SESTA STROFA
Brillava allora il sole
e credevamo che per sempre
sarebbe rimasto.
Il sole.
La riva del lago.
Altre note e altre parole.
Un canzone da non dimenticare,
il canto del bianco cigno
dopo il colpo fatale.
Non brillerà più il sole
non sorgerà la luna
freddo e gelo il mondo,
è un triste giorno
quando ti strappano il tuo bene.
Ti prego, ragazzo,
ascolta le mie parole:
non fu tua la colpa
quando perdesti la fede.
Il 26 Maggio compii sedici anni. A casa mia non c'era l'abitudine di festeggiare i compleanni, così non ho mai tenuto i miei in gran considerazione: era già tanto che me lo ricordassi. Però c'era qualcuno a cui la cosa importava. La mattina, a colazione, con la posta ricevetti una busta da mia madre: dentro c'era un foglio di pergamena piegato in due, su cui capeggiava un grosso sedici dipinto con inchiostro scintillante. Dentro c'era una frase di auguri da mia madre. Mio padre non aveva firmato. Mentre ripiegavo il foglio nella busta, un raggio di luce mi colpì negli occhi. Guardai verso il tavolo dei Grifondoro e vidi Aylwin giocherellare "distrattamente" con il suo ciondolo. Fingendo di guardare l'ora, catturai il raggio di sole e lo rispedii indietro rapidamente, creando due rapidi bagliori: due punti, ovvero la lettera I dell'alfabeto Morse che nel nostro codice stava per "In ascolto". Rispondendo con il solito sistema, Aylwin mi chiese se potevamo incontrarci durante il pomeriggio al solito posto e se potevo saltare le lezioni. La mia risposta furono una R seguita dopo una piccola pausa da una O e una K e infine una P, ovvero: "Ricevuto", "Okay" "Passo". Aylwin confermò e rispose con una R concludendo poi con le solite tre lettere che chiudevano le nostre conversazioni: P E C, Passo E Chiudo. Nel pomeriggio, mentre mi dirigevo con Tiger e Goyle verso la lezione di Cura delle Creature Magiche, finsi di aver dimenticato in camera la bacchetta e, dopo aver detto loro di andare avanti, tornai verso il castello. Dopo essermi assicurato di non essere stato seguito, piegai verso il lago e tenendomi basso per non farmi scorgere raggiunsi finalmente il nostro piccolo angolo segreto. Faith era già lì che armeggiava con un grosso pacco: aveva uno strano sorriso sul volto e gli occhi le brillavano come quando aspettava qualcosa di piacevole. Accomodati pure sull'erba disse facendo un cenno vago e continuando a trafficare. Cercai di sbirciare il contenuto della scatola ma non ebbi molto successo. Faith mi ordinò di chiudere gli occhi ed io eseguii: quando finalmente mi disse di riaprirli vidi davanti a me una piccola torta al cioccolato con sopra due candeline sui cui erano attaccati i numeri 1 e 6. Aylwin mise una cassetta nel suo registratorino portatile e la fece partire: all'inizio si sentivano soltanto risatine e bisbigli confusi, poi qualcuno batté le mani un paio di volte e cadde il silenzio. Uno, due, tre… scandì la signora Ryan e poi lei, suo marito e i suoi figli cominciarono a cantare "Tanti Auguri a te": alle loro voci provenienti dal registratore si aggiunse quella chiara di Aylwin, che cantava dal vivo. Non potei fare a meno di ridere quando mi accorsi che Owen, al secondo "tanti auguri a te" aveva cantato "e la torta a me". Finita la canzone dal registratore scrosciarono gli applausi mentre spegnevo le candeline. Poi si sentirono le voci dei fratelli di Aylwin: Cento di questi giorni! disse Malcom. Auguri, vecchio! Ti aspetto il Natale prossimo per la rivincita! intervenne Derek. Buon compleanno, Danny! Per il regalo…Fatti insegnare da Aylwin. Se vieni giù da noi quest'estate farai pratica urlò Owen di sottofondo. Tantissimi Auguri, figliolo si udì la voce profonda del signor Ryan. Owen, smettila di fare lo scemo…Oh, tantissimi auguri, caro! Spero che la torta ti piaccia. Con la voce della signora Ryan che rimproverava ancora i suoi figli, la cassetta finì. Faith era lì in piedi che mi guardava: E tu non me li fai gli auguri? chiesi sorridendo. Si inginocchiò accanto a me e mi baciò: Buon compleanno, amor mio sussurrò mentre le facevo scivolare le braccia attorno alla vita. Ti amo, Faith sussurrai baciandola ancora È il più bel compleanno della mia vita. Aspetta di vedere i regali
