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Capitolo 4
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[…] Ma il mio destino è vivere
belenando in burrasca.
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Era seduto su una grande sfera di cristallo. Sotto di lui solo il rumore delle onde che s'infrangevano sugli scogli. Sentiva l'aria calda della sera riscaldargli la pelle e invadergli i sensi, trasportandolo in un mondo fatto di zucchero e cannella. Si alzò in piedi, lentamente, stando bene attento a non scivolare sulla superficie liscia della sfera. Portò lo sguardo a ovest: il sole si trovava dinanzi a lui e iniettava la sua gelida luce tutt'intorno al paesaggio. Notò un folto gruppo di gabbiani volare in sua direzione, apparendo improvvisamente da nord est, dove comparivano le prime nubi.
Man mano che lo stormo si avvicinava, Remus sentiva crescere sempre più dentro di sé un moto fredda inquietudine. Scosse violentemente il capo, rivolgendo nuovamente attenzione alla sfera: un denso inchiostro nero ne fuoriusciva dalle molte incrinature presenti sulla superficie, rendendola pressoché opaca.
Un richiamo di gabbiani fece sì che Remus portasse nuovamente attenzione allo stormo: volava compatto, adesso, come fosse un unico elemento dipinto su una tela di cera. Fu un attimo.
In quello che a Remus parve un semplice gioco di luci, i gabbiani si unirono in un unico essere, assumendo la forma di una fitta nebbia invernale che prese a volteggiare attorno al suo corpo. Il bambino tentò di ritrarsi, spaventato a quel contatto, ma i suoi arti inferiori sembravano essersi completamente paralizzati: non riusciva a muovere un muscolo. I gabbiani presero a urlare con tutto il loro vigore, costringendolo a portarsi le mani alle orecchie, per difendersi da dai loro richiami acuti e penetranti. La foschia si fece sempre più densa, mentre gli occhi cominciavano a lacrimargli. Il bambino percepì un'assurda sensazione di gelo corrergli lungo la colonna vertebrale. Scivolò verso il basso, mentre la nebbia l'attraversava, costringendolo a una silenziosa tortura. Era come se mille aghi gli si fossero conficcati nel cervello.
Un lampo.
Remus si trovava adesso all'interno della sfera, immerso in un mare di viscoso inchiostro nero. Tutto al di sopra di lui, solo bianco. Una sorda voce ("Avada Kedavra!" parve dire tra i tumulti), un pianto di bambino, e l'inchiostro prese improvvisamente a vorticare dinanzi a lui, silenzioso; Remus venne spinto verso il margine di un grande fogli o pallido. Seguirono interminabili attimi di silenzio. Remus poteva sentire il proprio respiro farsi sempre più affannato, mente ancora le urla dei gabbiani gli riecheggiavano nella mente.
Macchie nere fecero la loro improvvisa comparsa sulla superficie del foglio. Remus strizzò gli occhi, come a cercare di leggere un invisibile testo. Un rumore improvviso lo fece voltare, e quando Remus riportò l'attenzione al foglio, al posto di un consunto insieme di macchie, si trovò di fronte alla sagoma di un grande cane nero, che prese a combattere contro quella di un serpente.
Un grido di donna, e il foglio di pergamena parve come strapparsi in due: la figura del serpente venne lacerata e l'inchiostro che la delineava dissolto. Il cane si mise sulla difensiva: dalle ceneri del serpente, fiera ed elegante, sorse la figura del lupo, che prese ad avanzare minacciosa per tutta la lunghezza del foglio. Remus ebbe un sussulto; tentò di fuggire, ma i suoi piedi erano nuovamente divenuti tutt'uno con il suolo. Attese – e si stupì. In un lampo di luci dorate, il lupo prese a danzare con il cane, finché essi non divennero una cosa sola. Un bambino dagli occhi color del mare comparì allora di fronte a lui, tendendogli la mano; ma nel momento in cui Remus tentò di afferrarla, un lampo di luce verde scaturì dal nulla, e tutto scomparve.
