sulla parte anteriore!". La cameriera stava cercando di raggiungere Lilian, che camminava a lunghi passi nella sala principale nonostante l'ingombro.

La scrutò dallo specchio della stanza di servizio dove si era rintanato per sistemarsi la cravatta ribelle, lasciando la porta aperta.

"Non c'è nulla da drappeggiare, se non l'avessi notato sono incinta, mia cara!".

"Sì, ma...".

"Va bene così, ti ringrazio".

Nonostante il tono alterato e affatto tranquillo, Albert notò che perlomeno aveva avuto la buona creanza di ringraziare. Alzò gli occhi al soffitto e desiderò che ci fosse Georges ad aiutarlo con il maledetto nodo o che il maggiordomo non fosse già in auto ad attenderli: decisamente, era più bravo ad allentarlo che a stringerlo.

"William?".

"Sono qui", rispose. L'immagine della moglie, nel suo abito color caramello, si materializzò nello specchio, avvicinandosi finché non l'ebbe al proprio fianco. Lo sguardo che gli rivolse era un misto di malcelata ammirazione e riluttanza.

"Ci saranno anche i Lagan alla lettura del testamento?", gli chiese sedendo su una poltrona.

"Sì, ovviamente. Fanno parte del clan". Mantenne un tono neutro, o perlomeno ci provò, mentre lottava ancora contro il nodo.

"Scusami se te lo dico, ma sono davvero sgradevoli. Non li conosco molto bene, però devo dire che tuo nipote Archibald non aveva tutti i torti: davvero si sono fatti vivi solo il giorno del funerale?".

Sgradevoli? Loro?! Oh, sì, lo sono. Ma tu, cara mia, riesci a batterli di gran lunga...

Albert si bloccò con la mano sul nodo: in effetti Lilian non poteva saperlo perché, come si era ripromesso, anche quando andava a trovare la zia durante i suoi ultimi giorni l'aveva lasciata a casa.

"Hanno una catena di alberghi in Florida. Avrai letto i giornali all'epoca dell'inaugurazione...". Allungò il collo cercando di capire se la cravatta fosse infine dritta e si chiese se Lilian fosse in grado di aiutarlo. In realtà, avrebbe preferito che rimanesse storta piuttosto che farsi toccare da lei, ma non poteva presentarsi in modo meno che impeccabile davanti agli avvocati.

E a Candy...

Dio, cosa avrebbe fatto quando l'avesse rivista? I loro incontri erano da sempre caratterizzati da abbracci spontanei e ora...

"...non li giustifica comunque. William, mi stai ascoltando?".

"Sì, certo. Di' un po', sei capace di fare un nodo alla cravatta?". Sperò che quel diversivo non le facesse notare che non aveva ascoltato una parola di ciò che aveva detto e, soprattutto, il suo nervosismo.

"Mi hai presa per il maggiordomo? Se vuoi te lo faccio chiamare".

Figuriamoci...

"Non importa, va bene così". Abbassò le braccia e si guardò: il completo scuro non era molto dissimile da quello del funerale e si chiese se, una volta smesso il lutto negli abiti, sarebbe stato anche in grado di farlo nel proprio cuore.

La zia Elroy era stata una perdita prematura che lo aveva segnato nel profondo, ma la separazione da Candy aveva gettato ombre scure sulla sua vita. Anche se il suo amore per il bambino rimaneva forte e incondizionato, Albert capì di essere cambiato molto: non c'era più in lui la spensieratezza di una volta, alimentata dalla speranza di un futuro radioso. Non aveva più voglia di fuggire nella natura, sapendo che sarebbe stato solo a godersi il profumo dell'erba e il canto degli uccelli.

Preferiva lavorare, mantenere alto il nome e salde le finanze per garantire un futuro al suo erede, anche se non si fosse rivelato tale. Si rifiutava sia di lasciar andare la parte più libera di sé, ormai irrimediabilmente imbrigliata in quella situazione, sia di pensare che la resa dei conti era vicina.

