Eccovi ancora una volta le crude vicende degli eroi antimafiosi di Darktropolis. Se volete leggere il disclaimer andate a leggere la prima parte e non rompete gli scatoloni a me! Unici aggiornamenti: Carminia Fledermaus si inspira direttamente alla graziosa pipistrellina di casa Naka, Rouge The Bat. Chissà, forse in fondo in fondo anche Rouge si comporta così nella sua vita privata, lontano da occhi indiscreti e paparazzi. (MAI E POI MAI!!! ndNik Adams The Bat) (Era una battuta!!! ndMe) Steve Power, o Stefano Potente come volete voi, è un personaggio inspirato a Knives "Steel" Prower, personaggio di M. Lock, e Ellie Connor si inspira a Sandy Connor, sempre di M. Lock.

Ringrazio profondamente M. Lock (per l'inserimento dei nuovi personaggi e il supporto morale), Az The Dragon (per avermi sostenuto moralmente e avermi sopportato in chat) e tutti quelli che hanno letto la prima parte: è solo grazie a voi che l'ho potuta realizzare, grazie ancora!

ATTENZIONE: visto la presenza di linguaggio volgare, scene di violenza esplicita e (l'aggiunta) di temi inerenti al sadomasochismo (ma anche sesso relativamente implicito), vi consiglio di prepararvi pcsi...pissi...psicologicamente (Eccheccacchio!) oppure di chiudere immediatamente se siete minori di 16 anni.

Ed ecco a voi la seconda parte della storia, intitolata:

IL TERZO GIRONE

Il punto della situazione: Avevamo visto che Maria, dopo l'ennesimo tentativo andato male di entrare in polizia, rientra a casa, ma viene bloccata da un gruppo di barboni. Quando credette di trovarsi nei guai fino al collo, apparve Shadow, che sgominò la banda di barboni. Sentendosi in debito, Maria ospitò a casa sua il suo eroe, lo vestì e gli dette da mangiare. Dopo un breve diverbio tra Milo Potente e Shadow, lui e Maria si ritrovarono sulla testa una taglia messa dallo stesso Milo. Vista la situazione pericolosa, Maria si rifugia a casa di una sua amica, Sharona Rabbot, e più tardi nel ghetto, da un suo amico fidato, Mark Denhaim. Decisi a risolvere la propria situazione, Mark, Maria e Shadow decisero di attaccare Milo alla Cracking Bones. Uccisero alcuni dei ricci del Don e Shadow stava per fare fuori lo stesso Milo, anche se lui scappò via prima di essere preso.

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I nostri eroi arrivarono a casa di Mark. Una volta dentro, Shadow mise Maria sulla poltrona e si tolse la giacca e Mark si tolse la sua giacca lunga, bucherellata tra pallottole e schegge. Mark prese una cassetta del pronto soccorso e si avvicinò a Shadow e Maria. -Pensi di farcela a curarla?- disse Mark a Shadow, porgendogli la cassetta -Non mi sento nelle condizioni adatte: mi tremano le mani. -Ci penso io a lei: va pure a riposarti.- disse Shadow. Mark entrò nella sua stanza e chiuse la porta dietro di se. Shadow si chinò su Maria e le aprì il giubbotto di pelle per farla respirare meglio: il seno le stava comprimendo la gabbia toracica. Le alzò la maglietta per controllare se aveva ferite gravi e si accorse che non indossava il reggiseno. Arrossendo come un peperone, Shadow le riabbassò la maglietta delicatamente. -Shadow?- chiese Maria. -Si, Maria?- disse Shadow. -Perchè hai riabbassato la maglietta senza controllare? -Beh...io...io non volevo... -Ah, capisco: non avere paura, Shadow, non ti faccio mica niente se mi vedi il seno. Maria tossì un paio di volte e rialzò la maglietta fino al mento. -Allora Shadow,- chiese Maria -ho qualche cosa? Qualche ferita? Shadow dette un'occhiata a Maria: il suo addome era costellato di graffi e lievi tagli. Prese un batuffolo di cotone idrofilo e lo inzuppò di alcool. Cominciò a strofinare leggermente i graffi e Maria ebbe un lieve sussulto. -Scusami.- disse Shadow. -Fa niente.- disse Maria sorridendo -Continua. Shadow continuò a disinfettarle le ferite. La sua fronte era imperlata di sudore e i suoi occhi saltavano dal suo addome al suo seno perfetto. Quando finì di disinfettarla, prese le fasciature e la sollevò con una mano sotto la schiena, mentre con l'altra mano passava la fascia per coprirle le ferite. Una volta finito, poggiò di nuovo Maria sul divano e si alzò. -Beh, se vuoi riposarti, Maria...io ti lascio da sola.- disse Shadow. -No,- disse Maria, alzandosi e mettendosi seduta sul divano -resta con me, Shadow. Shadow si mise a sedere accanto a Maria e lei mise un braccio sotto a quello di lui. -Mi sento stanca, Shadow.- disse lei, debolmente. -Lo so, Maria. -Tu non ti stanchi mai, Shadow? -Finora non mi sono stancato, ma credo che anch'io avrò un limite e dovrò staccare la spina. -Sei fantastico, Shadow, sei il terzo miglior riccio che io abbia mai incontrato nella mia vita. -Chi sono gli altri due? -Beh, il primo è mio padre... -E il secondo? Maria rimase in silenzio. -Jackie, il mio ragazzo.- disse tristemente. -Mi dispiace, Maria.- disse Shadow, stringendola a se. -Shadow? -Si? -Volevo finire di dirti quella cosa di cui ti parlavo in discoteca. -Cosa volevi dirmi? -Shadow, il primo momento che ti avevo incontrato, avevo creduto di avere a che fare con un barbone qualsiasi con manie di grandezza e pensavo che te ne saresti andato via prima che potessi dirti grazie, invece quando avevo cominciato a parlare con te, capii che tu non potevi essere un barbone qualunque ma eri un riccio speciale, diverso da tutti gli altri. Sei simpatico, dolce, carino, non mi hai mai sgridato o picchiato e non mi hai mai detto qualcosa che mi ferisse. Mi hai salvato due volte la vita e non mi hai abbandonata quando avevo bisogno di te...forse ti stò dicendo queste cose troppo presto, dopotutto è passato appena un giorno, ma sento dentro di me che tu sei il riccio giusto, che meriti veramente la mia fiducia e la mia approvazione...ma non so se io mi merito te. -Maria... -Shadow, io mi sento molto attratta da te, sia fisicamente che mentalmente, ma non voglio farmi illusioni, quindi dimmi la verità: tu...mi vuoi bene? -Maria...io...si, ti voglio bene. Maria non disse niente. Abbracciò Shadow e si mise a piangere. -Maria, cosa...?- disse Shadow. -Shadow?- chiese Maria. -Dimmi.- rispose Shadow. -Ti ricordi ancora della promessa che mi hai fatto? -Si: non ti lascerò mai, Maria, mai e poi mai. Maria pianse ancora.

Intanto, nel palazzo al centro della città, Milo stava discutendo con Don Sonny a proposito di quella serata. -Gli hai ammazzati quei figghi de bbottana?- chiese il Don. -Non tutti:- disse Milo -rimane quel riccio nero da ammazzare ed è più difficile di quanto possa sembrare. -Perchè? Che ha di speciale quello li? -È più veloce, più forte e più agile di quanto sembri: si muoveva alla velocità di una pallottola, sembrava che il tempo intorno a lui si fosse quasi fermato. Il Don rimase in posa riflessiva per qualche attimo. -Hummm...sembra che questo qui non venga da questa città...- disse -ascolta, tu non puoi fare una minchia contro quello li, mi serve qualcun'altro per fotterlo: chiamami Vittorio e Leo. Milo si alzò dalla poltroncina di pelle nera e uscì zoppicando dall'ufficio del Don. Il Don schiarì il vetro organico del suo ufficio e rimase a contemplare la giungla di cemento che si trovava intorno al suo palazzo.

Il giorno dopo, qualcuno stava preparando una sostanziosa colazione. Ben, tornato a casa di Shara dopo la ricerca infruttuosa di ieri sera, stava dormendo sul divano con i vestiti e l'impermeabile addosso, mentre Shara preparava la colazione. Un profumo di frittelle e di caffè invasero la casa. Shara uscì fuori dalla cucina con un vassoio su cui erano poggiati due tazzine di caffè e un piatto di frittelle calde. Ben si svegliò con il profumo delle frittelle e il pungente aroma del caffè. -Buongiorno amore!- disse Shara, sorridendo. -Buongiorno tesoro.- disse Ben, sbadigliando. -Ti ho preparato la colazione: vanno bene il caffè e le frittelle? -È perfetto, amore. Ben si mise a sedere sulla poltrona si avvicinò a Shara e la baciò sulla bocca. Shara ricambiò. Ben cominciò a mangiare e a bere il caffè. -Shara, sei bravissima a preparare la colazione, meglio del bar in cui andavo di solito prima di andare al lavoro.- disse Ben, leccandosi le labbra. -Grazie, tesoro.- disse Shara -Come ti era sembrato ieri sera? -Era la mia prima volta, amore, ma di sicuro è stata la prima volta più bella della mia vita: sei una dea, Shara. Shara sorrise. Qualcuno bussò quattro volte alla porta. Ben smise di mangiare e si alzò immediatamente. Corse verso la porta, ma prima di aprirla mise mano alla sua pistola. -Ok, amico,- disse Ben sottovoce -se non sei chi dico io avrai un caldo benvenuto calibro 9. Ben aprì la porta e si ritrovò davanti un piccolo riccio, un ragazzetto di 14 anni, che aveva in mano una copia del Dark Herald. Il piccoletto guardò Ben con lo sguardo timoroso di un leprotto che doveva attraversare la strada principale di Darktropolis all'ora di punta. -Mi scusi,- disse il piccoletto -Shara è in casa? -Forse, o forse no:- disse Ben -chi ti manda? -Sono il corriere del Dark Herald, signore, sono venuto a portarle il giornale...l'abbonamento... -Ho capito, dammi il giornale. Il ragazzino passò la copia del giornale a Ben, che la prese immediatamente. Il piccolo corriere stava per andarsene quando Ben lo fermò. -Aspetta!- gli disse, e trasse dalla tasca un pezzo di metallo che poi gli dette. Il volto del ragazzino si illuminò. -Non lo spendere subito, mi raccomando.- gli disse Ben, abbassandosi e accarezzandogli la testa. -Certo, signore!- disse il ragazzino, che corse subito via per consegnare altri giornali. Ben richiuse la porta e aprì il giornale. -Non immaginavo che tu fossi così dolce anche con i ragazzini, amore.- disse Shara. -Non volevo fare una cattiva impressione, visto che starò qui per un bel pò.- rispose Ben, senza distogliere gli occhi dal giornale. Shara sorrise. Ben sfogliò il giornale e si soffermò su una notizia di attualità che lo lasciò leggermente sconcertato. -Oh cavolo!- esclamò Ben. -Che succede?- chiese Shara, preoccupata. Ben piegò il giornale e lo girò verso Shara. Sulla pagina dell'attualita c'era scritto:

GUERRA TRA BANDE: DIECI MORTI

La discoteca Cracking Bones, locale di cui il ras Milo Potente ne è il padrone, è stato lo scenario di un cruento scontro a fuoco tra gli uomini di "The Flyer" e una banda di ignoti. La polizia ha detto che la banda che ha assassinato gli uomini di Milo fosse composta da almeno sette componenti, visto il numero delle armi e dei bossoli trovati. Le impronte trovate finora sulle armi corrispondono a quelle di un riccio non ancora identificato e di Mark Denhaim, un'echidna del ghetto, cittadino di Darktropolis registrato da pochi mesi, degli altri cinque non sanno ancora niente. Alla domanda posta al capo della polizia sulle contromisure da adottare nei confronti dei killer la risposta è stata un secco e fermo "No Comment".

-Mark Denhaim?- disse Shara -Ma non è quell'echidna amico di Maria? -Lo conosci?- chiese Ben. -Non di vista: ho sentito dire il suo nome da Maria. -Adesso ho capito! -Cosa? -Ieri sera Maria aveva chiamato, ricordi? -Si. -Aveva detto che sarebbe andata a porre fine a un conto in sospeso con Milo Potente: probabilmente è lei il riccio non identificato. -Aspetta un minuto: se lei è il riccio non identificato allora come hanno fatto a identificare Mark? -Non saprei... -Io invece ho già capito chi è il riccio non identificato. -Chi è? -È il nuovo amico di Maria: si chiama Shadow. -Shadow? E chi è? Shara spiegò tutto a Ben, che rimase stupefatto dalla storia. -Incredibile:- disse Ben -un riccio che viene dal nulla e provoca queste stragi? -Non so se sia effettivamente colpa sua,- disse Shara -anche perchè l'ho visto di persona e non mi sembrava affatto un tipo così letale. -Ne sei sicura? -Certo! Tu come lo definiresti un tipo un pò timido che non conosce neanche una parola offensiva? -Hummm...dovrò chiamare Sam. -Sei sicuro di doverlo fare? Ben si mise a pensare: se avesse detto a Sam che sapeva chi era stato si sarebbe scatenata una caccia al riccio, mentre se teneva la bocca chiusa non solo avrebbe evitato una cosa del genere ma avrebbe anche tenuto fede alla parola data a Maria di non dire una sola parola a suo padre. -No, credo che sia meglio di no.- rispose Ben -Maria di sicuro non me lo perdonerebbe mai. -Meglio così.- disse Shara. Il telefono cominciò a squillare. -Rispondo io.- disse Ben. Alzò la cornetta e la portò all'orecchio. -Pronto?- disse lui. -Ben, c'è stato qualche problema li?- chiese Sam. -No, signore. Ho visto la notizia sul giornale.- disse Ben. -Quell'echidna amico di mia figlia è di sicuro un sicario di Nicky La Punta: ora capisco perchè. -Perchè cosa, signore? -Perchè Maria è andata da lui: è un echidna del ghetto e solitamente gli echidna non vanno d'accordo con i ricci, quindi mia figlia deve averlo reclutato per far fuori Milo insieme a un'altro complice. Forse dovrei andare a cercarlo, ma non so se riuscirò mai ad entrare nel ghetto. -Signore, le suggerisco di rimanere dov'è: sono più che sicuro che Maria stia bene e che la contatterà molto presto. -Come fai ad esserne sicuro, Ben? Mia figlia è in casa di un killer e io ho le mani legate: non so più che fare. -Signore, le ricordo che Shara è un'amica di sua figlia e quindi molto probabilmente la contatterà: stia tranquillo. Sam non disse niente per qualche secondo. -D'accordo Ben,- disse Sam -se Maria ti chiama fammelo sapere. -Certamente signore.- rispose Ben. Sam riattaccò. Ben appese la cornetta. -Sam è proprio a pezzi.- disse Ben. -Lo so,- disse Shara -sapere che la propria figlia è nascosta in casa di un killer non è certo una bella cosa. Ben si mise a sedere sul divano e abbracciò Shara. -Credi che riuscirà a farcela?- chiese lui. -Maria è una ragazza determinata:- rispose Shara -sarà molto difficile che lei non riesca a risolvere i suoi problemi. -Lo spero.

Intanto, a casa di Mark, Shadow e Maria dormivano sul divano, l'una nelle braccia dell'altro. Mark uscì dalla sua stanza con gli scarponi di Shadow che lui aveva modificato durante la notte. Shadow si svegliò. -Buongiorno Shadow.- disse Mark. -Buongiorno Mark.- disse Shadow. -Mi spiace di non avervi dato un posto in più: se lo sapevo aprivo il letto del divano. -Non importa. Shadow si spostò dal divano in modo da non svegliare Maria e si alzò. Prese i suoi abiti e si rivestì. -Stanotte non sono riuscito a dormire,- disse Mark -così mi sono messo a modificare i tuoi scarponi: gli ho montato le suole delle tue Soap. Mark passò gli scarponi a Shadow, che li guardò in lungo e in largo. -Provali!- disse Mark. Shadow indossò gli scarponi e chiuse la cerniera frontale. -Comodi.- disse Shadow. -Adesso potrai grindare come facevi con le tue Soap.- disse Mark. -Non solo. -Non solo? -Le Soap non erano solo un paio di scarpe per grindare ma anche un paio di hoverblade: posso pattinare con queste. -Adesso ho capito il motivo dei microreattori sotto la pianta del piede. -Già. Come mai questa voglia di lavori manuali? -Ho preferito fare questo genere di lavori manuali piuttosto che un'altro genere di lavori manuali, non so se mi spiego. -Infatti, non ti seguo. -Lasciamo stare, allora. -Aspetta un minuto...ha a che fare ancora con quella cosa dello scopare? -Oh beh, come si dice: "Tutte le vie portano a Roma". -Di nuovo? Certo che deve essere una cosa molto bella se ne parlate così spesso, anche se pare che a Maria non piaccia per niente. -Beh, hai ragione a metà: è una cosa molto bella se la prendi per il verso giusto e con la persona giusta. -E se la prendi per il verso sbagliato? -Potrebbe non piacerti affatto. -Una cosa delicata insomma. -In un certo senso si. -Come funziona? -Beh...non saprei...a parole è difficile da spiegare...è...è una cosa..che fanno un'uomo e una donna quando si vogliono molto ma molto bene. -E poi? -E poi...e poi...ma non avrebbe dovuto spiegartelo Maria? -Lo so, ma sembra che non ne voglia mai parlare. -Tu provi qualcosa per lei? -Io...beh, si. -Le vuoi bene? -Si. -Molto bene? -Si, molto. -La ami? -... -Beh? Rispondimi! La ami? -Si, la amo. -Non sai come dirglielo, vero? -Vero. -Ti capisco: anch'io ero stato come te con la mia prima ragazza. Lei era bellissima: aveva gli occhi verdi, i capelli neri, lunghi e setosi, la sua bocca era morbida, la sua pelle, per quanto pelosa fosse, era come quella di una pesca matura...ma adesso lei sta con un'altro, un mio amico, ha fatto la scelta più giusta. Sei un tipo fortunato, Shadow. -Perchè? -Perchè non sei come me. -Cosa vuoi dire? -Hai fatto caso che non posso essere ucciso? Che le pallottole non mi fermano? Che non sanguino, che non mi ferisco...che non muoio mai? -Si. -Lasciati consigliare da me: se ti trovi con le spalle al muro e qualcuno vuole manipolarti, sii più veloce: scappa via e non farti mai vedere, e se questo non funziona piantati una pallottola nella fronte prima che lo facciano loro. Il silenzio cadde in quella stanza. -Potrei dirti che mi dispiace per quello che ti è successo,- disse Shadow- ma posso solo dire che sei arrivato tardi. -Che vuoi dire?- chiese Mark. -Che sono anch'io frutto di una manipolazione genetica. -Cosa? Com'è possibile? -Secondo te i ricci di questo pianeta sono in grado di muoversi con la stessa velocità di un proiettile di pistola? Oppure che sono in grado di evocare delle lame dal nulla che arrivano e uccidono le persone cui dicono di sparire? -Il primo lo definisco, in termine di cinema, il Bullet Time, il secondo invece...beh, non saprei spiegartelo. -Bullet Time? -Il Bullet Time è una tecnica cinematografica creata da un regista di Hong Kong, John Woo, che poi è stata adottata in altri film e poi perfezionata dai Fratelli Wackoski: consiste nel rallentare una scena di azione in modo da permettere una visione più chiara dei movimenti di un'attore mentre spara, in pratica l'azione si muove come se fosse vista dalla prospettiva della pallottola che fuoriesce dalla canna di una pistola. -Sarebbe questo il Bullet Time? -Già, è una cosa che pochi sanno fare. -E chi sarebbero questi pochi? -Uno sei tu, un'altro è Keanu Reeves e un'altro è M...- Mark s'interruppe -non posso dirlo: è un segreto. -D'accordo, Mark. La conversazione venne interrotta da uno sbadiglio di Maria. -Ben alzata, piccolina:- disse Mark -dormito bene? -Si, a parte il fatto che mi sento l'addome come se me lo avessero rasato strappando un pelo alla volta.- disse Maria, portandosi una mano nella zona dolorante del suo corpo. -Se la tua resistenza fosse pari alla tua costituzione saresti morta sul colpo con un botto del genere. -L'ho già detto: sono dura a morire. -Stanotte non sono riuscito a dormire, così ho fatto un piccolo lavoro manuale per passare il tempo. -Mark, certo che sei proprio sfacciato! Mica lo devi urlare ai quattro venti che sei stato a farti una... -Non quel genere di lavori manuali! -Cosa allora? -Dai un'occhiata agli scarponi di Shadow. Maria volse lo sguardo verso gli scarponi di Shadow e notò le suole modificate. -Carina come modifica,- disse Maria -ma secondo me stavano meglio sotto le scarpe bianche. -Per quello non ci sono problemi,- rispose Mark -le suole si possono staccare e inserire nelle altre scarpe. -Ok, spero almeno che serva a qualcosa. -Si, Maria, mi servirà.- disse Shadow. -Ok, avete fame?- chiese Mark -Io ho una tale fame che mi mangerei a morsi il divano. -Prepara qualcosa, anch'io sono affamata.- disse Maria. -Anch'io.- disse Shadow. -Perfetto.- disse Mark -Vanno bene frittelle e caffè? -Per me niente caffè.- disse Maria -Neanche per me.- disse Shadow. -Ok, frittelle e basta.- disse Mark. Mark entrò nella sua stanza che comunicava con la cucina. Il telefono cominciò a squillare. Mark uscì dalla sua stanza e rispose. -Pronto...ehi, Nick, come te la passi? Io bene...ah, davvero? Beh che vengano pure a trovarmi, tanto mi possono fare poco o niente lo sai...se sono libero? Non proprio, ho qualche impegno, ho ospiti...hai capito, si...quali sei? No, no, sono solo due amici...no, non fumano...vengo da solo, allora...si, credo che possano badare a se stessi...ok, tra un paio di ore...passi tu? Oh beh, spero che per te non sia un problema...chi? No, non la conosco, mai sentita...viene con te? Ok, fà venire pure lei...no, assolutamente no, nessuna orgia, lo sai alla perfezione che sono già impegnato...si, si, ridi ridi, che la mamma ti ha rollato la canna...d'accordo, ci vediamo...va bene, va bene! Si, scusa ma devo preparare la colazione per tre...non c'è problema, può venire anche Beg...anche lei? Ma si, organizziamo un pranzo, tu che porti? Fantastico, meglio di quanto potessi immaginare...mi raccomando per la birra e il fumo...si, si...Nick, non vorrei rognarti ma qui sei tu che devi pagare la bolletta del telefono...ok, ciao. Mark riattaccò. -Indovinate chi viene a pranzo- disse Mark. -Nicky La Punta?- disse Maria. -Esatto, proprio lui.- disse Mark. -Il boss del Clan dello Smeraldo di Tenebra viene a pranzo oggi?- chiese Maria sorpresa -Si.- disse Mark -So che può sembrare strano, ma non è un tipo di quelli che ammazzano a vista non appena vedono che sei un tipo che non gli và a genio, è uno in gamba con la testa a posto... -...e il cervello pieno di fumo...- disse Maria. -Andiamo, devi sempre stare a guardare il pelo nell'uovo? Sapeva persino quel che era successo alla discoteca: sapessi quanto c'ha riso. -Fantastico! Facciamo un'azione di rappresaglia e già siamo sulla bocca di tutti! E adesso che manca? Il Don che viene a cena e che organizza una spaghettata? -Maria, se solo tu o Shadow rischiaste qualcosa non l'avrei nemmeno fatto venire. Credi che sarei capace di far rischiare la vita di qualcuno stupidamente? -Comincio a credere di si. -Lo sai bene quanto me che a Nick non gliene frega niente degli affari del Don, quindi non essere nervosa e rilassati. -Ok, smetterò di essere nervosa, ma se lo vedo fare qualcosa che non mi piace gli faccio passare un brutto quarto d'ora. -Va bene, come vuoi. Mark entrò di nuovo nella sua stanza. Shadow, che era rimasto in piedi finora, si mise a sedere accanto a Maria. -Di che stavate parlando tu e Mark quando stavo dormendo?- chiese Maria a lui. -Niente di particolare,- rispose Shadow -di alcune cose che ci riguardavano: mi ha parlato del suo passato, di come poteva spiegare il mio potere e del fatto che sono fortunato. -Perchè sei fortunato? -Dice che sono fortunato perchè non sono immortale come lui. -Già, capisco, povero Mark: mi ha parlato più volte del fatto che non può morire. -Come fa a pensare che la sua immortalità sia un male? A me sembra che sia il sogno di molti, quello di non morire mai. -Si, certo, gliel'ho detto anch'io, ma sai cosa mi ha risposto? -Che ti ha detto? -Come ti sentiresti nell'innamorarti di una persona, vivere la propria vita accanto a lei e sapere che quando lei morirà tu non potrai mai seguirla? -Oh, capisco, è terribile. -Mark è praticamente condannato a vivere per sempre, anche quando tutto quello che si trova intorno a lui cesserà di esistere. -Mio Dio... -Adesso capisci perchè? -Si, è orrendo. -Già, e dire che un tempo desideravo essere anch'io come lui. -In che senso? -Nel senso che volevo essere anch'io invincibile...un desiderio che avevo da bambina, niente di che. Rimasero entrambi in silenzio.