Ciò di cui Remus riuscì a capacitarsi in seguito, fu il solo, gelido sorriso che Tom Riddle gli rivolse, tra le braccia un neonato dalla cicatrice a forma di saetta stampata sulla fronte…
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Remus si svegliò di soprassalto, febbricitante - le mani tremanti e la fronte impregnata di sudore. [1] Lanciò un'occhiata all'orologio: le tre del mattino. Si scrollò di dosso le coperte, avviandosi verso la cucina. Aveva assoluto bisogno di un bicchiere d'acqua.
Era giunto in fondo alle scale quando cominciò a percepire le due voci. Una, quella femminile, apparteneva a sua madre, l'altra al ragazzo che aveva incontrato in riva al fiume... Tom Riddle, gli sembrava. Remus tese l'orecchio, tentando di non far notare la sua presenza ai due interlocutori. Stavano parlando di....
"Little Heaven.... Che cos'è veramente?..." aveva chiesto Tom, e sua madre si era lanciata nel racconto. Remus si avvicinò ulteriormente, nascondendosi oltre la porta.
Conosceva bene la storia che Elisewin stava raccontando.... Lei e suo padre non avevano e non avrebbero voluto dirglielo, ma Remus, ormai, aveva capito perfettamente ciò che era accaduto dopo la morte di suo fratello. Non è stato abbastanza forte, gli aveva detto il lupo nella sua testa, non è stato all'altezza.... Remus rabbrividì, rammentando quel terribile giorno. Era stato lui a trovare il fratello, la mattina successiva... e la cosa più terribile era che, durante le notti di luna, la sua parte umana lo sentiva ancora urlare di dolore, Romulus, mentre la vita scivolava via dal suo corpo....
Si rimise in ascolto. Elisewin stava ancora raccontando. Parlava del modo in cui il Ministero aveva rintracciato il lupo mannaro che aveva morso lui e Romulus, e di come lo uccisero, sotto i loro occhi.
"Fu orribile..." Diceva Elisewin "Davvero orribile... la trattarono come neanche avesse un'anima... loro... non ebbero pietà, quando anche lei gli disse che era stato un incidente... - sì, era una donna, Tom Riddle, e aveva dei figli.... Lupi mannari, certo... la licantropia è ereditaria... Ma di questo il Ministero non si è mai preoccupato...". Un amaro sorriso le comparì sul volto; Remus ebbe un sussulto: ricordava fin troppo bene quei due bambini. Erano stati i suoi due unici amici, dopo la morte di Romulus – furono uccisi sei mesi dopo, dai maghi del Ministero. Troppo pericoloso, dicevano, tenere in vita creature così ambigue, figlie di chi si era già dimostrato in grado di uccidere.... Un violento tremito di rabbia lo scosse; percepì il respiro di Tom farsi più affannato, oltre la soglia.
"E poi?..." Chiese il ragazzo. Remus spinse leggermente la porta, creando uno spiraglio per vedere che stava accadendo all'interno della stanza. Elisewin era seduta al tavolo, il volto pallido, i lunghi capelli corvini che le ricadevano sulle spalle; Tom, appoggiato alla finestra, le braccia incrociate al petto. Nessuno dei due parve notare il suo gesto. Bene, si disse Remus.
"E poi?… E poi sono solo parole, Tom Riddle…"
Seguì così il racconto della creazione di Little Heaven e del Libro Nero di Rhaven.
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Note:
[1] In collegamento al risveglio di Tom nel primo capitolo. Anch'egli pare infatti agitato e nervoso.
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Capitolo 5
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I sogni si avverano:
se non esistesse questa possibilità
la natura non ci spingerebbe a sognare
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"Fu poco dopo la morte di Romulus che ce ne accorgemmo senza speranza d'appello,.... I bambini del villaggio avevano cominciato a trattare Remus in modo diverso: non lo salutavano più, si rifiutavano di giocare assieme a lui... quando era possibile non gli rivolgevano la parola.... E quando succedeva era solo per prenderlo in giro, farlo sentire in colpa per la morte del fratello, che loro credevano scomparso misteriosamente, e, nel peggiore dei casi, per picchiarlo.... E pensare che i loro genitori lo sapevano... sapevano cosa i loro figli...!
