Standard disclaimers: Sono nel primo capitolo.

Introduzione dell'autrice: Che dire a parte un caloroso grazie? Non mi stanco mai di ringraziare chi perde il suo tempo per leggere questa mia follia! Non ho altro modo per trasmettere l'entusiasmo che riuscite ad infondermi ogni volta con le vostre repliche! Un abbraccio speciale a Stefy, a Mary, ad Irene e ad Alice!!

Avvertenze: Nessuna.

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Ep. 3, Par. 1: "Tieni duro. Sta arrivando la cavalleria!"

By Darkwing

Terra

Periferia di Lussemburgo

Abbracciato da dolci colline ancora verdeggianti e rigogliose, l'antico palazzo della famiglia Kushrenada riposava immerso nella cornice lussureggiante del suo ampio parco, bagnato dalle placide acque della Mosella. Lo stesso capostipite del nobile casato aveva progettato la maestosa residenza, con l'iniziale intento di costruire un piccolo angolo di paradiso dove poter fuggire di tanto in tanto agli affanni politici del piccolo ma attivo paese. Con gli anni, i suoi eredi avevano lentamente ampliato e arricchito l'edificio, che alla fine aveva assunto connotati più consoni a quelli di un castello da fiaba che ad un cottage estivo. Tuttavia, nonostante la sua maestosa bellezza, l'edificio si presentava elegante e nello stesso tempo discreto con i suoi cesellati tetti di rame, armoniosamente fusi con il verde della vegetazione.

Quel pomeriggio, immerso nell'assoluta quiete del suo parco e al sicuro da sguardi e orecchie indiscrete, Treize Kushrenada era impegnato in una delicata conversazione videofonica con uno dei suoi più stretti collaboratori: il tenente-colonnello degli Specials Zechs Marquise.

"Siamo ad un punto morto." Sospirò Zechs attraverso il vid-com. "Abbiamo perso l'unità classificata come Zero-Uno e non abbiamo scoperto nulla sull'identità dell'assalitore. Comunque, anche se non ne ho le prove, sono convinto che si trattasse di un altro Gundam."

Treize annuì e si scostò leggermente dal tavolino da tè su cui era posato il monitor. Si concesse alcuni istanti di riflessione durante i quali non poté evitare di aggrottare le sopracciglia. I ribelli si erano immediatamente presentati come una minaccia, ma francamente non pensava che sarebbero riusciti ad arrivare a tanto. La situazione era veramente molto delicata ma, finché le forze armate della Federazione subivano, per lui c'era ancora speranza.

"A questo punto non sono rimasti molti gli obiettivi strategici a rischio." Proseguì Zechs. "Sono sinceramente preoccupato per la base in Corsica."

Treize raccolse dalla sua custodia l'antica carabina ad avancarica con cui amava dilettarsi di tanto in tanto al tiro a segno. Ostentando un atteggiamento rilassato si alzò in piedi e proseguì la conversazione con Zechs mentre prendeva accuratamente la mira su uno dei bersagli di legno poco lontani.

"Quella è sostanzialmente una fabbrica di Leo se non ricordo male."

"Sì." Confermò l'ufficiale di OZ. "Tuttavia non credo che anche ricorrendo agli Aries di stanza in Medio Oriente possiamo far fronte alla minaccia. Gli intercettori non sono adatti al combattimento contro i mobile suit e..."

"Vuoi partire." Dichiarò Treize caustico, continuando a dedicare la propria attenzione al suo bersaglio. "Ti si legge in faccia, Zechs."

Marquise si morse un labbro. Conosceva Treize da anni ormai, e sapeva bene quanto fosse difficile tenerlo all'oscuro di qualcosa. A dire il vero c'erano dei giorni in cui dubitava seriamente che il nobile rampollo dei Kushrenada necessitasse dei suoi rapporti per sapere ciò che stava accadendo. Non gli piaceva essere trattato come una pedina. Treize lo sapeva, così come sapeva un mucchio di altre cose sul suo conto, ma non faceva mai nulla per modificare lo stato dei loro rapporti. 'Non so ancora come, ma ti prometto che un giorno le cose cambieranno tra noi due. Spero che tu sappia anche questo, Treize.'

La voce flautata dell'oggetto dei suoi pensieri, riportò Zechs alla realtà. "Vai pure, Zechs." Disse pacatamente il capo di OZ.

Prima che Zechs potesse dare il ricevuto, qualcosa sbucò improvvisamente da un cespuglio con un rapido battito di ali. Senza battere ciglio, Treize spostò fulmineamente la canna del fucile ed esplose il suo unico colpo. Dopo aver gettato una rapida occhiata al cadavere del fagiano che aveva appena abbattuto, si voltò nuovamente verso lo schermo del vid-com e scoccò a Zechs un'occhiata complice e maliziosa. "Vai, amico mio, e distruggili anche per me."

*                   *                     *                     *                     *

Terra

Settore Orientale - Città di Odawara

Duo si accertò ancora una volta di aver preso tutto ciò di cui aveva bisogno, dopodiché chiuse lo zainetto e se lo mise in spalla. Non fece alcuno sforzo per trattenere uno sguaiato sbadiglio e piuttosto si appoggiò sconsolato alla canna della fiamma ossidrica che avrebbe portato con sé.

In realtà non ci aveva messo molto per rubare tutto il materiale che cercava, ma aveva comunque dovuto rinunciare ad ore preziose di sonno, e in quel momento, giocare al supereroe era l'ultimo dei suoi desideri. Scosse la testa e si bussò delicatamente la fronte. "Quanto sei fesso, Duo!" Si disse.

Gli era bastato vedere una bella ragazza in difficoltà per buttare alle ortiche l'intera missione! E così, non solo non aveva preso il carburante che stava cercando, ma era anche riuscito a perdere il mobile suit! Anzi...Due mobile suit...E il tutto in meno di dieci minuti! "Accidenti a me!" Aggiunse. Inoltre, come se questo non fosse stato già abbastanza, invece del prode cavaliere, salvatore di donzelle in difficoltà, aveva fatto la figura del cattivo della situazione.

'Vedi cosa succede quando provi a fare il bravo ragazzo, Duo?' Il giovane pilota sospirò e si fece strada verso l'ospedale militare. Era certo che il ragazzo a cui aveva sparato il giorno prima fosse stato portato lì. Non aveva idea di chi fosse, ma prima di lanciare quei dannati siluri aveva detto di essere il pilota dell'altro mobile suit. Se era veramente così, quel tipo avrebbe dovuto rispondere ad un bel po' delle sue domande. Sempre che avesse voluto una mano per uscire dai guai, ovviamente.

