Grazie dei commenti a Cla1969, Mary Silenciosa, Ericka Larios, Dany Cornwell, MariaGpe22, Eydie Chong, Charlotte: molte cose sono rimaste in sospeso nello scorso capitolo, mentre altre si stanno evolvendo. Ora, finalmente, scopriremo cosa è successo ad Albert! Lui non sopporta più le insinuazioni di Lilian, tant'è che arriva a un passo dallo schiaffeggiarla! Eppure sembra tanto fragile, a volte, che persino Albert non la capisce più (fa quasi pena, vero?). Non è che abbassa la guardia volontariamente, ma rimane spiazzato dal suo cambio di personalità (Dany ha detto che è bipolare: è plausibile!). Lilian può avere in mente tutto e niente, alle volte persino lei è confusa sui propri sentimenti. Di giorno è riuscita a gelare Candy con poche parole mirate e lei ha reagito come una donna gelosa che però non si può sbilanciare; di sera, ha tirato fuori il peggio e il meglio di Albert nel giro di cinque minuti. E la zia Elroy riuscirà, con la sua lettera postuma, a trattenere Candy in America? Grazie a tutte per le vostre parole!

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Attentato

"Merda! Merda secca di cavallo!". Henry ripeteva l'imprecazione quasi servisse a farlo correre più veloce. A nascondersi meglio tra la fitta vegetazione mentre i passi si avvicinavano. E, soprattutto, a cancellare l'errore più grosso della propria vita, forse l'unico.

Perché diavolo ha dovuto guardare in basso proprio in quel momento?! Dannazione, ce l'avevo quasi fatta!

"Di qua, verso il fiume!". La voce era alle sue spalle, proveniva leggermente da sinistra e doveva appartenere a uno dei servitori di William Ardlay.

Forse lo stava inseguendo anche lui, ammesso che fosse uscito indenne dalla caduta, ma non si sarebbe certo voltato per accertarsene. Filando come il vento, col fucile che lo rallentava fin troppo per i propri gusti, Henry raggiunse una parte dell'argine che era alta e decentrata rispetto al piano originario, ma non poteva farci nulla.

Se non ripetere l'imprecazione e tuffarsi portando con sé l'arma, il cuore che gli rimbombava nella testa.

Il letto del fiume, in quell'area, per fortuna era abbastanza profondo o si sarebbe fatto molto male, invece sbatté solo un gomito su una roccia del fondale, emettendo un verso strozzato e mollando la presa sul fucile che fu trascinato via dalla corrente.

Annaspò alla ricerca d'aria, sentendo voci concitate e confuse sopra di sé, il gelo che gli penetrava nelle ossa e il rumore della dannata cascata fin troppo vicino. Si sbracciò, aprì la bocca in cerca di altro ossigeno e vide con orrore che si trovava al bivio, ben oltre il punto in cui doveva essere attraccata la barca.

Sto per morire!

La corrente era una mano enorme che lo afferrava, muovendolo come un burattino con le giunture scomposte. Non aveva più il controllo del proprio corpo e fu solo l'impatto contro un'altra roccia che gli impedì di precipitare nella cascata.

Il dolore gli ottenebrò il cervello e gridò forte, sentendo con chiarezza le costole rompersi, il respiro spezzarsi di nuovo e i sensi cominciare a venire meno.

Due braccia lo sollevarono all'improvviso, ponendo fine alla sua lotta per la sopravvivenza, ridonandogli speranza e orrore in egual misura. Quando alzò gli occhi, incontrò il volto ossuto dell'autista della vettura che l'attendeva sul sentiero.

Lo sapevo che avevo perso l'orientamento per fuggire, accidenti!

Henry tossì, cercò di riprendere il controllo, ma sentiva le membra pesanti e il tremore cominciare a scuoterlo con violenza: l'acqua gelida del fiume gli si stava freddando addosso.

"Che cavolo è successo?!", sbottò quello mentre lui si abbracciava cercando di contenere i brividi.

