QUARTA STROFA

Viene il Natale,

Natale di pace

e di gioia

un Natale senza noia

non pensare al domani

vivi il momento

perché passa come il vento

e non torna mai più

fugge al cielo

mentre noi si resta quaggiù  

ancora il sapore dell'unica festa mai gustata

quando torneremo alla realtà

quando finirà la libertà

quando punge del dubbio la spina

e il cuore sanguina.  

In tutta la mia vita una volta soltanto ho provato come ci si sente ad avere una famiglia vera, come i Weasley: fu durante le vacanze di Natale di quel quinto anno, vacanze che passai nel mondo dei Babbani.

Pochi giorni prima delle vacanze, mi giunse una lettera da mio padre dove mi diceva che sarei dovuto restare a scuola o chiedere a qualche mio compagno di ospitarmi perché lui e mamma avevano degli affari da risolvere e non mi volevano tra i piedi. Era un bel guaio, perché Piton aveva già raccolto i nomi delle persone che si sarebbero fermate e ormai era già tutto stabilito. Io e Faith decidemmo allora che avrei passato le vacanze di Natale a casa sua, dai suoi parenti. Se mio padre l'avesse saputo mi avrebbe ammazzato, ma non mi importava: sarei rimasto con Faith anche durante quelle vacanze e bastava quel pensiero a farmi toccare il cielo con un dito. Mi misi d'accordo con la mia nonna materna, che abitava in Scozia e non andava esattamente d'accordo con mio padre, per tenergli nascosta la verità: tutti avrebbero pensato che avrei trascorso le vacanze da lei mentre invece sarei andato da Faith. I suoi genitori diedero il loro consenso a giro di posta, per fortuna. Durante il viaggio di ritorno a King's Cross ci evitammo accuratamente: io rimasi con Tiger e Goyle mentre Aylwin passò il tempo a Tara, così avevamo ribattezzato lo scompartimento dove i ragazzi irlandesi delle altre tre case si riunivano immancabilmente. Arrivati alla stazione, io mi nascosi in bagno ed aspettai finché Aylwin non venne ad avvisarmi che se n'erano andati tutti: nessuno doveva vederci andar via insieme. Attraversammo la barriera e ci dirigemmo al posto doveva dovevamo aspettare il padre di Ayly. Mentre aspettavamo, non potevo fare a meno di sentirmi nervoso: come sarebbe stato suo padre? Dopo un po', Ayly mi diede una leggera gomitata e indicò con gli occhi un uomo che si dirigeva verso di noi: era sui quarantacinque anni, abbastanza alto, né grasso né magro, i capelli castani striati di grigio e brillanti occhi azzurri. Si abbassò un poco per abbracciare Aylwin dicendo: Eccola qui, la bella signorina di papà. Allora, come sta la mia piccola streghetta?. Lei rise e gli restituì l'abbraccio. Il signor Ryan si diresse verso di me, sorridendomi con simpatia: Tu devi essere il ragazzo che passerà con noi il Natale. Piacere di conoscerti, figliolo, io sono Patrick John Ryan disse tendendomi la destra. Esitai: in fondo quello era un Babbano e l'influenza di mio padre non si era ancora cancellata, eppure provavo un'istintiva simpatia verso quell'uomo. Ancora un attimo d'esitazione sarebbe stato scortese: gli strinsi con forza la mano dicendo Piacere mio, signor Ryan. Il mio nome è Danny. Bene. Abbiamo il volo tra un'oretta quindi è meglio sbrigarsi: se volete darmi le valige… Sicuro di farcela, papà? gli chiese Ayly sorridendo con aria maligna Sono molto pesanti, sai. E la tua povera schiena…. La mia povera schiena un corno, piccola impertinente. Il giorno in cui non potrò sollevare una valigia del genere vorrà dire che starò lungo e disteso per terra la rimbeccò bruscamente, ma non sembrava arrabbiato. Pensai a cosa sarebbe accaduto se avessi provato a dare a mio padre del vecchio, seppure indirettamente: probabilmente mi avrebbe scagliato l'Alba Flamma, un incantesimo che sprigiona fiamme magiche che provocavano alle loro vittime lo stesso dolore che si prova a bruciare vivi senza però consumarli come una fiamma normale. Non l'aveva mai fatto – non ancora – ma mi aveva minacciato più di una volta. Prendemmo un taxi e andammo all'aeroporto,  dove io ed Aylwin imbarcammo le nostre valige. Chiacchierammo finché non venne annunciato il nostro volo. Mentre salivo a bordo, ero molto nervoso: non avevo mai volato prima su un aereo, solo su manici di scopa, che in quel momento mi sembravano molto più sicuri di quell'ammasso di ferro. Pesante com'era, come avrebbe fatto a levarsi in volo senza schiantarsi alla fine della pista? Mi sedetti e guardai ansiosamente fuori dal finestrino. Nervoso? mi chiese Ayly guardandomi divertita mentre mi aiutava ad allacciare le cinture. Chi io? Ma figurati risposi cercando di sembrare spavaldo. In realtà avevo una paura tremenda. Mai preso un aereo prima d'ora, figliolo? mi chiese il signor Ryan Non devi preoccuparti: sono assolutamente sicuri…A meno che non si guastino i motori o restiamo senza carburante in mezzo al mare o ci dirottino o…. Papà! esclamò Aylwin dandogli un pugno sul braccio: dovevo avere un'espressione a dir poco terrorizzata e la parola "fifa" dipinta in fronte. Dopo una decina di minuti, l'aereo si spostò sulla pista di decollo e cominciò a prendere velocità: mi appiattii contro il sedile, un po' per la fifa e un po' per la velocità. Sentii le ruote staccarsi dal suolo e cominciammo a salire mentre la città sotto di noi diventava sempre più piccola. Il volo fu semplicemente fantastico: con i manici di scopa non si  arrivava tanto in alto poiché nemmeno per noi maghi è facile fare i conti con la mancanza d'ossigeno. Atterrammo circa un'ora dopo all'aeroporto di Dublino: era meno affollato di Heatrow, eppure c'era un bel casino comunque. Dopo aver ritirato i nostri bagagli, ci dirigemmo all'uscita. Strano mormorò il signor Ryan Credevo che Ceridwen sarebbe venuta a prenderci in macchina. Qualcuno tossicchiò leggermente dietro di noi: Servono due facchini? chiesero due ragazzi più grandi di me ed Aylwin. Il più vecchio aveva circa venticinque anni, i capelli castani un poco più  scuri di quelli di Aylwin e gli occhi di un verde-azzurro; l'altro, anche se superava il primo in altezza di qualche centimetro, aveva solo tre o quattro anni più di noi, i capelli castani come