Raggiunta la propria destinazione, diede un'occhiata alla zona. L'aveva già visitata la sera precedente, ma con la luce del sole sembrava proprio tutta un'altra cosa. Era molto peggio infatti.

Come aveva già costatato, il problema non sarebbe stato entrare nell'edificio - doveva ancora essere inventata la serratura capace di fermarlo - piuttosto il problema sarebbe stato uscire. In fondo avrebbe dovuto portar fuori da là un ferito, che con ogni probabilità era anche ben sorvegliato, ed il fatto che l'ospedale fosse sessanta piani di cemento armato a picco sulla scogliera, non avrebbe facilitato certo le cose.

Naturalmente la sera precedente aveva elaborato l'ossatura di massima per un piano e si era procurato le attrezzature necessarie ma, come in tutte le sue operazioni, l'improvvisazione avrebbe giocato il ruolo di punta.

Controllò l'ora. Era il momento del check-point con Howard. Con un sogghigno richiamò alla memoria la conversazione che aveva tenuto con il suo ingegnere la sera precedente. Quando aveva detto al vivace vecchietto che aveva perso il Deathscythe e che avrebbe dovuto ripescarlo sotto gli occhi dei federali, Howard aveva urlato tanto forte che Duo avrebbe giurato di averlo sentito riecheggiare attraverso l'oceano. Comunque, a prescindere dal picco di pressione alta, lo scienziato gli aveva assicurato assistenza e gli aveva garantito l'arrivo di un trasporto in tempo utile. Doveva solo fargli sapere quando e dove.

Duo entrò in una cabina videofonica e staccò il ricevitore. Impostò la chiamata sulla modalità 'solo audio' e contattò l'ingegnere. Visto che senza l'equipaggiamento che era a bordo del Deathscythe non era in grado di approntare una connessione sicura, avevano stabilito una sorta di codice per poter parlare più liberamente.

"Heylà, vecchio, mio...Sì, sono io...No, non ci sono altri problemi, tranne, come sai, che ho tutti e due i carri rotti...Allora vieni a prendermi tu dietro il fienile?...Ok, ok...Lo sai che poi ti aiuterò a mietere il grano, non preoccuparti...Ora devo andare a prendere il bambino, ciao!"

Riagganciato il ricevitore, Duo uscì dalla cabina ed alzò lo sguardo verso la sommità del grattacielo. Si schermò gli occhi dai raggi del sole, a cui non era ancora abituato, e sorrise, pregustando l'azione. 'È arrivato l'orario delle visite!'

*                   *                     *                     *                     *

Terra

Settore Orientale - Città di Odawara

Ospedale militare federale

"Respirazione: 27. Polso: 57. Temperatura: 34 gradi in leggero aumento. Le condizioni del paziente sono stabili, maggiore Po."

"Bene." La giovane dottoressa rispose pacatamente al tirocinante e poi si chinò sulla sua console, esaminando attentamente le attrezzature mediche. I boccoli dorati che le riposavano sulle spalle scivolarono sul davanti, ma lei non se ne curò, troppo concentrata nello studiare i dati del suo ultimo paziente. Non appena ebbe terminato di leggere, un ombra di sconcerto oscurò per un istante il suo luminoso sguardo pervinca.

Non aveva ancora una grande esperienza sul campo, dato che era uscita dall'accademia solo l'anno precedente, ma per quanto le fosse dato di vedere, l'esperienza le sarebbe servita a poco con il soggetto che le stava di fronte. In letteratura non c'era memoria di un caso umano come quello, e anche il luminare più illustre della storia della medicina sarebbe rimasto a bocca aperta con un paziente del genere. Era semplicemente strabiliante.

Quando era stato portato lì la sera precedente, per poco si era rifiutata di prenderlo in cura. Aveva sempre trovato disumano l'accanimento terapeutico quando un individuo era ovviamente del tutto privo di speranze di sopravvivenza, e quando aveva visto le condizioni di quel ragazzo gli aveva dato al massimo un'ora di vita. Le era stato riferito che era rimasto sott'acqua per diversi minuti prima di essere stato ripescato nei liquami del porto; inoltre, a causa delle ferite da arma da fuoco, aveva perso una notevole quantità di sangue. In sostanza il suo stato di shock le era immediatamente parso irrecuperabile e così aveva prestato il primo soccorso al soggetto con ben scarsa convinzione.

Ciononostante l'organismo del ragazzo aveva reagito con una rapidità sorprendente, e adesso le sue probabilità di sopravvivenza erano cresciute fino a diventare ben più che un'illusione. La donna scosse la testa, ancora incredula. Nonostante la sera precedente avesse riscontrato sul suo corpo contusioni ed escoriazioni anche di una certa rilevanza, al momento le uniche ferite che risultavano visibili erano quelle lasciate dai proiettili che gli avevano perforato un braccio e una coscia. Era qualcosa che andava al di là delle capacità di un corpo in buona forma fisica. Per capire qualcosa di più sul conto di questo ragazzo probabilmente sarebbe stata necessaria un'analisi genetica.

Lo squillo di una chiamata la distolse dalle sue riflessioni. Il volto del responsabile del centro di calcolo comparve sul suo vid-com personale. "Sally? Qualcosa non va?"

La dottoressa sorrise al collega asiatico e abilitò immediatamente l'audio. "Oh...Ciao, Keniki. No, va tutto bene, grazie. Ero solo soprappensiero. Allora hai notizie per me?"

L'altro scosse la testa. "Purtroppo no. Non so dirti nulla sul conto di questo ragazzo. Posso solo dirti che non è nell'archivio, ma questo non vuol dire niente. Sulla Terra ci sono più di dieci miliardi di abitanti e solo una percentuale minima di questi sono schedati. Per non parlare della quasi assoluta mancanza di dati sugli abitanti delle colonie."

Nel sentire nominare le colonie, Sally aggrottò le sopracciglia e lanciò un'occhiata obliqua al ragazzo che giaceva immobile nella camera sottostante, legato al tavolo operatorio. Poteva essere uno di quei ribelli che avevano messo in ginocchio l'esercito federale?

"E dimmi un po', Ken, cosa mi sai dire di quel disco che gli abbiamo trovato addosso?"

L'informatico fece una smorfia contrariata. "Niente purtroppo. A parte il fatto che essere stato bagnato non gli ha fatto bene e che è protetto da un codice di alto livello."

La dottoressa sgranò gli occhi. "Vuoi dire che neanche il computer centrale riesce ad aprirlo? Ma com'è possibile? Cosa può mai contenere di così importante?"