"Sono... dovuto fuggire... quel... maledetto... ha chinato la testa... mentre mi-miravo". Stava andando in ipotermia, ne era certo. E il respiro era sempre più difficile con le costole incrinate o rotte. Perché diavolo non gli dava una coperta quell'imbecille, invece di guardarlo come se vedesse una volpe a tre teste?!

"Quindi hai fallito, dita magiche", disse restringendo le palpebre e annuendo, facendo ondeggiare il cappello di lana sul capo. Addosso aveva un cappotto grigio che pareva di ottima fattura e soprattutto caldo e Henry si ritrovò con l'impulso improvviso di strapparglielo.

"Da... dammi qualcosa per scaldarmi, pezzo d'idiota, sto gelando! Devi aiutarmi a fuggire, o mi... mi...". Mentre l'autista gli si avvicinava frugando in una tasca di quel cappotto, Henry dita magiche si rese conto di due cose: non sarebbe certo morto di freddo e la sua fuga si era appena conclusa.

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Carissima Candice,

so che probabilmente penserai che ci sia un errore, ma ti assicuro che non è così. La mia mente mi sta abbandonando, giocandomi brutti scherzi in questi ultimi tempi. Eppure, paradossalmente, non mi sono mai sentita così lucida come oggi. Ho ascoltato la tua storia dalle labbra di persone fidate e, soprattutto, ho visto il mio adorato nipote struggersi per te anche se non l'ha mai detto con chiarezza. Ma ho letto nel suo cuore e nelle sue parole e capisco che, se solo fossi stata meno cieca in passato, forse ora saremmo tutti più felici.

Non pretendo che tu mi perdoni per tutto il male che ti ho fatto in passato, ma per quello che vale sappi che mi dispiace. Nella mia vita ho sempre pensato di essere nel giusto, almeno fino a dove i miei ricordi mi consentono di arrivare: oggi, alla mia età avanzata, posso dire che ho sbagliato. E lo dico con orgoglio e umiltà, ma anche con sincerità.

La posizione sociale, le origini nobili e il denaro hanno sempre fatto parte della mia condizione privilegiata e non mi sono mai soffermata a pensare che potessero esistere valori altrettanto fondamentali nel mondo. Una parte di questi l'ho vista in te, attraverso gli occhi tristi di William... di Albert. L'amore disinteressato, la dedizione verso il prossimo, l'abnegazione per i più deboli.

Ora capisco cosa amasse mio nipote in te. Ora so che anime meravigliose e affini siete entrambi, così simili al mio caro fratello William e alla mia dolce Rosemary, cui mi ricongiungerò presto.

Ti prego, Candice! Candy. Veglia su Albert: so che ha scelto di stare al fianco di un'altra donna, di certo per compiacere i canoni che gli ho imposto da sempre... forse sono già in attesa del loro erede, non ricordo... ma tu non abbandonarlo. Ha bisogno di te, del tuo sostegno, della tua amicizia. Non lasciarlo solo, esaudisci l'ultimo desiderio di questa povera vecchia che ha sbagliato tanto.

E accetta il denaro che ti lascio: sono certa che ne farai un uso migliore di quanto potrebbe fare Sarah con i suoi scapestrati figli.

Ti abbraccio

tua zia Elroy.

Candy dovette allontanare più volte la lettera dal viso per evitare di inzupparla con le lacrime che non riusciva a smettere di versare.

Non voleva che Annie o qualcun altro fosse allertato in piena notte sentendola piangere, ma si era ricordata della missiva della zia con colpevole ritardo, quando ormai era in camicia da notte dopo la cena leggera. La giornata era stata lunga e ricca di emozioni e Candy stava quasi per cadere in un sonno profondo prima di rimembrare che aveva la lettera nella tasca del vestito.

Soffocò i singhiozzi in un fazzoletto e ripose il foglio sul comodino, ancora sconvolta da ciò che aveva letto. Non avrebbe mai creduto che l'arcigna zia Elroy l'avrebbe riconsiderata fino a quel punto, tanto da mettere in discussione le convinzioni di una vita. Si era aspettata parole nelle quali la zia potesse riconoscere la sincerità dei propri sentimenti di gratitudine nonostante gli screzi passati, ma non l'ammissione di un errore di valutazione.