quelli del signor Ryan e gli occhi uguali a quelli di Aylwin. Felice di vedervi, ragazzi. Danny, ti presento i miei due figli Derek e Owen. Questo è Danny, l'amico di Aylwin. Strinsi le mani ad entrambi senza problemi, ma Owen mi guardò in modo un po' strano, come se mi stesse studiando. Vostra madre dov'è? chiese il signor Ryan. Owen, il più giovane, rispose: Non poteva venire, così ha mandato noi con la macchina. Derek lanciò un'occhiata al fratello: Per essere precisi, ha mandato me: tu sei un clandestino. Non rompere, Derek. Allora, siamo qui per aiutarvi con i bagagli dette queste parole, si chinò fulmineo e afferrò Aylwin gettandosela su una spalla, come facevano i cow-boys nei film western con le loro selle. Ayly, passati i primi due secondi di sorpresa, cacciò un grido: Owen, mettimi giù! IMMEDIATAMENTE, mi hai sentito?. Altrimenti che fai, lo dici alla mamma come al solito? NON È VERO! urlò Ayly diventando rossa come il fuoco.Sì, sì, come no.  Nonostante le sue proteste, Owen non la mise giù affatto e si incamminò reggendo il suo borsone in mano verso l'uscita, seguito da noi altri. Arrivammo alla macchina, una Volvo verde scuro mi pare di ricordare: Derek aprì il baule e Owen ci cacciò dentro la sorella insieme alla valigia. Aylwin scese dal baule e si risistemò il vestito e i capelli, guardando malissimo suo fratello. Io e lei ci accomodammo sui sedili posteriori, mentre il signor Ryan faceva il giro per andare a sedersi al posto di guida. Owen e Derek si guardarono un attimo negli occhi e poi si lanciarono entrambi sulla porta anteriore: Derek, però, fu più svelto e gli chiuse la porta in faccia. Mi dispiace, fratellino, ti toccherà viaggiare sul sedile posteriore gli disse sorridendo. Dietro?! Con i marmocchi? esclamò Owen diventando rosso. Ehi! urlammo io ed Ayly all'unisono. Ma non c'erano storie: Derek era il maggiore e quindi Owen dovette rassegnarsi a venire dietro. E comunque, Owen Richard Ryan, se qui c'è un marmocchio, beh, quello sei tu! sibilò Aylwin mentre lui saliva a bordo. In realtà Aylwin adorava Owen e viceversa, ma quello era soltanto il loro modo di dimostrarselo. Ricordavano un po' i fratelli Weasley. Il resto del viaggio trascorse abbastanza tranquillo, finché arrivammo ad una casa isolata a mezzo chilometro da un paese chiamato Mousehole. Era una casetta a due piani dipinta di giallo chiaro, con il tetto di pietra su cui torreggiava un grosso camino fumante e un giardino ben curato. Era molto più piccola di casa mia, ma mi sembrava molto più bella e accogliente. Sulla porta apparve una signora di media altezza, con i capelli biondo rame e gli occhi verdi come quelli di Derek. Venni presentato alla signora Ceridwen Ryan, che mi strinse la mano dandomi un'occhiata simpatica. Lieta di averti con noi, Danny. Aylwin ci ha scritto tanto di te nelle sue lettere. Mi dispiace però che tu non possa passare il Natale con i tuoi. Arrossii: Ecco…Io spero di non disturbare… Ma quale disturbo! mi interruppe la signora Ryan Sei il benvenuto. La casa era arredata con gusto e semplice eleganza: nulla di vistoso o ostentato. Poco dopo conobbi Malcom, il secondogenito dei Ryan nonché unico mago della famiglia: assomigliava a sua madre in maniera impressionante. Dopo aver passato a disagio i primi due o tre giorni, riuscii ad abituarmi alla casa dei Ryan piena di strani aggeggi da Babbani: tutti mi trattavano come se fossi un vecchio amico di famiglia e facevano di tutto per farmi sentire a mio agio. Beh…Non proprio tutti: Owen non mi perdeva d'occhio un momento, studiando le mie mosse.Tuttavia riuscivo a capirlo: adorava sua sorella Ayly e aveva paura che potessi ferirla o farla soffrire, per questo mi guardava con sospetto. Qualche giorno dopo il mio arrivo avemmo però un colloqui chiarificatore nel giardino dietro casa. Ascoltami Danny mi disse Io non metto in dubbio che tu sia un bravo ragazzo, ma, vedi…Riguardo ad Aylwin…. Anche se non avevo sorelle, non ero un idiota: sapevo esattamente dove voleva andare a parare. Non preoccuparti, Owen gli dissi Anche se sono molto giovane, io amo tua sorella e credimi, l'ultima cosa che vorrei al mondo è farla soffrire. Preferirei morire piuttosto. Owen non parlò subito e temetti che non mi credesse: eppure era vero. Sei così giovane… mormorò Siete così giovani…. Owen dissi con fermezza So quello che dico. Anche se ho solo quindici anni, ti assicuro che sono certo di quello che provo: io amo Ayly. Anche se… Anche se? Anche se a volte ho paura di non amarla abbastanza. Di non meritarmela. Lei…lei è così… non riuscii a trovare le parole adatte per descriverla e tacqui, evitando i suoi occhi. So cosa vuoi dire sussurrò Aylwin è una ragazza speciale, e non solo perché è una strega rise sommessamente Sai quanti anni avevo quando mi sono innamorato di Mary Anne?. Cercai di ricordare cosa mi avesse detto Aylwin a proposito di Mary Anne e ricordai che era la fidanzata di suo fratello: a quanto mi aveva detto, si conoscevano da quando avevano sette anni. No risposi. Quello Aylwin non me l'aveva detto. Avevo quindici anni. Proprio come te mi sorrise con aria amichevole per la prima volta da quando mi aveva conosciuto. La signora Ryan lo chiamò da dentro casa. Cominciò a dirigersi verso la porta, ma improvvisamente di fermò e mi guardò da sopra la spalla:  Ehi, Danny mi disse. Sì?. Non fartela scappare la porta si chiuse alle sue spalle e io mormorai  Non ci penso nemmeno, amico. Quando rientrai per il pranzo, Aylwin mi chiese: Ti ha fatto firmare qualche promessa di matrimonio o per ora si è limitato a minacciare di spaccarti la faccia se mai oserai alzare gli occhi su un'altra ragazza?. No, ci siamo solo accordati sulle pubblicazioni. Aylwin guardò prima me e poi suo fratello come se fossimo usciti di testa e poi scoppiammo tutti a ridere come dei matti. Dopo pranzo avevamo in programma di guardare un film su cassetta e, quando arrivammo al dessert, mi accorsi che i quattro fratelli Ryan si scambiavano strane occhiate non proprio amichevoli. Aylwin mi sussurrò di mangiare in fretta e, non appena mi fui cacciato in bocca