"Chiunque abbia creato questo disco ne sa una più del diavolo in merito a criptazione di dati." L'uomo si passò una mano tra i capelli imbarazzato. "Beh, per lo meno ne sa una più di me. Quanto a quello che c'è dentro, per quello che posso dirti io, potrebbe contenere i piani di una bomba ai neutroni così come l'ultimo video della coniglietta del mese..." Il tecnico ridacchiò alla propria battuta, ma quando ricevette in risposta l'occhiata significativa della dottoressa si schiarì la voce a disagio. "Va bene, Sally. Ti prometto che farò il possibile e che se scopro cosa c'è dentro sarai la prima a saperlo."

La dottoressa sorrise e annuì, prima di chiudere la comunicazione. Poi si accostò al tirocinante che stava monitorando il paziente. "Ci sono novità qui?"

"Poco fa mi è parso di rilevare un leggero picco nei tracciati neurali, ma non credo fosse niente di più che un'anomalia."

La donna batté affettuosamente una mano sulla spalla del ragazzo. "Continua così e riferiscimi di ogni cambiamento, anche se ti sembra irrilevante. Questo sembra un tipo capace di molte sorprese."

L'altro annuì. Poi dopo un momento di silenzio richiamò l'attenzione della donna. "Maggiore?"

"Sì?"

"Ho sentito dire che vogliono interrogarlo. Pensa che dovremo ricorrere al siero della verità?" C'era un velo di apprensione nella voce del ragazzo.

Sally non poté biasimarlo. Inorridì al pensiero che le venisse ordinato di ricorrere ad una simile mostruosità per indurlo a parlare.

Il programma del corso di tossicologia che aveva seguito all'accademia militare aveva compreso anche lo studio di quella molecola. Finché tutto era rimasto sulla carta, era stato facile considerarlo alla stregua di qualsiasi altra sostanza stupefacente. Il suo modo di vedere le cose tuttavia era cambiato, quando dalla teoria erano passati alla pratica.

Ricordava fin troppo bene il giorno in cui il suo professore aveva mostrato a tutti il modo in cui il siero agiva. Nella sua memoria quei ricordi erano stati impressi con il fuoco dello sguardo smarrito e terrorizzato del detenuto che stava per essere sottoposto al trattamento. Non le avevano detto per quali ragioni quel poveretto fosse stato costretto a subire gli effetti del siero, ma dopo quello che era seguito, si era convita che nessuna ragione al mondo avrebbe mai potuto giustificare una simile tortura.

Un supplizio inutile, tra l'altro, perché l'esperimento era fallito e, dopo aver gradualmente perso il controllo del proprio sistema nervoso tra atroci spasimi di dolore, il malcapitato si era trasformato in un relitto umano, totalmente incapace di muoversi e di comunicare. Sally era convinta che, se dopo quel trattamento gli fosse rimasta ancora qualche cellula cerebrale funzionante, quell'uomo avrebbe preferito la morte ad un simile destino.

Quando aveva avanzato le proprie indignate proteste al professore, questi le aveva semplicemente risposto che lei, in quanto aspirante medico, avrebbe non avrebbe dovuto preoccuparsi dell'incolumità della feccia, bensì del enessere degli uomini onesti per proteggere i quali il siero era stato concepito.

Lo sguardo mite di Sally si indurì al ricordo di quel pallone gonfiato, che aveva avuto la faccia tosta di voler insegnare a lei il significato della dicitura 'etica professionale'. "Finché io sarò la responsabile qui, nessuno userà il siero." Garantì. "E poi sarebbe inutile su un uomo così giovane. Provocherebbe danni irreversibili al suo sistema nervoso e sarebbe impossibile interrogarlo."

Il tirocinante parve sollevato dalla determinazione che trasudava dalla donna e le sorrise.

Sally allentò la tensione contraccambiando il sorriso. "Okay, visto che qui è tutto a posto, se non c'è bisogno di me farei un salto di sotto a prendere un caffè. È stata una nottata lunga. Tu vuoi qualcosa?"

Il ragazzo parve sorpreso dalla familiarità dalla donna. Era una dote rara tra gli ufficiali della Federazione. "È molto gentile da parte sua, maggiore, ma il mio turno è quasi terminato. Prenderò qualcosa più tardi."

"Oh, già...il tuo turno è finito e domani è sabato." Sally soffocò una risatina. "Scusami, ma visto che io vivo chiusa qui dentro praticamente per tutta la settimana, tendo a dimenticare che le persone di buon senso non lo fanno!" Con un movimento fluido della mano lo salutò e si allontanò. "Buon fine settimana!" Disse, prima di lasciare la stanza.

Il tirocinante tornò a concentrarsi sugli strumenti che monitoravano lo stato del paziente. Era un compito noioso, ma lo faceva con entusiasmo. Lavorare al fianco della dottoressa Po si era rivelato un vero piacere e per questo si riteneva fortunato ad averla come diretto superiore. A dispetto della gerarchia militare era sempre disponibile e propensa al lavoro di squadra, e riusciva  ad organizzare il lavoro e a mantenere la disciplina con il sorriso sulle labbra. C'era molto da imparare da lei. Sperava tanto di poter finire il tirocinio sotto la sua supervisione.

Prima di dirigersi alla sala ristoro, Sally optò per una breve deviazione alla reception. Visto che era stata impegnata per tutta la notte con il nuovo arrivato, forse era il caso di controllare se nel frattempo qualcuno l'avesse cercata o avesse lasciato dei messaggi.

C'era una ragazza al banco, ma la dottoressa non prestò attenzione alla visitatrice se non quando sentì il contenuto della sua conversazione con l'infermiera.

"Come sarebbe a dire che non può ricevere visite? Ma allora è così grave?"

"Mi dispiace signorina. Non sono autorizzata a dire niente."

"Ma io devo sapere come sta. Quando l'ho lasciato ieri sera..."

"Ah!" L'infermiera la interruppe, riconoscendola. "Lei è quella che lo ha accompagnato qui!"

La ragazza annuì. Fu allora che Sally le si avvicinò e si intromise nella conversazione.

"E così sei tu che hai accompagnato qui quel bel giovanotto." Disse, sorridendo amichevolmente. "Forse allora sai darmi anche qualche informazione sul suo conto. Ti va di prendere un caffè con me?"

La ragazza parve colta di sorpresa e per un momento Sally fu certa di averla vista trasalire. Tuttavia la giovane le sorrise e accettò educatamente l'invito, seguendola nella sala bar.

Una volta sole, Sally cercò un modo per arrivare ad ottenere le risposte alle sue domande.

"E così tu conosci questo ragazzo." Iniziò in tono quanto più possibile rilassato.