Soprattutto, Candy si chiese come avrebbe fatto a disattendere una simile richiesta accorata che somigliava quasi a un grido di aiuto.

Non lasciarlo solo, esaudisci l'ultimo desiderio di questa povera vecchia che ha sbagliato tanto.

"Non posso restare, zia, sono di troppo, capisci? Soffriremmo entrambi!", disse a bassa voce, cercando di mantenere un tono basso ma vibrante, come se lei potesse davvero udirla.

Ha bisogno di te, del tuo sostegno, della tua amicizia.

Candy andò al lavabo del bagno e si sciacquò il viso, tentando di riprendere il controllo: si sentiva davvero messa a dura prova. Sembrava che quel famoso filo invisibile del destino lottasse per riavvolgerla ad Albert nonostante lui non le appartenesse più.

... non abbandonarlo.

"È lui che mi ha abbandonata, non il contrario!", esclamò allo specchio, rendendosi subito conto di quanto fosse sciocco parlare da sola.

Certo, Albert le aveva spiegato come erano andate le cose, ma non potevano avere la certezza che fosse proprio così. Credeva ad Albert quando le diceva che non era conscio di ciò che era accaduto, ma... e se davvero quel bambino si fosse rivelato suo?

Non sarebbe cambiato nulla, perché comunque lui e Lilian erano sposati e si appartenevano l'un l'altra attraverso un legame sancito da Dio.

Non abbandonarlo.

Candy si trascinò a letto, non prima di aver ripiegato la lettera nella busta per conservarla come un caro ricordo. Doveva pensare a come investire tutto quel denaro: voleva solo disfarsene il prima possibile e ripartire per tornare da dove era venuta.

L'oblio la reclamò non appena ebbe messo la testa sul cuscino e Candy si addormentò di sasso, immersa nel ronzio del proprio sangue che scorreva veloce al ritmo impazzito del cuore, mentre rivedeva il volto amato ancora e ancora nei suoi sogni.

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Albert zoppicò fino al limitare del bosco, quando fu raggiunto dal maggiordomo e dal guardiano della piccola casa che occupava quando era un vagabondo: di certo, sia nella villa che nella radura avevano udito lo sparo e se solo lui non si fosse slogato una caviglia cadendo dall'albero, forse avrebbe acciuffato di persona chi gli aveva sparato.

Aveva sentito distintamente il proiettile sfiorargli i capelli e conficcarsi sul tronco. Nel medesimo istante, l'inseguimento tra la puzzola e il gufo lo aveva destabilizzato abbastanza perché perdesse l'equilibrio e fosse costretto ad afferrare con forza il ramo. Ma il movimento brusco lo aveva spezzato e lui era riuscito a malapena ad agganciarsi a quello inferiore con una mano sola per rallentare una caduta che ormai era inevitabile: aveva perso la presa quasi subito e, nel tentativo di atterrare in piedi, non ne era comunque uscito indenne.

Considerando che poteva avere un buco in testa ed essere morto, gli era andata di lusso.

Se non fosse stato per quel gufo che ha deciso di cacciare quella moffetta così simile a Poupee...

"Signore! Sta bene? Che è successo?". Il maggiordomo era in giacca da camera e ciabatte e sembrava sull'orlo di un collasso, mentre l'altro si guardava intorno puntando alternativamente una torcia elettrica e un fucile.

Albert pensò che non era la prima volta che veniva sfiorato da un proiettile e che quando era successo, anni prima, non sapevano neanche chi fosse. Allora, gli avevano rotto gli occhiali, ma oggi aveva rischiato davvero la vita.

"Mi hanno sparato e sono fuggiti in direzione del fiume". Il verso strozzato dell'uomo in vestaglia non fu emulato dal guardiano, che si lanciò verso l'argine senza un commento.

Cominciò a seguirlo, ma la caviglia sinistra gli faceva davvero male e, se a sangue freddo era riuscito ad arrivare sin lì, ora la sentì distintamente gonfiarsi.