La creatura che cresceva nel ventre di Lilian poteva anche venire al mondo di lì a un mese perfettamente sana, ponendo fine all'inganno di sua moglie: ma non l'avrebbe abbandonata al suo destino. Non sapeva neanche cosa avrebbe fatto con lei.

Di sicuro non qualcosa di... gradevole.

Tuttavia, non voleva pensare alla vendetta o al rancore, se si fosse davvero verificato l'evento che aveva sospettato, perché erano concetti tanto lontani da lui che non ci si trovava a proprio agio. E aveva quasi smesso di illudersi che la ragione fosse dalla propria parte, a dirla tutta.

Nelle ultime settimane, si stava abituando al nuovo status con una facilità allarmante, come per autodifesa. Però questo non gli impediva di provare emozioni contrastanti all'idea di rivedere la donna che amava.

Mentre usciva in cortile, entrava in macchina e ordinava all'autista di partire, Albert si rese conto che aveva le mani gelide e sudate e gli tremavano persino le gambe: nonostante la mente tentasse di rimanere fredda e distante, il suo corpo sapeva che stava per rivedere Candy.

E sarebbe accaduto a Lakewood, dove c'erano persino più ricordi che a Chicago.

La zia, in una nota che aveva ritenuto bizzarra, aveva fatto sapere agli avvocati che voleva che i suoi nipoti si riunissero lì per la lettura del testamento, quasi volesse dare loro l'opportunità di godere della pace della natura circostante durante un altro momento triste. Ricongiungendoli, riportandoli al passato.

Serrò la mascella e strinse i pugni sul tessuto dei pantaloni: no, rivedere Candy e simulare indifferenza davanti a tutti sarebbe stato arduo. Sperava solo che non si infiltrasse qualche giornalista.

"Sei preoccupato per qualcosa?". Quando udì la voce di Lilian, per poco non gridò.

"No, va tutto bene", mentì.

"Hai la faccia di uno che abbia un peso sullo stomaco o si aspetti di ricevere un pugno".

Si voltò a guardarla, con un sopracciglio inarcato: "E questa da dove l'hai presa?".

Lilian si strinse nelle spalle, sistemandosi lo scialle: "Il giorno del nostro matrimonio un pugno l'hai preso, o pensi che io mi sia bevuta la storia della caduta da cavallo?".

"Lilian", il tono di avvertimento bastò a farla tacere. Non aveva importanza se l'autista era devoto alla famiglia e sentiva la loro conversazione fingendo di non ascoltarla. Albert non aveva intenzione di affrontare l'argomento, specie in quel momento.

Lei socchiuse gli occhi e si voltò a guardare fuori dal finestrino, così che lui poté tornare ai suoi tormenti interiori.

Forse, dopotutto, sarebbe stato meglio tenere la mente impegnata con un litigio.

- § -

La camera degli ospiti non era la stessa che occupava di solito e Candy fu lieta che Albert avesse assecondato quella sua richiesta: d'altronde, le serviva solo per rinfrescarsi e posare la valigia prima di andare dai Brighton, una volta finito tutto.

Non avrebbe dormito a Lakewood, né si sarebbe trattenuta più del dovuto. Non sapeva neanche se si sarebbe attardata al rinfresco che avevano predisposto per la serata. Voleva solo trovarsi il più lontano possibile da lì dopo aver ascoltato le ultime volontà della zia Elroy.

"Calmati, Candy, calmati", si disse portando le mani al viso, di fronte allo specchio della toeletta alla quale si stava pettinando. Fece un paio di respiri profondi e quando bussarono alla porta il cuore quasi le esplose in petto.

"Candy, sono tutti di là". Era la voce di Annie che la chiamava e, d'istinto, lei guardò le tende ancora tirate della finestra. Albert era dunque arrivato e lei, ostinandosi a lasciarla chiusa, non se n'era neanche accorta? E se fosse fuggita?