"Sì." Fu la caustica risposta.

Sally sospirò. Aveva la sensazione che non sarebbe stato facile, la ragazza non aveva l'aria di essere disposta a scucirsi e forse avrebbe dovuto tentare un approccio un po' più diretto. "E non hai mai notato nulla di strano in lui?"

La ragazza si scostò una ciocca bionda dalle spalle con fare indifferente. "No. Mi pare un ragazzo del tutto normale. Perché?"

"No, niente. E tu? Posso sapere qual'è il tuo nome?"

"Ma certo. Mi chiamo Relena Darlian."

Sally si morse la lingua e sgranò gli occhi. "Darlian? Sei per caso una parente del ministro degli esteri Darlian?"

"Certo. Sono la figlia disubbidiente." Rispose la ragazza con prontezza.

Sally non poté fare a meno di sorridere alla dichiarazione della giovane donna. "Beh...in tal caso spero di non averti contrariata in alcun modo."

Con sua sorpresa Relena le scoccò un'occhiata bieca. "No, no...Non si preoccupi." Rispose con una smorfia. "Comunque adesso posso sapere come sta Heero?"

Sally non riuscì a nascondere l'eccitazione. "Heero? È questo il suo nome? Ne sei sicura?"

"Ma certo!" Assicurò la ragazza con aria saccente. "Io sono una sua grande amica, frequentiamo anche lo stesso corso di studi!"

Sally annuì, fingendo di credere alle parole della ragazza. Per qualche ragione che non le era chiara era sicura che Relena stesse mentendo, o comunque nascondendo qualcosa. Tuttavia fece buon viso a cattivo gioco. "Allora vieni con me. Ti porterò da lui." Disse, nella speranza di ricavare qualche altra informazione utile. Tutto quello che riusciva a scoprire lei in modo non cruento avrebbe reso più breve ed indolore l'interrogatorio a cui avrebbero sottoposto il suo paziente. Francamente aveva già abbastanza lavoro così, anche senza che qualche ufficiale della mano un po' troppo pesante gliene procurasse dell'altro. 'Spero solo che i miei metodi siano più persuasivi...' Pensò Sally, dando una sbirciatina alla ragazza che camminava silenziosamente al suo fianco.

*              *                     *                     *                     *

Neanche a dirlo, entrare nell'ospedale si era rivelato un vero e proprio scherzo. Duo si era aspettato che la sorveglianza non fosse strettissima, ma per poco non si era messo a ridere quando era entrato nella 'sala dei bottoni' che controllava i cosiddetti circuiti di sicurezza. D'accordo, prima di poter mettere le mani sui terminali aveva dovuto spedire un paio di infermieri nel mondo dei sogni; ma se mettere due sacchi di lardo davanti a una fila di monitor era l'idea che i federali avevano di sistema di sicurezza, avrebbe annientato OZ in una settimana!

Duo sghignazzò. Forse, prima di andare via avrebbe potuto lasciare a quei mentecatti uno schizzo su come avrebbero dovuto piazzare le telecamere e i sensori dell'allarme...Poi fece spallucce, a pensarci bene sarebbe stato tempo perso. Tanto nel giro di una settimana li avrebbe ridotti tutti al rango di particelle subatomiche.

Il ragazzo tornò serio e studiò rapidamente la situazione. Per prima cosa doveva trovare la stanza in cui era tenuto il suo obiettivo. Visto che non sapeva niente sul suo conto dovette ricorrere all'intuito. La cosa che gli parve più probabile era che avessero classificato tutte le informazioni sul soggetto, perciò non perse neppure un secondo a controllare i dati degli altri pazienti, e rivolse la propria attenzione ai files che contenevano informazioni riservate.

"Protetti da password, eh?"

Duo non si diede per vinto. Quando diceva che non esistevano serrature capaci di fermarlo intendeva anche le serrature virtuali. La debolezza di un sistema protetto da password era insita nel sistema stesso o la parola d'ordine non avrebbe mai funzionato. Forzare l'archivio gli rubò soltanto pochi minuti, durante i quali poté lavorare indisturbato.

"Ecco qui. Direi che l'ho beccato." Esclamò dopo una breve ricerca. Scorse i dati. "Uh, questo sì che è interessante. Nome: sconosciuto. Età: sconosciuta. Luogo di nascita: sconosciuto. Sesso: maschio....Uhm, meno male che ci sono i dottori per dirci queste cose!" Duo sghignazzò. Poi lesse i dati sulle condizioni fisiche del soggetto, che si aggiornavano in tempo reale sullo schermo, e fece una smorfia. Sembrava piuttosto malconcio.

Per farsi un'idea più chiara della situazione convertì una telecamera che dava sul corridoio con una che riprendeva l'interno della sala in cui era tenuto il prigioniero. "E adesso diamo un'occhiata a come sta la nostra 'Bella Addormentata'..."

Non appena l'immagine sul monitor si fu stabilizzata, Duo perse improvvisamente la voglia di parlare. Non era quello che si era aspettato di vedere. Il ragazzo che stava cercando giaceva in apparente stato di incoscienza, strettamente legato ad un tavolo operatorio. Una serie di tubicini e sensori di varia natura erano applicati sul suo corpo ed erano collegati ad una dozzina di diversi apparati diagnostici dall'aria inquietante. Faceva impressione in realtà. Sembrava più una cavia umana che un paziente.

Un brivido gli percorse la spina dorsale, facendogli rizzare i peli alla base del collo. Non gli erano mai piaciuti gli ospedali. Sulla sua colonia erano posti dove i ricchi venivano coccolati e i poveri ignorati, e comunque rimanevano posti dove la gente moriva senza aver avuto la possibilità di lottare. Personalmente sperava di procurarsi il suo biglietto per l'Inferno quando ancora aveva la possibilità di stringere un'arma in pugno, magari in battaglia, e non in un anonimo lettuccio sterile. Qualcosa gli diceva che anche quel ragazzo la pensava come lui, e per questo doveva trovare un modo per tirarlo fuori da lì vivo. Aveva bisogno di saperne di più su di lui, prima di decidere cosa farne.

Fu proprio mentre stava studiando un modo per portare fuori dall'edificio il ferito incosciente che scorse il guizzo di un muscolo contrarre un braccio dell'altro ragazzo.

Da principio Duo pensò si fosse trattato di un movimento involontario, ma quando vide le sue palpebre socchiudersi e gli occhi dardeggiare occhiate furtive al circondario, seppe che il signorino Senzanome si era svegliato. Forse, se fosse riuscito a mettersi in contatto con lui, la fuga sarebbe stata più facile.

