ChaDo: … lei cerca di disperatamente di capire qualcosa.
Ray: eh?
Fuu Marie: qualcosa sul mistero di Malfoy?
Dorothy Jane: lei è all'oscuro di tutto…
Queenie: qualcosa di sé stessa, poverina, è tanto complessata quella ragazza…
ChaDo: evviva l'allegria!
Blaise: dunque, se ho ben capito, mentre Neville e Ronald si arrovellano il cervello per capire cosa sta nascondendo il nostro caro Drackie, e la Weasley quella piccola soffre per Potter, Hermione Granger si pone problemi filosofici.
ChaDo: mi pare che fili.
Blaise: come il cacio sui maccheroni.
Francine: ecco, ecco, voglio la pasta, voglio la pasta! Mi vanno bene anche le pennette, basta che mi date un piatto di pasta!
Dorothy Jane: hai fame… ora?
Nathan: e se ti portassi in un ristorante italiano?
Francine: NON CI VERREI MAI CON TE, PIATTOLA!
ChaDo: uff… cominciamo va… *comincia a leggere*
[Dove Hermione cerca di raccontarsi]
Se sono mai riuscita a raccontarmi, durante i miei primi anni a Hogwarts, immagino di aver colto di me solo la mia suggestionabilità. In effetti, questo era ciò che più evidenziavo nel mio carattere. Era fin troppo facile: bastava una scintilla per accendere i miei dubbi, le mie paure, mentre sarebbe stato meglio se ogni tanto avessi dato meno peso a quello che accadeva intorno a me, a quello che la gente diceva. Potevo andare avanti con il sorriso quanto volevano, ma non facevo altro che soffrire e soffrire e ribollire nel silenzio.
Quei giorni ero peggio di uno straccio, diciamolo subito. Come sempre, mi ero buttata a studiare tutto il possibile e l'immaginabile in attesa dei G.U.F.O., la mia ostentata carriera di Prefetto che non significava assolutamente niente, il tormento di un possibile attacco da parte delle forze oscure. Ero tormentata da tutto, non riuscivo a dormire e neanche a mangiare, a volte.
Le cose erano cambiate, e all'improvviso, per me. Non so se fossero stati gli avvenimenti dell'anno prima, i quali avevano macchiato la mia figura di secchiona sotutto, a rendermi così paurosa nei rapporti con gli altri. Certo, finche ero ritenuta un'aliena in quella massa di scansafatiche potevo anche essere antipatica a tutti, ma almeno stavo bene con me stessa.
Le cose erano cambiate.
Adesso le mie compagne di stanza mi consideravano una persona come loro, per quanto non certo bella né affascinante, e anche qualcun altro si era finalmente accorto di me. Eppure, per quanto possa sembrare meraviglioso come prima impressione, era la situazione più difficile che avessi mai dovuto vivere; non sapevo assolutamente come comportarmi: cosa dire, cosa fare, era tutto un mistero.
Crollato il muro che mi divideva dagli altri, inoltre, la mia emotività aveva raggiunto le stelle, e molte delle cose che ritenevo tra le più importanti avevano perso peso tanto da poterle dimenticare con facilità. La mia tendenza a considerare solo i grandi problemi e non le piccole cose mi appariva sciocca, infantile. Solo il pericolo che incombeva su Harry e il mondo magico mi riportava pesantemente sui miei vecchi passi… perché era l'unica grande cosa che mi fossi mai trovata ad affrontare, credendo di essere brava e abile, quando invece c'era sempre qualcuno più adulto e sapiente alle mie spalle.
Improvvisamente, trovai ridicola la mia campagna di sensibilizzazione per lo sfruttamento degli elfi domestici; vidi davanti a me solo una ragazzina presuntuosa, spuntata fuori dal nulla in quel mondo così difficile, che combatteva per qualcosa in cui credeva: se stessa. Il suo ego. Il suo reale bisogno di distinguersi dagli altri e la sua incapacità nel vedere le cose come stavano veramente, per una volta. Cercare di vedere dentro sé e non più fuori, come aveva sempre erroneamente fatto, credendo invece il contrario.
Pensavo di essere il mondo, di essere la vita.
In realtà, non ero niente.
E se quello inizialmente poteva apparire solo come un momento di sconforto, tristezza, la prova della sua veridicità arrivò senza indugiare nel momento meno opportuno. Il mio ennesimo litigio con Ron. Le cose che abbiamo detto, be'… mi sentivo così nervosa a ripensare a quel giorno. Non so proprio come ho potuto lasciare che le cose andassero così male, quando sembrava che tutto fosse così perfetto.
Probabilmente tutti conoscono la seconda parte del nostro litigio. Sapete, quando ci siamo messi a urlare uno contro l'altro fino a mandarci a quel paese reciprocamente. La cosa però era iniziata subito dopo pranzo, quando lui era venuto a cercarmi in biblioteca. Era entrato piano, quasi a cercare di non disturbarmi, aspettando pazientemente che mi accorgessi di lui.
Quando lo vidi, accennò un sorriso.
"Che fai, non mangi?" mi chiese. Io risposi che no, non avevo fame, e che comunque dovevo studiare Aritmanzia. Lui si mise a scherzare un po', poi aggiunse, più seriamente, che Harry era andato a parlare con il professore di DADA. Io annuii pensosa a questa informazione. Quasi senza farci caso, si era seduto accanto a me.
"Che hai fatto?".
Scossi la testa. Mi voltai, e lui mi stava ancora osservando, come ad attendere qualcosa da me. "Sai" dissi, stranamente insicura di me "quello che abbiamo letto sulla Gazzetta del Profeta stamattina…".