Al Dipartimento di Polizia Sam stava seduto alla sua scrivania, a leggere un rapporto riguardante un nuovo carico di Syntheaven. Era preoccupato per sua figlia e non sapeva come trovarla. Il pericolo che correva era enorme: aveva una taglia sulla testa e chiunque avesse a che fare con il Don o uno dei suoi scagnozzi era pronto a eliminarla dalla faccia del pianeta. I suoi pensieri vennero interrotti dallo squillare del suo telefono. Sam alzò la cornetta e rispose. -Dipartimento di Polizia di Darktropolis, sono il capo della polizia.- disse lui. -Papà?- disse Maria dall'altro capo della linea. -Maria! Sei tu? -Si papà, sono io, ascoltami... -Tesoro, non immagini quanto io stia in pena per te: dove sei? Chi c'è con te? Stai bene? Ti hanno fatto del male? -Papà, stò benissimo, grazie, ti ho chiamato per dirti che non sarò in girò per qualche giorno finchè non risolverò una deteminata questione e volevo anche raccomandarti di non cercarmi: sono nel ghetto degli echidna con un mio amico che mi darà una mano e un tetto sopra la testa. -Si, lo so, il tuo amico si chiama Mark Denhaim, vero? -Si, perchè? -Vuoi sapere perchè lo so? Il tuo caro amico è un sicario, un killer a sangue freddo: ieri sera ha ammazzato qualcosa come dieci ricci, lui e un'altro gruppo di persone al seguito. Te ne ha parlato di questo? Te l'ha detto, per caso? Oppure non lo sai? -Papà, me l'ha detto, lo so bene che mestiere fa, non posso farci niente. -Ah si? Non puoi farci niente? E quando saprà della tua taglia e ti punterà una pistola alla tempia non potai comunque farci niente? -Non stò correndo rischi e poi sa già della taglia ed è disposto ad aiutarmi al riguardo. -Come fai a fidarti di lui? -Vuoi parlarci? -È lì con te? Passamelo! Ci fù un'attimo di silenzio, finchè la cornetta non passò da una mano a un'altra. -Pronto, parlo con Samuel Hog?- disse Mark. -Sei tu Mark Denhaim? -Centrato al primo colpo. -Tipo, lo sai che sei ricercato? -L'ho saputo da poco, grazie per aver confermato la voce. -Cosa? Sai di essere considerato armato e pericoloso e sai che potresti essere ucciso e mi ringrazi? -Perchè non dovrei? -Lo capisci che se ti vediamo in giro abbiamo il potere di farti fuori a vista? -Se ci riuscite allora meritate veramente di prendermi. -Tu sei completamente fuso di cervello, ma la cosa che mi preoccupa non è questa, è il fatto che mia figlia sia vicina a uno come te che mi mangia il cervello a morsi. -Non si preoccupi, le garantisco che sua figlia si trova in ottime mani e non corre alcun pericolo finchè ci sono io a proteggerla e, a proposito, se volete proprio sapere chi è stato a fare fuori quei bastardi ieri sera ebbene sono stato solo e unicamente io: ho un debito con sua figlia quindi finchè lei ha bisogno io le darò una mano a risolvere i suoi problemi con qualunque mezzo necessario. Posso guadagnarmi la vostra fiducia? -Come posso fidarmi di te? -Verrò di persona al dipartimento e sarò disarmato, ma non voglio nè armi nè poliziotti ad ostacolarmi altrimenti, con mio estremo rammarico, sarà una strage. -Come puoi garantirmi che non sarai armato? -Lo saprà quando sarò lì, non tema, la saluto. -Aspetti! Mark riattaccò. -Porca puttana!- esclamò irato Sam, sbattendo la cornetta sull'apparecchio. Rimase seduto sulla scrivania e tirò fuori da un cassetto un silenziatore che montò sulla canna della sua pistola. -Bene, Mark Denhaim,- disse Sam tra sè -ti aspetto.

Sul porto, nel frattempo, qualcuno stava lavorando per la produzione di una piaga ormai estesa a macchia d'olio sulla città. Il Dr. Edward stava terminando di mettere gli ultimi fusti di Synth dentro alle scatole a tenuta stagna quando sentì bussare alla porta del suo laboratorio. -Chi è?- chiese lui. -Sono io, vecchio, apri.- Il dottore aprì la porta: c'era Leo il Cecchino, con un fucile a pompa in mano. -Salve, sig. Leo: ho completato il carico di Syntheaven.- disse il dottore. -Perfetto, dottore: passami le scatole.- disse Leo. Il Dr. Edward prese la scatola termica che aveva chiuso sul tavolo e la passò a Leo. Leo poggiò sul tavolo il fucile, prese la scatola e la portò fuori, dove si trovava la sua auto con il portabagagli aperto. Mise la scatola in macchina e rientrò dentro al laboratorio. Leo continuò a trasportare scatole fino all'ultima rimasta, quindi chiuse il portabagagli e rientrò nel laboratorio per prendere il fucile. -Il prossimo carico di plasma C arriverà tra una settimana, dottore, sai già chi lo deve portare.- disse Leo, tirando fuori un'assegno -Questo è per te. Il Dr. Edward prese l'assegno: 5'000'000 di pezzi di metallo. -La ringrazio, signor Leo.- disse il dottore. -Vada pure a casa, dottore.- disse Leo, che rientrò nell'auto. Accese il motore e se ne andò di corsa.

Nel Dipartimento di Polizia, Sam stava ancora attendendo la visita di Mark, quando sentì bussare un paio di volte alla sua porta. -Avanti.- disse lui, aprendo il cassetto della scrivania dove si trovava la pistola. Entrò un riccio rosso scuro, con una risma di fogli in mano. -Signore, c'è un documento da firmare per lei.- disse il riccio. -Passa qua.- disse Sam. Il riccio poggiò la risma di fogli sul tavolo e Sam la prese, leggendo quel che era scritto sopra. -Ehi, aspetta un'attimo,- disse Sam -qui dice che ho ordinato una confezione extra di cibo di un fast food echidna: io non ho ordinato un bel niente, tantomeno da un fast food del ghetto. -Ah no?- disse il riccio -Allora vuol dire che ho preso i fogli sbagliati. -Che storia è questa? Dove hai preso questi fogli? -Da casa mia. -Cosa? E tu mangi roba di un fast food echidna? -Si: sfortunatamente da quelle parti non ci sono alimentari o cose del genere, quindi non so come arrangiarmi. -Tu abiti nel ghetto? -Si, in un locale vicino al centro, posto piccolo ma confortevole. -Questa storia non mi piace affatto: chi ti ha mandato qui? -Sono venuto qui per conto mio: a quanto vedo hai mantenuto la promessa. -Promessa? Che promessa? Per tutta risposta il riccio si allontanò di qualche passo dalla scrivania e cambiò forma, diventando un grosso echidna nero con le mani bianche. -Ma cosa...che cazzo sei tu?- disse Sam spaventato. -Sono Mark Denhaim, ho parlato con lei al telefono qualche ora fa.- disse Mark. -Come cazzo hai fatto a trasformarti in quel modo? -Uno dei miei tanti poteri. Adesso mi ascolti... -No, bello, tu ascolti me. Sam tirò fuori la pistola dal cassetto della scrivania e la puntò contro Mark. -Dov'è mia figlia?- chiese Sam. -È al sicuro a casa mia, non si preoccupi, piuttosto metta giù quella pistola.- propose Mark. -Finchè non mi dirai come trovare mia figlia io non abbasserò la pistola nemmeno per il cazzo, echidna. -È praticamente inutile puntarmi la pistola: non puoi uccidermi. -Ah si? -Si. Faccia pure fuoco. -Stai scherzando! -No, sono più che serio. -Mi hai rotto le palle: dimmi dove stà mia figlia o ti faccio un buco in fronte. -Sei duro di comprendonio? Ti ho detto che è a casa mia nel ghetto! Come faccio a farti capire che stà bene? -Voglio vederla! -Questo non posso farlo: rischieresti solo la vita inutilmente...aspetta! Abbassa la pistola, ti assicuro che sono disarmato. -Come faccio a fidarmi? Mark alzò le braccia e mise le mani dietro la nuca. -Perquisiscimi.- disse Mark. Sam si alzò, puntando sempre la pistola verso Mark. -Poggia le mani sulla scrivania tenendo le gambe divaricate.- ordinò Sam. Mark fece come gli chiese. Sam poggiò la pistola sullo schedario dietro di se e cominciò a perquisire Mark, senza trovare nulla che somigliasse lontanamente a un'arma. Terminata la perquisizione si voltò verso lo schedario per prendere la pistola, ma venne bloccato da una presa al collo di Mark. -Una posizione scomoda per dare ordini, non credi?- disse Mark. Sam non riusciva a parlare, dato che la presa gli bloccava il respiro. Mark prese la pistola di Sam e tolse il caricatore, prendendolo tra i denti, quindi poggiò la pistola sulla scrivania. Si tolse il caricatore dalla bocca e lo scaricò dentro a un portapenne della scrivania e poi lo rimise nella pistola. -Adesso come adesso potrei anche spezzarti il collo, lo sai?- disse Mark -Visto che sua figlia non me lo perdonerebbe mai non lo farò, perciò le ho scaricato la pistola in modo che nessuno si faccia del male, va bene? Sam annuì. Mark rilasciò la presa e Sam riprese a respirare. Tossì un paio di volte, tenendosi poggiato alla scrivania. -Vuole fidarsi di me adesso?- disse Mark. -Va bene, va bene, mi fido.- disse Sam, con voce mezza strozzata. Mark gli porse la pistola e Sam la prese. -Sua figlia sta bene,- disse Mark -è solo un pò ammaccata ma sta bene: mi ha chiesto di aiutarla a liberarsi di un problema, un problema da 5000 pezzi di metallo. -Lo so, ha una taglia sulla sua testa:- disse Sam, schiarendosi la gola -devo portarla via prima che qualcuno le faccia del male. -Sono venuto qui anche perchè sua figlia mi ha chiesto di dirle che lei non deve assolutamente intromettersi in questa storia, altrimenti succederà un disastro e sua figlia rischierà più di quanto stia già rischiando adesso. -Come sarebbe a dire che non devo intromettermi? Non posso stare senza far niente mentre mia figlia sta rischiando la vita per colpa mia. -Le ho detto che lei è al sicuro, la sto proteggendo io. -E come pensa di proteggerla? Mark cercò qualcosa che somigliasse a un'oggetto contundente sulla scrivania e trovò un tagliacarte. Impugnò il tagliacarte e se lo inferse nel petto come un pugnale. Il tagliacarte trapassò lo sterno senza difficoltà. -Mi creda- disse Mark -è più doloroso di quanto lei possa immaginare. -Come...come è possibile? Dovresti essere morto con un colpo del genere. -Lo so. -Ora mi fido veramente di te. -E ci voleva questo perchè voi vi fidaste di me? Mark estrasse il tagliacarte dal petto e lo posò sulla scrivania. Il tagliacarte non mostrava nessuna macchia di sangue: era praticamente pulito. -Mi raccomando, sig. Hog,- disse Mark, aprendo la finestra del suo ufficio -non cerchi di salvare sua figlia, perchè è già al sicuro, si preoccupi solo del suo carico di Synth. -Cosa? Tu che ne sai che sto indagando su...- disse Sam. -Ho i miei metodi. Mark saltò dalla finestra. Sam corse a vedere dove stava andando, ma di Mark non c'era traccia. Stravolto da una fiumana di pensieri, Sam si mise a sedere sulla sua sedia di pelle nera consumata e fece crollare la sua testa sulla sua scrivania.

