Grazie dei commenti a Mary Silenciosa, Ericka Larios, Cla1969, Charlotte, Eydie Chong, MariaGpe22: per chiarezza a tutti. Ho specificato notte e mattina per dividere i due momenti. PRIMA mostro il momento dello sparo, quindi TORNO INDIETRO nel tempo raccontandovi cosa è accaduto dalla mattina in poi. Chiarirò in questo capitolo il mistero del testamento e vedremo cosa la zia Elroy ha riservato a Candy. Cosa è successo davvero ad Albert? So che qualcuno ha vissuto dei giorni mangiandosi le unghie e avendo la tachicardia, sapendo che gli avevano sparato, ma in questo capitolo, forse saprà...
Inevitabili confronti
24 Settembre, pomeriggio
Da quando era piccolo, Albert era sempre stato costretto a nascondersi. Anche da adulto lo aveva fatto, usando le sue diverse personalità per far credere a tutti che fosse un vecchio ed eccentrico patriarca, un barbone senza fissa dimora e un amico devoto. E la parte più vera di lui, ovviamente, era in quell'amico che aveva sempre cercato di sostenere Candy.
Ora non poteva più farlo, non come una volta perlomeno.
In quella stanza, mentre il notaio comunicava che ai Lagan sarebbe andata una fetta di fortuna così esigua che ne scaturì quasi un litigio, Albert si ritrovò a dover dividere di nuovo cuore e cervello in tante parti diverse: il patriarca autorevole che cercava di riportare ordine rimproverando una furiosa Sarah e un'indignata Eliza; il marito che doveva nascondere a sua moglie quanto fosse distratto dalla sola presenza di Candy al proprio fianco sin dal momento in cui era arrivata; e l'uomo innamorato che restava sepolto sotto tonnellate di un autocontrollo che non seppe affatto dove stesse trovando.
"È inconcepibile che la zia Elroy abbia lasciato la maggior parte dell'eredità a Candy subito dopo te e Archibald! William, ci dev'essere di sicuro un errore!".
Albert, che si era alzato in piedi per fronteggiare Sarah, prese un lungo respiro prima di risponderle, curandosi di guardare Raymond che sembrava altrettanto contrariato ma più calmo: "Ti assicuro che non ci sono errori, come il signor Jackson ci confermerà". Si volse inarcando le sopracciglia verso il notaio, che pareva imperturbabile dietro i lunghi baffi bianchi. Era forse abituato a scenate simili?
"Naturalmente non ci sono errori, signor Ardlay. Le volontà espresse dalla signora sono molto chiare in merito: le somme indicate e i gioielli di famiglia sono stati distribuiti per oltre il cinquanta per cento a lei, che è il suo nipote diretto, parte al signor Cornwell, parte alla signorina White e solo in misura inferiore alla famiglia Lagan". La voce era discorsiva e controllata mentre si sistemava gli occhiali sul naso riassumendo quanto già detto.
Albert si concesse un breve istante per scrutare il viso di Candy, pietrificato in un'espressione di stupore che a malapena le faceva sbattere gli occhi, ma dovette porre tutta la propria attenzione su Eliza quando disse: "Sappiamo tutti che la zia, durante gli ultimi mesi, aveva problemi mentali. Sarebbe opportuno verificare se ci sono modifiche al testamento proprio in quel periodo".
"Già, perché non controllate?", le fece eco Neal, che era rimasto in silenzio fino a quel momento.
Raymond stava per dire qualcosa, ma ad Albert sfuggì un "ora basta!" duro come lo schiaffo che voleva dare a sua nipote e il pugno che avrebbe voluto sferrare al ragazzo. "Non vi permetterò di infangare la memoria di mia zia con queste supposizioni pregne di avidità! Il testamento è stato stilato nel pieno rispetto della legge e non tollero...".
"Io... non posso accettare...". La voce di Candy sembrava il pigolio di un uccellino spaventato, eppure la udì molto bene. Abbassò il capo per guardarla e vide che stava a malapena trattenendo le lacrime. "Io... io non merito tutto questo e non voglio essere motivo di discordia per la famiglia, visto che non porto nemmeno più il vostro cognome". Le mani artigliavano la gonna e Albert si rese conto che stava tremando come se avesse la febbre.
"Proprio così! Lei non è nemmeno una Ardlay!", quasi urlò Eliza.
