Io sono più forte
Nota dell'autrice: la Medea a cui si riferisce Victoria in questo "monologo" non è la Medea infanticida presentata da Euripide e da quasi tutto coloro che hanno preso in esame il mito della maga Colchide, bensì la Medea "persona scomoda a conoscenza di un terribile segreto e capro espiatorio" del libro di omonimo di Christa Wolf. Non so come, ma in un certo senso è stata da lì che ho tratto questa storia. I miei ringraziamenti vanno dunque a lei e al suo libro.
Un rumore lieve, lento, ritmico. Plic, plic, plic…Sono le gocce d'acqua che cadono nel lavandino. Un rubinetto che perde. Tutto è buio. Tengo gli occhi chiusi e aspetto, aspetto di ricevere un altro colpo. Ho sentito – ho sentito davvero? O era solo un'illusione? – i loro passi che si allontanavano lungo il corridoio. Ridevano? Forse. Non so. Non avverto altri rumori. Solo il ritmico gocciolio dell'acqua. E il mio doloroso respiro. Non posso fare a meno di sorridere un poco: a dispetto di quello che sembra, quello che è accaduto è una buona cosa. Significa che sentono. Percepiscono il mio odio. Sanno che è stata colpa loro e sanno che io non smetterò mai di ricordarglielo. Credono di poter ripetere lo stesso gioco che hanno fatto con Draco? Forse. Ma non sono più la bambina che ero quando arrivai qui per la prima volta. Dopo tutto quello che è successo, sono più forte. Il colpo che attendo non arriva. Apro lentamente gli occhi: il bagno è vuoto. Nessuno. Se ne sono andati. Ne hanno avuto abbastanza. Chi fossero non lo so, non ho modo di saperlo: ho un'intera scuola di potenziali sospetti. Hanno coperto i volti e tolto qualsiasi cosa che potesse farmi risalire alla loro Casa d'origine. Mi hanno seguita, aspettando il momento più favorevole per attaccare? Può darsi. Adesso saranno in Sala Grande a riempirsi lo stomaco e a scambiarsi di nascosto occhiate soddisfatte. Non se ne vanteranno apertamente – troppo rischioso – ma non ne hanno bisogno: per il loro ego il solo pensiero di aver fatto quello che dovevano è più che abbastanza. In questo momento tutti, compresi i miei assalitori, cenano il Sala Grande e nessuno si domanda dove sono. Perché dovrebbero? Anzi, saranno felici della mia assenza, così almeno per una sera non sarò lì a costringerli a ricordare la loro colpa. Se Draco fosse vivo…Ma Draco è morto e adesso sono sola. Non importa. È tempo di agire. Non posso restare qui seduta su questo pavimento freddo per sempre, sperando che prima o poi qualcuno mi trovi. Nessuno verrà a cercarmi e io non attendo nessuno. Non ho bisogno che un cavaliere in armatura lucente venga a salvarmi. La mia mano destra si stringe alla ceramica del lavabo. Stacco la schiena dal muro e riesco a mettermi in ginocchio di fianco ad esso. La mano sinistra si aggrappa al bordo. Resto inginocchiata su una gamba sola, tirando su l'altra. Anche a compiere questi semplici movimenti, il mio corpo mi ha lanciato segnali inequivocabili. Sento del sangue uscire dai graffi, ma non importa. Facendo forza sulle braccia e sulle gambe, mi alzo in piedi. Le mie mani stringono con forza il lavello, ogni centimetro del mio corpo duole, forse sono sul punto di svenire ma resisto. Non cadrò. Non appena il dolore diminuisce un poco e mi libera le membra dai suoi lacci, comincio a camminare. I miei primi passi sono goffi, incerti. Mi sostengo al lavandino, appoggiandomi completamente. Barcollo. Evito di guardare nello specchio: di sicuro non sono un bello spettacolo. La mia treccia deve essersi mezza sciolta, i capelli sono sparsi sulle mie spalle e sul mio viso, come serpenti. La divisa è sporca di polvere e sangue, il mio sangue, è persino strappata dove uno di loro mi ha afferrato quando ho cercato di scappare dopo aver provato a combattere. La mia faccia deve essere un disastro: il sangue che mi scendeva dall'angolo della bocca ha cessato di scorrere, deve essersi coagulato. E non voglio pensare come sia messo il mio occhio destro, dove uno di loro mi ha tirato l'ultimo pugno, quello che mi ha mandata a sbattere contro la parete. Immagino non ci sia un solo centimetro del mio corpo dove non ci siano lividi, con tutti i calci che mi hanno dato mentre ero a terra. Continuo a camminare: sono fuori dal bagno, nel corridoio, appoggiata al muro. Così non và. Così sembro sconfitta, sembra che siano bastate le percosse che ho ricevuto a piegarmi. Comincio a distribuire il mio peso sui miei piedi. Mi allontano sempre più dal muro, ormai lo sfioro soltanto con la punta delle dita. Un altro passo e ne sono lontana. Cammino da sola, al centro del corridoio. Le ossa e i muscoli recriminano lo sforzo che sto loro imponendo, come se non ne avessero avuto abbastanza per oggi, ma non ascolto i loro lamenti. Mi costringo a raddrizzare la schiena. Sollevo il volto, cammino a testa alta. Non per niente porto il nome di una delle più grandi regine d'Inghilterra. Non ho nulla di cui vergognarmi, non io. Sento le voci, il rombo della folla: poco più avanti, questo corridoio sbuca in quello dove si trova la porta che conduce in Sala Grande. È un passaggio obbligato per i membri di qualunque Casa. Eccoli, li vedo. Quella massa di