Shadow e Maria, nel frattempo, stavano seduti sul divano di Mark. Lui era sveglio e vigile, mentre Maria stava dormendo con la testa poggiata sulla spalla di lui. Non passarono neanche due minuti che Shadow venisse investito dal sonno e cominciò a dormire anche lui. La sua testa cominciò a navigare tra i suoi ricordi e si ritrovò nello spazio, in orbita sulla Terra. Stava guardando fuori le stelle. E laTerra, blu screziata di bianco. Quell'immagine lo faceva sentire rilassato. Il suo relax venne immediatamente interrotto dal suonare di un'allarme. Voci elettroniche e grida umane facevano eco dai lontani corridoi. Spaventato cominciò a correre via da quei suoni. Il corridoio che stava percorrendo sembrava allungarsi davanti a lui, mentre dietro al collo sentiva ansimare qualcuno. Voleva voltarsi, ma aveva paura di farlo: una voce nella sua testa gli diceva di non voltarsi mai indietro. Arrivò alla fine del corridoio: una stanza larga con una console di controllo. Il suo battito cardiaco era accelerato. Camminò verso il centro della stanza e venne bloccato da una cupola di vetro che si chiuse su di lui. Spaventato, Shadow battè i pugni contro il vetro e vide oltre la cupola una ragazzina con i capelli biondi e gli occhi azzurri. -Maria!- esclamo lui. La ragazzina era poggiata alla console, stanca. Le sue piccole mani tremavano. Shadow voleva uscire e aiutarla ma il vetro gli impediva di muoversi. Continuò a battere sul vetro. -Maria, fammi uscire!- esclamò. La ragazzina sembrava non ascoltarlo. Un clangore metallico lo fece voltare e vide due robot armati di laser che puntarono i loro fucili contro la ragazzina e fecero fuoco. -Maria! No! Shadow si svegliò rapidamente: aveva la fronte sudata e il fiato corto. Mise la mano sui propri occhi e la fece passare sulla fronte: era il secondo incubo che aveva in tre giorni e non riusciva nemmeno a capire perchè. Girò lo sguardo verso Maria, che continuava a dormire. Si mosse lentamente e le spostò la testa dalla sua spalla, facendogliela poggiare delicatamente sul bracciolo del divano, quindi si alzò in piedi e andò ad osservare fuori dalla finestra: nonostante fosse giorno, o almeno doveva essere giorno, la luce non arrivava sulle strade e nel frattempo la pioggia continuava a battere sulle strade, come a cercare di lavare il marcio della città. Shadow rimase ad osservare finchè non sentì il rumore di una chiave che si infila in una serratura e gira per aprire. Mark entrò in casa, gli abiti erano fradici di pioggia ma nonostante questo sembrava contento. -Com'è andata?- chiese Shadow. -Tutto ok, nessun problema: ho una notizia buona e una cattiva.- rispose Mark. -La buona? -Maria è fuori pericolo: tutti la credono morta, compreso il Don, quindi niente più taglia. -La cattiva? -Sei in pericolo: tutti i ricci del Don là fuori ti vogliono morto, gli echidna, in compenso, no. -Incoraggiante: questo posto comincia a piacermi sempre di meno. -Se ti riferisci a casa mia, beh, non ti biasimo: è drammatico fare i sedentari quando non lo si è affatto. -Mi riferisco a questa città: la gente è violenta, ognuno cerca di mettere un coltello sulla schiena dell'altro e non riesci a fidarti di nessuno. -Fa schifo anche a me, ma visto che sono costretto a viverci non posso fare altrimenti. -Come hai fatto ad arrivare qui? -È una lunga storia... -Potresti raccontarmela? -Ok, tanto vale che te la racconti, visto che non abbiamo niente da fare: cinque mesi fa, quando ancora ero sulla Terra, ero riuscito ad aiutare i miei amici a impedire un'invasione da parte dei plutarchiani, cacciai a pedate in culo il loro ambasciatore sulla Terra, Lawrence Lactavious Limburger, e riportai la calma sulla Terra. Siccome sono un tipo che non sa assolutamente stare fermo senza fare qualcosa, decisi di andare a fare un viaggio tra le stelle. Tutto stava andando liscio come l'olio finchè non scopro che la traiettoria che avevo impostato alla navetta si era curvata di qualche grado, attratta dalla gravità di un pianeta. Mi schiantai sul pianeta (fortunatamente senza ulteriori danni) e mi trovai a che fare con un gruppo di ribelli che stava combattendo contro un dittatore, tale Guardiano Knuckles. Ho combattuto contro questo Guardiano per due mesi, finchè non decisi che era meglio andarsene da quel pianeta: stavo modificando troppi eventi, fatti che non sarebbero mai dovuti accadere. Così ho preso armi e bagagli e sono partito verso la Terra, ma ho avuto un'altro problema: nella rotta verso il mio pianeta trovai Darkus, questo posto, un pianetucolo coperto da una cappa nera di nuvole che non lasciavano nemmeno far vedere la luce della stella sulla quale si trovava in orbita, Hesperia 5432. La mia navetta si abbattè in una zona abbandonata della città, Dump Hills, e così cercai un posto dove stare. Dopo aver vagato per qualche giorno senza meta trovai questa zona, il ghetto, e provai a cercare un rifugio e un lavoro per racimolare abbastanza soldi per riparare la mia navetta. Credevo di aver perso tutte le speranze finchè la mia strada non si incrociò con quella di Nicky La Punta: stava cercando un nuovo sicario perchè il suo era passato dalla parte di Don Sonny, quindi mi sono offerto di fare per lui il lavoro sporco, tipo eliminare quelli che tradivano o bastardi doppiogiochisti che lavoravano come spie per il Don, io ho un fiuto eccezionale per scovare spie e traditori, l'ho imparato ad affinare su Marte durante la guerra contro i plutarchiani e mi è servito tuttora, perciò Nicky mi paga fior di quattrini per la mia consulenza e i miei servigi e quando entro nei locali del ghetto non pago un soldo e bevo come un calamaro. -Se tu sei sempre rimasto nel ghetto come hai fatto a conoscere Maria? -Sparsi la voce che insegnavo tecniche di combattimento a chiunque voleva imparare a combattere o a difendersi. Pensavo che a nessuno interessasse la cosa, finchè non mi trovo di fronte alla mia porta Maria: non dimenticherò mai il suo sguardo malinconico e la sua voce monotona quando mi chiese quanto volevo per insegnarle a combattere. Le dissi che non doveva pagare assolutamente niente e le insegnai a combattere e a difendersi, proprio come ho fatto con te. -Come è stato ucciso il suo ragazzo? -Jack Snipes, il ragazzo di Maria, morì vittima di un attentato ai danni di lei, fu ucciso da un gruppo non identificato che cercò di ucciderli entrambi di fronte a un cinema: Jackie morì sul colpo e Maria rimase illesa. Da quel giorno Maria vuole uccidere Don Sonny e i suoi uomini per vendicare la morte di Jackie. -Chi è stato ad ucciderlo? -Non lo sa nemmeno Maria ma crede che fossero uomini del Don: durante quel periodo Sam stava compiendo una crociata antiprostituzione nelle Sodom Hills e ha fatto perdere diversi clienti e diverse "operaie" al Don, quindi l'attentato fatto nei confronti di Maria doveva essere un'azione di rappresaglia...almeno credo. Shadow e Mark vennero interrotti dal rumore umido di una bocca impastata di saliva che si stava aprendo. Maria sbadigliò e si alzò dal divano. -Come ti senti, Maria?- chiese Shadow. -Un pò meglio,- disse Maria, portandosi una mano dietro la schiena -anche se mi sento la schiena un pò martoriata. Maria pose entrambe le mani sui lombi e inarcò la schiena, lasciandosi sfuggire un lieve gemito di fastidio. -Che ne diresti di un massaggio, Maria?- propose Mark. -Sarebbe l'ideale in questo momento:- disse Maria -lo faresti per me? -Io? Chi ha detto che lo devo fare io?- disse Mark, che pose una mano sulla fronte di Shadow e gli trasferì un'altra scheggia della sua "sapienza". Shadow, al termine del trasferimento, sussultò. -Vuoi dire che hai insegnato a Shadow anche questo?- disse Maria, che era di spalle e non vedeva ne Mark ne Shadow. -Giusto un paio di secondi fa:- rispose Mark -stenditi sul divano. Maria si stese sul divano, con la schiena rivolta verso l'alto. -E adesso tocca a te.- disse Mark a Shadow, indicandogli Maria. Shadow si sgranchì le mani per qualche secondo e poi si mosse verso Maria, quindi le sollevò la maglietta. -Passa in mezzo alle scapole e finisci ai fianchi, Shadow.- disse Maria. Shadow poggiò le mani ai lati degli aculei che spuntavano dalle scapole e cominciò a muovere le dita a piccoli cerchi delicatamente ma in maniera decisa. -Ah, si...così va bene Shadow...- disse Maria, gemendo di piacere. Shadow continuò a massaggiarla. -Bene,- disse Mark, alzandosi e dirigendosi verso la sua stanza -io vi lascio soli: se il telefono squilla oppure se qualcuno bussa alla porta chiamatemi. -D'accordo, Mark.- disse Shadow. Mark chiuse la porta dietro di se. Shadow continuò silenziosamente a massaggiare Maria in mezzo alle scapole. Entrambi rimasero in silenzio, finchè Maria non ruppe il ghiaccio. -Per quanto ho dormito?- chiese. -Non ne ho idea: il cielo di Darktropolis mi ha tolto la cognizione del tempo.- rispose Shadow, senza distogliere lo sguardo dalla sua schiena -Hai una vertebra fuori posto, Maria. -Dove?- chiese lei. -Qui.- fece Shadow, facendo un cerchio con il dito nella zona lombare -Stringi i denti perchè credo che sarà abbastanza doloroso. -Ok, allora, sono pronta. Shadow si alzò e si mise a cavallo sulle natiche di Maria senza sedersi ma sostenendosi sulle ginocchia, quindi poggiò le nocche delle mani sulla schiena in modo da far leva con i pollici sulla vertebra. -Io sono pronto,- disse Shadow -dimmi quando posso spingere. -Puoi spingere, Shadow.- rispose Maria. Shadow cominciò a spingere in dentro la vertebra. Maria lanciò un gemito acuto che malcelava una traccia di piacere quasi da orgasmo. -Oh si!- gemette Maria -Spingi più forte! Più forte! -Sta rientrando!- esclamò Shadow. -Si! Ah! Si, lo sento! Non ti fermare! AH! -Si! Manca poco, un'altra spinta! -SI! OH! Oddio non ce la faccio più! Dai! -Fatto! -AAHHH!!! Shadow rimise la vertebra al suo posto e si tolse dalla posizione in cui si trovava. Maria ansimava. -Tutto bene?- chiese Shadow. -Shadow,- rispose Maria tra un respiro e l'altro -forse sarà perchè è passato più di un'anno dall'ultimo massaggio alla schiena che mi hanno fatto, ma posso ben dire che tu te la cavi come nessuno: vorrei essere colpita da un'altra granata per avere un'altro massaggio come questo. -Ehi, mica devi per forza farti del male per avere un'altro massaggio: basta chiedere. Adesso siediti e alza un piede. Maria si sedette e fece come Shadow le chiese. Shadow si sedette a terra, prese la sua caviglia sotto il braccio e cominciò a massaggiarle il piede. Maria gemette di piacere ancora una volta. -Mmm...tu mi stai viziando, Shadow.- disse Maria, chiudendo gli occhi e sorridendo. -Ti sto solo facendo quel che meriti.- disse Shadow. Maria e Shadow rimasero in silenzio per qualche minuto. Lei, che era in stato di estasi per il massaggio, si sentiva leggera come l'aria. Il tempo si era fermato e le sembrava di vedere tutto più chiaro, più definito. Lui, dal canto suo, era riuscito a vincere l'imbarazzo e forse si sentiva nell'umore di confessarle tutto ciò che pensava. -Maria?- provò a dire. -Si?- rispose lei. -Io...io credo che questo posto, Darktropolis, sia una bruttissima città per vivere, piena di violenza, di morte, di cattiveria e di terrore, ma se vivere qui significa condividere con te tutto quello che c'è, per quanto bello o orrendo che sia, non farei altre scelte: rimarrei qui fino alla fine, fino a che gli oceani non si asciugheranno, finchè questo pianeta non smetterà di girare, fino alla fine di tutto quello che vediamo intorno a noi. Maria rimase allibita dalla poetica e dalla sincerità di quelle parole. -Tu...tu lo faresti veramente per me?- chiese lei, stupita. -Si, Maria, lo farei per sempre e anche oltre se sarà necessario.- rispose fermamente lui. Shadow finì di massaggiarle i piedi e si voltò. Entrambi si fissarono negli occhi senza dirsi una parola. Per Shadow il tempo parve fermarsi, ma sapeva che vicino a se non c'era pericolo. Niente ormai aveva più senso, solo lei ne aveva. Le loro labbra si dischiusero, avvicinandosi sempre di più. Maria e Shadow stavano per baciarsi, ma vennero interrotti da qualcuno che bussò alla porta. -Vado io!- disse Mark, uscendo dalla sua stanza e guardando Shadow e Maria con sguardo incredulo -Voi due siete ancora vestiti? Credevo che voi, con il casino che avevate fatto prima, aveste gia cominciato a ballare la rumba. -Shadow mi ha solo raddrizzato una vertebra della schiena, tutto qui.- disse Maria, con fare seccato. -Ok, come ti pare.- rispose Mark, che aprì la porta. Davanti alla porta della casa di Mark c'era Nicky La Punta, con tre pacchi di birra da sei sulla spalla destra e un involto di carta di colore bianco sporco sotto il braccio sinistro. Dietro di lui una ragazza coperta da un mantello di pelle nero con un cappuccio che le copriva la testa. -Ben arrivato, Nick.- disse Mark. -Ciao fratellone.- rispose Nicky -Scusami il ritardo ma Beg non ha voluto seguirci. -Nessun problema: entrate pure. Nick e la ragazza entrarono in casa. Mark chiuse la porta. Maria e Shadow si voltarono per vedere chi era entrato. Nicky si avvicinò a un tavolino e poggiò le birre con l'involto. Quando vide Maria fu enormemente sorpreso. -Sono loro i tuoi ospiti?- chiese a Mark. -Si, sono loro due.- rispose Mark -Credo che tu conosca già Maria, quello che non conosci è Shadow: è nuovo della città, come lo ero anch'io tre mesi fa. -Gli altri quattro? -Quali altri quattro? -Massì, quelli che ti hanno dato una mano alla Cracking Bones sono loro due, e gli altri quattro? -Ah, ho capito cosa vuoi dire! No, eravamo solo noi tre quella sera. -Ok, come dici tu, fratello. Comunque la prossima volta sii più discreto: io non ho una fabbrica di pallottole fatta apposta per trattenere la polizia fuori dal ghetto, capito? E non lo dico solo per i miei affari, lo dico anche per i fratelli e le sorelle che ci abitano. -Rilassati Nick, la polizia ha paura di entrare nel ghetto e ti assicuro che nemmeno il capo della polizia ci entrerà per venire a prendere sua figlia...e poi in ogni caso mi prendo io la responsabilità di tutto ciò che succede nel ghetto, lo sai. -Ok, se la metti così va bene, e poi perchè dovremmo rovinarci il pomeriggio parlando di cazzate, dico bene Carminia? -Dici bene, Nick.- rispose la ragazza, che era rimasta ferma senza dire una parola per tutto il tempo. -A proposito: Mark, lei si chiama Carminia, viene dalla Latex Top. Carminia lui è Mark. -Piacere.- disse Mark tendendogli la mano. La ragazza tirò fuori dal mantello una manina esile, con la quale strinse quella di Mark. Mark constatò che la stretta della ragazza, per quanto esile fosse la mano, era forte. -Il piacere è tutto mio.- disse lei. Carminia si tolse il cappuccio del mantello dalla testa e rivelò il suo volto: era una graziosa ragazza pipistrello con carnagione chiara, pelo bianco e palpebre viola. Sulla sua bocca era dipinto un lieve sorriso malizioso e i suoi grandi occhi verdi fissavano languidamente quelli di Mark, che in quel momento erano freddi e distaccati, gli occhi di un'uomo onesto che guarda la donna di un'altro. Carminia terminò di togliersi il mantello rivelando i suoi abiti, ma chiamare abiti quelli che lei indossava era veramente eccessivo: una maglia di rete nera finissima le copriva il corpo, lasciando intravedere ogni centimetro del suo voluttuoso corpo, due nere ali erano chiuse dietro la sua schiena, un paio di croci di nastro isolante nero le coprivano i capezzoli e un ridottissimo tanga di pelle nera le copriva appena il pube, che era curiosamente rasato. Mark intuì che la ragazza aveva una certa inclinazione verso il sadomasochismo, ma a giudicare dall'abito che indossava doveva avere un'inclinazione maggiore per il masochismo. Maria chiuse gli occhi, abbassò la testa e la scosse in segno di rassegnazione: ormai accettava tutto quel che vedeva senza dire una parola. Shadow fu l'unico a rimanere estremamente stupito dall'aspetto di Carminia, tanto che non appena lei si tolse il mantello lui sgranò gli occhi e aprì la bocca. Sentì una strana sensazione nei suoi pantaloni al livello del cavallo, una sensazione mai provata fino a quel momento. Riavutosi dalla visione della ragazza si accorse della siuazione imbarazzante in cui si trovava. -Ehm...scusa Mark, posso farti una domanda?- chiese Shadow. -Dimmi tutto.- rispose Mark. -Dov'è il bagno? -La porta della mia stanza, dopodichè giri due volte a destra: fà quello che vuoi. -Grazie. Shadow entrò nella stanza di Mark e andò verso il bagno. Una volta arrivato lì si slacciò i pantaloni e guardò nei boxer cosa fosse andato storto. Per un riccio qualunque si sarebbe trattato di un'inconveniente passeggero e senza importanza, ma per Shadow un'erezione era una novità, una bizzarra novità, era come se in tutto il suo corpo ci fosse stata una specie di rivoluzione e che ora non sapesse di chi fosse. Nello stesso momento sentiva il suo corpo scosso da strani fremiti: Shadow non sapeva più che fare. Si richiuse i pantaloni e attese che la cosa passasse da sola, ma prima che potesse considerarsi tranquillo la sua calma venne scossa dall'arrivo inaspettato di Carminia nel bagno. Shadow, che non aveva nemmeno sentito il rumore della porta che si apriva, si voltò e si trovò faccia a faccia con lei e sobbalzò per la visione inaspettata. Carminia indossava di nuovo il suo mantello nero e fissava Shadow con i suoi occhi maliziosi, che sembravano esplorarlo ovunque e rivoltarlo come un guanto. -Come...come hai fatto ad entrare?- chiese Shadow, spaventato. -La porta era aperta:- rispose Carminia sorridendo -tutto bene, piccolo? -Ho...ho avuto un piccolo inconveniente, tutto qui. Se hai bisogno del bagno io... -A dire il vero ero venuta solo per vedere te, zuccherino. -Ehm...scusa? Prima che Shadow potesse muovere un muscolo Carmina gli si gettò addosso, buttandolo a terra e mettendosi a cavalcioni sul suo addome. Shadow cominciò a respirare sempre più velocemente, ma non riusciva a muovere un dito, mentre Carmina mise una mano sotto la sua maglietta facendo scivolare tutto il braccio fino a toccare il suo collo con le dita. -Per essere un mortale sei molto eccitante, un bocconcino prelibato oserei dire.- disse languidamente Carminia, togliendo il braccio da sotto la maglietta e poggiando l'indice sul suo petto, tracciando dei piccoli otto su di esso. Shadow voleva gridare aiuto, ma qualcosa gli aveva bloccato il fiato in gola: non riusciva a spiccicare una parola, nemmeno a sussurrarla. -Se cerchi di chiedere aiuto- disse lei -ti avverto che sarà uno sforzo vano, perchè ho messo Nicky e i tuoi amici in stato di paralisi emotiva con la mia disciplina di Maestà: adesso siamo soli io e te. Che ne diresti di un bel tête a tête per conoscerci meglio, per approfondire di più su i nostri interessi, hmm? Puoi parlare adesso, se vuoi. Shadow sentì che la stretta invisibile che gli serrava la gola si stava lentamente sciogliendo. -Che...che cosa vuoi da me?- chiese Shadow con un filo di voce, spaventato. -La tua paura mi eccita a tal punto che comincio a sentirmi la fichetta bagnata: voglio farlo adesso, piccolo.- disse lei, prendendolo per il colletto della maglietta. -Io...io non capisco...di che...? -Non capisci? Non temere, piccolo, ti mostrerò subito cosa voglio da te. Carminia cominciò a scorrere sul corpo di Shadow, strusciandosi come un serpente. Si mosse sempre più in basso finchè non mise l'indice e il medio nei pantaloni e glieli sbottonò, quindi abbassò lentamente la zip e li aprì. Alzò la testa e fissò Shadow con sguardo lascivo, fece fuoriuscire la lingua dalle sue labbra e sorrise eccitata, mostrando due canini sporgenti e acuminati. Shadow si spaventò per la visione dei suoi denti e strinse gli occhi, come per cercare di far sparire quella visione. Stava per affondare la sua testa tra le gambe di Shadow quando si bloccò immediatamente, come se nella distanza tra la sua faccia e le parti basse ancora coperte di lui ci fosse un muro invisibile. Improvvisamente le sue pupille si restrinsero come piccoli puntini scuri e lucidi. Rimase così per due minuti, nei quali Shadow continuò a tener chiusi gli occhi, quindi lei si rialzò come se niente fosse. Shadow aprì gli occhi e vide che lei era in piedi di spalle con le braccia conserte e si accorse che poteva di nuovo muoversi. -Alzati e riallacciati i pantaloni.- gli disse lei con voce normale che malcelava una certa seccatura. -Che...che cosa hai fatto?- chiese lui, alzandosi e riallacciandosi i pantaloni. -Non posso farlo: tu non vuoi.- disse Carminia. -Cosa...che vuoi dire? -Lascia stare Shadow, dimenticati tutto quello che ti ho detto e tutto quello che ti ho fatto. -Ma...perchè? -Ti dice niente il nome Maria? A me sembra che non pensavi ad altro mentre ti stavo spogliando. Tu non vuoi farlo e basta, punto. -Fare cosa? -Fai pure il finto tonto? Mi chiedi persino che cosa non volevi fare? Chi credi di prendere in giro, piccolo? -Continuo a non capire... -Aspetta un minuto: vorresti dirmi che tu non sai fare l'amore? -Fare...l'amore? Carminia sgranò gli occhi, non credendo alle proprie orecchie. -Tu...tu...io...ma stai scherzando?- disse lei, alzando la voce. -Assolutamente no.- rispose lui, spaventato dal suo tono di voce. Carminia si sentì leggermente disorientata, non sapeva cosa dire e cosa fare: di fronte a se aveva un riccio così puro e innocente che probabilmente non aveva lontanamente idea di ciò che lei voleva fargli. Rimase per qualche secondo a fissarlo senza dire nulla, poi distolse lo sguardo e scosse la testa. -Ok,- mormorò Carminia a se stessa -ok, calma e sangue freddo Carmie, calma e sangue freddo, non farti prendere dalla frenesia, dieci, nove, otto, sette, sei... Trasse un respiro profondo e chiuse gli occhi, quindi li riaprì e si voltò verso Shadow. -Scusami Shadow, mi dispiace...- disse Carminia. -Non importa Carminia, non importa.- disse Shadow. -Se lo preferisci chiamami Carmie. -Va bene, Carmie. Carmie uscì dal bagno, seguita da Shadow. Entrarono entrambi nel soggiorno, dove Mark, Maria e Nick erano sempre nella stessa posizione di quando gli aveva visti prima di entrare in bagno. Carminia si mise accanto a Nicky e schioccò le dita con entrambe le mani. Mark e Nicky ripresero a parlare. -...problema con un'ordinazione: a quanto pare il Don ha messo uno dei suoi scagnozzi a controllare il traffico del fumo e dell'erba.- disse Nicky. -Quel bastardo stà cominciando ad oltrepassare le misure, non gli basta di controllare il traffico della sua merda chimica, adesso vuole anche controllare i tuoi traffici? -Eh già: non vorrei fare il razzista ma penso che sia colpa dei ricci se questa città va a puttane. -Non sono del tutto d'accordo: anche gli echidna hanno fatto la loro parte di cazzate.- disse Maria. -Ti sei dimenticata delle deportazioni che faceva il tuo popolo due secoli fa quando era troppo occupato a scioperare per impiegare manodopera nelle miniere? -E con questo? Non ero mica nata in quel periodo, piuttosto la strage di Acorn Lane? -Quella è fuori discussione: era un'azione di rappresaglia contro quei corrotti degli sbirri che facevano i padroni del cazzo anche nel ghetto! Se lo sono meritato! -Ma certo, che bella politica "Ti ammazzo perchè mi stai sulle palle e non la pensi come me!": una bella politica del cazzo! -Mi stai dando dell'assassino a sangue freddo? -Ehi ehi ehi ehi EHI! Piantatela, voi e le vostre discriminazioni razziali del cazzo!- esordì Mark, alzando la voce a livelli di tolleranza minima -Tu, Nick, sei un coglione perchè fai di un'erba un fascio dicendo che è colpa dei ricci se questo posto va alle cozze e tu, Maria, sei una stronza perchè vai incolpando chiunque non ti va a genio, io invece sono un cazzone perchè mi sono abbassato al vostro livello e tu, Shadow... Shadow, che non aveva aperto bocca, cascò dalle nuvole. -...tu...tu sei a posto, scusa.- disse Mark, cambiando il tono rabbioso in un tono moderato. Shadow trasse un sospiro. Maria e Nicky non dissero una parola: la verità era evidente. -Adesso,- disse Mark -voglio che voi due vi avviciniate, vi scusiate e vi stringiate la mano come i bambini che siete. Maria e Nick si guardarono negli occhi per qualche secondo, poi distolsero lo sguardo ma non si mossero di un millimetro. -Allora? Vi sbrigate o no?- incalzò Mark -O devo pinzarvi per il naso e avvicinarvi? Entrambi si avvicinarono lentamente, alzarono le mani e se le strinsero a vicenda. -Scusa.- disse Maria. -Fa niente. Scusami tu.- disse Nick. -Così va meglio, odio i dissensi razziali.- disse Mark -Allora, avevi detto che avresti portato il fumo, Nick, dov'è? Nick si avvicinò al tavolino vicino al divano, prese l'involto e lo aprì, rivelando un blocco di una materia marrone scura delle dimensioni di un mattone edilizio. -Porca puttana, Nick, non ti aspetterai che ce lo fumiamo tutto in un pomeriggio!- disse Mark, stupito dalle dimensioni del blocco. -Infatti:- disse Nick -fumiamo quel che possiamo fumare, al massimo il resto lo lascio a te. -Non so che dire, Nick, ti ringrazio. Mi dispiace che tu ti sia privato di questo malloppo di fumo. -Sta zitto, Mark: questo è uno sputo rispetto alle riserve che vendo ogni giorno. Quando guadagnerò abbastanza soldi mi ritirerò dalla scena e farò la bella vita da qualche altra parte, oppure rimarrò accanto allo Smeraldo di Tenebra a fare quello che hanno fatto finora i miei avi. -Sei un Vigilante? -Certo, sono predestinato ad esserlo: lo dicono le mie mani. Nick strinse i pugni, mostrando le due nocche appuntite che aveva sul dorso di entrambe le mani. -Che rottura di palle!- commentò Nick, a voce bassa. -Ognuno ha la sua croce, Nick.- disse Mark -Passami la pipa che vado a prendere l'accendino.

Mentre i nemici giurati del Don si riunivano a fumare, all'Angel Hospital qualcuno era impegnato ad aiutare delle anime perdute. In una stanza spoglia con le mura color bianco sporco e una fila di letti, dentro ai quali c'erano vari casi, dalle overdosi di Synth alle vittime di scontri a fuoco, una volpina con il pelo rosso e il camice bianco stava dando un controllo ai degenti. In mano reggeva una cartella con la lista dei degenti di quella stanza. Mentre stava controllando le condizioni dei malati, un gemito fievole attirò la sua attenzione. La ragazza si avvicinò alla sorgente del gemito, un riccio ammalato di VDD: la sua pelle era desquamata e senza peli, le spine dietro alla testa erano come ossa avvizzite, l'occhio spento fissava il vuoto e le palpebre erano cianotiche. Sul letto c'era una targhetta con su scritto: CASO IRRECUPERABILE. -Ms. Connor?- chiese sofferente il malato. -Mi ha chiamato?- rispose la ragazza -Ha bisogno di qualcosa? -Sento che per me ormai non c'è più speranza, sto per morire: la vista mi si sta appannando e il mio respiro diventa sempre più debole. -Stia calmo, Mr. Resnic, non si preoccupi, non morirà adesso. -Invece so che questo è il mio momento, me ne sto andando via, la prego non mi lasci solo, resti vicino a me. La ragazza prese una sedia che era lì vicino e si sedette al capezzale del malato. -Mi tenga la mano, ho paura.- chiese il malato. Lei prese la mano del malato, una mano secca e fragile, e la strinse dolcemente. -Spero che ovunque io vada,- disse il malato -possa trovare un luogo migliore di questo, dove nessuno si faccia mai del male e ovunque ci sia la luce e non ci sia mai la notte e soprattutto vorrei che tutte le ragazze siano come lei, Ms. Connor. La sa una cosa? -Cosa?- chiese la ragazza. -Questa città mi fa vomitare, così come tutte le persone che ci abitano, ma le giuro che se tutti fossero buoni e gentili come lei non sarebbe nemmeno necessario che Hesperia illuminasse questo posto, perchè voi portereste una luce più luminosa. -La ringrazio, Mr. Resnic. Il malato abbozzò un sorriso e chiuse gli occhi. La vita lo abbandonò. Una lacrima scese a rigare il volto della dottoressa. La commovente scena venne scossa dall'aprirsi della porta che chiudeva la corsia. Una riccia rosa con l'uniforme bianca entrò dentro. -Il suo turno è finito dottoressa Connor,- disse -adesso tocca a me. -Va bene.- disse la volpina, con tono sommesso. -Che è successo? -Resnic non c'e l'ha fatta. La riccia rosa rimase in silenzio per qualche secondo. -Maledetto VDD...- commentò a bassa voce -...penso io a Resnic, lei vada a casa. -D'accordo. Ellie uscì fuori dalla corsia dirigendosi verso lo spogliatoio femminile del personale, ma venne bloccata da un riccio con il pelo rosso che indossava un camice bianco e stava a braccia conserte sulla porta. -Ciao Ellie, come va?- disse il riccio, fissandola insistentemente. -Non ho alcuna voglia di perdere tempo adesso, Mick, fammi passare.- disse Ellie. -Perchè? Quello che c'è fra noi due lo definisci una perdita di tempo? -Non c'è più niente tra noi due, lo sai, ma non vuoi fartene ancora una ragione. -Piccola lo sai perfettamente che tu sei mia, in qualunque maniera tu la metta. -Sei sordo? Ti ho detto che è finita! -Questo lo dici tu. Ellie spostò Mick dalla porta e lui la prese con forza per il braccio. -Tu non puoi liquidarmi così, Ellie:- disse lui -lo so bene io come lo sai bene tu che un giorno tornerai da me strisciando. -Ti fai troppe illusioni, Mick.- disse lei, acidamente. Ellie scosse il braccio, liberandosi dalla stretta, ed entrò nello spogliatoio, lasciando Mick fuori che dette un pugno alla porta per la rabbia. Una volta rivestitasi, Ellie uscì dall'ospedale: indossava un paio di pantaloni blu scuri Rape Proof a gamba aderente, un paio di scarpe bianche da ginnastica, una maglietta nera aderente sotto una giacca in fibra sintetica grigia scura con cappuccio e un paio di occhiali scuri. Cominciò a dirigersi verso casa sua, quando venne fermata dal clacson di un'auto nera con una striscia a scacchiera bianca sui lati. Ellie sorrise e il finestrino si abbassò. Apparve una volpe, un maschio per essere precisi, che indossava un paio di occhiali scuri. -Vuole un passaggio, signorina?- chiese lui. -Volentieri, Mr. Power.- rispose lei. La portiera si aprì e Ellie entrò dentro. -Ciao amore.- disse lui. Entrambi si abbracciarono e si baciarono. -Com'è andata la giornata?- chiese lei. -Un'altro cliente ha tentato di rapinarmi e anche quest'altro senza successo e un braccio rotto. A te come è andata? -Un'altro degente che aveva contratto il VDD è morto. Ellie abbassò il capo e chiuse gli occhi. -Questa città fà veramente schifo,- disse lui -e ogni giorno che passa marcisce sempre di più: dobbiamo andarcene da qui. -Condivido il tuo pensiero, Steve.- disse lei. Steve rilasciò la frizione e accelerò. Arrivò fino agli appartamenti popolari e lì fece scendere Ellie. -Torno tra qualche ora, tesoro: devo fare il tagliando al taxi e finire il turno.- disse lui. -Ok, amore, ti aspetto!- disse lei. Si baciarono di nuovo e lei chiuse la portiera. Steve accelerò e svoltò l'angolo. Fece qualche chilometro, quando un'altra auto completamente nera inchiodò di fronte a lui. Steve schiacciò il pugno sul clacson e aprì il finestrino. -Guarda dove vai, mentecatto!- gridò. La macchina nera si spense e, con lieve sorpresa di Steve, uscì fuori Leo il Cecchino, un componente del Trio dei Compagnucci, con un fucile a pompa e delle intenzioni alquanto serie. -Adesso vediamo chi è questo stronzo che ha voglia di essere gambizzato a fucilate.- disse. Quando si avvicinò all'auto e si rese conto di chi era i suoi modi cambiarono. -Non posso crederci:- disse Leo, stupito -sei proprio tu, The Knife? -Leo?- disse Steve. -Come va, Stefano? -Tutto ok: guadagno bene anche senza frantumare il cranio di qualcuno. Tu invece, come vedo, sei ancora alle dipendenze del Don. -Già, stavo andando al Kinky Leather per una consegna. -Non mi dire che hai ancora in proprietà quello schifo di locale. -Ehi, farà anche schifo ma quelle ragazze mi fanno guadagnare in un giorno più di quanto tu possa fare in un mese. -Sarà, ma mi fà schifo lo stesso. -Ognuno ha i suoi gusti. Ascolta, devo squagliarmi prima che gli sbirri mi becchino: sposto l'auto così ti faccio passare. -Ok, buona fortuna Leo. -Non ne ho bisogno, Stefano. Leo entrò nella sua auto e fece retromarcia, facendo passare Steve, che uscì dalla strada per dirigersi verso l'officina. Leo riprese la sua strada e si allontanò velocemente.