"Taci, figlia!". Per fortuna, Raymond era intervenuto con voce abbastanza decisa, interrompendo il suo ennesimo intervento. "William, ti chiedo scusa a nome dei miei figli per il loro comportamento, ma non posso evitare di domandarmi se in qualche modo tu abbia avuto una parte in tutto questo".
"Ti assicuro che la zia ha preso questa decisione da sola. E ti ricordo che sono un uomo sposato e non vivo più alla villa di Chicago da tempo". Gli era costato dire quelle parole, però non voleva che qualcuno dubitasse della decisione oculata della zia: anche se aveva subodorato le sue intenzioni quando aveva modificato il testamento, la verità era che era rimasto altrettanto stupito nell'apprendere che la fetta destinata ai Cornwell e quella destinata a lei fossero quasi identiche. Senza contare che molti dei gioielli che le erano appartenuti li stava lasciando proprio a Candy, riservando a lui e a sua moglie solo gli averi di sua madre e sua sorella, per una questione di certo affettiva.
"Signorina Candice, la signora Ardlay le lascia anche questa missiva", intervenne il notaio facendo cenno a uno degli avvocati di porgergliela.
"Ma io... io...". Ed eccole le lacrime negli occhi della donna che amava, a rendere scintillante il suo sguardo e a far crollare le sue ultime autodifese.
Prima ancora di rendersene conto, Albert si era chinato su di lei come aveva fatto con la zia Elroy solo poche settimane prima, porgendole il proprio fazzoletto: "Candy, ti prego: accetta quello che la zia ti sta lasciando. Sono certo che lo ha fatto con tutto il suo cuore e che in quella lettera ti spiegherà le sue ragioni". La prese al posto suo e gliela mise tra le mani, sentendo quasi una scossa elettrica quando sfiorò la sua pelle.
Quanto le era mancato il suo tocco, anche se si riduceva a uno sfiorarsi di dita! E quanto avrebbe voluto asciugarle personalmente le lacrime che le rigavano le guance pallide, baciandole una ad una! Per interminabili istanti era come se ci fossero solo loro due che si guardavano e Candy che, come un tempo, gli parlava.
"Ma, Albert, non saprei che farmene di tutti quei soldi! Presto ripartirò per la Francia e ho il mio lavoro di infermiera!".
"Puoi sempre usarli per fare beneficienza o persino aprire un'altra clinica vicino a quella del dottor Martin o ovunque tu voglia. Hai infinite possibilità, Candy, sono sicuro che la zia ci ha pensato quando ha deciso di lasciarti quella parte di eredità".
"Sì, Candy, accetta quei soldi. Non so in che rapporti fossi con la signora Elroy, ma sono sicura che ha tenuto conto del fatto che eri la figlia adottiva del suo caro nipote". Albert si gelò: era la prima volta da quando erano entrati in quella stanza che Lilian apriva bocca e, anche se non aveva detto nulla di cattivo, le sue parole risultarono maligne come se le avesse pronunciate Eliza.
Figlia adottiva...
Quell'uscita infelice, però, fece smettere di piangere Candy, che divenne di nuovo seria e gli parve quasi arrabbiata. Si asciugò le lacrime nel fazzoletto e rispose con voce appena incrinata: "Visto che il patriarca e la futura matriarca me lo chiedono, allora non posso davvero rifiutare".
Albert non riuscì a impedirsi di fare una faccia stupita, voltandosi a guardare la moglie che stava persino sorridendo e una Candy che pareva essere diventata di ghiaccio.
Che diavolo sta succedendo? La futura matriarca... Lilian che convince Candy ad accettare quei soldi... mi sembra tutto così surreale...
Con gesti lenti, si rialzò avvertendo di colpo tutta la distanza tra loro. Era come se la voce di Lilian avesse ricordato a Candy che lui era un uomo sposato, anche più di quanto avesse fatto con la sua frase di poco prima.
E, incredibilmente, quella moglie indesiderata aveva appena risolto un problema.
Albert non credeva che lo avrebbe mai pensato, ma se avesse continuato a veicolare quel suo carattere arrogante e deciso nella giusta direzione, forse avrebbe quasi potuto sostituire degnamente la zia Elroy. Peccato che le mancasse la cosa più importante: il cuore.