(lasciò la frase in sospeso, soffocando un moto di rabbia repressa)
"...Remus tornava a casa con grandi lividi su tutto il corpo, gli occhi rossi e le mani piene di sangue... non credo abbia mai provato a difendersi: non avrebbe mai rischiato di far del male ai suoi vecchi compagni di giochi.... Vedi, Tom Riddle... Remus non sì è mai lamentato di nulla di fronte a me e a Jacques… non avrebbe mai permesso ci preoccupassimo per lui… "No... sto bene... mamma..." "non è nulla, davvero!" ripeteva. Non ha mai versato una lacrima, non una parola....niente, durante il giorno. Ma la notte... con la notte Tom, mio Dio!
"Con le tenebre erano i suoi singhiozzi a farmi da cuscino, e i suoi lamenti da coperte! Io... io non potevo... non potevo assolutamente sopportarlo!... Il dolore lo stava lacerando dentro ed era talmente forte da non dargli possibilità di sfogo...
(Remus ebbe un sussulto al dì là della porta, che quasi fece scoprire la sua presenza. Non avrebbe mai immaginato che sua madre lo potesse sentire...)
"...era un bambino di quattro anni, Voldemort... E può un bambino di quattro anni essere sottoposto a tutto questo e uscirne ancora con il sorriso?....
Cominciai a riflettere.... Per un'intera giornata lasciai Little Heaven (o meglio, quello che era una volta), dirigendomi verso Nord, dove la magia è ancora sconosciuta al popolo Muggle.... Presi una stanza in un piccolo albergo sulla costa.... Stetti ad osservare il mare dal di fuori della finestra, e lo feci per tutta la notte, con le grida dei bambini ancora fisse nel mio pensiero.... Oh, avreste dovuto vedere quanti bambini! Presi a piangere quando il ricordo di Romulus sorse in me, e compresi il filo di destino che è ancora sconosciuto a Remus....
I lupi mannari vivono in media quarant'anni… molto meno dei Muggles; figurarsi rispetto a un mago.... Ripresi ad osservare il mare, ricercandone i confini... - un inizio e una fine, proprio come ne andasse della mia stessa vita.... Sa cosa scoprii la mattina seguente, Lord Voldemort? [1] Che siamo noi a limitare le cose, con la forza del nostro pensiero. "E allora perché" mi dissi "E allora perché non lasciargli infrangere i margini?...". No, Tom, non mi guardare così... non sono pazza.... Non lo ero nemmeno allora... fu una semplice intuizione, in effetti.... Un'intuizione che mi portò a creare tutto questo....
Sa che cos'è il Libro Nero di Rhaven?... La più grande raccolta di incantesimi di magia nera mai esistita al mondo..."
(Un'ombra di ingordo interesse attraversò gli occhi di Tom, nell'istante in cui Elisewin pronunciò quelle parole) [2]
"Divinazione, pozioni, filtri... ogni sorta di incantesimi legati alle arti oscure vi trovava posto. Ma Rhaven aveva creato il Libro non per plasmare, ma per distruggere - e così esso si ribellò alla sua volontà, assorbendone ogni facoltà, e relegando la sua anima nell'eterna dannazione. Preda dello sconforto, Rhaven avrebbe vagato per il mondo in perpetua ricerca della felicità, sottraendola a chi ne aveva provata.... Ma Egli fu solo il primo: presto Rhaven, avrebbe dato origine l'immonda razza dei Dissennatori, che sono pura disperazione…
"Non esistono il bene e il male, Tom Riddle, ma solo il potere- e coloro che sono troppo deboli per usarlo…
(Seguì un attimo di silenzio, mentre Tom sembrava farsi sempre più interessato alla faccenda)
"Fu quel giorno sul mare che mi venne l'idea di utilizzare il sapere contenuto nel Libro per la creazione di Little Heaven.... ~("E allora perché non lasciargli infrangere i margini?...")~ Dovetti ricorrere a tutti i miei poteri per farlo... e nel corso dell'incantesimo, il Libro andò perduto: distrutto dalla furia cieca degli elementi....