Steve arrivò di fronte all'officina di Aldo e Ivano e suonò due volte il clacson. Il portone rugginoso si aprì e lui entrò: dentro c'era un tipo vestito con un camice bianco macchiato di olio e grasso. Indossava un paio di occhiali da vista con lenti talmente spesse da non permettere di vedere i suoi occhi e le sue guance erano coperte da un paio di baffi folti e cespugliosi: Aldo. -Salve Steve!- disse gioviale -Sei venuto qui per il tagliando al taxi? -Non solo per questo: ti ho portato una cavia per sperimentare quella macchina di cui mi hai parlato.- disse Steve, scendendo dall'auto. -Benissimo! In che condizioni è? Steve si avvicinò al portabagagli e lo aprì, rivelando un riccio viola scuro imbavagliato e legato. Un braccio era libero di muoversi, ma lo spruzzo di sangue che si vedeva in corrispondenza della giuntura del gomito tradiva un braccio spezzato, una frattura composta irrecuperabile. Il riccio guardava i due terrorizzato. -Accidenti, gli hai proprio fracassato il gomito!- disse stupito Aldo. -Già, una brutta frattura, ma non ci si può fare niente se sei addestrato a rendere il tuo avversario inerte.- disse Steve con sufficenza, aggiustandosi gli occhiali sul muso. -Ok, si può tentare: toglili il bavaglio. Steve prese il riccio e lo sbavagliò. -Che volete farmi?- chiese il riccio. -Tieni la bocca chiusa, scrauso, lo saprai dopo.- disse Steve, che lo prese e se lo caricò su una spalla. -Seguimi, Steve.- disse Aldo che si addentrò nel retro dell'officina. In una stanza vuota troneggiava una specie di cabina rotonda, con accanto un tavolo con delle attrezzature sospese su di esso. Aldo si avvicinò al macchinario e collegò un cavo al lato, facendogli emettere un fischio acuto impercettibile e la macchina si accese. -Presto, Steve! Fagli poggiare il braccio sul tavolino!- disse Aldo. Steve fece come chiese. -Vi prego, non dirò niente a nessuno, vi chedo scusa..- disse il riccio, preoccupato. -Porca puttana, vuoi stare zitto? O ti devo frantumare anche la mascella?- disse Steve. Il riccio fece silenzio e chiuse gli occhi, pregando che tutto quello che gli stava accadendo fosse solo un'incubo. Non appena Steve poggiò il braccio del riccio sul tavolino, le attrezzature si mossero e si avvicinarono. Dei fasci laser molto fini passarono sul braccio, soffermandosi sul gomito fratturato. Dopo due minuti la macchina cominciò a vibrare. Delle piccole pinzette meccaniche si avvicinarono al braccio e, con rapidità fulminea, cominciarono ad estrarre pezzetti e scheggie di osso, ripulendo la frattura. Dei fili metallici uscirono dal tavolino e penetrarono nei muscoli e nei tendini del braccio, strappando un'urlo al riccio, che cominciò ad agitarsi. -Fallo stare calmo o perderà il braccio!!!- gridò Aldo. Steve chiuse la bocca al riccio e lo strinse per farlo smettere di tremare, mentre la macchina smise di fissare i fili. Fuoriuscirono dei microcannoni che cominciarono a sparare sul braccio una strana sostanza che, appena andò a contatto con la ferita si solidificò e assunse una colorazione metallica. Quando alla fine la macchina smise di lavorare, Aldo staccò il cavo di alimentazione e la spense. Si avvicinò al riccio per controllargli il braccio: la giuntura del gomito era perfettamente sostituita da una giuntura metallica. -Ehi! Tu!- disse Aldo al riccio -Come ti senti? Steve rilasciò la presa con cui aveva chiuso la bocca al riccio. -Mi...mi sento...strano...come se mi mancasse qualcosa.- rispose il riccio. Aldo tirò fuori uno spillo dalla tasca pettorale del camice e punse la giuntura metallica. -Ahia!- fece il riccio -Ma che cazzo...? -Funziona!- esordì Aldo -La mia macchina riparatrice funziona!!! Adesso non solo gli ho riparato il braccio ma gliel'ho reso sensibile come se non gli fosse accaduto niente!!! Sono un genio!!! -Sono contento per te, Aldo.- disse Steve, poi rivolgendosi al riccio -Adesso ti lascio andare, ma tu non dire una parola su quello che è successo e non tentare mai più di rapinarmi, sono stato chiaro? -S-si, si, certo, chiarissimo!- disse il riccio. Steve tolse le corde al riccio e lo rimise in piedi. Il riccio si avviò lentamente verso l'uscita, ma prima di avvicinarsi alla porta si voltò verso i due. -G-grazie!- disse, e uscì dall'officina. -Ci pensi, Steve? Un riccio viene mutilato di un braccio o di una gamba e io gli faccio un'arto nuovo di metallo! Ci pensi che rivoluzione sarebbe nel campo della meccanica e della medicina? -Se la mia Ellie sapesse di questo, sarebbe immensamente fiera di te,- disse Steve -ma per il momento ti consiglio di tenerlo segreto: finchè ci saranno in giro persone come il Don a rimestare nella merda della città ci saranno poche probabilità che la tua invenzione venga usata nel modo giusto. -Hai ragione Steve, la gente di questa città non capirebbe una tale cosa. A proposito, visto che la macchina funziona, che ne diresti se ti riparassi l'occhio? Steve si avvicinò a un lato lucente della macchina e si tolse gli occhiali, rivelando che l'occhio destro era guercio. -No Aldo,- disse Steve -ci sono cose che è meglio che rimangano come sono: al mio occhio destro, poi, sono legati ricordi che non voglio dimenticare. -Capisco.- disse Aldo -Allora, diamo un'occhiata al taxi che così puoi tornare a casa.

Intanto, nel ghetto, Nicky e Mark stavano saggiando le qualità dei prodotti caserecci degli echidna nella cucina del rifugio; insieme a loro c'erano Maria, Shadow e Carmie. Mark, con gli occhi semichiusi di chi ha una botta di fumo con i fiocchi, stava dando alcuni tiri da una pipa di vetro. -Dai Mark, passami la pipa!- disse Nick, che si trovava in condizioni simili a quelle di Mark. Mark smise di tirare e passò la pipa e l'accendino a Nick, che dette fuoco al fornelletto e cominciò a tirare fino a far esaurire il fumo contenuto. -Nick, non fare l'esagerato: lo sai che poi ti metti a dormire.- disse Mark. -Hai paura che finisca il fumo in poco tempo? -No, e che poi non voglio trovarmi a trascinare il tuo culo stonato fino all'Emerald. -Ma per favore, quando mai... -Due settimane fa, quando arrivasti qua con il secchio. -Ehi, quella è stata una svista: ero stanco morto dopo aver aiutato un corriere a portare il carico sul camion, tu pensa cosa succede a un'echidna stanco che si fuma un piolo. -Vais bien mon ami, se svieni ti riporto io a casa. -Grazie. -A proposito, mi ero scordato di chiedere una cosa:- Mark si rivolse a Maria -tu non fumi, vero? -Ho fumato qualche canna per rilassarmi dopo i concerti, quando suonavo ancora con le Sluts, ma smisi di farmele più di un'anno fà quando conobbi Jackie.- rispose Maria. -Ah, capisco... -Perchè non provi a dare un tiro a questa?- propose Nicky, porgendogli la pipa. -Nick, ha detto che è passato più di un'anno dall'ultima volta, non credo che reggerebbe.- disse Mark. -Io invece dico che lo reggerebbe bene.- disse Nick, che svuotò la pipa e mise dentro altro fumo -Che ne dici, Maria? -No, non posso.- rispose lei. -Andiamo, un tiro e basta!- insistette lui. -No, grazie. -Avanti, dai, e dagli un tiro, un tiro soltanto! -Ho detto di no! -Dai, Nick, non insistere, se dice di no...- disse Mark. -Ascolta: prima mi sono comportato come uno stronzo, quindi il minimo che posso fare e offrirti qualche tiro di fumo, mi faresti questo piacere?- chiese Nick. -Il minimo, eh? Se questo è il minimo, il massimo cos'è?- disse Maria. -Il massimo? Beh, il massimo...il massimo...cazzo, che posso fare più di questo? Un carico di armi, un chilo di fumo, una scopata? Si, probabilmente una scopata è il massimo che posso fare per te. -Mi sembra anche troppo eccessivo: d'accordo, ma un tiro e basta, ok? -Se riesci a reggere... -Se ci riesco? Passami la pipa, va, che te lo faccio vedere io come reggo. Maria prese la pipa tra il pollice e il medio, chiudendo l'apertura anteriore con l'indice, impugnò l'accendino di Mark, uno Zippo dell'Anniversario Commemorativo della Harley Davidson con l'effige di un'aquila così ben scolpita che sembrava realmente lottare per uscire dalla superficie di ottone macchiato dell'involucro, lo accese e lo avvicinò al fornello. E tirò. Un tiro non molto forte, visto che il fumo bruciato era meno di un quarto. All'inizio il suo corpo cominciò un'accesa discussione, protestando per il prepotente tiro di fumo che le aveva irritato la gola, fece un tentativo di tossire a labbra chiuse ma trattenne il fumo nei polmoni, poi, dopo dieci secondi buoni, lo buttò fuori. Maria cominciò a sentire la testa che si ovattava e si avvolgeva nella tiepida oscurità del fumo e abbozzò un sorriso chiudendo gli occhi. -Cazzo che botta!- mormorò. -Forte, eh?- disse Nick -Ti senti un pò meglio? -Odio doverlo confessare, ma hai ragione: mi sento molto meglio. -Il potere del fumo: altro che quella merda chimica di Synth. Qui nel ghetto usiamo il fumo anche come anestetico, è perfetto perchè ti passa dopo una dormita e poi non dà assuefazione. Shadow, che non aveva spiccicato parola fino a quel momento, era incuriosito da quella roba strana che emetteva un'odore pungente ma piacevole allo stesso tempo. -Ehi tipo!- disse Nick a Shadow -Vuoi fare un paio di tiri di fumo anche tu? -No!- si affrettarono a dire Maria e Mark. -E perchè?- chiese Nick. -Il fumo è troppo pesante: Shadow non lo reggerebbe.- rispose Maria. -E tu che ne sai se non ha mai fumato? -Lo so: Nick, non farlo fumare. Nick cacciò una mano nella tasca del pantalone e tirò fuori uno spinello di erba Spikey. -Questo è più leggero. Che ne dici? -Ti ho detto di non farlo fumare! -Eddai, Maria! Se tossisce glielo tolgo di mano, ok? Maria ci pensò su: Shadow non aveva alcuna idea di cosa fosse il fumo e molto probabilmente non lo avrebbe sopportato al primo tiro, figurarsi se ne avrebbe fatto un secondo. -Appena tossisce toglilela di mano.- disse Maria. -Ok.- rispose Nicky, che passò lo spinello a Shadow. -Quà,- gli spiegò -prendilo per l'estremità e mettitelo a fior di labbra, poi quando te lo dico io tira, cioè succhia piano come se bevessi da una cannuccia, hai capito? -Si.- rispose Shadow. Nicky prese l'accendino e gli accese lo spinello. -Tira.- gli disse. Shadow tirò leggermente: l'aroma dell'erba gli si diffuse nella bocca, amaro ma gradevole. -Bene, e adesso butta il fumo nei polmoni e cerca di trattenerlo il più possibile. Shadow fece come lui gli chiese, ma non appena il fumo oltrepassò la gola non riuscì a resistere all'irritante sensazione di doverlo espellere e tossì pesantemente. Nicky rise. Shadow ansimò per prendere fiato e tossì di nuovo. -Ok, pare proprio che questa sia la tua prima volta, eh? Te la senti di fare un'altro tiro? Shadow cercò di dire qualcosa, ma inutilmente, poichè la sua gola era ancora occupata ad espellere altro fumo. Passò lo spinello a Nicky, agitando l'indice della mano destra lateralmente. -Ok, come vuoi. Nicky prese lo spinello e lo spense, quindi se lo rimise in tasca. -Acqua, ho bisogno di acqua!- disse Shadow con un filo di voce. Mark si alzò e si avvicinò al lavandino della cucina, prese un bicchiere e lo riempì d'acqua. Passò il bicchiere a Shadow, che lo bevve in due sorsi. Shadow riprese a respirare normalmente, tenendosi una mano sul petto. -Tutto bene?- chiese Maria. -Si, a parte un lieve cerchio alla testa.- rispose Shadow. -Non preoccuparti, Shadow, rilassati e stai calmo: passerà. Shadow si distese sulla sedia, con la testa leggermente ovattata e il senso del tatto attutito. -Che cos'è questa roba che mi avete fatto provare?- chiese. -Si chiama erba,- rispose Nicky -varietà Spikey: poco pesante e tranquillamente sopportabile, a meno che tu non sia troppo debole. -Ho proprio paura di esserlo: è normale che io mi senta strano? -Strano? In che senso? -Sento la testa leggera e il fisico indebolito. -Eh si, è normalissimo: si chiama botta. -Passa presto? -Diciamo che tra mezz'ora ti sentirai meglio...o forse dopo un'ora di sonno. Shadow sentiva che le palpebre gli si stavano chiudendo, nonostante i suoi sforzi per tenerle aperte. Nicky se ne accorse. -Hai voglia di farti una dormita, eh?- gli disse. -Si, mi sento stanco.- rispose Shadow, strofinandosi gli occhi. -Il divano è tutto tuo, Shadow.- disse Mark. -Ok, grazie. Shadow uscì dalla cucina ed entrò nel soggiorno barcollando, quindi si stese sul divano. I suoi occhi cesero al sonno.

Steve arrivò di fronte al palazzo popolare dove lui e Ellie convivevano. Aveva già portato il taxi alla sede e si era incamminato a piedi. Entrò nel portone oscuro del palazzo, salì le scale fino a che non arrivò di fronte alla porta del suo appartamento, mise la chiave nella serratura ed entrò in casa. -Amore sono in casa!- annunciò. La porta della stanza da letto si aprì e uscì Ellie che si avvicinò a lui. -Ciao tesoro!- disse lei, mettendogli le braccia al collo. Ellie e Steve si baciarono, stringendosi l'uno con l'altra, poi si divisero dalla stretta tenendosi per le mani. -Hai sentito cos'è successo?- disse lei -Sembra in casa della ragazza che abita qui vicino ci sia un poliziotto. -Come mai?- chiese lui. -Non lo so, l'ho sentito dalla padrona di casa. -Dev'essere legato a quella storia che è successa alla Cracking Bones, probabilmente. Per caso quella ragazza lavora lì? -No: da quello che so lei lavora in un locale nella Barkajas St., il Terminal se non erro. -Allora quella vecchia pettegola avrà visto il suo ragazzo, che probabilmente è un poliziotto. La cosa mi sorprende. -Perchè? -Perchè non credevo che i poliziotti fossero capaci di tali sentimenti. -Aaah, finiscila Steve! Ellie rise, ed entrambi si baciarono di nuovo. Dopo un paio di minuti si staccarono per prendere fiato. -Ha chiamato qualcuno un paio di minuti fa.- disse lei. -Chi era?- chiese lui. -Non lo so, ha riagganciato dopo qualche secondo. Aspettavi qualche chiamata? -Che io sappia no. -Steve? -Si? -Stai dicendo la verità? Non è che hai ricominciato ad avere contatti con i vecchi "clienti"? -Cosa? Ma stai scherzando? Tesoro, quando prometto una cosa la mantengo fino in fondo, e se ti ho promesso che non avrei mai più ucciso per denaro io non ucciderò mai più per denaro. -Sono contenta che tu lo ricordi ancora. -Ti fidi di me? -Mi fiderò sempre di te, Steve. -Ti amo, piccola mia. -Ti amo, Steve.

Intanto, in casa di Mark, le uniche persone a essere rimaste sveglie erano il padrone di casa e una sua ospite. Mark e Carminia rimasero da soli a parlare di varie cose. -Allora, Carminia...- disse Mark. -Chiamami Carmie.- disse lei. -Va bene, Carmie. Che cosa fai nella vita? -Cosa faccio nella vita? Beh, normalmente non faccio nulla di speciale, ma ogni tanto sfrutto qualche contatto del mio vecchio lavoro. -Che lavoro facevi? -Conosci il Kinky Leather? -Si, il locale sadomaso in Barkajas St. se non mi sbaglio. -Non ti sbagli, proprio quello lì. -Lavoravi lì? -La paga era buona e Leo non era così bastardo come tutti lo dipingevano. -Che cosa facevi? -Di tutto. -Di tutto? -Dimmi tutto quello che sai di quello che si può fare in quel locale, ebbene facevo quello ed altro. -Accidenti, immagino che a fine serata eri sfinita. -Sfinita? Ma no, erano i clienti a rimanere stanchi dopo ogni perfomance. Gli unici maschi che durano più di mezz'ora ciascuno sono quattro: Leo e i suoi tre scagnozzi. -Quindi sei stata una delle ragazze di Leo il Cecchino, allora non è una voce quella che lui sia un puttaniere. -Come? Lo sai solo adesso? -Ehi, sono qui da nemmeno tre mesi, dammi il tempo per sapere tutto. Comunque dicevi che a ogni perfomance i tuoi clienti andavano a nanna. Che genere di performance dovevi fare? A questo punto Carminia enumerò una serie di "performance" che faceva. Naturalmente non posso dirvi di preciso di cosa si trattava ma tra le cose da lei enumerate spiccavano parole del tipo "sodomia", "marchi a fuoco" e "gatto a nove code". Mark rimase impassibile per tutto il tempo che lei parlava del suo lavoro, entrando nei più piccoli e minuti dettagli. -Non ho parole.- riuscì a dire Mark. -Beh, è normale rimanere senza niente da dire di fronte a cose del genere, soprattutto sei hai una palla di gomma che ti chiude la bocca con una cinghia di pelle. -Doveva farti veramente molto male tutta quella roba. -Eh già, ma la cosa non mi dispiace affatto. -Non ti dispiace? -No, non mi dispiace affatto. A dire il vero il dolore mi fa solo eccitare ancora di più. -Oh beh, de gustibus... -A proposito, volevo dirti che hai delle mani bellissime. -Ah si? -Si, sono grandi e forti, non ho mai visto un'echidna con mani forti come le tue. -Beh, ho preso molto da mio padre. -Posso toccare? -Ehm...cosa? -Le tue mani. -Ah si, fai pure. Mark allungò le mani verso Carminia e lei gliele prese, cominciando a guardarle in lungo e in largo, esaminando ogni singola vena che percorreva il dorso e ogni singolo solco che percorreva il palmo di entrambe. -Hai mai schiaffeggiato qualcuno?- chiese lei. -Più di una volta, e le persone che ho colpito adesso hanno la mascella deformata.- -Dici davvero? -Si. Perchè me lo chiedi? -Beh, non saprei come dirtelo, sembri un tipo tranquillo e buono... -Lo sono, finchè non mi fanno innervosire. -Ah, bene... -Cosa vuoi chiedermi? -Lascia stare. -Chiedimi quello che vuoi. -Ti ho detto di lasciar stare! -Va bene, lascio stare, ma dimmi almeno cosa volevi chiedermi. -Ne sei sicuro? Non è che poi ti offendi? -Ti giuro che non mi offenderò. -E va bene: mi piacevano le tue mani perchè sono grandi, e a me le mani grandi piacciono perchè fanno molto più male quando... -Quando? -...beh... Carminia si alzò dalla sedia e mise in evidenza i suoi sodi e ben scolpiti glutei, quindi alzò la mano aperta e se li schiaffeggiò violentemente. -Ah, adesso ho capito.- rispose Mark, accennando un mezzo sorriso. Carminia si rimise a sedere, accavallando le gambe. La cosa particolare era che, quando Carminia accavallava le gambe, non rimanevano ferme: il piedino della gamba a cavallo faceva le carezze all'altra, una cosa che a molte persone avrebbe provocato ogni tipo di pensiero, dal quasi innocente al quasi reato. -Insomma,- disse Mark - a te piace il dolore in tutte le forme. -L'ho detto, mi eccita più di ogni altra cosa. -E io che credevo che solo sulla Terra potessero esistere persone come te. -Tu sei diverso da tutti gli altri maschi, sembri più distaccato, più distante, mentre gli altri sbavano nel vedermi: non è che per caso sei dell'altra sponda? -Vuoi dire se sono omosessuale? -Si, per caso lo sei? -Assolutamente no, sarò anche un umano cambiaforma ma per lo meno sono eterosessuale al 100%, e poi sono impegnato sentimentalmente con un'altra ragazza. -Sei fidanzato?! -Si, e amo molto la mia ragazza per poterla tradire con qualcun'altro. Mark si mise a parlare di Lula, del loro amore e della sua lontananza da lei. Carminia rimase senza fiato nell'ascoltare Mark. -Incredibile!- mormorò -Hai lasciato la tua ragazza a casa che dista di miliardi di chilometri e sei ancora attaccato a lei? Non hai neppure tentato di fare l'amore con un altra ragazza? -La amo troppo per poterla tradire spudoratamente, non posso farci nulla. Carminia rimase senza parole, abbassò lo sguardo e poco dopo fece una cosa che sorprese Mark: si mise silenziosamente a piangere. -Cos'hai?- chiese lui, poggiando una mano sulla sua spalla. -Niente...- disse lei, singhiozzando leggermente -...la tua ragazza è veramente fortunata. Vorrei essere al posto suo. -No, sono io ad essere fortunato ad averla incontrata: sarei solo come un cane se non fosse per lei. -Puoi fare una cosa per me? -Dimmi. -Mi abbracceresti come abbracci la tua ragazza? Solo un'abbraccio, ti prego. Mark non se la sentiva di dire di no a una ragazza che piangeva, così aprì le braccia e la accolse nella stretta più dolce e affettuosa che una donna potesse mai ricevere. Carminia tremava. -Su su,- mormorò Mark -non c'è bisogno di piangere, la vita è dura per tutti. -Mark?- chiese le tra i singhiozzi. -Si? -Tu...mi consideri una...una puttana? -No, ti considero semplicemente una ragazza che ha scelto un maniera diversa per vivere, nè più nè meno: non stà a me giudicare le persone per ciò che fanno. -Sono contenta che tu la pensi così. -Va bene, ma adesso calmati, su. Carminia smise di tremare e si tolse lentamente dall'abbraccio. -Adesso stai meglio?- chiese lui. -Si, un pò.- rispose lei. -Bene. Adesso sarà meglio che prenda Nicky e che lo accompagni a casa, s'è fatto tardi. -Ok.

Nel frattempo, mentre c'era chi tornava a casa dopo il lavoro e chi consolava qualcuno, in un locale della Barkajas St. l'illegalità la faceva da padrona. Leo il Cecchino stava finendo di portare le scatole termiche di Synth nel retro del Kinky Leather, una stanza spoglia che conteneva altre scatole piene di alcolici e altri beni di sussistenza. Una volta terminato lo scarico chiuse la saracinesca ed entrò nel locale, una grande sala con una serie di tavoli e sedie libere e piattaforme con pali d'acciaio montati solidamente, probabilmente usati per le ballerine. Le luci erano spente, meno che una lampada sospesa su un tavolo che emanava una luce diffusa e attenuata. Sul tavolo c'erano delle carte e una penna. Leo si mise a sedere al tavolo e si mise a scrivere del carico di Synth, finchè due minuti dopo venne interrotto dall'arrivo di un riccio purpureo con addosso una giacca nera che accompagnava una riccia castana che indossava stivali di pelle, un paio di mutandine nere di pelle e un reggiseno anch'esso di pelle. La riccia sembrava aver subito percosse, visti i lividi e il sangue che le colava dal naso. -Boss, è tornata Becky.- disse il riccio purpureo. -Portala nella camera nera, Maxey, e attaccala al ceppo:- disse Leo, senza distaccare gli occhi dai fogli -dopo che ho finito qui salgo su e le rinnovo il contratto. Maxey aggiunse una risatina malvagia e spinse la ragazza verso il retro. -La prego, signor Leo,- supplicò lei -le giuro che rimarrò qui, lo sà anche lei: ieri sera quel cliente... -Bla, bla, bla!- disse Leo, seccato -Usa quella bocca solo quando te lo dico io e fai solo quel che dico io, quindi se dico che ti rinnovo il contratto lo faccio e basta! E non lamentarti dei clienti, perchè il 20% di quello che guadagni a sera te lo becchi tu! La riccia abbassò lo sguardo e pianse silenziosamente, avviandosi lentamente verso la camera nera come un condannato a morte. -Puttane ingrate...- mormorò Leo -...gli offri un dito e loro si prendono tutta la gamba. Rimase a scrivere per un'altra mezz'ora, quindi lasciò la penna e si alzò dal tavolo, avviandosi verso la camera nera. La camera nera era una stanza con le mura coperte verniciate di nero. Appesi alle pareti c'erano vari strumenti di tortura, catene, manette, fruste, bastoni divaricatori e altri oggetti affini. Adiacente al muro c'era un letto con coperte di raso viola scuro con attaccate delle catene con manette ai quattro angoli. Al centro della stanza c'era un blocco di marmo fissato al pavimento, con attaccati sopra dei passanti e delle manette. Piegata sul blocco c'era la riccia, nuda, ammanettata e bloccata con un'asta ricurva chiusa a lucchetto intorno alla vita e fissata al blocco stesso. Non appena Leo entrò la riccia alzò la testa: le lacrime le rigavano il volto e singhiozzava piano. Accanto a lei c'era lo scagnozzo che l'aveva portata su. -Bene,- fece Leo, sorridendo malignamente -sei pronta per il contratto? -La supplico, signor Leo,- implorò lei -ho già capito che non devo allontanarmi da questo posto e non l'ho fatto: non lo faccia di nuovo, mi fa male! -Lo so che ti fa male,- disse lui, prendendo un tubetto di lubrificante da un tavolino vicino al letto -ed è questa la cosa che più mi fa arrapare. Leo si tolse gli abiti, un gessato nero e un Fedora dello stesso colore. Prese da terra una cinghia con boccaglio che fissò alla bocca della ragazza, che strinse gli occhi come per far sparire un'incubo. Leo si mise dietro la ragazza e si calò i boxer. -Chiudi la porta, Maxey: non mi piace che ci sia corrente quando faccio un contratto. Lo scagnozzo si mosse verso la porta e la richiuse, lasciando dentro Leo, la ragazza e il dolore che grondava da quella stanza come rugiada primaverile.

