In questa notte orrendamente tinta di verde, la morte mi ha sorriso ed io l'ho abbracciata in nome dell'amicizia e del dovere.
La mia anima è perduta, tra il fuoco del nulla e il gelo del silenzio, ma so che non troverò requie, né dall'uno né dall'altro.
Solo l'amaro sapore di un addio mi lega ancora a questa vita, un addio che mi confina nel deserto dei miei giorni futuri, vuoti d'umanità e illuminati solo da un cielo privo d'ogni stella.
Il rimorso d'un lontano passato diventa presenza opprimente della mia nuova realtà e sigilla ogni finestra da cui potevo respirare innocenza.
Eppure, sono pronto ad affrontare la mia condanna a vivere: ho ancora dei doveri da assolvere, colpe da commettere e anime da salvare, prima di potermi dire finito.
Così precipito nell'abisso del mio futuro, dove il fondo non è la fine del dolore, ma solo l'inizio di una maggiore sofferenza che dovrò affrontare per continuare a compiere il mio dovere.
Adesso, però, non sono più io.
Non ebbe paura, era
uscito da se stesso:
era una creatura
appena creata dalla morte,
era il suono d'una campana rotta
che l'aria sferza come il fuoco,
era condannato a vivere[1]
Sono solo un automa, sorretto esclusivamente dalla determinazione di portare al più presto, e a qualsiasi costo, i Mangiamorte fuori della scuola, prima che altro sangue innocente scorra in questa notte di disperazione.
Ho promesso ad Albus che avrei protetto i suoi ragazzi e manterrò anche questo impegno.
Afferro Draco per il colletto e lo trascino via con me, mentre intimo agli altri di uscire subito.
Il ragazzo è terrorizzato dall'accaduto, ma, soprattutto, ha paura di me, dopo ciò che mi ha visto fare.
Mi chiedo dove diavolo sia Potter e perché ancora non abbia cercato di fermarmi… o di uccidermi.
Ai piedi della torre ci sono altri Mangiamorte che stanno combattendo contro l'Ordine. Ci sono forme scure a terra, ma non posso fermarmi per capire di chi si tratta, né per aiutare chi presto mi odierà: devo evitare altre morti e far cessare subito la battaglia, trascinandomi dietro nella fuga quelli che d'ora in poi diventeranno i miei soli, orrendi e disgustosi amici.
Ancora ordino gelido a tutti di andar via e spingo Draco davanti a me, per proteggergli le spalle.
Sto correndo a perdifiato nel parco, fuggendo dall'unico luogo che posso chiamare "casa", mentre Potter, infine comparso dal nulla, m'insegue per vendicare la morte di Albus.
Mi accorgo di non provare più alcuna emozione, come se davvero non avessi più un'anima.
Il raggio rosso dello schiantesimo passa appena oltre la mia testa: mi fermo per proteggere la fuga di Draco, mentre lo incito a correre.
Per due volte provi a cruciarmi, Potter, ed io te lo impedisco. Lo sai che sono Maledizioni senza Perdono? Hai già imparato a usarle? Sai quanto ti può costare, dentro?
Ti rispondo beffardo, mettendo in dubbio le tue capacità, mentre devio con facilità gli incantesimi urlati nella notte rischiarata dalle fiamme che avvolgono la capanna di Hagrid.
Sento Thor guaire, mentre mi dai del vigliacco perché non reagisco al tuo attacco.
Possibile che tu non riesca proprio a capire che non voglio farti del male?
Che, nonostante ciò che mi hai visto fare, sono dalla tua parte, l'unico che potrà aiutarti, ora che Silente non c'è più?
Quanto rendi difficile il mio compito, presuntuoso ragazzo!
Mi è impossibile non ricordarti, provocatorio, che tuo padre non mi attaccava mai se non erano in quattro contro uno: non era vigliaccheria, quella?
Ancora urli incantesimi che paro con facilità, per averli letti nella tua mente: quando imparerai a occluderla?
Cerco di impartirti un'ultima, utile lezione di Difesa contro le Arti Oscure, proprio qui, sul campo di battaglia.
Poi, ancora una volta, incito i Mangiamorte ad allontanarsi, ricordando loro che presto arriveranno gli Auror.
La mia Hogwarts ha già subito troppi oltraggi e dolori: non ne permetterò altri.
Riprendo a correre verso i cancelli, quando urla lancinanti mi bloccano: quella carogna di Rowle sta cruciando Potter.