(Tom fu pervaso dalla rassegnazione)
"~("Fuoco, Ghiaccio, e Sangue,
per un nuovo respiro,
per una nuova lacrima,
per una nuova anima…
Il potere di ferire,
il potere di amare,
il potere di guarire,
il potere di odiare…
Per una nuova vita
Per una nuova opportunità
Per una nuova verità…
Fuoco, Ghiaccio...")~
e Sangue. Questo per creare un mondo dove Remus avrebbe potuto trovare la felicità che a Rhaven era stata negata. Questo per offrire a mio figlio la possibilità di continuare a vivere..."
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"...Che cos'è Little Heaven?... Little Heaven è un sogno, Tom Riddle... nient'altro che un bellissimo sogno..."
Tom restò in silenzio. Sembrava aver perso interesse nel racconto di Elisewin da quando lei aveva narrato della distruzione del Libro Nero di Rhaven, e ancor più accennato fatto che....
"Hai perso ogni tuo potere..." Disse a denti stetti, avanzando minaccioso verso la donna, bacchetta in pugno. Elisewin non si mosse, limitandosi a fissare Tom con i suoi occhi di ghiaccio.
"Hai sacrificato ogni tuo potere per... per... questo!"
Non riusciva a capire. Non riusciva assolutamente a capire. Che cosa aveva spinto una strega del suo calibro a dar fondo a ogni energia per donare al figlio quella che non era altro che un'illusione?!
"Il dolore, Tom Riddle".
Fu la risposta alla sua tacita domanda. Approfittando del suo attimo di smarrimento, Elisewin si era portata ancora più vicina a lui, cosicché Tom non avrebbe più potuto fare uso della bacchetta. Da dietro la porta, Remus trasse un sospiro di sollievo.
"Il dolore?..."Ripeté Tom, come ipnotizzato.
Elisewin annuì.
"Il dolore non potrà mai essere negato ad alcun mondo, Lord Voldemort: nemmeno ricorrendo al più potente degli incantesimi.... E questo perché esso è parte integrante della vita – sospirò - Io non ho creato Little Heaven perché Remus crescesse sotto una campana di vetro, ma perché godesse della realtà che gli era stata preclusa".
Il piccolo lupo mannaro prese a piangere silenziosamente, al dì là della porta, mentre un'ondata di consapevolezza l'invadeva, inarrestabile.
Tom abbassò la bacchetta, prestando silenzioso monologo a se stesso. Si chiese se sua madre avrebbe mai fatto la stessa cosa per lui, se ce ne fosse stato bisogno... si chiese se davvero gli sarebbe stata vicina, dopo che suo padre li aveva abbandonati entrambi, perché diversi da quello che era lui.... Ancora una volta portò i suoi pensieri alla figura di Remus, alla serenità che provava stando stretto tra le braccia del padre. Ricacciò indietro le lacrime. Odio. Odio per la vita. Ecco cosa provava.
Lascive gocce di pioggia s'abbattevano tarde contro i vetri della finestra. Tom si rivolse nuovamente ad Elisewin.
"È per questo che lo vedo nei miei sogni?..." Le chiese, titubante.
Elisewin alzò un sopracciglio.
"Remus... io.... Lo sai!" Specificò, rabbioso.
" Sì... è probabile... - Rispose Elisewin - Ma Lord Voldemort sa bene che non ne potrò mai avere la certezza..." Sospirò infine. [3]
Tom si distaccò da lei, indietreggiando sconfortato.
Dietro la porta, Remus era una statua di sale. Così anche Riddle lo sognava. Così anche lui aveva le sue stesse terribili visioni.... Ma - da quanto tempo?.... Remus aveva cominciato ad averne da poco più di sei mesi... e ogni volta un elemento si aggiungeva agli altri. Quella era stata la prima notte che Tom vi era comparso.