In casa di Steve e Ellie il telefono stava squillando. Steve si affrettò a rispondere, sollevando immediatamente la cornetta. -Pronto?- disse lui. -Parlo con Steve Power, alias Stefano Potente?- disse una voce dall'altro capo della linea. -Sono Steve Power, il secondo non lo conosco. Con chi parlo? -Salve, The Knife, non riattaccare: ho una proposta da farti. -Con chi parlo? -Non riconosci nemmeno il tuo vecchio datore di lavoro, Stefano? Mi deludi. -Don Sonny? -Già, proprio io. -Cosa vuoi, mangiaspaghetti? -Hai sentito parlare di cosa è successo alla Cracking Bones? -Si, lo so, cosa cerchi da me? Sono uscito dal giro diversi anni fa e la cosa non mi riguarda. -La cosa ti riguarda, invece, visto che tuo cuggino Milo ha una caviglia malandata e una spalla fratturata. -Non ho nessun cugino Milo, signor Lo Riccio: adesso riattacco. -Stefano, Stefano, sei sicuro di doverlo fare? Non credi di rischiare troppo? -Non ho nulla da rischiare: a mai più risentirci. -Come stà Ellen, Stefano? Un silenzio raggelò la conversazione. -Spero che stia bene, la tua...com'è che la chiami? La tua signorina, uh?- disse Sonny. -Non sono affari tuoi.- rispose seccato Steve. -Le vuoi bene, vero? Lo sai cosa succede a chi non obbedisce? Ti ricordi cosa successe a Rebecca, la ragazza di Daniel, perchè lui non volle pagarmi per quel lavoretto? Voglio solo che tu ricordi questo, poi pensa se ti conviene contraddirmi. -Non me ne frega niente, se le metti le mani addosso ti strappo le unghie delle dita con un cacciavite e ti faccio mangiare il tuo fegato crudo. Steve riappese la cornetta. Ellie, che stava riposando nella sua stanza da letto, si svegliò e si alzò. Indossava solo un paio di mutandine, in quanto la sua morbida pelliccia la teneva calda a sufficenza. -Che succede, Steve?- chiese lei, stropicciandosi gli occhi. -Qualcuno ha chiamato.- rispose lui, con noncuranza. -Chi era? -Non ne ho idea, probabilmente qualcuno che voleva fare uno stupido scherzo. -Nessun problema, vero? -Nessun problema, amore, torna pure a riposarti. Steve si avvicinò a Ellie e la baciò sulla fronte. Ellie alzò la bocca e lo baciò sulle labbra. Rimasero abbracciati con le fronti poggiate l'una sull'altra. -Quando ricomincia il turno giù all'ambulatorio?- chiese lui. -Tra qualche ora, tesoro.- disse lei. -Ti lascio riposare, ok? -Non so se riuscirò a prendere sonno. Vuoi aiutarmi a togliermi un pò di energie? -Certo amore. Si baciarono di nuovo. Steve prese Ellie tra le sue braccia e la portò in camera da letto. La fece stendere sul letto e cominciò a baciarla, partendo dal collo e passando in mezzo al suo seno. Il corpo di Ellie chiedeva una ricompensa al suo uomo per le cure che gli offriva. Lui pagò.

Nel ghetto, di fronte all'Emerald Inn, Mark stava portando Nick su una spalla, che stava ancora dormendo per gli effetti del fumo, e Carminia era accanto a lui. Entrarono nel foyer dell'albergo, dove un echidna rosso con i dread bianchi stava leggendo un giornale dietro al banco della reception. Mark si avvicinò al banco della reception e, con l'unica mano libera, abbassò lentamente il giornale dell'echidna. -Ehi, Mark!- fece l'echidna -Nicky è di nuovo stonato? -Già, Beg, sono venuto a portartelo per l'ennesima volta.- disse Mark. -Il solito esagerato: se non crolla a terra non si sente perfettamente a suo agio. Mark stese lentamente Nicky sul bancone, che continuava a dormire come se niente stesse accadendo in quel momento. -Me ne occupo io di lui, Mark,- disse Begby -hai fatto anche fin troppo. -Nessun problema, Beg.- rispose Mark, che prese una sigaretta dalla tasca della sua giacca e se l'accese -Io torno a casa. -Ci becchiamo un'altra volta, Mark. -Ci si vede, Beg, salutami Patty. -Ok. -Arrivederci al più presto, Mark!- disse Carminia. -Arrivederci, Carmie!- rispose Mark. Mark uscì dall'albergo e s'incamminò verso casa. Una volta arrivato alla soglia prese le chiavi e aprì la porta: Shadow e Maria stavano ancora dormendo sul divano l'una nelle braccia dell'altro completamente vestiti, segno che ancora nessuno dei due aveva fatto il primo passo. Mark si tolse la giacca e la appese all'attaccapanni vicino alla porta e si mise a guardare fuori dalla finestra il cielo oscuro e nuvoloso di Darktropolis: pensò con nostalgia a Lula, al fatto che lui era lontano da casa e che voleva tornarci. Poi ripensò a quello che le aveva detto Carminia, su ciò che Leo fa fare alle sue ragazze. Mark odiava fortemente la prostituzione forzata e pensava che avrebbe dovuto fare qualcosa per fermare Leo o perlomeno per fargli cambiare idea su ciò che faceva. E lui è un tipo piuttosto convincente, soprattutto con le mani. Stava cominciando a pensare a ciò che gli avrebbe fatto se l'avesse incontrato quando sentì il fruscio di un paio di pantaloni di pelle che si strusciavano contro un'altro paio. Shadow si alzò, stiracchiandosi le braccia e le gambe. -Ben svegliato, Shadow.- disse Mark. -Quanto ho dormito?- chiese Shadow, sbadigliando. -Per un tipo come te, penso che le ore di sonno che ti sei fatto siano sufficienti a permetterti di stare attivo per tre giorni di seguito. -Già, mi sento molto più sveglio e stranamente mi sento dentro una voglia di correre e di picchiare qualcuno. -La voglia con cui mi sveglio io ogni mattina. La testa? -Sto bene, grazie, anche se mi è venuta un pò di fame. -Normalissimo, specie dopo che ti sei fatto una canna. Andiamo a mangiare un boccone? -Per me va bene. Devo svegliare Maria? -Maria ha passato due giorni d'inferno: sarà meglio lasciarla riposare. -D'accordo. Shadow prese la sua giacca lunga di pelle dall'attaccapanni e la indossò. Mark entrò nella sua stanza. -Dammi un paio di minuti: mi cambio d'abito e sono pronto.- disse. Mark uscì mezzo minuto dopo vestito con una camicia bianca sbottonata che mostrava il suo ampio e muscoloso torace, un paio di jeans Diesel scoloriti con una catena agganciata a un paio di asole della cintura e un paio di scarpe nere di pelle. -Andiamo.- disse, dopo aver preso la giacca. Uscirono di casa: la strada era poco affollata.

Mentre Mark e Shadow si apprestavano ad andare a mangiare qualcosa, negli appartamenti popolari qualcuno stava passando il tempo in un modo diverso. Shara e Ben stavano seduti sul divano a baciarsi, l'una nelle braccia dell'altro. Il momento idilliaco venne repentinamente interrotto dallo squillare del telefono. Shara si tolse dall'abbraccio, infastidita dal suonare insistente del telefono e rispose alla chiamata. -Chiunque sia- disse lei -spero che abbia avuto un buon motivo per chiamarmi adesso, altrimenti lo manderò a quel paese seduta stante. Pronto? -Shara, sono Sam: Ben è lì?- disse Sam dall'altro capo della linea. -Eh...si, è qui. Te lo passo? -Mi faresti un favore. Shara passò il ricevitore a Ben, che lo prese e coprì il microfono. -Chi è?- sussurrò lui. -È Sam. Dice di voler parlare con te.- sussurrò lei. Ben scoprì il microfono e avvicinò il ricevitore all'orecchio. -Sono Ben. -Ho una notizia buona, Ben: mia figlia stà bene, non corre più alcun pericolo. Puoi tornare al dipartimento. -Ehm...cosa? -Ho detto che puoi tornare al dipartimento, il tuo turno di sorveglianza è finito. -Sicuro, signore? -Certo che sono sicuro! Tra mezz'ora voglio vederti qui con il culo stampato sulla sedia della tua scrivania, non fare tardi! -Uh...sissignore! Ben chiuse il telefono e si alzò dal divano, con lo sguardo sconsolato di un bambino che è arrivato cinque minuti dopo la chiusura di un luna park. -Cos'è successo?- chiese Shara, vedendo la tristezza negli occhi di Ben. -Devo tornare al dipartimento, amore: Sam mi ha chiamato per dirmi che il turno di sorveglianza è finito.- rispose lui. -No! -Dispiace anche a me, tesoro, ma devo andare. -Per quanto devi stare al dipartimento? -Credo che dopo qualche ora sarò fuori. -Pensi che a Sam dispiacerebbe se io ti venissi a trovare? Oggi è il mio giorno libero al Teminal, quindi non so assolutamente cosa fare. -No, non credo che Sam mi darebbe problemi se tu mi venissi a trovare. -Allora forse vengo a trovarti tra un paio d'ore. -Ok, ci vediamo dopo amore. Ben e Shara si baciarono di nuovo, poi lui si divise e si alzò, prese l'impermeabile e uscì di casa.

Intanto, in casa di Steve e Ellie, i due amanti stavano riposando l'una nelle braccia dell'altro. Lei si svegliò e accese la luce. Si stropicciò gli occhi e guardò la sveglia che si trovava sul comodino: lei e Steve avevano fatto l'amore per due ore di seguito ed era ora per lei di andare. Si alzò dal letto, evitando di svegliare Steve che dormiva dolcemente con un lembo di lenzuolo che gli copriva la vita, prese lentamente i suoi abiti e uscì dalla stanza. Fece un paio di passi verso il bagno, che si trovava accanto alla stanza da letto e sentì una curiosa sensazione di appiccicoso tra le gambe. Si guardò e si accorse che stava sanguinando. -Dannato ciclo...- mormorò lei e corse in bagno a pulirsi e a prendere i suoi assorbenti. Dopo qualche minuto uscì dal bagno, vestita di tutto punto, prese la sua giacca e la sua borsetta e uscì. Scese le scale che portavano di sotto e uscì dal portone per correre verso l'ambulatorio. Una volta arrivata raggiunse gli spogliatoi femminili ed entrò. Dentro c'era la riccia rosa che le aveva dato il cambio qualche ora fa che si stava rivestendo. -Salve dottoressa Connor! In orario come sempre.- disse lei, in tono gioviale. -I pazienti non hanno tempo per aspettare, Mia, lo sai.- rispose Ellie, sorridendo. -C'è un'altro degente in corsia, un ferito da arma da fuoco: pare che sia molto grave. -Cavolo, un caso disperato dietro l'altro: quasi mi stò pentendo di essere entrata a far parte di questo reparto...quasi. -A chi lo dice: non vedo l'ora che mi assegnino quel posto nel reparto pediatrico che ho chiesto da qualche mese, non ce la faccio più a veder morire ricci ogni giorno, alla fine della giornata mi prende lo sconforto. -Anche a me, soprattutto oggi con Resnic. -Non me ne parli: quel poveraccio ha fatto una fine orrenda. Vi saluto, dottoressa. -Ciao, Mia. La riccia uscì dallo spogliatoio. Ellie si abbottonò il camice e uscì fuori dallo spogliatoio e si diresse verso la sua corsia. Entrò e vide la vittima dello scontro a fuoco, un riccio purpureo ancora vestito, steso sul letto, che si teneva un panno sudicio di sangue su un fianco scoperto. Si avvicinò a lui. -Cosa le è successo?- chiese lei. -Un fottuto scontro a fuoco,- rispose lui -hanno preso le pistole e mi hanno beccato: per fortuna quei figli di puttana non erano dei bravi tiratori altrimenti mi avrebbero forato un polmone. Il riccio digrignò i denti e strinse gli occhi per il dolore. -Si calmi e mi faccia vedere in che stato si trova.- disse lei. Ellie prese la mano del riccio e la sollevò, tolse il panno e si accorse con sorpresa che il fianco non aveva nemmeno un graffio. -Ma...che storia è questa? Lei non è ferito!- disse lei. -Già,- disse lui, sollevando gli zigomi in un sogghigno -e non sono nemmeno stato coinvolto in uno scontro a fuoco. Il riccio alzò fulmineamente l'altra mano, armata di una Keller & Hog calibro 9, che puntò sotto la gola di lei. -Provi a gridare aiuto e ci sarà veramente una vittima per arma da fuoco.- minacciò lui. Ellie rimase sorpresa dalla mossa del riccio a tal punto che il fiato le si strozzò in gola. -Bene. E adesso faccia quel che le dico, Ms. Connor, e le giuro che non le succederà niente...forse!

In un fast food echidna Mark e Shadow stavano calmando la fame, il primo con un panino e il secondo con un'insalata mista. Mark trangugiava avidamente il suo Chidnaburger con lo sguardo fisso e corrucciato sul tavolo. Shadow mangiava lentamente, guardando Mark con lo sguardo di uno che sta vedendo un suo amico prossimo ad andare sulla sedia elettrica. Finito di mangiare il panino, Mark si leccò rapidamente le dita unte di salsa e se le pulì con il tovagliolo che aveva vicino. -Sei ancora a metà.- disse Mark. -Eh?- fece Shadow, con una foglia di insalata che gli pendeva all'angolo della bocca. -Dicevo che non hai ancora finito di mangiare: non sei veloce in qualunque cosa, dopotutto. -Già... Mark alzò lo sguardo e si accorse che due nerboruti echidna stavano guardando verso il loro tavolo. -Serve qualcosa?- disse loro Mark con tono di sfida. I due echidna volsero lo sguardo altrove. Shadow finì di ingoiare le ultime forchettate e mise le mani sul tavolo. -Devo dirti una cosa, Shadow.- disse Mark. -Si?- disse Shadow. -Ho parlato con Carmie, la ragazza che stava con Nicky. -Cosa ti ha detto? -Mi ha parlato del lavoro che faceva in un locale, il Kinky Leather. Quel posto è gestito da uno degli uomini del Don, Leo il Cecchino. Non ti dico quel che fanno in quel locale, visto che te lo dovrà spiegare Maria prima o poi, ma ti basti sapere che nel locale lavorano un sacco di ragazze. Queste ragazze subiscono violenze e abusi di ogni tipo e a me la cosa non và a genio, so che non c'entra niente con il fatto che dobbiamo vedercela con il Don ma penso che se attacchiamo un'altro dei suoi pupilli potremo avvicinarci di più al pesce più grosso...cavolo! È da quando me ne sono andato dalla Terra che non uso più questo aggettivo. -Allora, pensi che dovremo andare in quel locale e attaccare Leo? -La mia idea è questa, se poi la cosa non ti sconfinfera possiamo rinunciare. Shadow ci pensò qualche minuto. -Maria sarà d'accordo?- chiese Shadow prima di sentenziare la sua risposta. -Ti era sembrata contraria quando siamo andati a stanare Milo alla Cracking Bones?- disse Mark. -No. D'accordo allora, ci sto. -Bene, vado a pagare la nostra roba e poi andiamo di corsa a casa.

Intanto al Kinky Leather era già orario di apertura. Due ricce semivestite, ingabbiate all'interno di due vetrine ai lati della porta, danzavano sinuosamente, mostrando la loro mercanzia alle persone che passavano. Nel locale alcune ragazze, vestite di abiti di cuoio e abiti di gomma, danzavano sui tavoli e sulle piattaforme, affollate di gente infoiata e pronta a saltare loro addosso, ma la presenza di alcuni ricci palestrati teneva a freno le loro pulsioni selvagge. Nel deposito c'era Ellie al buio, legata a una sedia con la testa bassa. Rimase così finchè non si accese la luce. Apparve Leo, seguito da Maxey, il suo fidato. -Allora, come stà la nostra dottoressa?- chiese Leo, con falsa gentilezza. -Scomoda.- rispose Ellie. Leo rise, una risata cristallina che nascondeva perfettamente un sadismo da torturatore provetto. Si avvicinò a lei allungando una mano verso la sua testa e le sollevò dolcemente una ciocca di capelli, portandosela sotto al naso e aspirando rumorosamente. -Hai un profumo meraviglioso, quasi afrodisiaco.- disse Leo prendendola dolcemente sotto al mento per vederla in faccia -Che peccato che tu non sia una delle mie ragazze: ti avrei tenuta per me personalmente, oppure ti avrei assegnato alla table dance solo come ballerina. Con l'altra mano cercò di toccarle il seno, ma prima che arrivasse a mettere la mano nel camice qualcuno lo fermò. -Se fossi in te non lo farei.- disse Vittorio, che apparve dall'oscurità. -E perchè, Vic?- chiese Leo, spazientito. -Perchè, se per caso non lo sai, il Don ci ha raccomandato di non torcerle un capello, ecco perchè. -Andiamo, dai! Una palpatina al seno non è qualcosa di evidente, così come potrebbe non essere evidente se me la... -Se vuoi rischiare fai pure, ma ti voglio far notare che la ragazza che stai toccando è la ragazza di The Knife. Leo ritrasse immediatamente le mani come se gli avesse appena detto che Ellie era appestata. -Ma cazzo Vic! Me lo dici adesso?- disse Leo, perdendo ogni dolcezza nel suo accento. Vittorio rise, una risata profonda come il rumore di un tuono lontano. -Se provo a farle uno sgarro e poi ci scappa, Stefano mi mozza le palle a morsi. Perchè non mi avevate avvertito prima?- disse Leo. -Perchè non l'hai chiesto?- fece Vittorio -In ogni caso tutti gli ostaggi del Don non vanno toccati tranne in caso di debiti insolvibili: dovresti saperlo. -Già: me lo dovevo ricordare, visto che oggi avevo rinnovato il contratto a Rebecca. -Ah si? -Si: dovevi sentire come gridava, roba da fartelo tenere ritto per due giorni di seguito. -Oh si! -Dovevi esserci, Vic. -Posso dirti una cosa, Leo? -Dimmi. -Lo sai che ogni volta che ti vedo o ti sento parlare mi viene l'impressione di interagire con un grumo di vomito e bava maleodorante che schizza sudiciume per ogni parola che dice? -Cosa? -Leo, mi fai vomitare e mi fa vomitare la passione che hai per gli abusi a cui sottoponi le tue ragazze. Dì, ma hai mai provato personalmente cosa significa essere sodomizzati? Avere qualcuno che ti sbatte un coso lungo e duro su per lo sfintere anale che entra ed esce in continuazione? -Ehi Vic non ti scaldare... -No! Rispondimi: lo hai mai preso nel culo? -No. -Allora non mi accennare neanche l'argomento, altrimenti la prossima volta ti ficco un fucile in culo e sparo finchè non sentirò il click dell'otturatore vuoto. Leo rimase in silenzio. -Tra non molto arriveranno gli aquirenti:- disse Vittorio -vedete di darvi una mossa a portare la ragazza al Central Palace prima che arrivino.

Il telefono a casa di Ellie suonò. Steve aprì gli occhi e si alzò dal letto, scostandosi il lenzuolo di dosso. Con gli occhi assonnati e la bocca impastata, prese la cornetta e rispose. -Pronto?- disse Steve. -Ehilà cugino, ti sento stanco! Come passa?- disse Milo. -Chi parla? -E andiamo su! Non ti sarai dimenticato di tuo cugino Milo! -Non so chi tu sia e non so cosa tu voglia, quindi non chiamare mai più. -Ho capito, è meglio se parla qualcun'altro. Si sentì la cornetta che veniva passata da una mano a un'altra. -Steve?- disse Ellie dall'altro capo del filo. -Ellie?- fece Steve. -Mi hanno preso, Steve, sono al Central Palace: hanno mandato uno dei loro uomini a prelevarmi dall'ambulatorio. -Come stai, amore? Sei ferita? -Sto bene, Steve: sembra che abbiano paura di farmi male, ma non so fin quanto durerà. -Cosa vogliono? -Vogliono che tu uccida di nuovo, Steve. Non lo fare! Non pensare a me! Vattene e non farti... La cornetta le venne tolta di mano. -Allora Stefano, che cosa ti dissi?- fece il Don. -Se le toccate anche un solo pelo vi strappo la faccia a fucilate.- disse Steve. -Bene così, ti voglio abbastanza incazzato Steve, ti servirà. -Siete dei bastardi! Don Sonny rise. -Chi volete che faccia fuori? -Vieni al Central Palace e vienici disarmato, poi ti mostrerò chi dovrai fare fuori. Il Don appese la cornetta. Steve lasciò cadere la sua e crollò il capo, sconsolato. Non poteva stare con le mani in mano. Doveva salvarla. Era colpa sua se lei si trovava in quella situazione: avrebbe dovuto troncare da tempo con il Don, cambiando nome e faccia ma, soprattutto, avrebbe dovuto proteggerla. Entrò di corsa nella sua stanza per vestirsi. Quando uscì, vestito con un paio di pantaloni neri di pelle, un paio di stivali anfibi con la punta di metallo, un maglione grigio e una giacca nera che gli arrivava appena sopra le ginocchia, fece per prendere una pistola che aveva nascosto sotto un cuscino del divano. Prima di metterci la mano ripensò a quel che il Don aveva detto. Non poteva rischiare la vita di Ellie per un'inezia. Lasciò tutto e corse fuori di casa.

Mark e Shadow rientrarono in casa senza togliersi la giacca. Maria era sveglia e stava facendo stretching. -Dove siete stati?- chiese lei. -Siamo stati fuori a mangiare un boccone e a pensare al prossimo bersaglio.- rispose Mark, senza nemmeno guardarla negli occhi. -Prossimo bersaglio? Pensavo che avremmo solo infastidito Milo. -Già, ma visto che Shadow non l'ha trattato con i guanti di sicuro si starà ancora leccando le ferite, quindi non si farà sentire per un bel pò. -Allora chi andremo a colpire? -Di un pò, hai mai visto una performance di lap dance sadomaso? -Vuoi colpire Leo il Cecchino? -Proprio lui: È da un pò di tempo che volevo menare le mani su di un pappone. -Immagino che l'idea ti sia venuta guardando la ragazza di Nicky, eh? -Diciamo che ne ho parlato con lei al riguardo, mi ha accennato l'argomento e siamo andati a finire sui particolari più spiacevoli e la cosa mi ha convinto a fare una visitina al Kinky Leather...anche se la nostra non sarà una visita di piacere. -Cosa intendi fare? -Farò come fanno tutti i clienti del locale: prima di tutto affitterò una ragazza, poi il resto verrà da se. Maria ci pensò qualche minuto prima di dire la sua risposta: pensava che, entrando in quel locale, Shadow avrebbe visto una visione distorta e perversa del sesso e probabilmente sarebbe rimasto scioccato dalla cosa. -Come la mettiamo con Shadow?- fece Maria -Non credi che potrebbe... -Maria, Shadow ha già ucciso:- ribattè Mark -credi che la visione di ragazze semivestite che ballano su tavoli o che si ammanettano e si frustano lo renderanno un pervertito? Maria non sapeva cosa rispondere. -Ok allora,- disse Mark -prendete i vostri caricatori, vi aspetto fuori.