disse sciogliendosi dal mio abbraccio e tornando verso il grosso pacco. Per prima cosa vennero fuori un berretto verde militare con stampato sopra l'insegna dei marines – il globo, un'ancora e un'aquila – da parte del signor Ryan e una macchina fotografica di quelle usa-e-getta da parte della signora Ryan. Ma i regali più belli e strani li ricevetti dai fratelli di Aylwin: Derek mi spedì un coltellino multiuso, Malcom un orologio e Owen un guantone e una palla da baseball. Quando li vidi dovetti fare una faccia ben strana, perché Aylwin non riusciva a smettere di ridere. Finalmente, quando le fu passata, mi spiegò tutte le regole del gioco e mi insegnò a lanciare: poiché avevamo un'unica palla, dovevamo sempre ricorrere all'Incantesimo di Appello. Ricordo che mentre provavo sbagliai mira e mandai la palla nel lago: la richiamammo con l'incantesimo e ci tornò su con un paio di Chiocciole Gialle d'Acqua Dolce attaccate. Dopo un po' ci stufammo entrambi e ci sedemmo a mangiare la mia prima torta di compleanno. Non ne avevo mai ricevute prima. Forse per questo mi giudicherete parziale, ma vi assicuro che era la più buona che abbia mai mangiato. Dopo ci stendemmo sull'erba e ascoltammo la nostra canzone dal mio lettore Cd. Faith era sdraiata accanto a me, con la testa appoggiata contro la mia spalla e un braccio sul mio petto. Io le accarezzavo i capelli e guardavo il cielo e le nuvole sopra di noi, ascoltandola respirare. Spesso, la sera, quando resto sdraiato nel mio letto e aspetto di addormentarmi dopo una lunga, lunga giornata di guerra, richiamo alla mente quel momento. Cerco di sentire sul viso il calore del sole, il dolce peso di Faith sul mio braccio e contro la mia spalla, i suoi capelli tra le mie dita, il suo respiro che si fonde con le note della nostra canzone. Non ti ho ancora dato i miei regali mormorò Aylwin rialzandosi. Questo è il primo mi porse un pacchettino di carta argentata: dentro c'era una catenina. Sulla medaglietta era incisa una parola, anzi, un nome: Faith. E questo è il secondo disse porgendomi una cuffia e armeggiando con il lettore. Mi sorrise con dolcezza: Non è proprio il massimo dell'originalità, ma spero che ti piaccia…. Dalla canzone numero undici, fece scorrere il disco fino alla tre: ancora accordi di chitarra, ma stavolta più forti. La voce ormai familiare cominciò a cantare:
"So lately, been wondering
Who will be there to take my place
When I'm gone you'll need love to light the shadows on your face
If a great wave shall fall and fall upon us all
Then between the sand and stone, could you make it on your own
If I could, than I would
I'll go wherever you will go
Way up high or down low
I'll go wherever you will go
And maybe I'll find out
A way to make it back someday
To watch you, to guide you, through the darkest of your days
If a great wave shall fall and fall upon us all
Then I hope there's someone out there
who can bring me back to you
If I could, than I would
I'll go wherever you will go
Way up high or down low
I'll go wherever you will go
Run away with my heart
Run away with my hope
Run away with my love