Remus sentì i passi di qualcuno avvicinarsi pericolosamente alla porta, e si sbrigò a scivolare verso destra -- dietro la colonna del corridoio nessuno avrebbe notato la sua presenza.
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Tom aprì lentamente la porta, fermandosi al centro del corridoio; Elisewin fece la sua comparsa poco dopo di lui. Le loro ombre si proiettavano minacciose sui muri del piccolo antro, oscurandolo fin nel punto in cui Remus stava nascosto.
"Dimmi una cosa...- sussurrò Tom -...perché mi hai trattenuto qui così a lungo pur sapendo di non avere le risposte che cercavo?..."
Non c'era un filo di rabbia nella sua voce, stavolta. Ma in fondo, si disse, perché avrebbe dovuto essercene?...
"Perché sei tu che l'hai voluto..."
Rispose dolcemente Elisewin, i capelli corvini che spuntavano da oltre la spalla del ragazzo.
Remus scorse l'ombra di un sorriso aleggiare sul volto stanco di Tom, mentre questi s'avvolgeva ancor più strettamente nel lungo mantello nero. Si domandò che cosa significassero quelle parole, e se davvero lui lo sognasse, ogni notte. Seguì da dietro la colonna ogni passo che Tom e sua madre fecero, incamminandosi mollemente in direzione dell'uscita. Solo allora Remus si rese conto dell'assenza del padre... probabilmente Elisewin non aveva voluto restasse a sentire una discussione simile: anche a lui era parso fin troppo evidente l'astio con cui Tom aveva fissato suo padre per tutto l 'arco della giornata....
Un lampo. La porta che dava all'esterno si era aperta in un tonfo sordo, come sospinta dal vento – "Leviosa" avevano pronunciato le labbra di Tom pochi attimi prima. [4]
Dal suo nuovo nascondiglio, Remus notò la scura sagoma di un serpente portarsi furtiva sotto il mantello del ragazzo.
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Tom era ormai giunto a metà del sentiero che l'avrebbe condotto al villaggio, quando percepì la tormentata voce di Elisewin sussurrare dietro di lui.
"Non puoi impedire a nessuno di sognare, Tom Riddle!..."
~ Non ne avresti mai il coraggio... ~
Si fermò nel mezzo di una pozzanghera, Ekans sotto di lui, completamente immerso nel fango. Sorrise, riprendendo a camminare.
Non si voltò quando gli occhi d'ambra si riempirono di lacrime, oltre le nubi del cielo in tempesta.
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Note:
[1] Probabilmente l'avrete già notato, ma Elisewin, spesso, dà a Tom del tu, invece che del lei, chiamandolo sempre con il suo primo nome, Tom, appunto. come si legge in HP, questa è una cosa che a Voldy nn piace per nulla, anzi: gli ricorda delle sue origini babbane. Elisewin, però, accorgendosi del conflitto interiore del ragazzo, si rivolge a lui sempre nella stessa maniera [Tom Riddle nn le aveva *mai* rivelato il suo nome: è stata lei a scoprire la sua identità]. Elisewin, inoltre, accorgendosi della sua 'diffidenza' nei confronti dei Muggles, dovendo affrontare il problema, si rivolge a lui come a 'Lord Voldemort', esattamente come se in lui regnassero due personalità distinte, cosa che il ragazzo interpreta come un affronto vero e proprio.
[mamma è bastarda dentro... NdRemus][hai preso da lei, love... *grin* NdSirius]
[2] In realtà il Libro è proprio una delle cause per cui Tom aveva deciso di recarsi a Little Heaven. Quando Voldemort esprime il suo pensiero che Elisewin sia una strega dotata do molto potere si riferisce più al fatto che ella possieda il libro, più che alle sue effettive capacità magiche.
[3] In effetti ad Elisewin resta ancora una piccola parte del suo potere. Essendo precedentemente un'esperta veggente, il potere della divinazione riesce ancora a manifestarsi attraverso di lei, anche se a fasi alterne. Come dice Elisewin, il destino è infatti 'imprevedibile' e 'ricco di insidie'.
[4] Una variante dell'incantesimo 'wingardium leviosa'.