Steve entrò nel lucido e pulito portone del Central Palace, la sede del Don. Venne accolto garbatamente da un riccio bianco che indossava una livrea rossa, attraversò il largo foyer, un salone con bassorilievi dorati sulle pareti di marmo verde scuro e un grosso tappeto sul pavimento personalizzato con il logo del Don che ritraeva un riccio armato di giavellotto che calpestava e colpiva un grosso serpente, ed entrò in uno degli ascensori di fronte a lui. Dentro c'erano tre ricci del Don che lo stavano attendendo. Prima che arrivassero sopra uno di loro alzò la pistola e la puntò alla sua tempia. -Spogliati.- disse il riccio armato. -Cosa? Ma che...stai scherzando?- disse Steve. -No. Spogliati, ordine del Don. -Perchè? -Perchè si, non discutere. -Devo togliermi tutto? -A culo nudo. Steve si tolse tutti gli abiti di dosso e si mise le mani davanti al pube, per coprirsi. -Togli le mani e alzale.- intimò nuovamente il riccio. -Anche? Ma si può sapere che... -Non fare domande. Steve alzò le mani, guardando il riccio armato con sguardo torvo, che ricambiava lo sguardo con una carica più arcigna e corrucciata. Arrivarono in cima, la suite del Don. Le porte dell'ascensore si aprirono e il riccio armato spinse Steve fuori. Di fronte a lui, seduto di spalle, c'era il Don. -Sei arrivato in tempo, Stefano Potente.- disse Don Sonny, che si voltò. Stava fumando con gusto un grosso sigaro che profumava di vaniglia bruciata. -Scusa la maleducazione dei miei ragazzi- disse -ma con uno come te le precauzioni non sono mai troppe. -Vorresti dirmi che mi hai fatto spogliare solo perchè non ti fidi di me?- disse Steve con tono flemmatico. -Anche. Il Don si alzò e si avvicinò al bagno della suite e prese un asciugamano. -Tieni,- disse il Don, lanciandoglielo -mettiti questo addosso. Steve mise l'asciugamano a mò di cintura per coprirsi le parti basse. -Prima di cominciare a contrattare voglio vedere Ellie, se le avete torto un capello vi scuoio vivi e uso le vostre pelliccie per farmici uno scendiletto. -Stefano lo sai che io tengo i miei ostaggi come ospiti d'onore in casa mia, questo finchè un debito non viene risolto, ma quando un debito non viene saldato oppure il debitore scappa... -Conosco la clausola dei debiti irrisolti: mi fà schifo. -Ok, sembra che tu non ti sia dimenticato come funziona con me. Il Don si avvicinò alla sua scrivania e premette un tasto su una mini console che era lì poggiata. -Jakob, fà salire la signorina Connor.- disse. Dopo qualche minuto di attesa l'ascensore si aprì e apparve Ellie, seguita da un riccio rosso chiaro che indossava un impermeabile nero. -Ellie!- esclamò Steve, rincuorato dalla vista di lei. -Steve, perchè sei venuto?- disse Ellie, avvicinandosi di corsa a Steve e abbracciandolo. -È colpa mia se sei in mezzo a tutto questo, tesoro, non posso permettere che ti facciano del male o che ti portino al Kink. Ti hanno fatto qualcosa? -No, niente di grave per fortuna, mi hanno fatto solo prendere uno spavento. Lo sguardo di Steve cadde sui polsi di lei che erano leggermente gonfi e lividi. -Ti hanno ammanettata.- disse Steve -Chi è stato? -Uno dei ricci che mi ha portata qui, ma non aver paura, non mi... -Jakob, chi è stato ad ammanettare la signorina?- chiese il Don, interrompendo Ellie. -Io, signore.- rispose Jakob. -Chi te l'ha detto che potevi farlo? Io? -Ehm...no, signore. -Allora perchè hai preso 'st'iniziativa? -Io...credevo che... -No, Jakob, tu non dovevi credere una minchia, se non ti ho detto di ammanettarla significa che non devi farlo e basta. Vieni qui. Jakob si avvicinò al Don. -Lo sai chi è che può avere iniziative personali qui?- chiese il Don. -Lei, signore.- rispose Jakob. Il Don prese con forza il riccio per il collo e gli fece sbattere la faccia contro la lucida scrivania di marmo nero. -Come si chiama questo "Lei"?- chiese il Don con tono rabbioso al riccio, continuando a tenerlo per il collo. -D-Don Sonny.- disse il riccio, con un rivolo di sangue che gli colava dal naso. -Non ho sentito bene, ripeti ad alta voce: com'è che si chiama?- disse ancora una volta il Don, facendogli nuovamente urtare la faccia contro la scrivania ma con più violenza, facendoli uscire sangue anche dalla bocca. -D-Don Sonny, Don Sonny Lo Riccio.- disse il riccio a voce più alta. -Ti chiami per caso Sonny Lo Riccio tu? -No, signore. -Come ti chiami allora? -M-mi chiamo Jakob. -Ti chiami Jakob...? -Mi chiamo Jakob Fern, signore. -Bene, e la prossima volta che ti viene in mente di fare qualcosa che Sonny Lo Riccio non ti dice di fare, non farla, figghi 'en drocchie! -Va bene, signore. Sonny scaraventò il riccio a terra, facendolo cadere malamente sul pavimento lucido. Ellie, nel frattempo, aveva chiuso gli occhi e si è stretta a Steve, spaventata dalla brusca quanto inaspettata reazione del Don. Steve, dal canto suo, guardò il Don con sguardo indignato, già memore di ciò che egli faceva ai suoi ragazzi se facevano qualcosa di sbagliato. -E adesso alzati da terra, pieno di merda, e scusati con la signorina.- disse il Don, controllando che le sue mani fossero pulite dal sudicio sangue di Jakob. Il riccio rosso si alzò e si avvicinò a Ellie con lo sguardo chino e sottomesso. -Scusa.- disse lui. -La signorina c'ha un nome, stronzo, si chiama Ellen!- disse il Don, poi rivolgendosi a Ellie -Ti chiami così, signorina? -S-si.- rispose Ellie, temendo che l'ira del Don si scaricasse addosso a lei. -S-scusa, Ellen.- disse il riccio. -Bene, e adesso prendi la signorina, con dolcezza, la riporti alla sua stanza e ti levi definitivamente dalla minchia, capito? -Si, signore. Il riccio prese Ellie gentilmente per mano e la portò nell'ascensore. Le porte si richiusero. -Sucaminchie,- disse il Don -poi dicono che non è vero che bisogna punirne uno per educarne cento. Steve rimase in silenzio. -Come ti ho mostrato Ellie sta bene e nessuno le torcerà un capello, a meno che...- disse il Don lasciando in sospeso la frase. -A meno che io non scappi o non riesca a fare quel che devo fare.- finì Steve. -Bene Stefano, e adesso ti faccio vedere io chi devi fare fuori. Vieni qui alla scrivania. Steve si avvicinò e il Don aprì un cassetto della scrivania e tirò fuori una cartella simile a quelle degli archivi della polizia. Steve prese la cartella e l'aprì, dentro c'erano foto di Shadow in azione, alcune sfocate e malvisibili, altre più chiare. -Questo tizio qui si fa chiamare Shadow,- disse il Don -nessuno sa da dove viene e perchè, è un killer spietato e inarrestabile, ha addirittura ammazzato Canelli in una maniera che non capisco, lo ha sminuzzato come un pezzo di carne ed è sparito. Non sappiamo da dove venga ne dove abita ma sappiamo che ha scelto come bersagli le nostre attività commerciali, sai che è successo alla Cracking Bones, il locale di tuo...insomma la discoteca, te la ricordi? -Si- rispose Steve. -Bene, lui, la figlia del capo della polizia e un'altro tipo, un echidna, hanno provocato uno scontro a fuoco. La ragazza e l'echidna sono morti e a lui mancava poco di ammazzare Milo: non sottovalutarlo, è rapido e veloce come una mitragliatrice e cattivo come l'aria, mi hanno detto che si muove alla velocità di un bolide e che riesce a schivare ogni tipo di pallottola. -Se volevate eliminarlo perchè avete chiamato me? -Milo è occupato a farsi curare, Leo ha da fare nel suo locale e ha da reggere un paio di contratti con gli aquirenti di Synth e Vittorio deve pensare alla mia protezione. E poi, in ogni caso, non avrei mai affidato a loro un dovere come questo: io voglio il migliore, voglio un vero killer, voglio The Knife con la sua magia. -Non ho scelta, eh? -Non hai scelta. Steve ci pensò su: se rifiutava Ellie moriva o peggio. Se accettava contravveniva alla sua promessa fatta tempo fa, di non uccidere. -Accetto.- disse Steve, con un filo di voce. -Bravo Stefano, tu si che sai essere ragionevole!- disse il Don, entusiasta.

Mark, Shadow e Maria erano arrivati di fronte all'entrata del Kinky Leather. -Ok, ragazzi,- disse Mark -io affitto una ragazza e voi mi seguite, poi, quando avrò saputo le informazioni necessarie, andiamo a stanare il culo di Leo, ci siamo? -Ok.- disse Maria. -D'accordo.- disse Shadow. Entrarono insieme: appena dentro videro una stanza simile a una sala d'attesa di uno studio legale e un riccio vestito con un'elegante giacca, un cappello e dei pantaloni grigi era dentro un gabbiotto simile a quello di una biglietteria di un cinema. -Si,- disse il riccio ai tre -avete fatto la cosa giusta nello scegliere il Kinky Leather, qui dentro non abbiamo altro che puttane. Entrate, entrate pure! -Quant'è?- chiese Mark. -Dieci pezzi di metallo a persona vi portano direttamente nel locale. Mark tirò fuori il suo portafogli e prese tre banconote da dieci. -Eccoti la grana.- disse, mettendo i soldi sotto la fessura del vetro. -Ok, potete entrare, divertitevi.- disse il riccio. Mark e Maria entrarono e Shadow rimase imbambolato a guardare le due ballerine dietro le vetrine che si dimenavano e lanciavano occhiolini languidi in sua direzione. -Allora che vuoi fare? Entri dentro o cosa?- chiese il riccio a Shadow. -Eh...cosa?- disse Shadow. -Entra dentro e vattene dal mio fottuto foyer! Shadow entrò nel locale: venne investito da un misto di odori che passavano dal sudore femminile al vomito di ubriaco. Su i tavoli e su i palchi con le passerelle danzavano e si dimenavano come possedute le ragazze di Leo. -Come mai c'hai messo così tanto?- chiese Mark, seduto al bar che era vicino all'entrata. -Oh...ehm, mi...mi ero distatto.- rispose Shadow. -Ok, senti, tu e Maria aspettate qui, io torno tra poco con una ragazza. Mark si alzò dal tavolino e andò in direzione del bar. -Maria?- chiese Shadow. -Si?- disse Maria. -Perchè qui ci stanno tante ragazze mezze nude? Maria venne presa alla sprovvista dalla domanda di Shadow, tanto che ci mise un pò a pensare quello che gli voleva dire. -Beh...perchè...perchè il proprietario del locale vuole attrarre più clientela maschile.- provò a dire Maria. Difatti si accorse di essere l'unica cliente femmina di tutto il locale. Senza nemmeno rendersene conto, vide che alle spalle di Shadow c'era una gabbia con due ragazze, una riccia e una lupa, che stavano mostrando al pubblico una performance lesbica, leccandosi contemporaneamente le lingue. Shadow si rese conto che Maria ne era alquanto sorpresa, solo che non sapeva nemmeno di cosa. -Cos'hai visto?- chiese lui. -Ehm...no, niente!- rispose lei. Nel frattempo Mark era tornato al tavolo con una ragazza, una riccia castana vestita con succinti abiti di pelle. -La camera nera è tutta nostra, ragazzi: andiamo.- disse Mark. La ragazza si avviò verso la camera nera e loro la seguirono. Una volta salite le scale arrivarono nella camera. La ragazza andò a sedersi sul letto e tentò di abbozzare un sorriso sulle sue labbra, anche se a vederla tutto veniva in mente meno che di eccitarsi: era visibilmente stanca e probabilmente in cuor suo odiava persino questo lavoro. -Allora,- disse lei, tentando di mantenere un tono di voce languido anche se ci riusciva a malapena -che cosa vogliamo fare? -Prima di tutto io voglio farti delle domande e tu limitati a rispondere.- disse Mark, togliendosi la giacca e rovistando tra le tasche interne. -Che...che domande? -C'è un modo per incontrare Leo di persona? -Leo? Lui...lui non è qui, al momento. -Ti ho solo chiesto come lo incontro. -Devi contattarlo. -Come? -Devi parlare con uno dei suoi ricci e chiedere di incontrarlo. -Sai dov'è? -... -Rispondimi, sai dov'è? -Si. -E dov'è? -È...è nel magazzino. -Quindi è qui. Bene, risparmierò tempo. -Posso chiedervi una cosa? -Dimmi. -Cosa volete da lui? -Fargli un piccolo discorsetto, tutto qui. Mark smise di rimestare tra le fodere della giacca e tirò fuori dei pezzi d'acciaio cromato. Si mise ad armeggiare con quelli e costruì una doppietta a pompa, che caricò con le sue cartucce. -Volete...ucciderlo?- chiese la ragazza, leggermente preoccupata. -Forse...o forse no.- rispose Mark. La ragazza rimase in silenzio. -Tu...tu sei quel tipo che ha tentato di uccidere Milo Potente?- chiese lei. -Il tipo che ha cercato di ucciderlo personalmente è lui,- disse Mark, accennando verso Shadow -io sono solo qui per aiutarlo e per aiutare lei. Ti conviene non ostacolarci, bambina, non vorrei averti sulla coscienza. La ragazza distolse lo sguardo. -No,- disse -non vi ostacolerò. -Meglio così. -Perchè hai pagato per avermi? -Perchè volevo passare inosservato, ecco tutto, non aver timore, non alzerò un dito ne su di te ne sulle altre ragazze. La ragazza guardò Mark negli occhi. -Se è vero quel che dici,- disse lei -allora ti auguro buona fortuna e spero che riusciate ad ammazzare quello schifoso. -Lo odii?- chiese Maria. -Più di ogni altra cosa esistente.- rispose la ragazza -Quel mostro dovrebbe morire lentamente e dolorosamente. -Come ti chiami?- chiese Mark. -Mi chiamo Rebecca Stephence.- rispose la ragazza. -Hai un bel nome, Rebecca.

Intanto, nel magazzino del Kink, Leo stava contrattando con alcuni ricci, proprietari di bar e altri night club per gente altolocata. -Il carico, come vedete, è freschissimo, raffinato da poco.- disse Leo, mostrando una delle scatole aperte, contenenti fusti di Syntheaven che emanavano vapori di freddo. -Si si,- fece un riccio, che indossava un'abito elegante viola scuro -la roba va bene, ma il prezzo? -Il prezzo è sempre quello: due milioni di pezzi a scatola. Andiamo, manca solo una stupida firma ed è tutto vostro! Pensate al fatto che rivenderete il tutto al triplo del prezzo di acquisto. -Ok, ma come facciamo ad essere sicuri che poi la polizia non venga a ficcarci un manganello nel culo, trovandoci quella roba? -Volete dubitare dei servizi del Don? Sapete come funziona la sua formula di... -Scusate il ritardo, ma anch'io sono qui per comprare.- disse Mark, comparendo dall'oscurità. -E tu chi cazzo sei? Sei un pò lontano dal ghetto, echidna.- disse Leo -E poi non credo che tu sia interessato a comprare qualcosa qui. -Oh, invece sono interessato a comprare,- disse Mark, sguainando il fucile -e voi, probabilmente, vorrete vendere cara la vostra pelle. -Ehi, aspetta un minuto,- fece uno dei ricci -tu sei quell'echidna che ha cercato di ammazzare Milo Potente! Non puoi essere vivo, ti hanno ucciso! -Quante volte avrò sentito questa frase? Mah, se mi metto a contare spreco una mezza giornata, ma adesso non ho voglia di dire ovvietà, sono qui perchè devo fare un piacere a una mia amica: voglio la pelle di Leo il Cecchino. -La mia pelle?- disse Leo -Costa molto, amico, e non ti garantisco che tu riesca a prenderla molto facilmente, anche perchè la vendero molto, molto cara. Leo alzò il suo fucile e lo puntò verso Mark. Dietro Mark si sentirono altri due schiocchi di otturatore ed apparvero Shadow e Maria, che puntarono le loro armi verso Leo. Per tutta risposta i ricci che erano lì tirarono fuori le loro armi. Tutti rimasero fermi a puntarsi le armi senza muovere nemmeno un muscolo. Stettero così per qualche minuto senza dire una parola. Aspettavano che qualcuno facesse la prima mossa. Improvvisamente la porta si aprì sbattendo e apparve Maxey, con un vassoio di bicchieri da cocktail pieni di una sostanza rossastra. -Allora,- disse -chi è che aveva chiesto i Push & Tight? La prima pistola a fare fuoco fu quella di uno dei ricci, che colpì Mark in pieno petto. Mark rispose al fuoco, facendogli saltare un ginocchio con una fucilata. Il riccio cadde a terra urlando. Un'altro riccio, vestito con un completo nero, fece fuoco verso Shadow, che fece una capriola laterale schivando i proiettili: aveva già cominciato a vedere tutto al rallentatore e vide le pallottole viaggiare a passo di lumaca, sfiorando leggermente la sua spalla. Inquadrò il riccio e gli sparò prima alla spalla e poi a entrambe le ginocchia. Il riccio cadde a terra senza un gemito, digrignando i denti e stringendo gli occhi. Maria corse verso l'ultimo riccio e lo annichilì con un calcio sotto al mento. Il riccio cadde a terra, stordito. Leo, che nel frattempo aveva ribaltato il tavolo e l'aveva usato come scudo dai proiettili, saltò fuori e sparò verso Mark. Mark ebbe un lieve sussulto all'impatto della rosa di pallini, puntò il fucile verso Leo e fece fuoco, colpendolo di striscio a una spalla. Leo cadde a terra, lasciando cadere il fucile. Mark si avvicinò verso di lui e gli puntò il fucile in faccia. -E adesso?- fece Mark -Cosa pensi di fare adesso? -L'ho detto: venderò cara la mia pelle.- fece Leo. Con un gesto della mano Leo tolse le canne del fucile di Mark dalla sua faccia e si alzò, correndo verso la porta posteriore e tenendosi una mano sulla spalla per tamponare la ferita. Si avvicinò alla sua auto, che era parcheggiata lì, e salì di corsa. Con mano tremante prese le chiavi d'accensione dal taschino della giacca, inzuppata di sangue, e accese l'auto. Vide dallo specchietto retrovisore Mark uscire dal retro del locale e puntare il fucile verso di lui. Leo ingranò la prima e spinse l'acceleratore con tutte le sue forze. La macchina scappò via dalla mira di Mark, lasciandosi dietro una scia di pneumatici consumati e fumanti. -Cazzo!- esclamò Mark. -Che è successo? Dov'è andato?- chiese Shadow, che arrivò in quel momento dietro di lui. -Il bastardo è scappato in auto. -In che direzione è andato? -Dritto e poi ha svoltato a destra, perchè? Senza rispondere, Shadow si accucciò a terra e cominciò a girare su se stesso come una ruota che, dopo una sgasata, deve prendere aderenza all'asfalto. Accelerò sempre di più il movimento e, quando prese abbastanza velocità, partì come una palla di cannone, in direzione della macchina di Leo, lasciandosi dietro una scia di asfalto bruciato. Maria, attratta dal sibilo che Shadow aveva provocato nel fare quella mossa, uscì fuori. -Dov'è andato Shadow?- chiese a Mark. -È andato a dimostrare che è meglio prenderlo sul serio: sta inseguendo Leo.

Leo guidava nel traffico della strada principale come un posseduto, evitando le auto e facendo sorpassi folli a rischio di scontrarsi frontalmente contro le vetture dell'altra corsia. La sua spalla emetteva una cascata di sangue e i suoi occhi erano delle minuscole punte di spillo iniettate di sangue. Con un freno a mano prese una curva a destra, che lo portò a tutta velocità in un vicolo sudicio: credeva di essere sfuggito ai suoi assassini. Stava per rilassarsi quando sentì un tonfo su tetto dell'auto. Di fronte a lui apparve il volto di Shadow, che era aggrappato al tettuccio. Con un pugno deciso, Shadow sfondò il vetro della portiera, prese Leo per il colletto e lo tirò fuori dall'auto. La vettura nera, rimasta senza guidatore, continuò la sua folle corsa verso un muro, dove si schiantò. Shadow saltò dal tettuccio dell'auto, continuando a tenere Leo per il colletto, e atterrò con una capriola sul tetto dell'edificio dove si era scontrata l'auto. -Lasciami andare, figlio di puttana!- esclamò Leo, cercando di staccare la mano di Shadow dalla presa. -Non ho ancora finito con te, Leo,- disse Shadow, avvicinandosi faccia a faccia con Leo -c'è ancora molto da fare. Shadow corse sul tetto, in direzione del Kinky Leather. Di fronte a lui si trovava un tetto di un'altro edificio, lontano da lui diversi metri. Leo si accorse che Shadow stava per correre verso il vuoto. -Che cazzo stai facendo? Vuoi suicidarti?- urlò Leo. Senza dire nulla, Shadow saltò. Leo urlò spaventato, credendo che si sarebbero schiantati a terra. Shadow atterrò sull'altro tetto e continuò a correre. Saltò di tetto in tetto, finchè non arrivò di fronte a un punto morto: il salto che doveva fare per arrivare a terra era troppo alto per evitare di fare del male a Leo. Stava per cercare un'altra uscita quando si accorse che da palazzo c'era un fascio di cavi che arrivavano a terra in linea diagonale. Saltò su i cavi e poggiò le suole su di essi e scese a folle velocità grindando e rilasciando una scia di scintille dietro di se. Una volta atterrato senza problemi continuò a correre, pattinando sugli hoverblade a tutta velocità.

Arrivò nel retro del locale, dove Mark e Maria lo stavano aspettando. Shadow, che continuava a tenere Leo per il colletto, lo sollevò: la spalla continuava a sanguinargli. -Ben fatto, Shadow.- disse Mark, poi, rivolgendosi a Leo -Allora, puttaniere, come stai? -Fanculo!- rispose Leo -Vuoi farmi fuori? Fallo adesso, stronzo! -E chi ti ha detto che ti avrei fatto fuori io? No, troppo facile, preferisco che sia qualcun'altro a farlo: dimmi un pò, bastardo, le tue ragazze ti vogliono bene? Lo spero per te, perchè se è vera la storia che ho sentito su i tuoi "rinnovi di contratto" non ci giurerei troppo sulla loro fedeltà. -Cosa vuoi fare? -Lo saprai. Mark sferrò un pugno in faccia a Leo, facendogli perdere i sensi.

Il telefono sulla scrivania di Don Sonny squillò. Don Sonny prese la cornetta e rispose. -Pronto?- disse. -Parlo con Sonny Lo Riccio, detto il Don?- disse Mark dall'altra parte del filo. -Si, sono io, chi parla? -Non è necessario che tu sappia questo ma sappi solo che la tua vendita di Synth è andata a puttane, un'altro tuo locale stà per chiudere e uno dei tuoi uomini probabilmente morirà, come ti fa sentire la cosa? -Chi cazzo sei? Mark riattaccò. Sonny, alterato dalla cosa, sbattè la cornetta sull'apparecchio.