I know now, just quite how
My life and love my still go on
In your heart, in your mind, I'll stay with you for all of time
If I could, than I would
I'll go wherever you will go
Way up high or down low
I'll go wherever you will go
If I could turn back time
I'll go wherever you will go
If I could make you mine
I'll go wherever you will go
I'll go wherever you will go"
In condizioni normali, l'avrei trovata una bella canzone. Ma la nostra non era una situazione normale: soffocai a stento un brivido, per non farlo avvertire a Faith. Come ti sembra? mi chiese senza che il suo volto lasciasse trasparire altra emozione che l'attesa. Beh…È bella. Molto bella, ma un po' triste. Vuoi che anche questa sia la nostra canzone? chiesi credendo di aver capito dove volesse andare a parare. Chiuse gli occhi e scosse il capo: No, noi abbiamo già la nostra canzone. Questo è il mio regalo per te aprì gli occhi, cercando i miei Promettimi che non dimenticherai mai questa canzone, Danny. Non capivo cosa significasse tutto quello, ma sorrisi e promisi che non l'avrei mai dimenticata. Faith sorrise e mi sembrò che non lo facesse da secoli. Si alzò in piedi e mi tese la mano: Forza, poltrone. Andiamo ad esercitarci ancora un po' con quei lanci. Hai ancora una pessima mira. Spensi il lettore e mi alzai per raggiungerla. Rivedendo questi fatti alla luce di ciò che accadde dopo, comprendo che Ayly sapeva cosa sarebbe accaduto. Forse non nel dettaglio, ma sono certo che lei sapeva. Quella canzone non l'ho mai dimenticata: non avrei mai potuto, neanche se mi avessero fatto un incantesimo alla memoria o l'avessi desiderato io stesso. E non l'ho mai voluto.
Come ho già detto, gli "incidenti" – o meglio gli attentati – contro Aylwin cessarono dopo la nostra piccola commedia e il suo trasferimento ai Grifondoro, ma nonostante questo noi rimanevamo lo stesso all'erta. O almeno, lo rimanemmo fino alla settimana degli esami: quell'anno erano particolarmente difficili perché dovevamo prendere il G.U.F.O. e se tutti quanti lavoravano sodo, io dovevo sgobbare ancora di più perché mio padre mi avrebbe fatto passare un'estate d'inferno se non avessi ottenuto il massimo dei voti in tutte le materie. Eravamo entrambi già abbastanza nervosi per quei dannati esami senza doverci ancora preoccupare dei pericoli che ci circondavano: forse divenimmo un po' meno attenti a questi ultimi, non so. Forse abbassammo la guardia, non ne sono certo: quei giorni caldi e pieni di tensione sono una macchia confusa. Ricordo con precisione soltanto la sera prima dell'ultimo esame: io e Ayly non riuscivamo a vederci spesso e a lungo quanto in precedenza poiché eravamo sempre impegnati con ripassi ed esami. Generalmente, durante gli incontri di quei giorni, ci limitavamo a stare vicini e ad ascoltare la nostra canzone. Quella sera, però, mentre il sole moriva sopra il lago, le chiesi di ballare con me. Lei sorrise e accettò: ci alzammo in piedi e mettemmo da capo la nostra canzone. La strinsi tra le braccia e ci muovemmo lentamente a tempo con la musica, guardandoci negli occhi. La nostra canzone continuava a suonare. Quando finì, io e Faith restammo per qualche secondo l'uno tra le braccia dell'altro, continuando a guardarci negli occhi. Io mi abbassai un poco mentre lei si sollevava sulle punte dei piedi, entrambi con la stessa idea in testa: ci baciammo guardandoci negli occhi ed io mi sentii come galleggiare negli occhi di Faith, che parevano due laghi irlandesi in cui avrei potuto restare per sempre. Non c'erano correnti a trascinarmi sul fondo, né onde a ributtarmi a riva. Non so cosa pensava Aylwin mentre mi baciava, ma