Per questo prese il controllo di uno dei monitor che erano collocati nella sala operatoria e trasmise la propria immagine attraverso il circuito di sorveglianza. Non disponeva di un sistema audio, ma era certo che con un po' di collaborazione da parte dell'altro se la sarebbero cavata. Non appena accertatosi di aver completato l'intrusione con successo, si portò un dito alle labbra mimando il silenzio.

Attraverso la telecamera lo sguardo scuro dell'altro ragazzo gli diede segno di averlo notato e di aver ricevuto il messaggio. A questo punto iniziò a parlare.

"Prima di tutto i miei complimenti, amico. Sei proprio un grande attore! Ti sei svegliato senza far aumentare il polso di un solo battito!" Duo si interruppe, notando lo sguardo di gundanio che l'altro gli stava scoccando attraverso la matrice attiva.

"Bene." Disse con un sorriso sbilenco. "Da questo deduco che tu abbia capito quello che ho detto. Ero certo che un ragazzo in gamba come te non avrebbe avuto problemi a leggere sulle labbra. Adesso veniamo a noi, che ne dici?"

L'altro voltò leggermente la testa, quasi a volerlo ignorare. Dopo un momento però tornò a guardare verso la telecamera.

"Se ti stai chiedendo perché sono qui la risposta è semplice. Voglio delle risposte." Duo fece una pausa ad effetto ed assunse un atteggiamento complice e contemporaneamente malizioso. "Se ti andasse di rispondere alle mie domandine potrei anche prendere in considerazione l'idea di tirarti fuori di qui, già che ci sono. Che ne dici? Ti va l'idea?"

*                   *                     *                     *                     *

Heero chiuse gli occhi un istante e prese un respiro profondo per concentrarsi. Il dolore che si irradiava dal braccio e dalla gamba feriti non era molto intenso, ma la testa gli girava e avvertiva un forte senso di nausea. 'Sedativi.' Pensò. Sì, dovevano avergli dato dei sedativi di qualche tipo, perché non si sentiva affatto lucido. Nonostante questo doveva pensare in fretta.

Appena ripresi i sensi, aveva capito immediatamente che si trovava in un ospedale di qualche tipo. Non ricordava esattamente il modo in cui si erano svolti i fatti, ma presumibilmente era stata quella ragazza, Relena, a portarlo lì e questo lasciava presupporre che quello fosse un ospedale federale. Ciò poteva significare una sola cosa. Era caduto in mano al nemico e così facendo aveva completamente fallito la sua missione.

Guardò con odio il monitor alla sua sinistra. Era tutta colpa di quel tipo se la sua copertura era saltata, se era stato catturato e se i federali ora erano in possesso di un back-up del sistema operativo del Wing, che comprendeva anche i suoi dati personali e i codici di comunicazione che aveva accordato insieme al dottor J. Poteva solo sperare che non riuscissero a decodificarlo.

Se in quel momento avesse avuto dei raggi laser al posto degli occhi, avrebbe volentieri incenerito quell'idiota una volta per tutte. Tuttavia era qualcosa che andava ben oltre le sue possibilità e, a giudicare dal sorrisetto che l'altro portava stampato sulla faccia, non era il solo a saperlo. E questo non era tutto. Heero odiava sentirsi impotente e lasciare ad altri il controllo delle proprie azioni, ma al momento era nella pessima situazione di chi non era in grado di dettare condizioni. Quel tipo, che lo fissava con la pazienza condiscendente di chi non ha niente da perdere e tutto da guadagnare, sapeva anche questo, e non si era affatto preoccupato di nasconderlo. Anzi, era stato fin troppo chiaro: in cambio della sua liberazione voleva delle risposte.

Essere interrogato dai federali o da uno sconosciuto che aveva cercato di farlo fuori solo la sera precedente non faceva una gran differenza. Era stato addestrato a non cedere alle pressioni di un interrogatorio, ma non era certo di poter resistere a tutto nelle condizioni fisiche in cui si trovava al momento. Per questo giunse alla conclusione che avrebbe dovuto eliminare la minaccia che lui stesso era diventato per le colonie. In definitiva gli restava un'unica opzione...

Ammiccò brevemente alla telecamera. Se quel tipo voleva tirarlo fuori di lì lo avrebbe accontentato. Quanto al resto, Heero dubitava che più tardi avrebbe avuto occasione di rispondere alle sue domande.

*                   *                     *                     *                     *

"Ecco. Accomodati pure." Sally fece strada a Relena e la guidò nella saletta in cui erano collocati i terminali degli strumenti che monitoravano il suo paziente.

Relena si guardò attorno un po' spaesata, poi Sally le indicò la vetrata dalla quale si poteva guardare nella stanza sottostante. "Ecco il tuo amico." Le disse la dottoressa.

Relena si affacciò con urgenza. Non appena ebbe riconosciuto il ragazzo, legato mani e piedi sul tavolo operatorio e ancora vestito con gli indumenti del giorno precedente, non riuscì a trattenere un singhiozzo di sorpresa.

"Heero?" Si voltò di scatto dardeggiando un'occhiata di fuoco alla dottoressa. "Ma cosa gli avete fatto? Slegatelo immediatamente!"

Sally le si avvicinò, per nulla impressionata dalla reazione violenta della ragazza e dal suo tono autoritario. Capiva benissimo che quella che avevano sotto gli occhi non fosse un immagine piacevole.

"Relena. Mi dispiace, ma ciò non è possibile al momento." La donna sperò che dal tono della propria voce emergesse quanto anche lei trovasse sgradevole quella circostanza. "Il fatto è che non sappiamo nulla di questo ragazzo. Non siamo in grado di dire se sia pericoloso. Certamente è molto forte e questo lo rende potenzialmente in grado di nuocere. Per questo siamo stati costretti a legarlo. Se, quando si sveglierà, si mostrerà disponibile a chiarire alcuni dubbi sulla sua identità, allora forse potremo liberarlo, ma fino a quel momento dovrà restare così."

Relena lasciò cadere la maschera di rabbia con cui aveva affrontato la dottoressa. Una profonda ruga di preoccupazione le marcò il sopracciglio. "Ma allora non è un soldato federale." Disse, in un soffio.

La donna scosse lentamente la testa e sorrise amaramente alla ragazza. Relena abbassò nuovamente lo sguardo su Heero. L'avere appena ricevuto conferma che dietro a quel ragazzo si celassse un grande mistero la riempiva di uno strano miscuglio di emozioni: paura, eccitazione, ma anche e soprattutto pena. "Posso vederlo?"