Intervengo rapido a interrompere la maledizione, colpendo a mia volta con voluta durezza il grosso Mangiamorte biondo, mentre ti contorci a terra e, senza neppure usare la Legilimanzia, percepisco il tuo intenso odio contro di me: stai pensando che sia io a torturarti.
Urlo ancora un'ultima volta l'ordine di ritirata e finalmente li vedo correre verso i vicini cancelli.
Tu, Potter, invece non demordi ancora: respingo con facilità il tuo Sectumsempra, sempre verbalmente lanciato, poi intercetto il Levicorpus nei tuoi pensieri.
Le fiamme della capanna di Hagrid sono l'unica fonte di luce e, per un istante, nella penombra della notte rivedo James Potter usare contro di me gli incantesimi che io stesso avevo inventato, umiliandomi davanti a tutta la scuola.
Sono sconvolto oltre ogni dire per ciò che ho appena dovuto fare a Silente e l'odio contro di me e il mio orrendo gesto esplode, improvviso e incontrollato, quasi fossi tornato a essere il solitario ragazzo d'un tempo, rifiutato e schernito da tutti, ma ora finalmente in grado di vendicarsi: l'incantesimo schizza da solo dalla mia bacchetta e ti colpisce, scagliando a terra il figlio dell'odiato James Potter.
Albus ti ha fatto avere il mio libro affinché potesse esserti utile nella lotta contro Voldemort, il libro del Principe, il libro che contiene tanta parte della mia infelice giovinezza, e tu, Harry Potter, il Prescelto, proprio come il tuo schifoso padre rivolti contro di me le mie invenzioni.
No, non te lo permetterò!
Senza rendermene conto, i pensieri diventano parole, urlate con il dirompente odio represso di anni di feroci umiliazioni subite, mentre con un movimento inconscio faccio schizzare lontano la tua bacchetta.
La tua atroce accusa mi trafigge, come null'altro potrebbe straziarmi con maggiore crudeltà:
- Mi uccida come ha ucciso lui, vigliacco…
Il dolore esplode, brucia spietato, intenso e devastante, nel cuore e nella mente, e sconvolge il mio viso insieme con l'immane disperazione di chi, alla fine, deve affrontare la tremenda realtà.
Ho ucciso Albus Silente, il mio unico amico, il padre che ha saputo amarmi, nonostante i miei errori e le mie colpe, il grande mago che mi stimava e che credeva in me fino in fondo.
C'è voluto tutto il mio coraggio, la mia forza e la mia determinazione per farlo, per riuscire a pronunciare le due fatali parole e dirigergli contro la mia potente magia, sbalzandolo perfino fuori dalla torre, nella notte nera della mia perdizione, per adempiere l'orrido dovere che lui stesso mi aveva assegnato.
Tutto il mio coraggio… e quel poco che restava della mia povera anima, già troppo lacerata.
Sento un urlo squarciare la notte e la magia erompe incontrollata dalla mia bacchetta:
- NON CHIAMARMI VIGLIACCO!
Sfuria nelle tenebre il vento
in un rombo continuo.
Null'altro nel mio pensiero
che il non poter sostare.
L'anima pare abbia tenebra,
dove spiri in crescendo
una follia che insorge
da volontà d'intelletto.
Infuria nelle tenebre il vento,
né si può liberare.
Son legato al mio pensiero
come il vento è legato all'aria.[2]
Mi sono infine smaterializzato e adesso anche Hogwarts appartiene al passato, per sempre perduta.
Il vento mi romba nelle orecchie in queste nuove tenebre che mi circondano: vorrei fermarmi a raccogliere i pezzi di me stesso, ma so che ancora non mi è concesso e devo, invece, continuare a fuggire da quelli che erano i miei amici, solo per rifugiarmi tra quelli che sono i miei veri nemici.
So di aver colpito Potter con violenza, ma non so quanto il mio gesto sia stato volontario, travolto com'ero dal dolore per aver ucciso Albus, mentre lui m'accusava di vigliaccheria.
Non immagina, il ragazzo, quanto mi è costato pronunciare le due fatali parole: mi ha visto puntare la bacchetta, ma non ha sentito l'urlo sconvolto della mia anima che moriva insieme al padre che non ho mai avuto, mentre ingoiavo lacrime di disperazione e odiavo me stesso più di quanto mi sia mai odiato in vita mia.
Potter ha visto l'odio e il disgusto sul mio volto, senza capire che solo a me erano diretti quei sentimenti, a me che dovevo trovare la forza e il coraggio di uccidere il mio unico amico.
E l'ho trovato, non so come, ma ho trovato il coraggio.
Forse era nei suoi occhi azzurri che mi guardavano con dolcezza, o nella sua debole voce che m'implorava.