"Bene, quindi è tutto sistemato, vero?". Il notaio terminò la lettura del testamento e infine il lungo pomeriggio volse alla sua conclusione.
Nel momento in cui furono liberi di uscire, vide Candy precipitarsi fuori dalla porta senza più degnarlo di uno sguardo, proprio come era accaduto mesi prima.
E Albert smise di pensare. Fece un passo verso l'uscita e la chiamò, pronto a seguirla.
"Dove credi di andare, caro?".
Dannazione.
Le unghie di Lilian erano quasi conficcate nel suo braccio e il volto severo gli indicò che la discussione era solo rimandata. Si era scoperto, aveva abbassato la guardia e la sua maschera era andata in mille pezzi. Chiunque, in quella stanza, avrebbe potuto notare quanto tenesse a Candy.
Col cuore diviso in due e i denti serrati per non gridare, Albert tornò riluttante sui suoi passi, giusto in tempo per affrontare l'ennesima discussione con Sarah e Raymond: non vedeva l'ora che la giornata finisse.
- § -
La tensione le scivolò addosso tutta insieme e, appena mise piede nella stanza, Candy crollò a terra, con le ginocchia sul pavimento e le mani a sostenersi. Le parve quasi un dejà-vù della rivelazione dell'identità dello zio William, solo che stavolta Albert non l'avrebbe aiutata a rialzarsi offrendole una tazza di tè.
Era troppo. Troppo tutto insieme.
Albert al fianco di Lilian. Le sue parole gentili, il suo sguardo; diamine, aveva potuto avvertire il calore del suo alito fresco mentre le si avvicinava per porgerle il fazzoletto! La voce di Lilian che aveva spezzato l'incanto ricordandole che, come aveva detto anche lui, era un uomo sposato. E il testamento nel quale la zia Elroy le lasciava una fortuna di cui non sapeva che fare.
Riconoscendo i segni inequivocabili di uno svenimento, Candy si arrampicò sul letto dove si lasciò cadere, chiudendo gli occhi davanti a mille puntini neri che le danzavano nello sguardo. Il sangue defluì dal capo facendole girare la testa e lasciandola intontita, quindi prese alcuni respiri profondi portando una mano al petto per controllare il cuore impazzito.
Ce l'ho fatta, va tutto bene. Appena mi sento meglio prendo la valigia e vado da Annie.
Invece, contro ogni aspettativa, quando riaprì le palpebre, divenute d'improvviso pesanti, era il crepuscolo perché la stanza era quasi al buio. Voltò il capo, confusa, e vide una sagoma accanto al suo letto.
Dio mio, Albert!
Ma no, non era lui, bensì Annie, che allungò una mano per toccarle la fronte: "Come ti senti?".
"Io... io...". Si puntellò su un gomito, passandosi le dita tra i capelli da cui i nastri si erano sciolti. "Quanto ho dormito?".
"Un paio d'ore. Quando non ti ho vista in giro ho subito pensato che ti fossi rintanata qui, ma ho bussato e non hai risposto. Sono entrata perché temevo ti fossi sentita male".
Candy ricordò la sensazione di sentire la terra mancarle sotto i piedi e pensò che doveva essere stato un mix di stanchezza ed emozioni troppo forti.
"Ho un'emicrania come quelle che aveva la zia", proruppe, "ma sto bene. Possiamo andare via, Annie? Il tempo di sistemare i capelli...". Il tono supplichevole dovette commuoverla, perché le fece un leggero sorriso e annuì.
Con gesti meccanici e dettati dalla fretta, Candy raccolse la valigia e controllò che sulla toeletta o sul letto non fosse rimasto nulla che le appartenesse: il desiderio di uscire per quei boschi e correre spensierata, magari a piedi nudi e al fianco di Albert, divenne quasi un dolore tangibile all'altezza del cuore.
Prima di lasciarsi trasportare dalla sofferenza uscì dalla stanza seguita da Annie e s'imbatterono in Archie. Chiese loro se tutto andasse bene, guardandola come fosse una persona malata che necessitasse di cure, e Candy lo tranquillizzò con un sorriso.
"La porto a casa mia, l'autista ci sta aspettando", intervenne Annie salutando il suo fidanzato con un breve abbraccio. Abbraccio che Archie riservò anche a lei.
"Promettimi di non fuggire prima che ci rivediamo".