doveva essere qualcosa di bello a giudicare dalla sua espressione. Per un attimo desiderai che un sortilegio ci mutasse in pietra, perché potessimo restare così, bloccati in quell'istante per sempre. La campana della cena suonò facendo sentire la sua voce in tutto il castello e in buona parte del parco, raggiungendo anche il nostro angolo nascosto. Dopo che ebbe finito di suonare, io ed Aylwin ci separammo con tristezza: Dobbiamo proprio andare? sospirò lei. Temo di sì mormorai io chinando il capo ed augurando alla campana di cascare in terra e spaccarsi. Il mattino dopo si sarebbero conclusi tutti gli esami e nel pomeriggio ci sarebbe stata una gita ad Hogsmeade: avevamo circa cinque o sei ore libere. Io ed Aylwin eravamo già d'accordo per tornare al castello e incontrarci nel solito posto dopo aver girato per due-tre ore con i nostri compagni giusto per non destare sospetti. Così dunque facemmo. A Hogsmeade feci le solite cose: spedii una lettera a mia madre dall'ufficio postale, girai attorno alla Stamberga Strillante, andai ai Tre Manici di Scopa e diedi un'occhiata al negozio di articoli sportivi. Il tutto con Tiger e Goyle alle calcagna. Finsi di divertirmi, ma in realtà non persi mai d'occhio l'orologio. Quasi un'ora prima dell'orario convenuto lasciai quei due gorilla ai Tre Manici di Scopa dicendo loro che avevo un appuntamento con una ragazza e tornai a scuola. Andai subito al nostro nascondiglio e mi sedetti ad aspettare. Attesi a lungo, molto a lungo. All'inizio non mi preoccupai molto: come ho già detto, io ero rimasto ad Hogsmeade soltanto un paio d'ore e poteva darsi che Aylwin avesse deciso di restarci tre. In fondo, la sua brigata era migliore della mia. Per la prima ora, quindi, non mi preoccupai. Aspettai un'altra ora e cominciai ad innervosirmi e a preoccuparmi sempre di più. Il pensiero che potesse avermi dato buca non mi sfiorò minimamente: non era possibile. Qualcosa o qualcuno doveva averla trattenuta. Aspettai ancora altre due ore poi, quando sentii i miei compagni rientrare da Hogsemaede, tornai al castello. mi nascosi nell'atrio, passaggio obbligatorio per tutti e studiai attentamente la folla di studenti cercando di scorgere il viso di Aylwin: non lo vidi. Pensai che forse era tornata al nostro posto segreto e così tornai là di corsa: non c'era nessuno. Ero sempre più preoccupato e nervoso: cominciai a chiedermi febbrilmente dove potesse essere e dopo qualche istante pensai alla Torre Ovest. Forse aveva frainteso il luogo dell'incontro. Corsi al castello, feci tutte le scale di corsa finche non arrivai in cima alla torre: la stanza era vuota. Mi accasciai su un banco: non avevo idea di dove potesse essere, proprio nessuna. Forse era nella sua sala comune, ma io non potevo entrarci: c'era una vocina, però, nella mia testa, che mi diceva diversamente. Mi diceva che qualcosa non andava. Cercai con tutte le mie forze di non farmi prendere dal panico ma là, in quella stanza buia e piena di mobili impolverati dove noi avevamo passato così tanto tempo era impossibile. Mi alzai e tornai di sotto. Continuai a camminare lungo il corridoio e poi giù per le scale fino nell'atrio. Da lì cominciai le ricerche. Avete idea di quanto sia grande Hogwarts? C'erano centinaia di corridoi, scale, stanze, atri, vestiboli…Il che significa migliaia di posti dove cercare, senza contare il parco. Era pazzesco sperare di poterla trovare da solo: forse un centinaio d'anni non mi sarebbero bastati. Ma non mi importava: dovevo cercarla, non potevo starmene lì con le mani in mano. Forse mi stava già venendo la febbre. Dovevo trovare la mia fede, a qualsiasi costo.Impegnato