Forse era nell'affetto che provavo per lui.
Sto piangendo, adesso, da solo, in mezzo al vento che infuria nelle tenebre della mia anima annientata.
Vorrei poter annegare nei ricordi, nella nostalgia e nel pianto e abbandonarmi all'oceano di tristezza che preme furioso dentro di me; se lo facessi, le onde tempestose che mi scuotono renderebbero irraggiungibile il remoto orizzonte della salvezza. Non posso far altro che aggrapparmi alla zattera del dovere, oppresso dall'immane zavorra dei rimpianti e dei rimorsi, e percorrere con fierezza la dolorosa via della redenzione, lo sguardo fisso volto solo allo scopo finale: distruggere Voldemort.
Mi sono materializzato un po' discosto dal punto indicato da Greyback mentre fuggiva. Ho un assoluto bisogno di solitudine e raccoglimento prima di indossare la nuova e tremenda maschera, di traditore e assassino: rimarrà per sempre inchiodata sul mio volto a soffocare le lacrime di un'immensa sofferenza che nessuno crederà mai che io provi.
"Mi uccida come ha ucciso lui, vigliacco…"
Non sono un codardo, Potter, sono solo un uomo coraggioso e sventurato che ha spalancato con le proprie mani le porte dell'inferno.
Ci vuole un enorme coraggio per dannare per sempre la propria anima, come io ho fatto questa notte, uccidendo Albus.
E a nulla vale il pensiero che lui sarebbe ugualmente morto, di lì a poco.
Il mio essere risuona di urla strazianti:
non più pace, non più i miei amati silenzi.
Io che nel mistero fondevo il rimorso,
vorrei farmi eco della tempesta inumana
che ora grandina sulla coscienza,
piegandola all'amaro sapore della polvere,
sospingendola oltre i labili confini del nulla.[3]
Io l'ho ucciso, io ho ucciso chi un tempo aveva saputo accettarmi, con tutte le mie colpe, e mi aveva teso la mano aiutandomi a uscire dal baratro.
L'ho ucciso, e nell'abisso sono tornato, ottemperando al suo ultimo ordine e compiendo il mio dovere.
"Severus… ti prego…"
Mi ha supplicato, con la solita ferma dolcezza, nei limpidi occhi azzurri la fiducia che ha sempre avuto in me, sicuro che non l'avrei deluso, che avrei mantenuto le mie promesse, tutte.
Ed io l'ho ucciso.
Le lacrime inondano anche i miei pensieri e mi sembra di impazzire: non posso più restare qui, devo assolutamente raggiungere gli altri, c'è ancora una promessa essenziale da mantenere e un dovere importante da compiere.
Proteggere l'anima di Draco e salvarla dalla dannazione.
Aiutare Potter a trovare e distruggere gli Horcrux per sconfiggere infine l'Oscuro.
Mi aggrappo ostinato alla volontà, rinnegando l'esistenza di qualsiasi emozione in me; grazie ai lunghi anni di esercitazione nell'Occlumanzia mi concentro solo sulla missione, per eseguirla al meglio, sfruttando a fondo tutta la mia intelligenza.
Come un folle, divido me stesso, nego l'esistenza dei miei sentimenti, seppellendoli in profondità nel segreto del mio cuore, sotto una spessa e impenetrabile coltre di ghiaccio; resto legato solo ai miei lucidi e logici pensieri, diventando un tutt'uno con loro, così come il vento, che ancora infuria nelle tenebre, è legato all'aria nera che mi circonda.
Non sono più uno, sono infiniti
invisibili nemici lesti a infonder morte
all'uomo che si è privato della vita,
ombra indistinta tra orizzonti smarriti.[4]
Un'ultima lacrima, mista al sangue del profondo sfregio inflittomi dall'ippogrifo, scende lenta sulla gota, unico accorato omaggio che mi è permesso in onore di un amico morto.
Un ultimo sospiro, pieno d'angosciata devastazione, per la mia Crystal perduta, e mi dirigo deciso e impassibile, a testa alta, verso il mio nuovo, orrido futuro, spietato Mangiamorte fra i Mangiamorte.
Avanzo guardingo tra le tenebre, quando un'ombra più scura attrae la mia attenzione e indistinti singhiozzi, portati dall'impetuoso vento, s'insinuano nel mio cuore.
Sembra che anche Draco, proprio come me, non abbia voluto materializzarsi nel luogo dell'appuntamento.
Oppure, ha solo sbagliato di poco la destinazione, per l'inesperienza della giovane età.