"Silente ha detto che non ha niente a che fare con Tu-Sai-Chi" mi rammentò, cercando di rassicurarmi. Non era una cosa tanto semplice.
"Come" dissi io "quell'esplosione ha fatto saltare in aria tre maghi, non può essere stato solo un incidente… non è possibile, le norme di sicurezza dettate dal Ministero-"
"E' fallibile anche il Ministero della Magia, che credi?" aveva riso.
"Ma è assurdo, sono morte tre persone e noi siamo qui come sempre e-"
"Probabilmente erano troppo lontane perché avessero un effetto diretto su noi"
Ci sono frasi del genere che smorzano i discorsi. Certo non fanno altro che metterti a cuccia, oppure metterti in guardia, ma fatto sta che la calma se ne va in un battibaleno. Tra noi succedeva spesso, fin troppo spesso, purtroppo. Eppure quella non era una di quelle frasi. Oppure eravamo troppo stanchi per litigare. Fatto sta che continuammo a chiacchierare quietamente senza neanche tentare di distogliere l'uno gli occhi dall'altra.
E io prima non avevo mai parlato con Ron. Solo lui ed io. E in quella maniera così semplice e allo stesso tempo inusuale.
Abbiamo vagato a lungo in quei discorsi preziosi e contorti senza concludere... E io pendevo dalle sue labbra in un modo così spaventoso che mi facevo paura da sola.
Può sembrare assurdo detto da una strega, ma non credevo di aver mai provato la magia veramente sino a quel momento.
Naturalmente, non durò a lungo.
Non ci fu più il coraggio di parlare, una volta giunti a quelle situazioni che avevo sempre pregato di non vivere, perché patetiche e assolutamente compromettenti. E avevo paura di dire qualcosa, qualsiasi cosa, veramente. Tremavo. Ero la cosa più pietosa che avessi mai visto. Nulla. Non c'era nulla nella mia testa da poter rivelare. Solo una barriera che non mi permetteva di esprimere quel poco che provavo, quel poco che ero in realtà.
Ho paura che proprio allora si accorse di quanto fossi vuota, nonostante la mia abituale parlantina saccente, nonostante tutto quello che sapevo.
Non sapevo niente, in realtà, non ho mai saputo niente. Niente di niente.
Proprio in quel momento giunse Harry. La nostra attenzione si spostò dunque su lui, riportandoci a tutte le preoccupazioni per gli attacchi, i buoni, i cattivi, il Quidditch e la cena, e tra una cosa e l'altra spuntò fuori un pretesto per litigare. Immaginavo fosse solo una sciocca scusa, perché ero sicura di aver lasciato Ron completamente deluso di me. Mi guardava ogni tanto con una sorta di disprezzo negli occhi, e poi abbassava lo sguardo, scotendo la testa. Così avevamo iniziato a battibeccare ed era successo quel che era successo. Le cose non erano semplicemente cambiate. Erano di giorno in giorno più difficili, e sempre più complicate. E non vedevo via di uscita, né raggi splendenti oltre le cupe nuvole che quegli ultimi giorni sostavano presso Hogwarts, né scogli a cui aggrapparsi. E mi faceva star male più di quanto potessi mai credere.
Ginny era una buona amica, e io ero solo stata accecata dalla mia presunzione e dalle mie pene. Mi ero comportata scioccamente e con sgarbo, senza pensare di poterla ferire. Senza pensare che forse avrei potuto reggermi a lei come lei avrebbe potuto fare lo stesso con me.
Io che avevo sempre voluto essere così perfetta, così maledettamente perfetta, senza pensare di essere fragile in realtà, senza pensare di poter fallire!
Ed ero abituata a non ricevere alcun aiuto dagli altri, a non fidarmi, a stare sulle mie. E così com'ero abituata, nonostante rilevato il problema, non riuscivo a risolverlo. Non avevo la forza per spezzare le mie azioni abituali, eppure tutto questo discorso senza senso è l'unica prodotto che risultò quel pomeriggio in biblioteca.
Alla fine mi stancai di dover ancora stare a combattere contro mulini a vento.
Raccolsi i miei libri e i tutti i fogli svolazzanti, e salii in dormitorio. Ero distrutta. Dormii per tutto il resto del giorno.
"Probabilmente erano troppo lontane perché avessero un effetto diretto su noi"all
these symptoms symptoms are simpler cuz
i've had moments in my
life when I've contributed by believing we are
separate we are separate
disconnected in
this unity…
(Alanis Morissette, Symptons)
[/Dove Hermione cerca di raccontarsi]
Ray: porelletta.
Soren: traduzione, prego?
ChaDo: un misto tra poverina e poverella, credo.
Soren: 'sta ragazza sì che c'ha i complessi, davvero, però…
Francine: voi non capite niente… qualunque ragazza può soffrire senza motivo, invece voi siete così superficiali!
Ray: e quanto la fai lunga…
ChaDo: ma davvero, state zitti un po'? E' già tanto che non parlate durante il capitolo…
Dorothy Jane: credo ti dovrai accontentare di questo.
Blaise: in fondo a noi piace commentare. Cosa c'è per il prossimo capitolo?
ChaDo: ragazzi, è tardi, volete rporpio che lo legga?
Tutti: SI'.
ChaDo: va bene, allora… il prossimo capitolo è di Potter…
Francine: il nostro personaggio preferito. Ah. Pare vero.
Fuu Marie: ghghg…
Francine: lo tratti male, vero?
ChaDo: dipende da cosa intendi per male…
Fine Capitolo 4