l'ultima cucchiaiata di dessert, mi afferrò per un braccio costringendomi ad alzarmi insieme a lei mentre comunicava che avevamo finito. Mi trascinò in salotto dove balzammo letteralmente sul divano di fronte al televisore, occupando ogni centimetro di posto disponibile. Immediatamente Derek e Malcom ci raggiunsero furenti: Fuori dai piedi, voi due. Quel posto spetta a noi intimò Derek. E perché mai, di grazia? chiese Aylwin facendo la santarellina. Non fare la furba: noi siamo i più grandi, a noi vanno i posti migliori. E adesso spostatevi. Mai replicò Aylwin aggrappandosi ad un bracciolo del divano. Sottoscrivo aggiunsi io facendo altrettanto con l'altro. Derek si lanciò sulla mia gamba destra cercando di trascinarmi giù ed io, non osando prenderlo a pedate come faceva Aylwin con Malcom, mi limitai a tirargli un cuscino in testa. Improvvisamente il divano si sollevò in aria e si inclinò in avanti, facendoci scivolare a terra. Derek scattò in avanti ma Ayly lo afferrò per una gamba: in breve si aggiunse anche Owen e ci trovammo tutti e cinque in una mezza rissa. Alla fine intervenne la signora Ryan appendendoci al soffitto e assegnando il divano a Derek, Malcom e al sottoscritto. Aylwin tuttavia non dovette sedersi sull'altro divano, piazzato in posizione più scomoda per guardare la TV, poiché la feci accomodare sulle mie ginocchia. Stai comoda? sussurrai circondandole al vita con le braccia. Comodissima. Dimmelo se ti faccio male alle gambe sussurrò appoggiandosi contro di me. Malcom ci zittì mentre cominciavano i titoli di testa e Owen mi strizzò l'occhio in segno d'intesa. Fosse successo solo il giorno prima credo che avrebbe strappato Aylwin dalle mie ginocchia come dalle fauci di un drago. Pensai che probabilmente i Ryan erano l'unica famiglia che conoscessi a giudicarmi un bravo ragazzo e non un "bastardo fetente di un Malfoy". Poi il film mi assorbì completamente e non ci pensai più. Quello passato dai Ryan fu di sicuro il Natale più bello di tutta la mia vita: nonostante non sapessero chi fossi, mi trattavano come uno della famiglia. Avevano persino pensato a comprarmi un regalo: mi avevano preso un giubbotto pesante di pelle, come quelli che indossavano i piloti. Sulla schiena era stampata lo stemma dell'8° Squadriglia d'Attacco Americana: un'aquila che reggeva tra gli artigli la famosa Campana. Anche io comunque non ero stato con le mani in mano: avevo preso un libro di ricette per la signora Ryan, una stilografica per il signor Ryan e un poster della Nazionale Americana di Basket per Derek, dei San Francisco 49ers per Malcom e degli Yankees per Owen. Ad Aylwin avevo preso due regali: quello "ufficiale" era un disco di ballate irlandesi, perché sapevo che le adorava; mentre quello un po' meno ufficiale era un braccialetto. La catenina reggeva una piastrina allungata su cui avevo fatto incidere le sue iniziali: A. H. R., Aylwin Heather Ryan. Lei mi regalò un lettore CD come il suo e le copie di alcuni dei suoi dischi che mi piacevano. Più tardi andammo a fare una passeggiata nei dintorni e fu allora che mi diede un diario dalla copertina blu, il mio colore preferito. Un giorno potresti averne bisogno mi bisbigliò all'orecchio. All'epoca non capii cosa voleva dire: l'avrei compreso solo molto, molto più tardi. Penso che ricorderò finché vivo il pranzo di Natale di quell'anno: la signora Ryan ed Aylwin erano rimaste in cucina per tutto il pomeriggio del 24 Dicembre a preparare alcuni antipasti. Il venticinque potei finalmente prendermi una piccola soddisfazione. I fratelli Ryan ogni anno si sfidavano a chi mangiava più tacchino: per questo la mattina di Natale saltavano la colazione. L'ultima in classifica era Ayly, che era arrivata ad un massimo di 25 pezzi, poi Malcom con i suoi 38, Owen con 54 e conduceva Derek con 66. Quell'anno partecipai anch'io alla gara. Quando feci la richiesta eravamo già a tavola: i fratelli di Aylwin mi guardarono con stupore e la signora Ryan con preoccupazione. Sei sicuro che poi non ti sentirai male? mi chiese con ansia. Non si preoccupi, signora: se sono sopravvissuto a 15 anni di pranzi di Natale a casa mia, non vedo perché dovrei sentirmi male ora. La signora Ryan mi guardò ancora un po' dubbiosa poi mi servì nel piatto un grosso pezzo di tacchino. Spero solo che non si offenderà se non mangerò il dolce dissi mentre mi passava il piatto. Oh no, no, figurati. Solo…Finché non ti senti male…. Scommetto che non ce la fa disse Derek con aria di superiorità dall'alto dei suoi ventisei anni e mezzo. E io scommetto che ti batte replicò Ayly. Derek la fissò socchiudendo gli occhi: Dieci sterline che non si avvicina neanche ai sessanta. Dieci sterline che ti batte replicò Aylwin. Ci sto. Si strinsero la mano attraverso il tavolo. Qualcun altro vuole scommettere? chiese il signor Ryan divertito dalla sfida. Io scommetto dieci sterline su Derek disse Malcom. E io ne scommetto dieci su di me dissi io. Owen? chiese il signor Ryan alzando un sopracciglio. Owen sorrise: No, grazie. Mi accontento di mangiare Bene. Allora pronti…Via! decretò il signor Ryan. Cominciammo a mangiare. Dopo un po' Derek lasciò cadere la forchetta: Per me basta così. Ne ho mangiati 68. Due in più dell'anno scorso constatò il signor Ryan. Io ero al 47° pezzo. Tutto bene, Danny? sussurrò Ayly chinandosi verso di me. Annuii soltanto perché avevo la bocca piena. Al 58° boccone cominciai a sentirmi un po' appesantito. Quando giunsi al 65° fu Derek a cominciare a preoccuparsi. Riuscii a cacciarmi in bocca ancora il 72° pezzo e poi deposi la forchetta. Avevo battuto Derek James Ryan. Dopo pranzo lui e Malcom cercarono di svignarsela ma io ed Ayly li incastrammo stendendo contemporaneamente una mano insieme e facendo loro segno di sganciare i soldi. Mentre mettevano mano al portafoglio, Derek commentò: Se non altro, oggi pomeriggio vomiterai anche l'anima. Io ed Aylwin ci scambiammo un'occhiata complice e sogghignammo: Volete scommettere? chiedemmo all'unisono. Neanche per sogno! rispose Malcom. Andammo due volte al cinema e razziammo l'emporio di caramelle a loro spese.