Quel pensiero l'attraversò veloce come un battito di ciglia, ma fu vivido abbastanza da trasmetterle un brivido: non doveva ridursi in quello stato, era certa che Albert fosse molto meno agitato di lei. Non che ne fosse certa, tuttavia, conoscendolo...

Albert mi dice addio, ribadendomi che mi ama tra le lacrime. Lui, che non ho mai visto piangere. Lui, così forte e incrollabile. Devo fuggire dal suo dolore così simile al mio prima di stringermi a lui implorandolo di tenermi con sé per sempre.

"Candy? Stai bene?". Annie fece capolino e le andò incontro.

"Sì, scusa. Andiamo. Vieni anche tu?". La voce era affannata e anche un po' affettata. Doveva tornare padrona di se stessa. Subito.

"No", rispose lentamente, ponendole le mani sulle spalle, quasi stesse parlando a una bambina piccola. "Io non sono ancora parte della famiglia, ma ci sarà Archie".

"E i Lagan e... loro", concluse, elencando sulle dita di una mano come una brava scolaretta, quasi quel semplice compito potesse aiutarla a rilassarsi.

"Ci saranno anche alcuni membri anziani del clan. Candy, devi...".

"Devo calmarmi. Lo so, lo so che devo calmarmi, accidenti! Me lo ripeto da quando sono salita su quella maledetta nave! Anzi, no, da quando ho ricevuto il telegramma! Oh, Annie, perché la zia Elroy ha voluto includermi nel testamento? Mi ha mal sopportata per tutta la vita e adesso che volevo solo stare lontana da qui...". Seppellì di nuovo il volto tra le mani, accorgendosi che stava andando in iperventilazione e che rischiava uno svenimento ancora prima di uscire da lì.

"Candy... Candy... respira... piano... siediti". Annie si era trasformata nell'infermiera perfetta e lei in un fuscello tremante dalla testa ai piedi. La consapevolezza che dovesse andare nell'altra stanza in quel preciso momento senza farsi attendere non fece che aumentare tremore e disagio. Aveva persino la nausea, come se non fosse scesa ancora dalla nave.

Afferrò le spalle di Annie come cercando un appiglio, mentre lei sedeva di fronte al suo letto avvicinandosi una sedia con la mano e prese altri respiri profondi. Si sentiva stupida, ma non poteva farne a meno: "Scusami Annie".

"Non scusarti con me, ma con te stessa. Ritrova la vecchia Candy e falla uscire fuori immediatamente! In quella sala ci sono i Lagan pronti a farti a pezzi e un Albert...".

"Oh... Dio...", gemette quando udì il suo nome.

"... e un Albert che forse sta come te, se non peggio! Sì, è la verità e devi ascoltarla con le orecchie bene aperte, altrimenti non ne uscirai mai, capito?". La voce di Annie era risoluta e quasi dura: la osservò con attenzione e, come per miracolo, qualcosa si allentò all'altezza del petto. "Albert, che tu ami e che ama te, è di là con sua moglie, in attesa di suo figlio. Ma tu sei Candice White e sei una donna forte che ha affrontato molte avversità nella propria vita. Puoi sopportare la sofferenza a testa alta, guardare i Lagan negli occhi, guardare Albert e Lilian allo stesso modo e accettare ciò che la zia Elroy ha deciso di lasciarti. Non è fuggendo da qui e arrivando sino al Polo Nord che cambierai il tuo destino: guardalo in faccia e difenditi dai suoi artigli come hai sempre fatto".