"Ripartirò domani o dopodomani", gli rispose in tono contrito.
Il viso giovane dell'amico si corrucciò, facendola sentire in colpa: "Ti meriti un po' di riposo, senza contare che ci vorrà comunque qualche giorno prima che vengano svolte tutte le pratiche che ti riguardano".
Accidenti, non ci avevo pensato!
Candy chiuse gli occhi e aggrottò le sopracciglia. "Anche se fuggissi fino al Polo Nord non cambierebbe nulla... anche se fuggissi...".
"Candy...?".
Archie le stava sventolando una mano davanti al viso, mentre lei ripeteva quella frase che le aveva detto Annie come un mantra, a bassa voce, per darsi coraggio. E proprio la sua più cara amica la stava guardando con un sorrisetto di approvazione.
Fu quando giunsero al salone principale che Candy dovette raccogliere ogni briciola del proprio coraggio, perché lì si stava tenendo il rinfresco e, tra i tavoli e gli avventori, si poté sentire osservata anche se era al fianco di Annie e Archie.
Non posso andarmene senza salutare, la zia mi rimprovererebbe aspramente.
Si fermò dove cominciava un lungo tavolo pieno di vivande e di calici e fece appello a tutta la freddezza che poté quando si ritrovò di nuovo puntati addosso gli occhi maligni di Eliza e Sarah, quelli di pietra di Neal, nonché lo sguardo stizzito di Lilian. D'istinto, cercò quello di Albert e la pace che la invase fu quasi istantanea.
È come immergermi in un mare calmo e pieno d'amore dopo un freddo inverno.
Prese un respiro e si scusò, spiegando che sarebbe andata a riposare a casa dei Brighton per ripartire per la Francia di lì a pochi giorni.
"Oh, la Francia!". Lilian si illuminò come uno dei lampadari di cristallo sopra le loro teste. "Era la patria di mio padre, sai? E dov'è che lavori, di preciso?".
La donna si era alzata da una poltrona sulla quale era accomodata e Albert, che era in piedi accanto a lei, la fissò con vivo allarme mentre le si avvicinava. Cosa voleva, esattamente?
"Io... io non sono molto lontana da Parigi".
"E cosa farai con la tua parte di eredità, dunque? Seguirai il consiglio di mio marito e li userai per fare beneficenza come facciamo noi?". C'era qualcosa, nel suo tono, che fece comprendere a Candy quanto fosse simile eppure diversa da Eliza. Laddove quest'ultima non tentava di nascondere i sentimenti negativi o di avversione che provava, Lilian riusciva invece a mantenere una sfumatura gentile che la rendeva quasi credibile. Eppure, a lei suonò falsa come una banconota da tre dollari.
E quel mio marito, detto in maniera tanto possessiva da farle serrare i denti...
"Lilian, perché non lasci in pace Candy? Ha fatto un lungo viaggio e ha bisogno di riposare". Albert si era posizionato poco dietro di lei, ma non fece alcun gesto di affetto verso sua moglie, incatenando invece ancor più gli occhi ai propri.
Come poteva esserci tanto amore in uno sguardo? Tante parole, tanti desideri, tante lacrime e baci mai dati...
"Ma perché, tesoro? Sto solo consigliando la nostra gentile ospite! Candy, mangia qualcosa prima di andare. Non credo tu abbia avuto tempo di pranzare".
"La ringrazio molto, signora Ardlay", le rispose non senza difficoltà nel darle quell'appellativo. "Ma preferisco ritirarmi, anche se apprezzo la sua gentile offerta".
Tesoro... lo chiama tesoro...
Fece un lieve inchino e stava per voltarsi, abbandonando i laghi placidi e tormentati che la irretivano sin troppo, quando le parole di lei le gelarono il sangue nelle vene: "Però, devo dire che per essere una ragazza cresciuta in un orfanotrofio che fa l'infermiera sei davvero molto ben educata".
"Lilian!". La voce forte e perentoria di Albert fece volgere verso di loro molte teste e Candy si ritrovò riluttante protagonista di una scena che non avrebbe mai voluto vivere: umiliata di fronte all'uomo che significava tutto per lei e che di certo fremeva per difenderla.
Io sono Candice White e ne ho superati di ostacoli, nella mia vita!