La mattina del 4 Gennaio il signor Ryan, ex-soldato e appassionato di armi da fuoco, portò i suoi figli ad esercitarsi a sparare al poligono di tiro in città. Io andai con loro: non avevo mai visto né pistole né carabine e la sera prima, quando avevo chiesto di unirmi a loro, avevo trascorso circa un'ora a tempestare di domande il signor Ryan per capire come funzionassero. Quando mi mostrò un proiettile mi sembrò impossibile che una cosa così piccola potesse uccidere un uomo, poi pensai alle bacchette magiche che, seppur più pericolose, all'apparenza erano più innocue. Non c'era quasi nessuno quella mattina. Ci diedero le pistole e le cuffie con cui coprirci le orecchie. Malcom, Derek e Owen andarono ognuno in un box diverso, ma il signor Ryan volle che io ed Aylwin restassimo con lui. Caricò l'arma, prese la mira e sparò: sulla sagoma di cartone apparve un foro bel petto. Inghiottii a vuoto: adesso comprendevo appieno quello che il signor Ryan aveva cercato di spiegarmi la sera prima. Alcuni pensano che non dovrei insegnarvi a sparare disse piano il signor Ryan Ma a differenza di altri non-maghi, io so cosa è accaduto l'anno scorso al Torneo Tremaghi. So anche che molti maghi non credono alla risurrezione di Voldemort perché in questi mesi non è ancora successo nulla. Beh…Questo silenzio mi preoccupa molto, ragazzi, non ve lo nascondo. Più a lungo durerà il silenzio, più grande e più forte sarà l'attacco.  Patrick John Ryan si rivolse verso di noi abbassando la voce: So che voi due siete un mago e una strega, ma…Vorrei che imparaste lo stesso. Non possiamo sapere, con i tempi a cui andiamo in contro…. Aylwin annuì e il signor Ryan si rivolse a me: Danny, tu non sei mio figlio e non so se i tuoi genitori sarebbero d'accordo se ti insegnassi questo, ma…Vorrei che fossi tu a decidere. Ci pensai per qualche secondo: una pistola era un'arma Babbana, che mio padre avrebbe definito inutile saper usare. Rimasi in silenzio per qualche istante poi dissi: Credo sia meglio che impari anch'io, se lei vuole insegnarmi. Quel giorno imparai a sparare e a ricaricare un'arma. Allora non lo ritenevo importante, ma più tardi avrei dovuto ringraziare molte volte il signor Ryan per avermi voluto insegnare.