Era persa negli occhi scuri e brillanti di Annie e, per un solo istante, la parte ribelle di sé avrebbe voluto gridarle che per lei era facile parlare, visto che aveva Archie al suo fianco. Tuttavia, sapeva che aveva ragione dalla prima all'ultima parola e che doveva smetterla di annullarsi così: dov'era finita la Candy che si faceva in quattro per gli altri con turni massacranti in ospedale? O quella che, dopo infinite lacrime, si era ricostruita dal giorno in cui il dolce Anthony era caduto da cavallo? La Candy che scappava dalle soffitte della Saint Paul School e s'imbarcava clandestinamente per costruirsi da sola l'avvenire, rinunciando al proprio cognome?

Non osare. Non osare pensare che ad ogni svolta della tua vita compariva lui, perché sai benissimo che te la cavavi benissimo anche da sola...

Non c'era più tempo per le introspezioni o i ricordi: doveva uscire da quella camera. Ora. Spalancò gli occhi, si liberò dalla presa di Annie e si alzò in piedi, con la schiena dritta e la testa alta.

"Andiamo", disse quasi a se stessa, udendo a malapena le parole bisbigliate da Annie. Colse un 'brava' mormorato con voce rotta e i piedi la portarono fino alla sala dove avrebbero letto il testamento.

Sì, ci stava riuscendo, era finalmente stabile sulle gambe, il respiro era tornato alla normalità e il tremore era appena un accenno. Riuscì persino a dire con voce alta e ferma: "Buongiorno a tutti, scusate il ritardo", facendo un lieve inchino prima ancora che i suoi occhi mettessero a fuoco i presenti radunati davanti alla grande scrivania di mogano. Sagome, sagome confuse. Uomini, donne. Taluni in piedi, altri seduti. Tutti avvolti in una nebbia che le sue pupille in continuo movimento si rifiutavano di dissipare, ma che poi dovettero focalizzare.

E non c'erano Neil ed Eliza, l'uno ritto in piedi come un soldato e l'altra con le braccia conserte e l'espressione di chi abbia appena visto qualcosa di molto sgradevole; non c'era Archie, seduto dalla parte opposta, che la guardava con un leggero sorriso; non c'erano i membri anziani, che a malapena riconosceva, disposti su sedie e poltrone con gli sguardi arcigni e seri.

No, non c'era nulla di tutto questo, realizzò mentre terminava il breve inchino e si poggiava allo stipite temendo che la sicurezza di poco prima si stesse già sbriciolando sotto ai cieli limpidi che amava e che sentiva addosso come una seconda pelle.

C'era solo lui, in piedi nel suo completo scuro, bello come lo era nei sogni di ogni notte, i capelli biondi che gli toccavano le spalle e gli occhi che si erano incatenati ai propri come attratti da una forza misteriosa. E lei, seduta accanto, che la fissava come se capisse, quasi le leggesse dentro.

Tutto intorno fu buio e rimase solo Albert, con i lineamenti glaciali che ebbero un breve fremito mentre tentava un sorriso: "Benvenuta, Candy. Accomodati pure". Dietro quelle parole in apparenza fredde e cortesi, poté avvertire tutto il calore del suo affetto, la delusione per non poterla toccare, il sollievo di rivederla e il dolore che sentiva.

"Grazie", rispose con voce tremante, appena conscia del cipiglio che si approfondiva tra gli occhi di Lilian.

Con sollievo, si accomodò sulla poltrona che lui le porse alla sua destra, trovandosi così tra lei e sua moglie: le gambe la stavano già tradendo. Per fortuna, la distanza tra loro sarebbe stata sufficiente a non farle penetrare nelle narici il profumo della sua lozione preferita o quello naturale della sua pelle che le ricordava la legna appena tagliata.

Allora perché continuava a sentirli anche dopo essersi appoggiata allo schienale e distolto lo sguardo? Perché, per l'amor di Dio, le parole del notaio sembravano ovattate e il cuore le rimbombava nelle orecchie mentre lui le rivolgeva l'ennesimo sguardo mozzafiato e il suo profumo sembrava avvolgerla fino all'anima?

Mentre lottava per concentrarsi sulla lettura del testamento della zia Elroy e per non perdere i sensi, Candy capì di essere persa.