Leo si svegliò, o meglio venne svegliato da un sonoro ceffone di Mark. Aprì gli occhi e si accorse di essere nella camera nera, ammanettato a braccia aperte sulla parete e sollevato da terra di qualche centimetro. Di fronte a lui c'erano le sue ragazze, dieci in tutto. Mark era davanti a loro. -Ben svegliato, Leo,- disse Mark -ci sono le tue dipendenti che vogliono farti un piccolo discorsetto: hanno qualche lamentela nei tuoi confronti per quanto riguarda il loro lavoro.- poi, rivolgendosi alle ragazze -È tutto vostro, ma fatemi un favore: appena avete finito con lui chiamate la polizia e ditegli che nel retro del Kinky Leather c'e un carico da venti milioni di Synth e quattro deficenti legati e imbavagliati che hanno prenotato un posto al fresco. -Sarà fatto, Mark.- disse Rebecca. -Vi salutò. Mark si avviò verso la porta della stanza. -Ehi, ragazzone!- disse una ragazza dietro di lui. Mark si voltò e vide una lupa dal pelo grigio vestita con una tuta aderente di gomma che le copriva il corpo dal collo in giù. -Non ti piacerebbe passare una serata in mia compagnia? Stasera è gratis per te!- propose lei. -Mi spiace, piccola, ma sono già impegnato e ho intenzione di tornare a casa al più presto.- rispose Mark, sorridendo. -Peccato, mi sarebbe piaciuto vederti come sei senza vestiti addosso. -Sarà per un'altra volta. -Lo spero! Mark uscì dalla stanza e chiuse la porta dietro di se. Rebecca si avvicinò a Leo. -Come si sente, signor Leo, a passare dall'altra parte del mestiere?- chiese lei, acidamente -Come ti senti ad essere tu la puttana da maltrattare, porco? -Abbassati e succhiami l'uccello, troia,- rispose Leo -perchè è la sola cosa che sei capace di fare con la testa! -Ah si? La pensi così? -Si, puttana! Rebecca prese uno dei bastoni divaricatori che erano appesi alla parete e sferrò un violento colpo alla faccia di Leo, poi un'altro e un'altro ancora. Leo sputò un sbocco di sangue e un paio di denti, sghignazzando in faccia alla ragazza. -È questo il massimo che sai fare, pompinara?- la insultò -Mi sembra di averti picchiato molto più forte. Il volto di Rebecca si trasformò in una maschera di odio, con le labbra premute in una smorfia di rabbia e la palpera inferiore dell'occhio destro leggermente alzata. Alzò il bastone per tirargli un'altro colpo quando venne fermata da una mano che gli prese l'altra estremità del bastone. Rebecca si voltò e vide Carminia che gli teneva il bastone con una mano. -Carmie?- disse Rebecca, sorpresa dal vedere una ex ragazza di Leo -Cosa ci fai tu qui? -Volevo passare a salutare Leo che, a quanto vedo, sembra piuttosto impegnato.- disse Carmie. -Sei venuta qui per portarlo via? Non te lo permetteremo. -No, ma che dici? Stà così bene attaccato a quella parete: vi dispiace se ci parlo un pò con lui? -Fai pure: questo mostro dovrà morire. Carminia guardò Leo con i suoi occhi languidi e si avvicinò a lui, strusciandosi contro il suo bacino. -Il tuo sangue:- sussurrò lei, accavallando una gamba su un fianco di Leo -me lo sono sempre chiesta... Carminia passò la sua lingua vicino all'orecchio sinistro di Leo e passò con essa sul collo, fermandosi sulla base. -...che sapore avesse! Gli occhi di Carminia diventarono due fessure nere su iridi gialle. Aprì la bocca e affondò i suoi denti alla base del collo di Leo. Leo non emise neppure un gemito: sentì il suo sangue fluire nella bocca di lei, come una dose di Synth aspirata da una siringa. Carmie emetteva gemiti di piacere mentre continuava a succhiare il sangue di Leo con insistenza, come un bambino che succhia il latte dal seno della propria madre. Le ragazze rimasero inorridite. -Senti, Becky,- propose una riccia vestita di pelle con una maschera nera borchiata -qui è meglio se ci allontaniamo e chiamiamo la polizia, prima che lei finisca con Leo e cominci con noi. -Concordo.- rispose Rebecca. Le ragazze indietreggiarono lentamente e si allontanarono dalla stanza. Carminia, rapita dal sapore dolciastro e ramato del sangue di Leo, continuava imperterrita a succhiare. I battiti cardiaci di Leo diminuirono sempre di più e, per effetto di aspirazione, persino il sangue uscito dalla sua ferita alla spalla era tornato nelle sue vene entrando nella vorace bocca di Carminia. I tonfi sordi del cuore di Leo divennero più fievoli e lui ebbe un sussulto. Infine fu silenzio. Carminia prese il corpo di Leo per i polsi e strappò le manette dal muro, stendendolo a terra. Gli aprì la giacca e la camicia, scoprendogli lo stomaco piatto e, nonostante il folto pelo, liscio. Ficcò le sue dita nell'ombelico e gli strappò la pelle come si strappa un vestito, quindi cominciò a mangiare le sue interiora esangui. Di sotto si sentì il rumore di più passi che si avvicinavano sempre di più. La porta della stanza si aprì di scatto con un calcio ed entrarono dei poliziotti con le loro pistole, puntate verso Carminia. -Polizia! -Ferma! -Alzati e metti le mani sopra la testa! Uno dei poliziotti non riuscì a trattenersi e, alla vista di quel grottesco spettacolo, vomitò. Carminia si girò di scatto e soffiò contro i poliziotti, quindi saltò in piedi e si buttò sulla finestra chiusa della stanza, sfondandola. I poliziotti che non si erano scioccati cominciarono a sparare in direzione di Carminia, si buttarono verso la finestra per vedere che di sotto c'erano dei poliziotti, loro colleghi, che stavano fuori vicino alle loro macchine. Carminia era scomparsa.

Intanto, mentre qualcuno era occupato a pasteggiare, qualcun'altro si stava preparando a una caccia al riccio. Steve era di fronte all'entrata dell'officina di Aldo e Ivano e bussò due volte. Gli aprì Ivano. -Oh, ciao Steve, quanto tempo!- disse lui, gioviale -Come va? -Male: devo tornare ad uccidere.- rispose Steve con tono infastidito. -Cosa? E perchè? -Il Don ha la mia ragazza come ostaggio e non la libererà se non eliminerò un riccio. -E tu ti sei fatto ricattare così dal Don? Perchè non sei andato a riprenderla facendo fuori il Don e i suoi uomini? Non sei tu, quello che mi aveva detto che sarebbe in grado di provocare una guerra e uscirne come unico vincitore? -Lo so, Ivano, ma rischierei troppo finchè il Don tiene prigioniera Ellie: potrebbe anche ucciderla nel momento in cui ammazzo uno dei suoi uomini. -Che bastardo... -Già. Comunque non sono venuto qui per discutere di questo: ce l'hai ancora lo S. S. Gun? -Sei venuto a riprendertelo? -Non posso fare una pulizia senza quell'arma, lo sai. -Si, ce l'ho ancora. Te lo do subito. Ivano salì dietro al bancone e si mise a rimestare tra le cose che stavano sottobanco, finchè non tirò fuori uno zaino di tela verde ruvida con gli angoli consumati. -Eccolo qui,- disse Ivano -proprio come era il giorno che me l'avevi riportato. -Spero che funzioni ancora: sono anni che non lo uso.- disse Steve, prendendo lo zaino e aprendolo. Tirò fuori un paio di pistole corte attaccate a un paio di bracciali: la cosa che saltava all'occhi era che le pistole sembravano fatte con diversi pezzi d'acciaio montati tra loro con giunture quasi impercettibili. Steve indossò i bracciali e abbassò le braccia. Con un gesto fulmineo le rialzò e le pistole balzarono in avanti, pronte per essere impugnate. -Le batterie sono sempre autoricaricabili?- chiese a Ivano. -Si, Steve, si ricaricano automaticamente dopo cinque secondi di riposo.- rispose. -Perfetto, in ogni caso le mie Hog Mower faranno il loro dovere anche quando mi si incepperà il cannone. -Spero che tu riesca a salvare Ellie, Steve: quasi mi sento in colpa a ridarti quest'arma. -Non incolparti, Ivano: tu almeno non sei un'assassino.

Nel ormai ex Kinky Leather c'era un viavai di poliziotti. Alcuni agenti stavano alla porta a bloccare giornalisti e curiosi mentre gli altri stavano ispezionando il posto in cerca di prove, anche se quelle erano più che in bella vista. Samuel era nel retro a fissare le scatole termiche che contenevano il veleno rosso da lui cercato: era finalmente riuscito a bloccare un'altra vendita di Synth e uno degli uomini del Don era morto in maniera raccapricciante. Non sapeva se doveva esserne felice o se doveva piangere, non riusciva a credere a quello che vedeva. Uno dei poliziotti si avvicinò a lui. -Qui c'è il referto del coroner, capo:- disse, allungandogli una cartella -una roba come questa non s'era vista da diversi anni. -Non ho alcuna voglia di leggerla: leggila tu per me.- disse Sam, senza distogliere gli occhi dalle scatole di Synth. Il poliziotto aprì la cartella e lesse il contenuto.

1§ "Il corpo della vittima è stato trovato steso sul pavimento e mostra segni di violenza e percosse al volto, lividi ai polsi, una ferita di arma da fuoco, probabilmente un fucile, alla spalla destra, uno squarcio alla base del collo e l'addome aperto con gli intestini che fuoriuscivano da esso e che erano incisi da segni di morsi. Non aveva una traccia di sangue nelle vene quando è stato trovato."

L'agente chiuse la cartella. -Cosa ne pensa, agente?- chiese Sam. -Che non vorrei fare la stessa fine. -Avete identificato il carnefice? -Abbiamo scavato nell'archivio e siamo riusciti a darle un nome: si chiama Carminia Fledermaus, residente a Darktropolis, quartiere Latex Top, incriminata per più di una ventina di volte per adescamento e prostituzione e condannata a cinque anni nel carcere di minima sicurezza delle Sodom Hills...- -Frena frena frena...il carcere di minima delle Sodom Hills? Ma non è un carcere maschile? -Esatto signore. -E come c'era finita lì? -Il fascicolo parla di un errore del giudice. -Oddio, non voglio nemmeno pensare come li ha passati quei cinque anni! C'è qualcosa che collega la vittima all'assassina? -Secondo alcuni controlli dei libri paga di Leonard Fang risulta essere stata una delle sue dipendenti. A Sam venne quasi da sorridere, anche se in cuor suo si sentiva contorcere le viscere, al pensiero di una ex prostituta che si vendica del suo ex protettore. -Ah, c'è un'altra cosa: uno dei gorilla di Leo ha detto che, prima che il proprietario del locale venisse dissanguato, sono arrivate altre persone ad attaccarlo. -Ah si? Chi? -Dice di aver riconosciuto che uno di loro era l'echidna che aveva diretto la rappresaglia alla Cracking Bones. -Cosa?! Dov'è? -Il riccio? Si trova alla centrale: è in custodia. -Non potevate avvertirmi prima? -Signore, è stato lei stesso a voler vedere di persona il carico di Synth e... -Già, è vero. Ascolta: io vado alla centrale, voi rastrellate la zona e cercate altri indizi a carico della transazione di Synth, fogli, ricevute e altri documenti che possano anche minimamente legare il carico al Don. Mi raccomando, massima attenzione: forse riesco ad inchiodare quel bastardo mangiaspaghetti una volta per tutte. -D'accordo, signore. Sam uscì di corsa dal retro del locale e saltò su un'auto, accese il motore e accelerò, in direzione della centrale.

Mentre la polizia stava raccogliendo prove e cadaveri da una nuova scena del delitto, i nostri eroi antimafiosi stavano tornando al ghetto. Mark correva, seguito da Maria e da Shadow, in direzione di casa sua. Continuò a correre finchè non si fermò immediatamente e annusò l'aria. -Che succede, Mark?- chiese Maria, trafelata. -C'è qualcosa che non và qui:- disse Mark, con fare sospettoso -qualcuno ci stà aspettando. -Chi? -Non ne ho idea, ma di sicuro non sarà un comitato d'accoglienza con il tappeto rosso. Muoviamoci. Mark riprese a correre, muovendosi per le vie dei quartieri popolari. Passò di fronte a un capannone abbandonato, probabilmente un vecchio stabilimento metallurgico. Continuarono tutti e tre a scappare, finchè Shadow non alzò lo sguardo e si voltò indietro. -A terra!- esclamò lui, buttandosi addosso a Maria e coprendola con il suo corpo. Due colpi di fucile esplosero e colpirono Mark, che era ancora voltato di spalle. Mark si voltò fulmineamente, estraendo le sue D.E. e sparando verso la sorgente del fuoco ostile. -L'hai colpito?- chiese Shadow, riparandosi dietro all'architrave della porta del capannone assieme a Maria. -Non credo, era troppo nascosto, chiunque fosse.- disse Mark -È meglio trovare un riparo: può essere che non fosse da solo. Mark prese a spallate la porta di metallo dello stabilimento abbandonato e la sfondò dopo un paio di colpi. -Entriamo, di corsa!- disse Mark. Maria e Shadow entrarono mentre Mark copriva loro le spalle. Spianò le pistole in tutte le direzioni per vedere se c'erano segni di ostilità. Quando vide che non c'era nessuno entrò anche lui. Il capannone era oscuro e tetro: qualche luce proveniente dai lampioni in strada illuminava fievolmente l'interno, dove c'erano catene appese agli alti architravi scheletrici della struttura. Un enorme crogiolo troneggiava in mezzo allo stabilimento, circondato da una serie di impalcature metalliche coperte di ruggine. -La cosa mi puzza di trappola,- disse Mark -meglio stare accorti. Il fiuto di Mark non fallì: le luci dello stabilimento si accesero. Sulle impalcature c'erano almeno una ventina di ricci con il colpo in canna e tra loro c'era Vittorio Squamadura. -Vedo che, dopotutto, il sacrificio di Leo non si è rivelato poi uno spreco: abbiamo preso tre chao con un solo frutto.- disse lui. -Vittorio Squamadura? L'ex sicario di Nicky?- disse Mark, incredulo. -Già, proprio io: ho sentito che tu sei il nuovo galoppino di Nick...Mark Dehnaim, giusto? Mi hanno detto che chiunque abbia incrociato la tua strada sia finito in una sacca di plastica. -Che strano, ho sentito la stessa cosa di te, Vittorio. -In quel caso è vero: pochi sono sopravvissuti alla mia mira e alla mia abilità per poterlo raccontare. È la mia serata fortunata, visto che non solo mi sono liberato di quel viscido di Leo, ma ammazzerò anche il riccio veloce e il killer del Clan. -Frena un secondo: vorresti dirmi che avevi architettato di fare fuori Leo coinvolgendo noi? -La morte di Leo non era prevista nei miei piani, comunque tanto di cappello. -Allora come hai fatto a prenderci in trappola? -Hmm, mi deludi profondamente, killer, credevo che un'esperto come te sapesse che se si fa una telefonata prima o poi qualcuno dall'altro capo del filo risponderà di conseguenza. -Capita anche ai migliori di sbagliare. -Sarà l'ultimo errore della tua vita, echidna:- Vic si rivolse ai ricci -dieci di voi il riccio nero e gli altri la riccia bionda, io mi occupo del killer. I ricci saltarono dall'impalcatura e corsero incontro ai tre. -Ok, ragazzi,- disse Mark -voi due copritevi le spalle mentre io mi confeziono una valigia nuova. Maria e Shadow corsero in direzioni opposte, nascondendosi tra i carrelli e i fusti. I ricci cominciarono a bersagliarli, traforando le pareti e le impalcature che risuonavano di un tintinnio musicale. Vic scese dall'impalcatura e si tolse la giaccia, poggiandola su un tubo che faceva da parapetto. -Cominciamo?- disse Mark. -Scegli tu le armi.- disse Vic. -Facciamo a cazzotti, allora. -Va bene. Si misero in posa per combattere. Mark fece cenno a Vic di avanzare e lui raccolse l'invito. Tirò indietro la mano chiusa in un pugno e sferrò un paio di colpi in faccia a Mark, che non battè ciglio. Per risposta, Mark sferrò due pugni, ma Vic deviò entrambi con le braccia e lo colpì con il taglio delle mani nello stomaco. Mark cercò nuovamente di colpirlo con un pugno in faccia, ma Vic gli bloccò fulmineamente la mano e la strinse sotto l'ascella e lo colpì in faccia con un calcio. Vic spinse Mark lontano e si buttò indietro.

Shadow, nel frattempo, stava ancora evitando le pallottole dei ricci che lo stavano bersagliando. Corse dietro un carrello per il trasporto del carbone e si riparò la dietro. I ricci continuavano a sparargli contro. Shadow rimase in silenzio dietro a quel carrello, attendendo. La sua attesa venne interrotta dal silenzio delle armi dei ricci. Uscì fuori con un tuffo laterale, spianando le pistole e colpendo sei ricci e uccidendoli. Gli altri quattro ricominciarono a sparargli contro. Shadow vide le pallottole viaggiare nell'aria con la velocità di una lumaca e le evitò con un tuffo all'indietro. Sparò nuovamente contro gli ultimi ricci e li colpì. I ricci caddero a terra, lasciando una pozza di sangue.

Maria era ancora dietro ai fusti e le scatole, riparata dalle pallottole dei ricci. Si alzò dal suo rifugio e sparò contro di loro, colpendone tre. Il fuoco opposto si fece più forte e più aspro e lei si accorse di essere rimasta già senza pallottole. L'odore di cordite aveva invaso il posto. Maria rimase dietro alle scatole, sperando in un miracolo. Qualcuno l'aveva ascoltata: Shadow apparve dietro ai ricci e sparò contro di loro, uccidendone altri tre. Le sue pistole schioccarono: pallottole esaurite. Senza perdersi d'animo, Shadow rimise le pistole scariche nei foderi. -Sparite!- esclamò, tagliando l'aria con una mano in direzione dei ricci. Le lame di luce, che Shadow aveva inavvertitamente evocato la prima volta, ricomparvero colpendo i ricci, che urlavano e cadevano a terra, falciati dalla loro potenza. Quando fu silenzio, i ricci colpiti erano mutilati. Uno di loro, a cui mancavano le mani e la gamba destra, era ancora vivo. Ansimava velocemente e aveva paura. Shadow si avvicinò a lui e si chinò. -C-come...- fece il riccio. -Non avevo scelta: mi dispiace.- disse Shadow, che lo prese per la testa. Con un colpo secco, Shadow spezzò il collo del riccio, ponendo fine alla sua agonia. Volse lo sguardo altrove ma, prima di girarsi del tutto, Maria si accorse di una piccola scintilla luminosa all'angolo del suo occhio. -Cos'hai?- gli chiese. -Niente...- rispose lui, con un filo di voce. Maria gli si avvicinò e girò il volto di Shadow verso il suo. Una lacrima era scesa a rigare il suo volto impassibile.

Mark stava continuando ad incassare colpi da parte di Vittorio senza riuscire a metterne uno a segno. Vic lo colpì di nuovo in faccia con un calcio, facendolo cadere a terra. -Devo ammettere una cosa, killer,- disse -sei più duro da uccidere di quanto immaginassi e finora ho visto che non hai accennato nemmeno un segno di stanchezza. Dove la trovi tutta quest'energia? -Uso solo pile Duracell.- disse Mark, ironicamente. Vic lo prese per una gamba e lo sollevò, facendolo sbattere contro una parete. Mark cadde a terra, inerte. -Allora, ti arrendi?- chiese Vic. Mark non rispose. Vic gli si avvicinò per controllargli le pulsazioni: elettrocardiogramma piatto. -Già morto? Che peccato.- disse lui, con tono ironico. Vic non fece in tempo a ritrarre la mano che Mark gliela agguantò. -Ti ho beccato, bastardo, prova a schivarmi adesso!- disse Mark. Sempre rimanendo a terra, Mark fece ruotare il braccio, facendo sbattere Vic di testa contro il pavimento, poi si rialzò e prese Vic per la collottola. -Credevi di avermi fatto fuori, eh? Beh, mi spiace deluderti, ma non puoi uccidere ciò che è già defunto.- disse Mark. Vic ricevette un pugno di Mark nello stomaco e sentì la stessa sensazione di un maglio da demolizione che lo colpiva facendo vibrare le sue interiora. Mark lasciò cadere Vic, che cercò di rialzarsi. Stava per beccarsi un calcio nel costato da parte di Mark, quando si sentì il familiare suono delle sirene della polizia avvicinarsi dal fondo del viale. Vic si rialzò rapidamente e affibbiò un pugno nello stomaco di Mark e fuggì, prendendo la giacca e scalando sulle impalcature del crogiuolo, quindi sparì da un'apertura del tetto Nel frattempo sopraggiunsero Shadow e Maria. -Dov'è andato Vittorio?- chiese Maria. -Quel bastardo è scappato,- rispose Mark -dobbiamo... Non fece in tempo a finire la frase che le auto della polizia erano già entrate nel viale ed erano davanti all'entrata dello stabilimento. I poliziotti uscirono dalle auto e spianarono le loro pistole, riparati dalle portiere e dalle fiancate. -Sono l'agente Colehedge,- disse uno dei poliziotti da un megafono -siete pregati di gettare le armi e di uscire dall'edificio con le mani dietro la nuca! Non cercate di scappare: l'unica uscita è bloccata da tre unità armate, non costringeteci ad aprire il fuoco! -Cazzo!- esclamò Mark -E adesso che si fa? Non c'è uscita da qui! -No,- disse Shadow -ma abbiamo un'alternativa. -E cioè? -Datemi la mano. Mark e Maria porsero le loro mani a Shadow, che le strinse alle sue. -Dove vogliamo andare?- chiese Shadow. Nel frattempo entrarono due poliziotti armati. -Fermi!- esclamò uno. -Mani sopra la testa!- disse l'altro. -Che cazzo di domande fai? Ovunque, anche a Plutarco, ma fuori di qui!!!- gridò Mark. Dopo una ventina di secondi, che sembravano venti ore, Shadow trasse un respiro profondo. -CONTROLLO DEL CAOS!!!- esclamò. Il tempo intorno a loro si fermò. Vennero avvolti da fulmini dorati e bluastri e scomparvero in un'implosione di energia. I poliziotti rimasero stupefatti di fronte a una comune manipolazione della massa atomica di due ricci e un'echidna. L'agente Colehedge, un riccio con il pelo color caffelatte, entrò dentro. -Che è successo?- chiese ai due poliziotti. -Non lo so,- rispose uno di loro -ma di sicuro se scriviamo sul rapporto cosa abbiamo visto ci mettono addosso una camicia di forza.