Il giorno prima di partire, festeggiammo il compleanno di Ayly, anche se mancavano ancora un paio di mesi: era nata l'8 Febbraio ed era dell'Acquario. Quand'è il tuo compleanno, Danny? mi chiese la signora Ryan mentre serviva a Malcom il suo pezzo di torta. Il 26 Maggio risposi educatamente. Maggio… mormorò Derek Gemelli, vero?. Annuii, mentre Owen commentava: Ecco perché lui ed Aylwin vanno così d'accordo!. Entrambi abbassammo gli occhi sulle nostre fette di torta e arrossimmo furiosamente. Quanti anni compi? Sedici? chiese il signor Ryan. Esatto.  Sedici anni…Beh, figliolo, sembri più vecchio della la tua età. Non è un gran complimento, papà gli fece notare Derek che aveva già festeggiato da tempo il decimo anniversario del suo sedicesimo compleanno. Owen strizzò l'occhio a me e ad Ayly: Teneteveli stretti i vostri sedici anni: passano in un lampo e dopo comincia a diventare tutto più complicato. Per me era già tutto abbastanza complicato, ma lo divenne ancora di più proprio a partire dal mio sedicesimo compleanno…Ma a questo ci arriverò dopo. È ancora presto.

Il viaggio in aereo fino a Londra andò meglio dell'altra volta: mi era passata la paura. Eravamo sempre più depressi mentre ci avvicinavamo a King's Cross. Non avremmo più potuto farci vedere insieme, non avremmo più potuto essere noi stessi. Ci sentivamo strani e stanchi, ma dovevamo continuare con la nostra recita di beneficenza. Fummo attenti a non arrivare insieme e per tutto il viaggio in treno ci ignorammo. Prestai poca attenzione ai racconti delle vacanze invernali di Pansy, continuando a chiedermi cosa stesse facendo Faith.