Sally esitò un istante, ma poi sospirò e annuì. Avrebbe potuto porle le proprie domande in un secondo tempo e darle il tempo di digerire le notizie. Si diresse verso l'altra porta che si apriva nella stanza e fece cenno a Relena di seguirla. "Vieni con me."

Le due donne percorsero in silenzio il breve corridoio e scesero alcuni degli scalini della rampa di scale che conduceva al mezzopiano inferiore. Fu allora che un boato assordante mandò in frantumi tutti i vetri che le circondavano e una pioggia di intonaco le investì, coprendole di polvere.

*                   *                     *                     *                     *

Non appena parte della nube di polvere si fu dissolta, Heero riuscì a distinguere un buco nella parete semicrollata alla sua sinistra. Tuttavia, solo quando l'altro ragazzo si mosse e rivelò il viso che aveva riparato sotto il cappellino nero, Heero distinse la sua forma umana, immersa nell'oscurità del corridoio.

"Mi pareva il momento giusto per movimentare un po' la faccenda." Esclamò questi allegramente, accennando alla parete che aveva appena abbattuto con una carica esplosiva. Poi si precipitò al fianco del tavolo operatorio e studiò un istante i robusti lacci di cuoio che trattenevano il prigioniero per i polsi e le caviglie. "Ma come diavolo si slacciano questi?"

"Lascia perdere. Dammi il tuo coltello piuttosto."

Duo rimase un po' sorpreso dalla richiesta, dato che non era affatto scontato che lui ne portasse uno con sé. Tuttavia non perse tempo in riflessioni ed estrasse dallo stivale la lama che vi teneva sempre nascosta. Fu quando alzò lo sguardo verso l'alto che ricevette la seconda sorpresa in meno di dieci secondi. Invece dello sguardo dell'altro ragazzo si trovò di fronte la sua mano, completamente coperta di sangue, ma tesa e pronta a stringere la presa sul coltello.

"Ma...?" Duo dardeggiò una serie di occhiate allibite al laccio strappato, che ora pendeva dal lettino intriso di sangue, e alla mano ferita che era rivolta verso di lui. "Certo che ne hai di fegato, amico." Commentò infine, sinceramente ammirato per il coraggio dell'altro, che pur di liberarsi la mano, aveva avuto il coraggio di procurarsi un danno non da poco.

"Sbrigati." Comandò l'altro impassibile.

Convenendo che non fosse il momento per perdere tempo, Duo si affrettò a tagliare i lacci rimanenti. "Riesci ad alzarti?"

L'altro annuì e con un grugnito riuscì in qualche modo a mettere i piedi a terra.

"Vieni. Mettiti questo adesso." Duo si tolse dalle spalle il paracadute che aveva con sé e aiutò l'altro ad indossarlo in tutta fretta. "Forza adesso. Alla fine di questo corridoio ci aspetta un bel salto." Quando si accostò all'altro per sostenerlo, questi si scrollò bruscamente di dosso le sue mani e gli scoccò un'occhiata significativa.

"Fai strada." Disse semplicemente.

"Come vuoi." Duo si strinse nelle spalle e scattò a tutta velocità nel corridoio attraverso il varco che si era aperto poco prima, incredibilmente seguito a ruota dall'altro.

Continuando a correre, Duo mise mano ad una delle cariche che aveva con se e la scagliò contro la finestra che si apriva all'altra estremità del corridoio. "Giù!" Ordinò, buttandosi a terra.

Heero obbedì con sorprendente prontezza, riparandosi la testa dalle schegge dei vetri infranti, e riscattò in piedi appena ricevuto il via libera.

Correndo a rotta di collo, Duo raggiunse la finestra sfondata e spiccò un salto lanciandosi nel vuoto. "Si vola!" Gridò euforico.

Senza la minima esitazione Heero lo seguì un istante dopo.

"Relena! Va tutto bene?" Sally si preoccupò immediatamente della ragazza che era con lei.

"Sì, io sto bene. Ma cosa è successo?"

"Non lo so..."

Le due donne si guardarono un momento in faccia, cercando la risposta l'una negli occhi dell'altra. "Heero." Disse, Relena. Sally annuì.

Senza dire altro, si misero a correre giù per le scale ed entrarono nella sala operatoria. Sally inorridì, vedendo che il paziente era scomparso. I lacci erano stati tagliati e una parete era sventrata. "Qualcuno lo ha fatto fuggire!"

Comprendendo immediatamente la situazione, la dottoressa si lanciò di corsa attraverso il corridoio, facendo in tempo a scorgere contro luce la sagoma del ragazzo mentre spiccava un salto e si lanciava dalla finestra. Non poté fare nulla per fermarlo. Relena la raggiunse alla finestra distrutta solo un secondo più tardi.

"Ma che fa?" Disse, Sally con voce incrinata. "Perché non apre il paracadute? Siamo al cinquantatreesimo piano. Si sfracellerà sulle rocce!"

Relena sentì un groppo stringerle la gola quando realizzò le reali intenzioni del ragazzo. "Perché vuole uccidersi." Disse a Sally, che le restituì un'occhiata scioccata.

Duo sgranò gli occhi incredulo, quando il corpo dell'altro fuggiasco lo superò, precipitando in caduta libera. "Ma che diavolo fa?" Disse a voce alta. "Maledizione! Se continua così questo qui ce l'avrò sulla coscienza!" Protestò stizzito. Intimamente però si sentiva preda del dubbio. Non riusciva a capire...Poi la consapevolezza lo colpì come un fulmine a ciel sereno. "Oh, no!"

Heero chiuse gli occhi e attese. Presto la sua missione sulla Terra si sarebbe definitivamente conclusa. Una volta che avesse posto fine alla propria esistenza, nessuno avrebbe più potuto sfruttarlo come mezzo di ricatto contro le colonie. Con il Wing distrutto e lui morto l'operazione si sarebbe conclusa come un fallimento, ma per lo meno non sarebbe stata un pretesto per alimentare le tensioni tra Terra e Spazio. Tutte le prove della ribellione sarebbero state per sempre eliminate contro le rocce della scogliera.

L'aria gli sibilava nelle orecchie mentre precipitava a peso morto. Ormai mancavano solo pochi secondi all'impatto e dopo non avrebbe più dovuto preoccuparsi di nulla. Le sue battaglie erano finite. Per la prima volta dopo tanto tempo provò la breve e fugace consapevolezza della propria libertà e si sentì vivo. Stava per morire, eppure si sentiva vivo. Era una sensazione piacevole. Non sentiva alcun dolore.

"Ma che fai?"Una voce maschile lo raggiunse ovattata; un'ombra di panico nascosta nel suo tono. "Apri quel paracadute, accidenti! Ma cosa diamine vuoi dimostrare!"