"Sì, è vero", ribatté con voce chiara e quasi ogni mormorio si spense. "Se sono così devo ringraziare innanzitutto le donne che mi hanno cresciuta nel rispetto e nella dedizione per il prossimo. E lo devo al mio prozio William e alla compianta prozia Elroy, che mi hanno dato la possibilità di ricevere un'educazione degna di questo nome e a cui sarò sempre grata".
Quella risposta parve far andare di traverso un boccone amaro sia a Lilian che a Eliza, poco distante ma evidentemente con le orecchie ben aperte, e Candy seppe di aver detto la cosa giusta. Ne ebbe la conferma quando le labbra di Albert si incurvarono in un lieve sorriso di approvazione.
"Vogliamo andare, Candy?". Archie la prese con gentilezza per un braccio e si avvicinò anche Annie, ponendo fine alla conversazione. Pochi convenevoli e la sala, gli sguardi gelidi e le occhiate incuriosite dei membri del clan sparirono dalla sua vista, restituendole l'immagine del roseto di Anthony.
Ma, soprattutto, aveva di nuovo lasciato indietro Albert con un saluto composto che non corrispondeva affatto a quello che avrebbe voluto riservargli: non poteva permettersi nulla di più caloroso davanti a sua moglie.
Mentre gli occhi si riempivano di nuovo di lacrime, raccolse una delle ultime Dolce Candy rimaste e la strinse al petto.
A breve, tutte le rose perderanno i loro petali e non rimarrà che un freddo autunno...
Continuò a stringerla al petto anche quando la macchina si allontanò da Lakewood lasciandole solo tristi ricordi.
- § -
24 settembre, sera.
La porta sbatté e Lilian si voltò di scatto, congelata nel tentativo di sfilarsi l'abito che la stava stringendo fino a farla soffocare: da tempo, evitava l'aiuto della cameriera adducendo alla volontà di essere autonoma. In realtà, non voleva che si rendesse conto di quanto lo stato della sua gravidanza apparisse avanzato.
Per fortuna, quando William era entrato senza permesso dalla porta comunicante con la sua camera, non aveva ancora slacciato il corsetto col quale tentava di contenere la rotondità del ventre. Gli occhi fiammeggianti le fecero dubitare per una frazione di secondo che volesse, alfine, rivendicarla come moglie, cosa che a quel punto rappresentava un rischio notevole. Ma Lilian si rese immediatamente conto che il motivo della sua rabbia era Candy.
Perfetto, perché era anche il motivo della propria, di rabbia. Finalmente, avrebbero avuto quel confronto.
"Cosa ti ha fatto pensare di poterti rivolgere a un membro della mia famiglia in quel modo?", domandò senza preamboli, mentre lei afferrava una vestaglia dall'armadio e la infilava.
"E a te cosa fa pensare di poter entrare così nella mia stanza senza bussare? Desideri per caso ottenere da me ciò che non puoi più avere da lei?", rimbeccò avvicinandosi.
"Non ti azzardare a cambiare discorso, Lilian!", tuonò guardandola.
Lo fronteggiava e in lei riemersero sensazioni e sentimenti in forte contrasto fra loro: attrazione e repulsione; desiderio di assaporare quelle labbra contratte in una smorfia d'ira e la voglia incontenibile di prenderlo a schiaffi. Le braccia di Ethan e quelle di William: entrambe impossibili da raggiungere, ma anelate quasi allo stesso modo, forse proprio per quel motivo.
O per quel desiderio ardente e mai davvero soddisfatto di essere amata...
"Candy non fa più parte della tua famiglia, non capisco ancora come tua zia abbia potuto darle una fetta così grande della sua fortuna!". Distolse lo sguardo, sconfitta, temendo di essere risucchiata nei vortici azzurri dei suoi occhi.
"Non ti devo spiegazioni e tu non hai scusanti per essere stata tanto arrogante con Candy, umiliandola in quel modo! Me lo sarei aspettato da Eliza, ma tu hai superato ogni limite comportandoti persino peggio di lei! E per fortuna che non ci sono stati altri eventi pubblici, a parte il funerale della zia Elroy...".
"E qual è stata la parte che ti ha dato più fastidio? Quella in cui ho detto chiaramente che era la tua figlia adottiva?! Oppure quella in cui ribadivo ciò che tutti sanno, ovvero che è un'orfana senza un nome?".