Riprendere la nostra consueta recita fu ancora più duro dopo aver assaggiato la libertà e nonostante sapessimo di dover essere cauti, sempre più spesso ci rifugiavamo nella Torre Ovest, vivendo fino in fondo quei momenti di felicità e cercando di prolungarli il più a lungo possibile. Ci sembrava di impazzire e guardavamo con invidia tutte le altre coppiette della scuola. In quei momenti avrei dato qualsiasi cosa per non essere un Malfoy. Era per colpa del mio nome e di mio padre se eravamo costretti a nasconderci. Non potendo stare con lei quanto avrei voluto e non potendo dimostrare apertamente quello che provavo nei suoi confronti, mi torturavo poiché avevo sempre la sgradevole sensazione di non amarla abbastanza, io che ogni volta che la vedevo mi sentivo fisicamente male dal bisogno di abbracciarla, baciarla, dirle che l'amavo con tutto me stesso, dirle che era tutto il mio mondo. A tavola, quando la guardavo mangiare in un angolo del tavolo, isolata dagli altri come se avesse una malattia contagiosa, volevo alzarmi in piedi e baciarla davanti a tutta la scuola. Ogni volta che le sussurravo "ti amo", avrei voluto urlarlo dalla cima del tetto. Tutto quello che mio padre mi aveva insegnato non m'importava più, avrebbe potuto ripetermi la lezione sulla purezza del sangue, avrebbe potuto picchiarmi e non sarebbe servito a niente perché ormai mi era entrata nel sangue, era la mia droga. Tutto questo lei lo sapeva. Non trovavo difficile parlarle delle mie emozioni, dei miei sentimenti, del modo in cui mi faceva sentire. Parlare con Faith era la cosa più facile del mondo: aveva un modo di guardarmi che mi faceva capire che avrei potuto mostrarle tutta la mia anima e lei non avrebbe mai usato ciò che vedeva per ferirmi. Non mi sono mai vergognato di essere me stesso con lei. Aylwin era fondamentalmente sempre sé stessa, tranne quando si trattava dei nostri rapporti in pubblico, quando doveva recitare. Anche lei mi parlava dei suoi sentimenti e mi raccontava i suoi segreti e i suoi sogni, cose che nemmeno suo fratello Owen sapeva. Tra noi non c'erano barriere, non avevamo segreti. In quel periodo, Faith mi insegnò a sognare e a pensare con la mia testa: per questo penso di non averla mai ringraziata abbastanza.