nella mia ricerca matta e disperata, non mi ero accorto che il castello aveva iniziato ad animarsi già da un po'. Sentivo sbattere le porte, persone camminare lungo i corridoi e voci che parlavano forte. Incontrai il fantasma dei Tassorosso, il frate grassoccio, e mi chiese se avessi visto una ragazza in giro per il castello. No, non ho visto nessuno risposi Perché, cosa è successo? . Immaginavo benissimo la risposta alla sua domanda, ma avevo bisogno di sentirlo dire per esserne sicuro. Non lo sai, ragazzo? disse il frate scuotendo il capo Una ragazza del quinto anno di Grifondoro è scomparsa. Dicono che abbia lasciato Hogsmeade oggi pomeriggio dicendo che sarebbe tornata al castello, ma qui non è mai arrivata. Mi sentii gelare. Se tutto il castello era stato mobilitato per trovarla, la cosa doveva essere ancora più grave di quanto temessi. Corsi alla finestra più vicina: nel giardino attorno alla scuola brillavano decine di luci e tutta la scuola risuonava di richiami. Quasi che il castello stesso partecipasse alla ricerca chiamando Aylwin. Eppure in quel momento quelle voci lontane e confuse mi parvero più che dei richiami dei lamenti funebri. Rabbrividii e mi precipitai al di fuori, come guidato da una di quelle voci. Mi diressi verso la Foresta Proibita: c'ero stato una volta durante il primo anno per punizione e non era esattamente un bel ricordo. Quella volta avevo avuto una paura tremenda, ma adesso a spingermi era una paura più grande: quella di perdere il mio angelo, la mia fede. Non avevo la più pallida idea della direzione da prendere ma continuai a camminare, inoltrandomi sempre di più. I mostri della foresta erano esattamente la mia ultima preoccupazione: anche se ne avessi incontrati, non mi avrebbero fermato. Non ne incontrai, non li sentii nemmeno camminare o respirare: tutta la foresta taceva, il che era molto, molto strano. Ma sul momento non me ne occupai: dovevo trovare Aylwin e il resto non contava. Non so per quanto camminai: avevo perso la cognizione del tempo e non sentivo né la stanchezza, né i rami spinosi che mi graffiano e le radici che mi facevano inciampare. Camminai a lungo, questo è tutto quello che so. E poi, alla fine, sentii un lieve gemito e vidi uno spiazzo tra gli alberi. La fiamma sulla punta della mia bacchetta si intensificò mentre camminavo in una radura. Fu allora che la vidi. Ayly! avrei voluto gridare, ma quel grido mi morì in gola. Ayly giaceva a terra, tra l'erba, in una posizione innaturale. Il suo viso era sporco di sangue, del suo sangue! Alla luce della bacchetta scintillava in maniera sinistra. I suoi vestiti erano spiegazzati, macchiati e strappati in alcuni punti, come se qualcuno l'avesse afferrata o strattonata violentemente. In terra giaceva la sua bacchetta, spezzata in due. Quasi non osavo muovermi per avvicinarmi e controllare se…Lentamente, mi inginocchiai accanto a lei e deposi a terra la mia bacchetta. I suoi respiri erano brevi e irregolari, come se facesse una fatica tremenda ma non volesse arrendersi. Faith… quasi singhiozzai a bassa voce. I suoi occhi si aprirono lentamente e si fissarono sul mio volto: vi vidi brillare una lieve scintilla. Danny… mormorò a fatica, la sua bella voce che aveva cantato per me in riva al lago ridotta ad un filo spezzato. Va tutto bene, Faith, tesoro mio. Sono qui, andrà tutto bene. Una parte di me sapeva che era una bugia. E sapeva che anche Aylwin lo sapeva. Danny… cercò di sollevare un braccio per toccarmi ma io la prevenni e strinsi la sua mano tra le mie, portandola alle labbra e baciandola. Sono qui. Danny, io…non gliel'ho detto… Non parlare, Aylwin, non devi sforzarti. Non