"Non devi parlare male di lei! Tu non la conosci affatto e non devi permetterti di dare giudizi su di lei o sulle sue origini!". La voce si era alzata di almeno due ottave.
Non era la prima volta che vedeva il volto angelico di suo marito trasformarsi per una furia quasi demoniaca: William era arrabbiato, ma lei lo era ancor di più e non si sarebbe risparmiata. Non stavolta: "La stai difendendo perché la ami!", gli gridò in faccia. "E sai una cosa?! Questo sì che mi riguarda, perché sono io tua moglie, non lei! Non mi abbasserò a farti scenate di gelosia, ma non ti permetterò di umiliare me davanti all'orfana che, con la scusa di essere la tua infermiera, ha vissuto con te per più di due anni! Cos'è, sei frustrato perché non puoi più averla nel tuo letto e solo lei è in grado di eccitarti?".
Lo schiaffo fu improvviso e somigliò più a un buffetto dato a un bambino capriccioso che non a un colpo vero e proprio. Forse fu quello a ferirla di più: se non fosse stata una donna e per giunta incinta, era certa che ne avrebbe ricevuto uno più forte. Persino in quel frangente la sottovalutava.
Volse lentamente il capo, che aveva girato un poco, e vide che il braccio ancora teso di William tremava: "Ringrazia che sono un gentiluomo e odio la violenza. Non avrei mai creduto che una donna mi avrebbe fatto perdere il controllo fino a questo punto, un giorno. Ma tu, Lilian, stai tirando fuori davvero la parte più oscura di me e non posso sopportarlo!".
"La verità ti fa male e speri di coprirla con un finto schiaffo facendo passare me dalla parte del torto?". Posò una mano sulla guancia e si rese conto che bruciava anche se non l'aveva colpita sul serio. "Ho visto come la guardavi e come lei guardava te, non sono cieca o stupida!".
Lo sguardo di William divenne pensieroso e lo vide tentare di recuperare il controllo facendo qualche passo indietro e intrecciando le dita tra i capelli, stringendone alcune ciocche e poi lasciandole andare. Facendole chiedere, dannazione, quanto potessero essere setose al tatto.
Sentimenti contrastanti...
"Non so perché te lo sto dicendo, visto che il mio passato non ti riguarda, ma sappi che il rapporto tra me e Candy è sempre stato basato solo sull'amicizia. L'ho sempre rispettata, che tu ci creda o no, anche quando mi ha aiutato a recuperare la memoria". Si era seduto su una poltrona accanto al letto con i gomiti sulle ginocchia e le mani intrecciate.
"Non mi interessa quello che è accaduto prima, William! Non tollero che agli occhi della gente sia evidente quanto tieni a lei rispetto a me. E non parlo del tuo chiaro tentativo di difenderla, visto che lo ha fatto benissimo anche da sola: parlo degli sguardi che le rivolgi e da come lei ti parla, chiamandoti con il tuo secondo nome, trattandoti con tanta confidenza!".
"Ci conosciamo da più di dieci anni!".
"Non mi importa! Lo stesso rispetto che tu pretendi da me devi anche restituirmelo! Davvero sei felice che tutti pensino che il nostro matrimonio sia solo una facciata? Ho cercato disperatamente di salvare le apparenze quando ci siamo sposati, visto che ero già incinta, ma il tuo atteggiamento nei miei confronti nelle poche occasioni pubbliche cui ho partecipato contraddice le mie parole di allora! Mai un gesto di affetto, mai uno sguardo come quelli che riservi a lei, è come se io fossi invisibile! Aspetto un figlio tuo, William, che ti piaccia o no! Tu hai fatto l'amore con me, mi hai desiderata e mi hai messa incinta prima ancora che io potessi...". Un dolore lancinante la costrinse a piegarsi sul letto, una mano che andava automaticamente al ventre.
"Lilian!". Ecco il tono preoccupato, le mani ora gentili che la afferravano per le spalle aiutandola a stendersi, gli occhi privi di odio che la scrutavano.
Si impose di respirare lentamente, sapendo che si trattava di una contrazione: Frank le aveva detto che sarebbe potuto accadere e che, in quel caso, aveva bisogno di calma e riposo perché se si fossero intensificate con quell'anticipo rischiava davvero un parto prematuro.
"Non è nulla, ora mi passa".
"Chiamo un medico", disse William in tono pratico, cominciando ad allontanarsi.