Oltre alla soffocante sensazione di non fare mai abbastanza per lei, ce n'era un'altra ancora peggiore che mi avvelenava l'anima: quella di non essere degno di lei, di non meritarla. Non mi importava cosa gli altri dicessero o pensassero: lei  per me era un angelo. Il mio angelo, l'angelo che mi ha salvato. Io ero un Malfoy: questo dovrebbe dirla lunga. Quante volte avrò sentito i Grifondoro, i Corvonero e i Tassorosso sussurrare: "sangue cattivo" "uno peggio dell'altro" "gente con cui è meglio non avere a che fare" "servitori del lato oscuro". Così odiavo i miei antenati da Malvolio Malfoy – capostipite della dinastia – in giù, odiavo quelli venuti prima di lui di cui si ignorava il nome, odiavo ancora di più mio padre e odiavo me stesso per essere del loro stesso sangue. Sapevo quello che mio padre aveva fatto quando era un Mangiamorte: ogni missione, ogni ordine eseguito, ogni omicidio. E ogni volta che ci pensavo, avevo paura per Faith: se avesse saputo….Per lui lei non era altro che una sporca mezzosangue nemmeno degna di pulirgli le scarpe. Non avrebbe avuto il minimo problema ad ucciderla: di mezzosangue ne aveva già uccisi tanti, sarebbe stata poco più che un numero su una lista. Per me, invece, lei rappresentava il mondo intero. Ogni volta che ci pensavo, la guardavo e giuravo a me stesso che l'avrei protetta contro qualsiasi cosa: se mio padre avesse ci avesse mai scoperto, prima di arrivare a lei sarebbe dovuto passare sul mio cadavere.