Shara, che era rimasta a casa ad aspettare che passasse il tempo necessario prima di andare da Ben, si era vestita e preparata ad andare alla centrale. Stava per varcare la soglia di casa quando si accorse di una cosa piuttosto singolare: il suo pelo si stava rizzando come se fosse vicina a una fonte elettrostatica. -Ma che cavolo...?- disse. Prima che se lo potesse aspettare, il soggiorno venne invaso da una serie di scariche color oro e blu e comparvero Shadow, Maria e Mark. Shara rimase a bocca aperta, stupita dalla loro apparizione inaspettata. -Dove siamo?- chiese Mark. Maria si guardò intorno e vide Shara. -E voi cosa ci fate qui?- chiese Shara, sempre più stupita. -Ehm...ciao Shara!- salutò Maria -So che è difficile da spiegare ma ci troviamo qui per incidente. Lo sguardo di Shara si spostò verso il mastodontico echidna nero con le mani bianche. -Lui chi è?- chiese. -Shara, lui è quel mio amico di cui ti parlavo, si chiama Mark.- disse Maria -Mark, lei è Shara. Mark tese la sua mano e Shara gliela strinse, anche se era la grossa mano di Mark a chiudere la piccola manina di Shara. -Così tu sei Shara, l'amica di Maria.- disse Mark -Piacere! -Il piacere è mio!- disse Shara, sorridendo. Vedendo Shara sorridere, Mark ricordò Lula, la sua ragazza, che era ancora sulla Terra ad aspettarlo, e si sentì in colpa per averla lasciata sola senza motivo. Scosse la testa e scacciò i suoi pensieri: non era momento di farsi mangiare il fegato dai sensi di colpa. -Allora, sorellina,- fece Maria -che stavi facendo di bello? -Beh, prima che voi arrivaste, stavo andando alla centrale per visitare Ben.- disse Shara. -Ah, già...insomma, la cosa è seria! -Eh si! Ben è dolcissimo, paziente, carino e...beh, diciamo che anche qualche altra buona qualità! -Capisco: non mi sarei mai immaginata una cosa del genere da parte di Ben, l'ho creduto sempre molto timido e impacciato. -In un certo senso lo è stato...o almeno così m'è sembrato quando l'ho visto la prima volta. -Sono contenta che tu stia bene con lui: Ben è un bravo ragazzo. -Non vorrei interrompere la vostra conversazione,- disse Shadow -ma credo che dovremmo andare. -Hai ragione, Shadow, dobbiamo andare a casa.- disse Maria. -Cos'è successo?- chiese Shara. -Abbiamo ancora gli scagnozzi del Don alle calcagna. -Loro sanno che siete qui? -Ne dubito: veniamo direttamente da un vecchio stabilimento metallurgico. -Siete...beh, spariti da lì e siete arrivati qui? -In un certo senso si. -Quindi nessuno vi ha visti? -Credo proprio di no. -Allora aspettate qualche ora prima di andare, se non vi ha visto nessuno non rischiate niente. Avete bisogno di riposarvi. -Ma... -Niente ma, Maria: rimanete qui fino a che non vi siete riposati del tutto. -Va bene, Shara, ti ringrazio. -E di cosa? Riposatevi, su: io vado alla centrale, è probabile che torni tra qualche ora. -Shara... -Se vuoi dirmi che non devo dire a tuo padre che ti ho vista, non temere: le mie labbra sono cucite a doppio filo. -Ok, grazie Shara. -Bene, io vado. Ci vediamo dopo! -Ehm...Shara?- disse Mark. -Si?- rispose lei. -Non vorrei che qualcuno ti molestasse o ti facesse del male, sapendo che tu sei amica di Maria, quindi volevo chiederti (se la cosa non ti disturba, è ovvio) di accompagnarti al dipartimento. -Hm...la cosa non mi dispiacerebbe, ma non credi che attrarresti l'attenzione degli uomini del Don o di qualche squilibrato, visto che oltre ad essere enorme sei un'echidna? -Se è per quello il problema non si pone: posso cammuffarmi. -Cammuffarti? -Ora vedrai. Mark si concentrò su una forma da prendere per non attrarre attenzione o destare sospetti, quindi, dopo mezzo minuto, si trasformò in un riccio verde alto quanto lei con un paio di ciuffi di pelo lunghi che gli scendevano sull'occhio destro e un giubbotto di pelle nera lucida. Sulla testa un cappellino con su scritto: HO VOTATO HOWARD IL PAPERO, MI DISPIACE. Shara rimase sbigottita dal cambiamento di forma di Mark. Maria, leggendo la scritta sul cappello di Mark, rimase sorpresa. -Chi è Howard il Papero?- chiese. -Un personaggio di un film, poi te lo spiegherò.- disse Mark, poi rivolgendosi a Shara -Andiamo? -Ok.- disse Shara, sempre sorpresa dalla trasformazione di Mark. Mark e Shara uscirono di casa, chiudendo la porta dietro di loro. Maria e Shadow rimasero nuovamente soli. -Sembra che adesso dovremmo aspettare.- disse Maria. -Ok.- disse Shadow. Si misero a sedere sulla poltrona, senza dirsi niente per qualche minuto. -C'è una cosa che volevo chiederti, Shadow.- disse Maria, rompendo il ghiaccio. -Si?- fece lui, voltando lo sguardo verso di lei. -Quando tu avevi colpito quei ricci con quelle tue...cose, quella specie di lame e avevi soppresso quel riccio mutilato... -Si? Cosa è successo? -Perchè hai pianto? -Io? Perchè...perchè...beh...io... -Era la prima volta che ti vedevo piangere in quel modo dopo aver ucciso qualcuno: conoscevi quel riccio? -No. -Allora perchè hai pianto? Shadow distolse lo sguardo. -Quando avevo visto negli occhi quel riccio ero riuscito, anche se di sfuggita, a sentire ciò che lui sentiva. -Cosa sentiva? -Paura. Molta paura. -Vuoi dire che... -Aveva paura di me, e io non ho avuto pietà di lui. L'ho ucciso...come ho ucciso tanti altri. Shadow si mise le mani sugli occhi e cominciò a singhiozzare. Maria venne commossa dalle parole di Shadow e lo abbracciò. -Mi dispiace tanto, Shadow, mi dispiace tantissimo che tu ti senta così. Mi sento in colpa per averti coinvolto in tutto questo.- disse Maria. -No!- disse Shadow -Non è colpa tua: sono io che ho ucciso così brutalmente quei ricci, non tu! -Shadow, anch'io ho puntato le armi contro quei ricci e anch'io ho ucciso, non sono diversa da te: se tu sei un'assassino, io lo sono quanto te, forse anche di più. La colpa non è altro che mia se tu hai ucciso, perchè sono stata io a chiederti di proteggermi, è mia la responsabilita. -Maria... -Shadow, se io non ti avessi portato da Mark o non ti avessi portato alla Cracking Bones o se non ti avessi raccolto dalla strada probabilmente tu non avresti mai ucciso nessuno, quindi sono stata io ad averti coinvolto: non ti addossare mai una colpa del genere perchè tu non c'entri. In quel momento a Shadow vennero in mente le dure ma purtroppo vere parole di Mark: tutti sono colpevoli, compreso te stesso. -Nessuno è colpevole.- sussurrò Shadow. -Cosa?- chiese Maria. -Niente: pensavo ad alta voce. Rimasero in silenzio, abbracciati l'uno all'altra. -Maria?- disse Shadow. -Si?- disse lei. -Quando smetteremo di uccidere? -Non lo so, Shadow, non lo so proprio. -Hai paura? -Finchè tu sarai con me non avrò mai paura. -Non ti lascerò, Maria. -Neanch'io, Shadow. Shadow e Maria rimasero stretti l'uno all'altra. Due scintille di luce in un oceano nero.

Nel frattempo, un killer forzato stava camminando per strada. Lo sguardo fisso in avanti e le mani in tasca. Entrò in un locale e richiuse la porta dietro di se. Il locale era fumoso e saturo di caldo opprimente, e la musica bussava dalle casse, tessendo le lodi della birra e dell'erba. Gruppi di lupi, seduti ai tavoli, bevevano allegramente e si scambiavano pugni di amicizia, facendo saltare via qualche molare che ogni tanto faceva canestro nei bicchieri degli altri avventori, scatenando risse e altri canestri. Quando lui entrò nel locale, i lupi si fermarono come per incanto. Si sedette al bancone, dietro al quale un lupo, un'armadio di carne e pelliccia grigia e un grembiule sudicio, stava pulendo il bancone con un panno unto e macchiato. -Una doppia, Tom.- fece lui. Il barista alzò lo sguardo. -Che mi caschino i denti e mi venga un'ulcera al culo se non è Steve!- fece il barista, gioviale, prendendo un boccale e passandolo sotto una spina -Ehi, killer, come butta? -Male.- rispose Steve. -Ahi ahi! La cosa non mi piace. Che mi racconti? -Ti dirò, appena avrò quella doppia che ti ho chiesto. Il barista terminò di riempire il boccale e lo mise davanti a Steve. Steve prese il boccale e lo dimezzò con un paio di sorsi. -Insomma,- fece il barista -che mi racconti? -Poco, Tom, veramente poco:- rispose Steve -sono stato coinvolto in un casino veramente pessimo. -Cioè? -Devo ammazzare un riccio. Il barista fissò Steve, alzando un sopracciglio con sorpresa. -Beh? E dove sarebbe il casino? Ammazzare è il tuo pane quotidiano.- disse il lupo, con un tono sorpreso che velava una protesta. -Non più, Tom: mi sono tirato fuori dal giro tempo fa.- disse Steve, bevendo un'altro sorso di birra. -Ah, già...per via di quella tua tipa, la dottoressa... -Ora lei è in mano al Don e io non posso fare altro che obbedirgli. -Ma scusa, tu sei un killer con le contropalle che sarebbe in grado di seccare un'esercito con uno spillo da balia e non ti vai a riprendere la tua ragazza? -Il Don ha risorse infinite: se lo tradissi e, in ogni caso, salvassi la mia signorina troverebbe un modo per farmela pagare. -Che casino... Steve alzò il boccale per bere l'ultimo sorso di birra, quando un lupo gli arrivò alle spalle, colpendolo inavvertitamente: l'ultimo avanzo di birra gli scese a bagnare il cavallo dei suoi pantaloni. Steve rimase fermo, come se niente fosse accaduto. Il lupo si buttò addosso a un'altro, prendendolo a pugni. Quando fece per tornare indietro a prendere la rincorsa, venne bloccato da un colpo rapido e violento che lo fece cadere su un tavolo. Si rialzò e vide Steve alzato e di spalle, con il pugno serrato e semisollevato. -Hai rovesciato la mia birra.- disse lui, senza voltarsi. Il lupo fece per avventarsi contro Steve, mentre lui si voltò e schivò due diretti. Colpì nuovamente il lupo con tale forza da farlo cadere su un tavolo e facendoglielo distruggere con la schiena. Il lupo svenne. -Quanto ti devo, Tom?- fece Steve al barista, come se nulla fosse. -Stasera offre la casa.- rispose. Steve uscì dal locale, dirigendosi verso casa.

Intanto, nel dipartimento di polizia, Sam era entrato di corsa e si era avviato immediatamente verso il piano sotterraneo: le celle di detenzione. Scese le scale che lo portarono di fronte a una porta di ferro semi arrugginito. Girò la maniglia lucida e pulita della porta ed'entrò. Le celle di detenzione erano luoghi poco frequentati da lui: un corridoio di sei anguste stanzette chiuse a doppia mandata con una finestrella sulla porta, chiusa da una grata. In fondo al corridoio, illuminato da un neon crepitante, c'era un riccio che leggeva il giornale, seduto dietro a un tavolo con la lista dei reclusi, una tazza di caffè e una penna, e non si era ancora accorto della presenza del capo. Dietro di lui una bacheca di vetro con le chiavi delle celle. Sam fece un colpo di tosse per attrarre la sua attenzione. L'agente abbassò lentamente il giornale. -Ah!- fece -È lei, capo. -Agente,- chiese Sam -dov'è stato messo il testimone dell'assalto al Leather? -Il riccio rosso? Cella n. 5,- l'agente prese la chiave dalla bacheca senza staccare gli occhi dal giornale e la lanciò a Sam, che la prese al volo -ecco la chiave. -Grazie. Sam andò di fronte alla porta della cella e l'apri. Dentro all'angusta stanzetta senza finestre con un tavolaccio di ferro che faceva da letto, Maxey stava seduto a fissare il vuoto. -Tu sei il tipo che cerco. Come ti chiami?- chiese Sam. Il riccio si voltò lentamente, fissando Sam con lo sguardo vuoto e inespressivo di un riccio che aveva visto scorrere davanti agli occhi la propria vita. -Mi chiamo Maximilian Cayne.- disse. -Sei uno dei ricci che ha assistito all'assalto nel Kinky Leather, dico bene?- chiese Sam. -Si, sono io. -Che è successo? -Una cosa che non avevo mai visto prima: era enorme, nero, si era beccato una fucilata in pieno petto e non aveva nemmeno battuto ciglio. Alzò il fucile e sparò contro Leo e... -Va bene, ho capito: chi altro c'era con lui? -Un riccio strano: aveva gli occhi rossi come il fuoco e delle strane cose sopra... Maxey si passò una mano sulla testa, sfiorandosi gli aculei che Shadow aveva striati di rosso. -...poi c'era quest'altra riccia, con il pelo biondo e gli occhi verdi penetranti. -Una riccia bionda con gli occhi verdi? Sei sicuro? -Sicuro come la morte che fosse lei. Sam capì che Maria non aveva solo chiesto a Mark di aiutarla a risolvere il suo problema col Don e i suoi lacchè, ma l'aveva seguito e probabilmente era anche coinvolta nella rappresaglia alla Cracking Bones. -C'era qualcun'altro oltre loro tre?- chiese ancora. -No, erano soli. -Ah... -Poi c'era questa tipa... -Chi? -La ex favorita di Leo, la ragazza pipistrello. -Era con loro? -No, era venuta nel locale più tardi, quando loro se ne erano andati: era apparsa dall'oscurità come un fantasma. -Ok, penso di conoscere il resto. Adesso voglio farti un'altro genere di domande: abbiamo trovato un carico zeppo di Synth nel retro del locale, sai dirmi da chi l'ha avuta? -Non lo so. -Non sai chi gli ha passato quel carico? Dimmi la verità, chi gliel'ha dato? -Il carico...l'ha avuto... -Da chi? -Beh, penso dal grande boss in persona... -Don Sonny? -Si. Sam aveva tra le mani l'occasione che cercava da tempo: incastrare il Don con l'accusa di traffico illecito di droga. Fino a quel momento sapeva che i traffici erano collegati a lui, ma non aveva prove per incastrarlo: la parola di Maxey, probabilmente, lo avrebbe portato là dove prima non sarebbe mai arrivato. -Mi sei stato d'aiuto: probabilmente mi servirà la tua testimonianza per prendere quel figlio di puttana con le spalle al muro. -Va bene. Ormai non me ne frega un cazzo di questa storia. Sam uscì dalla cella e richiuse la porta a chiave, poi lanciò le chiavi verso l'agente, che le prese al volo senza distogliere lo sguardo dal giornale. Uscì dalla zona di detenzione e salì verso gli uffici. Mentre saliva le scale urtò un tizio con un cappello scuro e un'impermeabile nero. -Occhio a dove vai, tipo!- disse Sam, seccato. Il tizio non rispose e continuò a scendere le scale. -Ma guarda che stronzo...- mormorò Sam tra i denti. Sam salì immediatamente su per compilare un mandato d'arresto. Il tizio entrò nella zona di detenzione e si fermò di fronte al riccio. -Detective Hardscale, sono qui per interrogare un riccio di nome Maximilian Cayne.- disse all'agente. L'agente, senza nemmeno rivolgergli parola, prese nuovamente la chiave della cella e la poggiò sul tavolo. Il presunto detective prese la chiave, leggendo il numero stampato su di essa: 5. Aprì la cella ed entrò. Maxey si voltò lentamente. -Vittorio? Che ci fai qui?- chiese il riccio sottovoce, con tono sorpreso. -Sono venuto a risolvere un piccolo problema al boss. -Sei venuto a liberarmi? -Sono venuto ad assicurarmi che tu non apra la bocca a sproposito. Il riccio sgranò tanto di occhi quando Vittorio tirò fuori una siringa rossa, che gli inferse nel petto come una pugnalata. Maxey non emise neppure un gemito, quando Vic gli iniettò la dose doppia. Una volta finito, Vic tolse la siringa e la ruppe, buttandola a terra e pestandola col piede. Il riccio cadde pesantemente sul tavolaccio della cella, rannicchiandosi in posizione fetale con gli occhi sbarrati verso il vuoto. Vic uscì dalla cella e la richiuse, poi mise le chiavi sul tavolo. -Un pò breve come interrogatorio.- commentò l'agente, con gli occhi fissi sul giornale e prendendo un sorso di caffè. -Non sono riuscito a cavargli una parola di bocca, sembra un ritardato.- rispose Vic, allontanandosi. -Probabilmente perchè lo è. Vic uscì dalla zona di detenzione e salì le scale, incrociando di nuovo Sam, che aveva un foglio per le deposizioni in mano. Sam sentiva i brividi dalla voglia che aveva di fregare il Don e non fece neppure caso a Vic. Rientrò nella zona di detenzione. Stava per chiedere le chiavi quando si accorse che si trovavano sul tavolo. Per un'attimo la sua mente riaquistò la fredda lucidità del poliziotto e collegò la cosa al tizio che era passato prima. La sua speranza di inchiodare il Don si stava affievolendo un poco per volta. -Oh cazzo!- esclamò. Prese la chiave ed aprì la porta della cella. Maxey era ancora lì, con gli occhi fissi al muro che diceva frasi incomprensibili. -Oh merda...Cayne! Cayne! Rispondimi!- disse lui, preoccupato. -Io...sto morendo...sto morendo...sono morto...morto...la carne...via...vattene via...- fu solo capace di dire Maxey. Overdose da Synth. Sam vide le sue possibilità di prendere il Don gettarsi nel cesso e tirare la catena.

Mark arrivò di fronte alla porta della casa di Shara e bussò tre volte. Sentì i passi di qualcuno avvicinarsi alla porta. -Chi è?- chiese Maria, dietro alla porta chiusa. -Sono io.- disse Mark. Maria aprì e fece entrare Mark, che era ancora sotto la forma di riccio verde. -Tutto a posto?- chiese lei. -Tutto a posto.- rispose lui. -Perchè hai voluto seguirla? Sapeva già la strada e non rischiava niente. -Due motivi: il primo...beh, non ne sono molto sicuro, e il secondo perchè volevo lasciarvi soli. -Volevi lasciarci soli? Voglio dire, me e Shadow? -Pensavo che aveste bisogno di un pò d'intimità per qualche minuto. Ho fatto male a pensarlo? -No, credo di no. Grazie. Mark si concentrò e riprese di nuovo la forma blackidna. -Allora,- fece lui -torniamo a casa o restiamo qua ancora un pò? -Forse è meglio se torniamo a casa.- disse Maria. -Ok, andate avanti voi: io ho un bisogno impellente da svolgere.- disse Shadow. -Che devi fare?- chiese Maria. -Se permettete sono diversi giorni che non vado al bagno e mi sento scoppiare la vescica.- rispose lui. -Ok, vai a liberarti, noi ti aspettiamo di sotto.- disse Mark. -Grazie.- rispose Shadow. Shadow entrò di corsa nel bagno e si chiuse dentro. Mark e Maria uscirono di casa e chiusero la porta. Mentre scendevano le scale incrociarono Steve, che non li degnò neppure di uno sguardo. Dopo un paio di minuti Shadow uscì dalla casa di Shara, fece per chiudere la porta e, nello stesso momento, Steve aveva aperto quella di casa sua. Entrambi si voltarono sorpresi. Shadow cominciò a vedere in slow-motion. -Figlio di...- fece per dire Steve, che gettò in avanti le braccia e fece estrarre le sue due pistole. Shadow, nel frattempo, si gettò verso il corridoio che conduceva verso le scale e si riparò dietro al muro. Calò il silenzio. -Chi sei?-chiese Shadow ad alta voce. -Il mio nome non ha importanza per te, Shadow.- rispose Steve. -Come sai il mio nome? -Lo so, non te ne preoccupare: piuttosto preoccupati di quello cheti farò tra poco, riccio. -Sei uno dei killer del Don? Caschi male, allora. -La vedremo. Mentre stavano conversando, Shadow aveva già raggiunto i caricatori per le pistole ed era pronto a colpire. Fece un tuffo laterale spiandando le pistole e sparò verso Steve. Aspettandosi una tale reazione, Steve evitò alla meglio le pallottole, abbassandosi il più possibile, e sparò verso di lui impulsi elettrici somiglianti a pallottole. Shadow si rialzò, evitando i colpi e correndo verso di lui. Entrambi spararono l'uno contro l'altro ed entrambi evitavano le pallottole. Alla fine si scontrarono spalla contro spalla e caddero a terra. -Sei senza pallottole, riccio.- fece Steve. -Nemmeno tu stai messo bene, killer.- fece Shadow. -Mi chiamo Steve. -Non m'importa: i killer del Don sono tutti uguali. Shadow fece una capriola in avanti e si mise in piedi. Steve fece ondeggiare le gambe e si rialzò rapiamente. Entrambi si voltavano le spalle. Shadow rimise le pistole nel fodero e si voltò. Steve si girò e, con un gesto delle mani, fece ritornare le pistole nelle maniche della giacca. Si misero entrambi in posa, i pugni serrati e lo sguardo fisso sul proprio avversario. -Pronto a morire?- chiese Steve. -Non essere troppo sicuro di te stesso.- disse Shadow. Steve e Shadow si avvicinarono rapidamente l'uno all'altro. Steve sferrò un paio di pugni che Shadow schivò. Shadow sferrò un un pugno e un calcio, che Steve fu tempestivo ad evitarli. Continuarono a sferrarsi colpi senza prendersi a vicenda. Steve cercò nuovamente di colpire Shadow con un pugno in faccia. Shadow si abbassò e colpì il suo polpaccio sinistro con un calcio, che lo fece scivolare. Mentre vedeva Steve cadere a terra come una foglia secca lo colpì con un gancio sotto la schiena, facendolo andare a sbattere contro il soffitto di cemento del corridoio. Steve ricadde pesantemente a terra di schiena. Una fitta lancinante lo punse alle vertebre lombari e lasciò fuggire un gemito soffocato. -Lo dicevo io, che voi tutti assassini del Don siete uguali.- disse Shadow, con voce atona. Steve fece appello a tutte le sue forze e si rialzò, sferrando un calcio nello stomaco di Shadow che venne letteralmente catapultato contro una porta. Shadow cadde a terra tra una pioggia di schegge e pezzi di legno: per la prima volta provò un dolore pungente dietro la schiena. -Io non sono un comune assassino.- mormorò Steve. Shadow si rialzò. Sentì che una vertebra gli era andata fuori sede: chiuse le braccia, aggrappando le mani a entrambe le spalle e contrasse i bicipiti. Un sonoro schiocco osseo gli disse che la vertebra era tornata in sede e al suo posto lasciò una fitta che gli sembrò una pugnalata. Volle gridare, ma si trattenne: non voleva dare soddisfazione al suo avversario. Entrambi doloranti, Steve e Shadow cercarono di assumere una posizione decente per fronteggiarsi. Si riavvicinarono di nuovo. Shadow sferrò un pugno che finì al lato della mascella di Steve. Steve indietreggiò e sputò un grumo di sangue vischioso di saliva. Corse addosso a Shadow e saltò protendendo una gamba per colpirlo al petto. Shadow, che vide Steve avvicinarsi lentamente, prese in tempo il suo piede e lo fece cadere a terra. Approfittò della momentanea distrazione del suo avversario e corse verso la finestra in fondo al corridoio. Con un tuffo in avanti sfondò il vetro e fece una capriola a mezz'aria, atterrando sul pavimento stradale in piedi. Mark e Maria, attirati dal rumore dei vetri rotti, corsero in direzione della sorgente del frastuono e videro Shadow. -Che cazzo è successo?- chiese Mark. -Un killer del Don.- rispose Shadow -Andiamocene, ora! -Cosa? Stai scherzando? E se fosse venuto per Shara? No, io vado su a stanarlo, quel bastardo. Mark salì di corsa le scale, sguainando le pistole. Arrivò al piano di Shara e vide Steve ancora affacciato alla finestra. -Ehi, figlio di puttana!- gridò Mark. Steve si voltò, facendo fuoriuscire rapidamente le pistole dalle maniche, e fece fuoco contro Mark. I proiettili di energia caotica colpirono le pistole di Mark, facendogliele cadere di mano. Mark ne rimase sorpreso. Steve continuò a sparargli addosso, facendolo svegliare dall'iniziale sorpresa. Mark si buttò addosso a lui, ma Steve ebbe il tempismo di buttarsi a terra e fare leva con il piede sul suo petto, facendolo volare fuori dalla finestra. Mark cadde sul pavimento stradale, lasciando un piccolo cratere con la sua forma. Steve decise che, nelle sue condizioni, non poteva continuare a combattere: corse verso le scale e le scese a folle velocità, rischiando più volte di inciampare. Una volta uscito corse via e sparì dalla vista. Maria e Shadow erano accorsi verso Mark, attirati dal tonfo sordo del suo corpo contro il pavimento stradale. -Tutto a posto, Mark?- chiese Maria. -Tutto ok: sono immortale, dopotutto.- rispose Mark, rialzandosi -Dov'è quel tizio? -È scappato. -Dobbiamo rimanere qui ad aspettare che torni qui: è probabile che... -No, non era venuto per Shara: era venuto per me.- disse Shadow. -Come fai a dirlo? -Me l'aveva detto. -Chiariremo la cosa quando saremo a casa, andiamo. I tre corsero, in direzione del ghetto. I loro passi risuonavano nelle strade deserte del quartiere.

-Li avete presi?- chiese Don Sonny, seduto dietro la scrivania, voltando le spalle al suo interlocutore. -No, la polizia era intervenuta prima che li potessi fare fuori.- disse Vittorio. -Quei fottuti poliziotti ficcano i loro fottuti manganelli nel culo degli altri al momento sbagliato. Hai chiuso la bocca di Maxey? -Morirà tra qualche ora, sempre che i suoi stessi pensieri non lo uccidano prima. -Meglio così. Adesso puoi riposarti, Vittorio, vai nella tua stanza. -Va bene, capo. Vittorio uscì dalla suite royal del Don. -Quei figghi de bottana ci stanno procurando più rogne di quanto credessi, Candy.- disse il Don. -Allora dobbiamo tenerli occupati.- disse una voce femminile. -Hai qualche idea? -Mandiamo i Cobra nel ghetto e teniamo occupati gli echidna: quando si renderanno conto di chi li ha colpiti, staranno a perdere tempo tra loro e a litigare. -Tu dici che gli echidna gli ammazzeranno? -L'echidna nero è il killer fidato di Nicky la Punta: il capoclan, quando saprà il motivo della rappresaglia, perderà tutta la fiducia nei suoi confronti. -Sei diabolica, Candy. -Lo so. -Allora chiama i ragazzi: abbiamo visto cominciare un problema, adesso lo risolviamo.

FINE SECONDA PARTE

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Cosa succederà nel ghetto? Chi è la misteriosa ragazza con cui il Don aveva parlato? Riusciranno i nostri eroi a spuntarla? Riuscirà Sam Hog ad incriminare il Don con prove concrete? E, soprattutto, riusciranno Maria e Shadow a darsi da fare una volta per tutte? Saprete la risposta, non appena terminerò di scrivere la storia. Che vi credevate? Che ve lo dicessi adesso? AH! Illusi!