"No! Mio zio mi ha avvisata, è... normale. Mi sono solo agitata troppo".
Lui la fissò per qualche istante, di sicuro chiedendosi se stesse ancora cercando di evitare altri medici per nascondergli la verità. Vide in lui la lotta interiore e, con sua somma sorpresa, si ritrovò a leggere nei suoi occhi la medesima domanda che si poneva lei: perché non posso stare al fianco di chi amo?
Mentre l'aiutava, sistemandole dei cuscini dietro la schiena, Lilian si chiese come quell'uomo potesse passare da un comportamento all'altro come se nulla fosse. Che tipo di donna sarebbe dovuta essere per meritarsi quelle attenzioni senza per forza doversi sentire male?
Adoro la tua arroganza, voglio cibarmi del tuo carattere deciso, bere dalle tue labbra irriverenti.
Era stato Ethan, in un impeto di passione, a mormorarle quelle parole mentre la possedeva con ardore. Quel suo amore così carnale e tangibile era raramente dolce e tenero, ma lei non se n'era mai lamentata. Anzi, adorava proprio quel lato selvaggio del suo carattere e lo riscopriva in sé.
Eppure, la bambina orfana di padre che ancora viveva in lei aveva spesso bisogno della delicatezza di un amante paziente che la tenesse fra le braccia anche senza secondi fini, che la cullasse e la facesse sentire completa.
Lilian spalancò le palpebre, comprendendo all'improvviso cosa ci fosse in William che l'attraeva tanto: quando era arrabbiato le ricordava molto vagamente Ethan, ma quello cui anelava davvero era la dolcezza che sembrava emanare nei momenti di calma e dedizione. Rari e preziosi come quelli che aveva vissuto per pochissimo tempo da piccola.
Senza neanche rendersene conto, aprì le braccia e si strinse a suo marito, supplicandolo prima di potersi mordere la lingua: "Ti prego, stringimi".
Avvertì i muscoli del torace irrigidirsi, le mani bloccarsi a un soffio dalla propria schiena. "Lilian...".
"Non voglio ingannarti, né chiederti nulla. Solo... abbracciami per un istante, per favore". Sapeva di averlo disorientato, lei stessa lo era! Un minuto prima stavano litigando con furia, ora lei pareva prostrata. E sapeva che William stava titubando e temeva che potesse tentare di sedurlo. Ma dopo la rabbia, dopo le parole dure, Lilian si sentì vuota e priva di energie e fu di nuovo senza alcun intento secondario che si ritrovò a spiegare, con le lacrime agli occhi: "Mia madre e mio zio erano le uniche persone che avevo al mondo e mi hanno delusa. Non mi rimani che tu... e il nostro bambino". L'unica bugia che aveva detto riguardava il bambino, il resto le venne dal cuore.
Come fai a suscitare in me... tutto questo?
William dovette percepire la sua sincerità perché avvolse con delicatezza le braccia dietro la sua schiena, alfine, allentando la tensione dei muscoli, permettendole di godere del suo calore.
Sei la cosa più preziosa che ho...
Le sue labbra formarono la parola 'papà', ma la voce non arrivò. Il momento di complicità che stava vivendo con William portò finalmente chiarezza nel suo cuore.
Né Ethan, né William. Nessuno avrebbe mai potuto sostituire la mancanza di suo padre. Mai.
Ma, mentre William rimaneva il sogno proibito di un amore acerbo che non sarebbe mai sbocciato davvero nel proprio cuore e tantomeno nel suo, Ethan era la cosa che più si avvicinava alla passione
o alla perdizione
e lei non voleva rinunciarvi per un momento di tenerezza con qualcuno che non le sarebbe mai appartenuto.
Quell'uomo così tenero che le rivolgeva parole gentili, inducendola a riposare subito dopo averla schiaffeggiata in modo simbolico, doveva essere eliminato in favore dell'altro, il padre di suo figlio, quello che le faceva tremare il corpo come l'anima.
E, mentre usciva dalla sua stanza augurandole la buonanotte, Lilian si chiese ancora una volta come avrebbe fatto a dare seguito a quell'intenzione. E se davvero fosse ancora quello che desiderava.