mi diede ascolto e proseguì sempre guardandomi in faccia: Ascoltami! Me l'hanno chiesto… un migliaio di volte ma io non…non ho parlato…Gli ho mentito, Danny…T-tu sei al sicuro. Avrei voluto mettermi a urlare. Era ferita in modo grave, stava morendo lentamente eppure si preoccupava per me. Per me, dannazione! Quando parlai, la mia voce era poco più che un sospiro: Ayly, ti prego, non parlare…Risparmia le forze e cerca di resistere, ti prego. Afferrai la mia bacchetta e pronunciai un Incantesimo di Guarigione con la voce che tremava. La debole voce di Aylwin mi interruppe: Smettila, Danny. Non serve a nulla, non puoi farci niente. La bacchetta mi cadde dalle mani. No…no… singhiozzai mentre sentivo gli occhi riempirsi di lacrime che ricacciai indietro. Cercai almeno di ripulire il suo bel viso dal sangue con un fazzoletto: era tutto quello che potevo fare. Con la massima delicatezza possibile la spostai, cercando di non farle male e adagiandola contro di me perché potesse respirare meglio. Danny…Mi dispiace tanto…. N-non dirlo, Faith. Non è…non è colpa tua. Stava morendo. La mia Ayly stava morendo e non potevo fare niente per salvarla, non questa volta. Era terribile restare lì a guardarla soffrire ed essere totalmente impotente. Le stringevo febbrilmente la mano, come se potessi passarle la mia energia. Continuavo a chiedermi cosa ci facesse stesa lì morente, perché non ci fossi io al suo posto. Avevo giurato di proteggerla, dovevo essere io a soffrire per lei. Non il contrario, no! Danny… sospirò ancora Ricordati…la canzone. Quale canzone? chiesi senza capire. L-la canzone…Non…scordarla mai, promettimelo. Sì, sì, te lo prometto mormorai per farla smettere di affaticarsi a parlare. Mi sento stanca…Tanto stanca. Vorrei riposare…Mi piacerebbe tanto poter sentire la ninna-nanna ancora una volta. Un nodo mi strinse la gola quando pensai a quella canzone che mi aveva cantato sulla riva del fiume. Ma io non potevo cantare per cullare il suo riposo, poiché non conoscevo le parole. Ti amo, Faith mormorai baciandola. Anch'io, ti amo, Danny. E poi non riuscì più a parlare: il dolore si fece troppo intenso. Cominciai a canticchiare la nostra canzone senza smettere di guardarla, i nostri sguardi allacciati per l'ultima volta. Spero le sia stato di qualche conforto. Per me non lo era. Non era adatta, non più: quella canzone parlava di "vivere le nostre vite", ma per Ayly non valeva più. Non avrebbe più avuto una vita da vivere. Sorrise quando iniziai a cantare e sorrideva ancora quando la canzone finì. Rimasi lì seduto a guardare la sua vita che scivolava via, come granelli di sabbia in una clessidra. La luce dei suoi occhi cominciò a vacillare: quando svanì completamente, compresi che era finita. Morì con gli occhi aperti, com'erano sempre stati: spalancati sul mondo per catturarne ogni colore. Fui io a chiuderglieli e quel semplice gesto mi costò un'enorme fatica. I miei occhi erano pieni di lacrime che non potei o non volli piangere. Una voce urlò il suo nome tanto forte da farlo echeggiare sotto la volta del cielo cupo nell'aria della notte. Forse era la mia. Mi chiesi confusamente cosa fosse quel battito forte, doloroso e ritmico che avvertivo dentro il petto. Non poteva essere il cuore, pensai. Perché doveva essersi fermato.
Non so per quante ore rimasi fermo là accanto alla mia Faith, non so quanto tempo ci volle prima che ci trovassero. Dovettero staccarmi a forza da lei, credo. Non so nemmeno chi fu a trovarci…So solo che c'eravamo io e Faith avvolti in quel piccolo cerchio di luce mentre il resto del mondo era immerso nelle tenebre. Di quella notte non ricordo altro.