uniformi nere, come tante formiche. Si zittiscono non appena esco dal buio del corridoio che ho percorso finora nella luce di quell'andito. Ammutoliscono alla mia vista e per un attimo restiamo lì a guardarci l'un l'altro, io e loro. Vedo sorpresa, shock, spavento sui loro volti. Spero che sul mio ci sia dipinto il più feroce sguardo d'accusa che io abbia mai lanciato in un anno intero. In prima fila ho visto subito i tre Grifondoro, Potter, Weasley, Granger. Potter, Perfetto Potter, il ragazzo che sarà sempre un eroe per tutti ma non per me, fa un passo verso di me per prendermi, immagino si aspettasse di vedermi cadere lunga e distesa nella polvere, ma io faccio un passo indietro prima che mi tocchi. Lo guardo dritto in faccia, concentrando tutto il mio odio per lui e per gli altri nei miei occhi, sul mio viso. Indietreggia, la folla di studenti – tutti possono vedermi benissimo – viene percorsa da un brivido. Mi temono, proprio come i Troiani temevano Cassandra e i Corinzi Medea. Immagino non avessero mai pensato che si potesse guardare con tanto odio qualcuno. Neanch'io lo pensavo un tempo. Distolgo gli occhi dal volto di Potter, torno a guardare la folla compatta davanti a me. Sono più numerosi di me e lo so, nascondono tra di loro i quattro che mi hanno picchiata fino a ridurmi in questo stato e lo so. Potrebbero assalirmi tutti insieme e lo so, ma so anche che non sarei mai sconfitta. Per quanto mi possano gettare a terra, io continuerò sempre a rialzarmi. Sono più forte di loro. Ecco il messaggio che gli trasmetto. Indietreggiano ancora. La folla si divide in due ali per farmi spazio. Passo tra di loro a testa alta, guardando dritto davanti a me come una regina. Qualcuno mi sta sicuramente guardando con rispetto, ma del loro rispetto io non ci faccio nulla. Sono più forte. Proseguo lungo il corridoio e non mi fermo nemmeno dinnanzi alle scale: so già quale via prendere. Anziché salire per andare in infermeria, scendo verso i sotterranei, dove si trova la Sala Comune di noi Serpeverde. Non sono sicura di poter ancora dire noi, ma non importa. Penso sia una fortuna che io stia a Serpeverde, perché se fossi stata di un'altra Casa e mi avessero ridotto in questo stato di sicuro avrebbero dato la colpa a loro. Continuo a ritenerli tra i più colpevoli per la morte di Draco e non mi sento di escludere la presenza di uno di loro nella spedizione punitiva, tuttavia è un bene che io sia a Serpeverde. È ora che si capisca che nemmeno quelli delle altre Case sono degli angioletti. Avanzo verso i sotterranei. Il mio corpo mi implora di fermarmi almeno un attimo, ma non posso: se mi fermo, non riuscirei più a rimettermi in marcia. Non posso permettere che mi trovino qui seduta quando arriveranno. Ve l'ho detto: sono i miei compagni di Casa, ma anche i più colpevoli. Non che io mi ritenga un'innocente, sia chiaro. Sono anch'io colpevole, ma il mio crimine è diverso: il loro è aver spinto Draco al suicidio, il mio non essere riuscita a fermarlo. Pronuncio la parola d'ordine ed entro nella Sala Comune deserta. Non sono qui per restare: prendo le scale a sinistra e salgo su, finché non trovo una porta senza alcuna targhetta. Non hanno più usato questa stanza dall'anno scorso. Forse i ragazzi temono di svegliarsi un mattino e trovare Draco che li guarda ai piedi del letto con il mio stesso sguardo d'accusa negli occhi. Cerco di impedire alla mano che afferra la maniglia di tremare, ma i risultati non sono quelli sperati. Entro nella stanza deserta, che per me resterà sempre il dormitorio dei ragazzi del sesto anno. Non c'è nessuno: né persone, né cose. I cinque letti sono sistemati lungo le pareti, ma ai loro piedi non ci sono bauli. Sono giunta a considerare questo posto come il mio rifugio….Anche se lo è sempre stato, soprattutto negli anni passati. Venivo qui in cerca di aiuto e conforto. Ora ricevo conforto e aiuto dai miei ricordi. L'ultimo sforzo e poi potrò riposare. Il secondo letto lungo la parete di sinistra. Quello – l'unico – che fino all'anno scorso era ancora usato. Le forze cominciano a lasciarmi, ma posso permettermelo. Mi aggrappo a una delle colonne che reggono il baldacchino per non cadere a terra. Mi sforzo di restare in piedi ancora qualche secondo, per pensare ancora: il professor Piton sarà furioso, non vorrei proprio essere nei panni degli studenti delle altre Case, soprattutto di Potter. Ovviamente non troveranno mai chi è stato, ma non importa. I quattro che mi hanno ridotta così erano là in quel corridoio e mi hanno vista passare. Hanno perso. Non possono sconfiggermi ed ora lo sanno. Sono più forte di loro, di tutti loro messi insieme. Non posso trattenere un sorriso: buffo che proprio io, che rimproveravo Draco di voler essere forte a tutti i costi, questa sera mi sia ritrovata a mettere in atto questa piccola esibizione. La differenza è che io non mi comporta come se fossi più forte: semplicemente, lo sono. Non è vanità la mia. È che lo sono diventata. Non finirò come Draco: non mi spezzeranno. Su di me non hanno alcun potere. Non per niente il mio nome significa "colei che vince". Mi lascio cadere sul letto e ogni luce si spegne.