No, non lo credo: aveva la bacchetta abbassata, quando arrivai sulla torre, e Amycus ha affermato che non era stato in grado di svolgere il suo compito.
Non è il coraggio che difetta a Draco, ne sono certo: lui non è come me, non è un assassino.
Troppe volte l'ho udito piangere angosciato nel bagno di Mirtilla.
Non ho mai pianto, alla sua età: io ho ucciso, senza alcuna pietà.
Non è questione di coraggio, solo di lucida follia, e lui non è mai stato esaltato come un tempo sono stato io, troppo ambizioso di gloria e sapere per ragionare con coerenza e capire cosa stavo facendo, il cuore accecato dall'odio verso un mondo che non mi aveva mai accettato.
E adesso, che solo invoco la morte per espiare le mie colpe, infine comprese a pieno, devo invece accettare di vivere per proteggere l'anima di Draco, ancora innocente e fragile, mentre la mia è da troppo tempo perduta, seppellita sotto un cumulo d'imperdonabili crimini.
Non son chi fui; perì di noi gran parte:
questo che avanza è sol languor e pianto.
E' secco il mirto, e son le foglie sparte
del lauro, speme al giovenil mio canto.
Perché dal dì ch'empia licenza e Marte
vestivan me del lor sanguineo manto,
cieca è la mente e guasto il core, ed arte
l'umana strage, arte è in me fatta, e vanto.
Che se pur sorge di morir consiglio,
a mia fiera ragion chiudon le porte
furor di gloria, e carità di figlio.
Tal di me schiavo, e d'altri, e della sorte,
conosco il meglio ed al peggio mi appiglio,
e so invocar e non darmi la morte.[5]
Mi avvicino silenzioso alle spalle di Draco.
È facile immaginare il suo stato d'animo. È disperato e terrorizzato: dopo il suo fallimento teme per la propria vita e per quella dei suoi cari, si crede solo e abbandonato da tutti, anche da me che, freddamente e davanti ai suoi occhi, ho fatto ciò che lui non ha voluto fare.
Anche Draco, come tutti ormai, mi teme credendomi uno spietato assassino, incapace di provare sentimenti.
Un assassino con acuminate lacrime di cristallo scolpite per sempre sul volto, il cui cuore sanguina con lancinante pena.
Un'anima perduta, sola nella notte della propria devastante agonia, viva esclusivamente per espiare le colpe e compiere il dovere assegnato.
E come una statua che rimpiange la vita,
lo sguardo abbandona l'umanità della luce
e avanza freddo nel buio nitido del dovere.[6]
Impugno la bacchetta e avanzo guardingo: devo riuscire a individuare i pensieri di Draco, comprendere fino in fondo la sua anima, essere certo che la sua è stata una scelta e non solo paura.
Devo sincerarmi che Draco non è e non sarà mai ciò che io sono stato, che non seguirà la strada sbagliata che io intrapresi pieno d'arroganza, che il suo braccio rimarrà sempre libero dal vergognoso marchio di schiavitù dell'Oscuro Signore.
Devo proteggere e difendere la sua anima, illuminargli la strada e indirizzare le sue scelte, affinché Albus non sia morto invano e la mia discesa all'inferno possa almeno essere utile a qualcuno.
Devo aiutarlo, devo riuscire a impedirgli di rovinarsi la vita.
Lo devo a un ragazzino triste e solitario, rifiutato e umiliato da tutti; lo devo a un giovane troppo intelligente per accettare di non essere stimato per il suo vero valore; lo devo a un uomo che non ha mai vissuto e ha dovuto rinunciare a ogni illusione e all'amore per pagare ogni suo terribile debito.
Lo devo all'uomo che sono, che ancora ricorda e sogna l'amore di Crystal.
Lo devo al mago cui Albus ha rivolto la sua ultima e fiera preghiera, non all'assassino che tutti credono che io sia.
Lo devo a me stesso.
Lo devo a ciò che rimane dell'anima di Severus Piton.
Altre anime hanno
dolenti spettri
di passione. Frutta
con vermi. Echi
di una voce bruciata
che viene da lontano
come una corrente
d'ombra. Ricordi
vuoti di pianto
e briciole di baci.[7]
[1] Pablo Neruda – Dal poema "La spada di fuoco". Tratto da: XVI – La solitudine.
[2] Fernando Pessoa – "Sfuria nelle tenebre il vento".
[3] Earendil.
[4] Earendil.
[5] Ugo Foscolo – "Odi e sonetti" : "Di se stesso".
[6]Earendil.
[7] Garcia Lorca – Tratto da "Ci sono anime che hanno…"