"Signore, ma lei è ferito!".

"Non è nulla, solo una caviglia slogata". Albert titubò qualche istante, indeciso se restare lì in attesa che il guardiano ritornasse con qualche notizia o rientrare alla villa e togliersi gli stivali prima che si fosse rivelato impossibile. "Avete chiamato la polizia?".

"Lo ha fatto la cameriera, dovrebbero arrivare a breve".

Albert annuì, scrutando tra gli alberi: era davvero troppo buio per avanzare, così si risolse ad accettare l'aiuto del maggiordomo, cui si appoggiò per arrivare sino in camera sua. In corridoio, si imbatté negli occhi spaventati di Lilian.

"Che cosa è successo?", chiese.

La fissò per brevi istanti, tentando di non portare a livello conscio i sospetti che già da un po' gli affollavano i pensieri. "Sono caduto da un albero". Non seppe perché, ma preferì non rivelarle che gli avevano sparato.

"Ho sentito un gran caos e una delle cameriere ha detto che avrebbe chiamato la polizia".

Sospirò, cercando di riordinare le idee: quella donna era troppo sveglia per i suoi gusti e lui aveva bisogno di tempo: "Ne riparliamo domani, Lilian, mi sono slogato un piede e ho bisogno di togliermi gli stivali".

Nel suo sguardo lesse tutte le domande che voleva porgli: che ci facevi lì fuori, a quest'ora? Pensi forse che io non abbia sentito lo sparo? Perché mi stai mentendo?

E tu hai a che fare con questa storia?

Albert evitò di darle altre spiegazioni, ma si ripromise che stavolta sarebbe andato a fondo. Ringraziò l'uomo che lo aveva accompagnato e lo congedò, rifiutando con decisione che chiamasse un medico. Di sicuro, la polizia sarebbe arrivata a breve e gli avrebbero fatto delle domande.

Mentre si sfilava lo stivale con una smorfia e attendeva che gli portassero il ghiaccio che aveva chiesto, poté infine iniziare a riflettere su quell'attentato alla propria persona. Chi aveva sparato lo aveva fatto con l'intenzione di ucciderlo, su quello non aveva dubbi. La domanda era: perché? Per la sua eredità, vista la lettura del testamento della zia Elroy solo poche ore prima? Impossibile: innanzitutto la sua fortuna era già abbastanza consistente anche prima, in secondo luogo non ce li vedeva i Lagan, o chiunque altro nel clan, assoldare un assassino per entrare in possesso dei suoi averi, con il rischio di essere scoperti.

Rimaneva lo strano legame con Lilian, anche se faticava a comprendere i vantaggi che avrebbe avuto sua moglie rimanendo vedova prima ancora di divenire la matriarca in modo ufficiale.

Forse c'entra qualcosa il bambino... forse non è mio sul serio...

Scosse la testa con decisione, stendendo la gamba sul letto per verificare lo stato della caviglia: non pareva nulla di grave, ma gli avrebbe dato di sicuro fastidio per qualche giorno.

Il commissario del distretto giunse alla villa quando lui si era appena applicato una fasciatura stretta e si affrettò a riceverlo nel suo ufficio: a parte gli eventi nudi e crudi, Albert non trovò davvero nulla da riferirgli. Era sfinito e l'unica cosa che voleva in quel momento era dormire e non pensare più a niente.

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Annie soffocò l'urlo in una mano e dovette sedersi alla sedia dello scrittoio per non cadere.

"Tesoro, ti prego, cerca di non divulgare questa cosa in giro: i giornalisti sono lì fuori come avvoltoi pronti a banchettare con la notizia e qui stiamo ancora decidendo come procedere con i nostri avvocati".

"Ma, Archie, Candy voleva partire domani o dopodomani e le pratiche per il testamento...".

"Questo ha la priorità, ora".

Annie strinse la cornetta da cui proveniva la voce del suo fidanzato e chiuse forte gli occhi: ancora una volta, forze oscure e vagamente malefiche stavano remando contro tutti loro. Quando risollevò le palpebre, incontrò gli occhi spaventati di Candy e capì che non poteva tacere. Aveva lasciato la porta aperta, d'altronde, e lei doveva averla udita.