La serenità di Heero vacillò per un istante. 'Non voglio dimostrare niente. Ma io non...'

Una seconda voce fece irruzione nella sua testa. "Heero!"

'Relena...?'

Heero aprì di scatto gli occhi e tirò la maniglia del paracadute.

La tela finalmente si liberò dal suo involucro e si allungò in aria. Relena tirò un sospiro di sollievo, ma Sally al suo fianco scosse la testa facendo rimbalzare sulle spalle i morbidi boccoli biondi. "È troppo tardi ormai!"

Con orrore, Relena si rese conto che la dottoressa aveva ragione. La vela non si era ancora aperta e non ne avrebbe più avuto il tempo. Heero sarebbe comunque precipitato sulla scogliera sotto i suoi occhi.

La ragazza rimase impalata a fissare di sotto. Neanche un secondo dopo vide il corpo di Heero raggiungere il suolo, sganciarsi dal paracadute e  rotolare giù dal pendio come una bambola.

Relena avrebbe tanto voluto trovare il coraggio di distogliere lo sguardo e fingere che non fosse successo niente, ma non poté staccare gli occhi dalla forma che, dopo una caduta rovinosa, si era fermata sulla spiaggia sottostante, molle come uno straccio. Le lacrime cominciarono ad offuscarle la vista. Non aveva mai visto morire un uomo. Non voleva credere che Heero si fosse suicidato così. Ma perché aveva fatto una cosa simile?

Dopo un minuto lungo un secolo, Sally si portò una mano alla bocca. "Non posso crederci!"

Relena stava per rispondere che anche lei non poteva credere che ciò che era appena successo fosse vero, ma quando si asciugò gli occhi, capì che lo stupore della dottoressa non era stato causato dalla morte del ragazzo, bensì dall'evento esattamente opposto.

Heero si stava muovendo e non solo...si stava rialzando!

Le due donne rimasero attonite ad osservare dall'alto la scena, con la sensazione di aver appena assistito a qualcosa di straordinario.

Sally si morse un labbro preoccupata. Non aveva idea di chi fossero quei ragazzi. Sperava solo che non fossero loro nemici.

*                   *                     *                     *                     *

Dolore. La prima sensazione che si fece largo nella mente di Heero fu quella di un forte e diffuso dolore. Non era normale provare dolore da morti, perciò dedusse che doveva essere ancora vivo. Aprì gli occhi e si ritrovò a faccia in giù nella sabbia. Strinse le dita, affondandole tra i ruvidi granelli sottili e questi gli provocarono un bruciore quasi insopportabile sulle palme delle mani. La salsedine evidentemente non mostrava alcuna pietà per le sue ferite. 'Maledizione!' Pensò. 'Lo sapevo che non dovevo aprire quel paracadute. Sono ancora vivo.'

Non c'era un solo centimetro del suo corpo che non gli dolesse, ma non poteva restare lì a far niente ed aspettare che lo ricatturassero. In qualche modo doveva trovare il modo di allontanarsi da lì.

Con i muscoli contratti e tremanti per la semplice fatica di respirare, raccolse tutte le sue forze e si trascinò carponi. Doveva essersi rotto un ginocchio, perché non riusciva a piegare la gamba destra come avrebbe voluto.

Digrignando i denti, tentò di issarsi in piedi. Per un momento la vista gli vacillò e temette di essere sul punto di perdere conoscenza. Abbassò lo sguardo a terra, pensando che se avesse visto qualcosa di fermo la testa avrebbe smesso di girargli, ma non ottenne alcun risultato. Il dolore e la fatica erano semplicemente troppo intensi perché fossero anche sopportabili. Non ce l'avrebbe mai fatta ad andarsene. Doveva trovare un modo per completare l'opera che aveva iniziato. Ma non aveva niente con sé che potesse servire allo scopo.

Un'ombra scura scivolò nel suo campo visivo, oscurandogli la vista dai raggi del sole, ancora bassi sull'orizzonte. Heero temette che la pressione sanguigna lo stesse abbandonando; poi realizzò che la sagoma disegnata sulla sabbia non era dentro la sua testa, ma apparteneva ad una persona reale.

Heero alzò lo sguardo verso il ragazzo che lo aveva aiutato ad evadere. Incontrando i suoi occhi violetti si trovò a deglutire. Lo osservò un momento, attingendo al proprio istinto di combattente per capire quale fosse l'origine del disagio che quella presenza silenziosa gli stava provocando. Poi capì. C'era rabbia in lui. Una rabbia profonda e palpabile. Una rabbia che Heero non si aspettava di trovarvi, perchè nessun predatore prova rancore nei confronti della propria preda. Eppure questi sembrava furioso.

Il ragazzo si tolse il berretto con un gesto brusco, quasi avesse voluto sfogare sull'inerme indumento la furia che lo stava incomprensibilmente incendiando dall'interno. Poi si trattenne e continuò a fissarlo. I suoi occhi parevano dirgli che non era sufficientemente soddisfatto dalla sofferenza che stava provando. Sembravano quelli di qualcuno pronto a saltargli alla gola da un momento all'altro.

"Si può sapere che ti ha preso?" Disse infine con voce bassa, ma perfettamente udibile. Non attese risposta e continuò a parlare, velocemente, sputando quello che aveva da dire in un unico respiro. "Posso anche capire che tu voglia farla finita. Ma forse, e sottolineo forse, avresti potuto scegliere un altro momento!"

Heero ammiccò, cercando di mettere a fuoco i propri pensieri. Non erano le parole che si era spettato di sentire. Come faceva quello a capire le ragioni per cui aveva cercato di uccidersi? Era assurdo. E poi perché era tanto arrabbiato? Perché lo stava rimproverando come fosse stato ancora un bambino sotto la supervisione del dottor J? E soprattutto...Perché quel rimprovero lo faceva sentire in colpa?

Heero tacque. Non capiva. Se mai aveva commesso un errore, era stato quello di aprire quel dannato paracadute. Ma Relena lo aveva chiamato e la sua mano aveva ciecamente obbedito a quell'ordine disperato. Perché lo aveva fatto? E perché adesso gli importava del giudizio di uno sconosciuto? Per la seconda volta da quando aveva toccato terra, maledì il momento in cui aveva tirato quella maniglia. Se fosse stato morto a quest'ora non sarebbe stato lì a porsi domande prive di fondamento.