- § -
Albert si lasciò cadere sul letto con una mano sul capo. Contrasse le dita fino a strofinare la fronte, appianando le rughe che aveva creato con il cipiglio stanco e confuso; si stropicciò gli occhi, che avevano sonno ed erano pieni di immagini di Candy, composta e bella come non mai nel suo portamento semplice ed elegante, quasi fiero, e di Lilian, che gli era di nuovo apparsa fragile sotto la facciata arrogante.
Lo avrebbe fatto impazzire con quelle sue uscite maligne seguite da momenti in cui pareva vulnerabile come un passerotto spaurito!
Con un sospiro, si mise a osservare il soffitto, le cui decorazioni di foglie e fiori all'incrocio con le pareti conosceva a memoria e desiderò poterle toccare. Solo quella mattina aveva pensato che immergersi nella natura non sarebbe più stato gradevole come un tempo, né lo faceva da mesi.
Ma ora si trovava a Lakewood, sfinito nel corpo e nello spirito, e nonostante la temperatura autunnale decise di tornare alle proprie origini. Con gesti fluidi, si alzò dal letto e si liberò degli abiti da cerimonia, indossando dei pantaloni comodi, un maglione e la sua giacca preferita. Per qualche istante, fu tentato di cercare la sua vecchia sacca, riempirla di provviste e ricordi e rimettersi a vagabondare, fuggendo da tutto e da tutti.
Ovviamente non poteva. Stava per diventare padre e aveva delle responsabilità cui fare fronte, così si limitò a uscire in corridoio, camminando a passi lenti per non svegliare né Lilian né la servitù, fino a raggiungere la porta principale. Quando la aprì, inspirò a fondo l'aria fresca della notte e si sentì quasi in pace.
Ti amo, Candy. Ma non posso farci nulla. E amo quel bambino.
Erano gli unici punti fermi della propria vita, realizzò camminando nel roseto e allontanandosi verso il bosco fin dove la luce dei lampioni lo permetteva. Lilian, invece, sfuggiva a ogni sua analisi: era certo che in lei convivessero tormenti interiori molto profondi, che non giustificavano di certo il suo carattere impulsivo e sgradevole, ma che alle volte la rendevano quasi... fragile.
Nel momento in cui gli aveva chiesto di stringerla, Albert era stato certo che stesse facendo un altro tentativo di sedurlo, invece aveva sentito in lei una sincerità che aveva avvertito solo quando parlava di suo padre.
Deve aver sofferto della sua perdita molto più di quanto pensi lei stessa.
Non voleva lasciarsi intenerire, pensò fermandosi nei pressi di un albero dal fusto robusto e dal fogliame folto, eppure la parte umana di sé non aveva potuto negarle un abbraccio. A lei, la donna che forse gli aveva cambiato la vita per sempre.
Colto da un impulso irrefrenabile, Albert iniziò ad arrampicarsi, tentando di impedirsi di ricordare quando lo faceva con Candy e concentrandosi invece sullo schiaffo mancato che aveva dato a Lilian. La rabbia voleva imprimere forza; la pietà e l'educazione glielo avevano impedito. Era rimasto un gesto simbolico che voleva farla tacere e smettere di dire eresie contro Candy.
Mai, mai ho alzato una mano contro un essere più debole di me. Mai l'ho fatto, se non per difendermi.
Stava perdendo l'essenza più vera di se stesso, trasformandosi in un uomo pieno di rancore, tristezza e dubbi. Non gli piaceva affatto quel nuovo William Albert, neanche un po'.
"Candy...", mormorò accomodandosi su un ramo alto e appoggiando la schiena al tronco. "Chissà quando ti rivedrò...".
Ebbe appena il tempo di avvertire il pizzicore delle lacrime dietro gli occhi che qualcosa attirò la sua attenzione, facendogli sbattere le palpebre: era il verso di un gufo e proveniva da uno dei rami sottostanti. Il verso successivo gli fece abbandonare la sua posizione comoda per abbassare il capo e guardare con i propri occhi.
"Poupee!", esclamò rendendosi conto che non poteva affatto essere lei, ma una puzzola che le somigliava. L'animaletto sfrecciò fino a corrergli sulle gambe, inseguita dal grosso volatile che per poco non gli fece perdere l'equilibrio sbattendo le ali.
Fu allora che il colpo esplose, forte, rimandandogli il rumore del legno che si rompeva mentre lui precipitava dall'albero, l'espressione di stupore congelata sul viso.