"Archie...".

"Non credo sia una buona idea dirlo a Candy, ora come ora...".

"Archie...".

"...soprattutto perché sta vivendo un momento di grande fragilità. D'altronde Albert sta bene, a parte la caviglia slogata, e le guardie del corpo...".

"Archie!".

"...sono qui a Chicago ventiquattro ore su ventiquattro da quando abbiamo lasciato Lakewood. Che c'è?".

"Candy è qui davanti a me e ha sentito che non può ripartire perché le pratiche sono in ritardo", concluse finalmente, in tono rassegnato, mentre lei entrava e la fissava con le mani strette una all'altra come in preghiera.

Il sospiro di Archie le penetrò nell'orecchio e quasi poté avvertirne il calore: "Allora diglielo. Magari servirà a non farla precipitare di nuovo sulla prima nave".

Annie annuì, prima di rendersi conto che lui non poteva vederla. Era confusa, spaventata e non riusciva a comprendere chi potesse aver attentato alla vita del patriarca degli Ardlay e con quali scopi.

Possibile che c'entri... lei?

Salutò Archie e riattaccò il telefono con un gesto lento e le sopracciglia aggrottate, dicendosi che di sicuro stavano valutando tutte le possibilità inclusa quella e di nuovo alzò gli occhi su Candy. Era talmente pallida che non sapeva proprio da che parte cominciare per non spaventarla a morte: però la capiva. Quando si ama tanto qualcuno è come se un legame invisibile faccia percepire ogni più piccola difficoltà.

Si alzò, andandole incontro e sospingendola dolcemente verso il divano.

"Cosa è successo, Annie? Perché devo rimandare ancora la partenza?".

Quando furono sedute, Annie cercò le parole più adatte: "Candy, Albert e sua moglie sono tornati a Chicago ieri pomeriggio perché c'è stato... un problema a Lakewood".

"Un... problema?". Candy inclinò un poco il capo. "Il testamento non è valido? Lo sapevo! La zia mi ha scritto delle parole bellissime, tuttavia...".

"Il testamento non c'entra nulla", la interruppe guardandola negli occhi. Lui come sta? Gli è successo qualcosa, vero? Dimmelo, Annie! Dimmelo e basta! L'amica non disse ad alta voce quelle parole ma erano scritte con chiarezza nelle pupille dilatate dalla paura. "Albert sta bene, ma ha subìto un attentato e ora sono tutti controllati a vista da guardie del corpo".

Candy si portò una mano alla fronte e si accasciò fra le sue braccia con un lamento. Annie gridò il suo nome, allarmata, ma le aveva già afferrato le braccia alzando su di lei il viso terreo: "Dimmi la verità, Annie!".

Il tono era così disperato e supplichevole che non seppe come farsi credere. "Te lo giuro, Candy, è la verità! Ascoltami", le disse prendendole il viso fra le mani e piantando gli occhi nei suoi, "Albert sta bene, si è solo slogato un piede quando è caduto dall'albero".

"È caduto da un albero? Lui?! Ma se è bravo quanto me ad arrampicarsi! Lo hanno spinto, vero? È... è stata lei?".

Annie prese un breve respiro tremante e lo disse, senza più preamboli: "Gli hanno sparato, Candy, il proiettile lo ha mancato per un soffio".

Il grido che poco prima aveva soffocato lei, scaturì dalle labbra di Candy. Troppo tardi le mani andarono alla bocca e immediatamente gli occhi spalancati si riempirono di lacrime. Si alzò di scatto, i pugni premuti sul mento, e camminò per la stanza poggiando infine una mano sulla spalliera di una sedia, sostenendosi.

"Chi è stato?". Se avesse avuto delle armi al posto dello sguardo, ne sarebbe rimasta ferita. Mai aveva visto un tale odio sul viso dolce di Candy: in lei poté scorgere la donna cui avevano osato toccare l'uomo della propria vita; la leonessa cui avevano ferito il compagno; un angelo caduto pronto ad andare all'inferno per difendere chi amava.