L'altro ragazzo sospirò e chiuse gli occhi un momento. Quando li riaprì e focalizzò nuovamente lo sguardo su di lui, Heero si avvide che l'ira che poco prima li aveva raggelati era scomparsa. Heero non seppe dirsi se ciò che vi scorse in quel momento gli risultasse preferibile alla collera di pochi istanti prima. Pietà? No, non era pietà, e poi lui non voleva la compassione di nessuno. Tristezza? Forse, ma non aveva senso. Comprensione? Sì, ma ancora una volta non capiva.

Era tanto sconcertato dall'atteggiamento dell'altro ragazzo che non avanzò la minima protesta quando questi gli si avvicinò e si passò un suo braccio intorno al collo, aiutandolo a sostenersi.

"Senti, amico. Non ti sto chiedendo di fidarti di me." Gli disse questi in un orecchio. "Ma vorrei che capissi che in questo momento sono l'unico amico che hai."

Heero ancora una volta non aprì bocca e si lasciò condurre via. Con sua grande sorpresa si rese conto che in realtà l'altro non lo stava affatto trascinando come fosse stato un prigioniero ma, per quanto lo stesse portando via in tutta fretta, stava usando una grande cautela nell'evitargli ulteriori traumi.

Heero gli scoccò un'occhiata bieca e sospettosa e ricevette in risposta un sorriso obliquo, ma poco significativo. "Tieni duro. Sta arrivando la cavalleria!" Disse l'altro, accennando ad un rimorchiatore che si stava rapidamente avvicinando alla costa.

'Ma chi è questo qui?' Heero ebbe ancora una volta il tempo di esprimere a se stesso i propri dubbi, ma non quello di formulare un'ipotesi. Un velo gli oscurò la vista e le forze lo abbandonarono. Tuttavia, per qualche strana ragione, non si sentì cadere a terra.

*                   *                     *                     *                     *

  "Caspita, quanto pesi, amico!" Duo strinse la presa attorno al corpo compatto dell'altro ragazzo e ne impedì la caduta. "E non ti posso neanche dire di metterti a dieta, perché sei già pelle ed ossa!" Scherzò, dandogli un goliardico pizzicotto sull'addome, che in realtà era un fascio di nervi e muscoli.

Duo si accigliò. Quel ragazzo non era certamente uno qualunque. La sua forma fisica pareva supportare l'ipotesi econdo la quale fosse veramente il pilota del mobile suit che aveva trovato. Era infatti evidente che avesse ricevuto un addestramento molto simile a quello che aveva subito lui.

"Forza. Ci siamo quasi." Disse, nonostante non fosse affatto certo di quanto riuscisse a capire il peso morto che stringeva tra le braccia. Compatibilmente con le proprie possibilità di movimento, si diresse rapidamente verso il piccolo molo che si trovava sul lato occidentale della spiaggia. Probabilmente, nel pieno della stagione estiva, i battelli stracolmi di bagnanti approdavano lì per sbarcare il loro carico umano, ma in quel momento, essendo l'autunno alle porte, non c'era anima viva.

Il rimorchiatore si accostò alla banchina in quel momento, e Duo riconobbe la sgargiante camicia hawaiana di Howard che lo attendeva sul ponte. L'anziano ingegnere agitò un braccio nella sua direzione, ma Duo non poté rispondere al saluto ed invece si sforzò di affrettare il passo.

Arrivò sul molo con il fiato corto e un sorriso smagliante stampato sulla faccia. "Missione compiuta!" Ansimò. "Beh...quasi." Aggiunse, riconoscendo l'aria scettica di Howard, nonostante gli occhialetti da sole nascondessero i suoi occhi rugosi.

Lo scienziato a quel punto sorrise. "Hai detto bene. Quasi. Comunque una squadra dei miei ragazzi è già sul posto. Se non ci saranno intoppi, recuperemo il tuo giocattolo in men che non si dica."

"Grazie, vecchio mio. Ti prometto che mi farò perdonare per il disturbo." Disse Duo, spostando leggermente il peso che gli ingombrava le braccia per riuscire a caricare il ragazzo svenuto sull'imbarcazione.

"Adesso non ci pensare e piuttosto dimmi chi è questo qui." Chiese Howard accigliato, mentre lo aiutava nell'operazione.

Duo simulò un'espressione scandalizzata. "Ma come? Ti sembra questo il tono con cui accogliere un ospite di riguardo? Stiamo parlando del pilota di un Gundam, sai? Uh! Vuoi dire che un pilota di Gundam non è un ospite speciale sulla tua bagnarola? Howard...Tu mi ferisci!"

"Smettila di fare il pagliaccio, Duo, non è il momento di perdere tempo."

"Lo so, per questo ho chiamato te, vecchio mio!" Disse ammiccando sfrontatamente. "Ora fai piano qui con il signorino Dormo-in-piedi. Ho la sensazione che se avesse giocato a fare il contorsionista sotto uno schiacciasassi sarebbe stato più arzillo."

Ricevendo il corpo del ragazzo, Howard dovette riconoscere che quello che Duo aveva appena espresso con il suo gergo colorito era probabilmente vero. Con delicatezza lo adagiò sul ponte.

"Adesso comunque è l'ora di tagliare la corda." Dichiarò Duo, mollando la cima di un ormeggio e dando il segnale di via al comandante. Immediatamente il rimorchiatore si staccò dal molo. "Non vorrei che tu finissi nei guai perché ho fatto una visitina fuori orario."

Howard alzò lo sguardo alla cicatrice che deturpava la facciata traslucida dell'ospedale e poi tornò a guardare l'espressione rilassata che in quel momento era disegnata sul volto di Duo. Quando era arrivato alla piattaforma, qualche giorno prima, aveva fatto fatica a credere che fosse veramente quello scanzonato scavezzacollo l'uomo di cui gli aveva parlato il vecchio G. Tuttavia gli ci era voluto poco per ricredersi. Aveva capito in fretta che non sarebbe stato affatto saggio ignorare la scintilla sinistra che serpeggiava dietro quegli ampi sorrisi e quegli occhi vivaci. In breve, era contento di non doverselo trovare contro.

"Non preoccuparti. Non ci saranno problemi." Disse lo scienziato, rassicurando il ragazzo.

Poi si chinò per esaminare le condizioni del giovane che giaceva incosciente ai suoi piedi. Anche se era e restava una mina vagante,  Duo aveva dimostrato di saper essere alla mano e non troppo difficile da trattare. Howard si augurò che anche quest'altro pilota si dimostrasse altrettanto ragionevole perché sapeva che, se si fosse sentita in trappola, una belva ferita avrebbe potuto dimostrarsi molto più pericolosa di qualunque altra.

TBC...

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AN: Weeeh....Lungo, eh? Beh...spero che ne sia valsa la pena. Sappiatemi dire cosa ne pensate! ^___^

Bacioni!