E lei la capiva fin troppo bene: anche se il suo Archie non era stato direttamente coinvolto, poteva essere una potenziale prossima vittima. Il solo pensiero le torceva lo stomaco in una morsa e le faceva desiderare di correre da lui in quel preciso istante. Era certa che se Albert non fosse stato sposato con quella Lilian, Candy avrebbe fatto proprio quello.

"Non lo sanno, ma la polizia sta indagando. Hanno trovato il fucile nel letto del fiume e... il corpo di un uomo che potrebbe essere quello che ha sparato", riferì raggiungendola.

Candy rimase con lo sguardo basso, come in profonda meditazione, e forse si accorse a malapena che le aveva posto le mani sulle spalle in un gesto di conforto. Quando lo rialzò, sembrava meno agitata.

"Hai mai creduto ai sogni premonitori, Annie?".

"Cosa?", sbatté le palpebre, confusa.

"Hai mai fatto un sogno che poi in parte si è avverato?".

Non lo ricordava, davvero. "Veramente... credo di no".

Candy si leccò le labbra, come se le si fosse seccata la bocca e raccontò: "Il giorno in cui è morta la zia Elroy, prima ancora di ricevere il telegramma di Archie, io l'ho sognata". Fu il suo turno di spalancare gli occhi. "E da allora non faccio che sognarla molto spesso. Non fa che ripetermi che devo tornare, che devo stare al fianco di Albert anche se è sposato. E che devo salvarlo".

Annie rimase senza parole: quella storia aveva dell'incredibile, ma tentò di razionalizzarla: "Io credo che sia una reazione normale del tuo subconscio, tesoro, stai vivendo un momento molto difficile della tua vita e sono accadute tante cose".

Lei fece un sospiro e si voltò verso il camino acceso chinandosi e allungando le mani per scaldarle: "Ci ho pensato anche io, credimi. Sono un'infermiera e credo nelle spiegazioni logiche e scientifiche. Ma è una coincidenza troppo grande e mi ritrovo a dubitare... Sai, il testamento, la lettera della zia, questo evento appena accaduto... è come se il destino mi stesse gridando forte di non andarmene via". Si rialzò, girandosi di nuovo per guardarla. "Tuttavia, la parte pragmatica di me capisce che possono essere solo sciocche superstizioni e io qui non sono di alcun aiuto ad Albert. Non ero lì con lui per proteggerlo e non penso certo di avvicinarlo volontariamente".

Annie si lasciò cadere sulla sedia dove poco prima si era appoggiata Candy: "Fai bene a rimanere coi piedi per terra, soprattutto ora. Però non avere fretta di fuggire, anche perché devi comunque attendere che si risolvano le cose. Piuttosto, comincia a pensare a cosa vuoi fare dei tuoi soldi: davvero preferisci impiegarli laggiù senza considerare quello che puoi fare qui a Chicago per gli ospedali e le cliniche?".

Candy portò le mani dietro la schiena e fece un passo verso di lei: "In realtà avevo pensato subito alla Casa di Pony e alla clinica del dottor Martin, ma Albert ha già fatto tanto che posso solo migliorare alcune cose. Quello a cui avevo pensato era l'apertura di nuove cliniche dove serve, soprattutto nelle zone rurali lontane dalla città. E se dovessi tornare in Francia, farei della beneficenza anche lì...".

Le labbra di Annie si curvarono in un leggero sorriso: Candy aveva detto 'se dovessi tornare in Francia', quindi c'era ancora qualche speranza che restasse con loro.

"Mi sembrano tutte ottime idee. Perché non ne parliamo davanti a una bella tazza di cioccolata? Ti prometto che stasera richiamerò Archie per sapere se va tutto bene".

Mentre Candy la seguiva nel salone principale, Annie tentò di non concentrarsi sull'assurdità di quella situazione. Era certa che, a mente fredda, anche Candy avrebbe tremato davanti alla possibilità reale che qualcuno volesse eliminare la famiglia Ardlay.