Era sempre immobile, la voce piatta ma così allettante da farmi sciogliere come burro davanti a un lanciafiamme. Da quando eravamo lì, non avevo mai visto la sua bocca, il collo alto del mantello che indossava lo copriva fino a sotto il naso.

Rimasi fermo anche io, la paralisi era tornata mentre non riuscivo a smettere di fissarlo. Io avevo il respiro accelerato, lui sembrava una meravigliosa statua di cera.

Incantevole.

La mia mano destra, tremante e con le dita che restavano adunche nello sconvolgente tumulto che mi stava sballottando, iniziò a sollevarsi lentamente. Prima si piegò leggermente il gomito, poi la spalla si decise a sollevare tutto il braccio rendendolo più o meno teso davanti a me. Ero consapevole di sembrare un automa mentre muovevo lentamente un passo nella sua direzione, il mio coprifronte, ormai zuppo di sudore, non riusciva più a trattenere il fastidioso liquido che mi colava negli occhi facendomeli bruciare. Feci un altro passo senza riuscire a staccarmi da quello sguardo così affascinante. Tremavo, mi stavo sottoponendo a un rischio letale, avrebbe potuto schiacciarmi come un insetto da un momento all'altro.

Un passo vacillante dietro l'altro lo raggiunsi, ero un burattino nelle sue mani, così vulnerabile come non lo ero mai stato in vita mia. Adesso eravamo talmente vicini che i nostri petti si sfioravano. Sentivo il suo odore, aveva qualcosa di protettivo ma, allo stesso tempo, fortemente pungente e attraente. Era come un irresistibile abbraccio.

"Che ne è stato dei ragazzi?" nonostante fossi certo che non aveva fatto loro alcun male, la mia voce tremò.

Il cuore mi batteva all'impazzata mentre perdevo completamente la dignità.

"È come se fossimo su due piani diversi dello stesso palazzo." poche parole ma che centravano sempre il bersaglio.

"Quindi questo è reale?"

"È reale per noi sul nostro piano come lo è per loro sul loro piano. Io ho le chiavi delle porte e in questo momento le sto tenendo chiuse."

Sapendo che eravamo entrambi lì, anima e corpo, mi sentii rincuorato. Non era un'illusione vera e propria, ci aveva semplicemente separati.

Vuole stare da solo con me.

Sentii un tuffo al cuore, ma questa volta, di gioia. Le gambe mi smisero di tremare. La mano che poco prima aveva fatto tanta fatica per alzarsi, finalmente trovò il coraggio di completare il suo cammino. Le punte delle dita si posarono sulla spessa stoffa della sua cappa, dopo un attimo di esitazione, risalirono fino a raggiungere l'estremità dell'altissimo colletto. La mia mano si fermò di nuovo, sentivo il suo respiro sfiorarmi le dita, era caldo e leggermente accelerato. Non si trattava di paura o nervosismo, ebbi un nuovo e piccolo tremito che, però, si esaurì in fretta. Insinuai leggermente le unghie di medio e indice tra i primi due bottoni, senza smettere di guardarlo negli occhi, li sganciai. Al primo ne seguirono rapidamente altri tre, lui continuava a non muoversi, sotto apparve una maglia dall'ampia scollatura di rete.

I miei occhi finalmente poterono uscire dalla prigione del suo sguardo ma solo per finire in un'altra gabbia, questa era costituita dal collo elegante e sottile, dalle clavicole sporgenti con tutte le nervature che le attraversavano. Esattamente come lo ricordavo, di nuovo aveva solo una semplice collana ma che su di lui diventava un'esplosione di finezza. I capelli, adesso molto lunghi, gli scendevano dietro le spalle raccolti da un elastico rosso.

Mi tornò dolorosamente alla mente come, tre anni prima, dovetti trattenere l'impulso di accarezzargli la testa vedendola sbucare appena da quello stesso mantello. Ma ora, la mia mano non poteva più essere ostacolata da niente, accarezzò quella morbida seta d'ebano sparendoci nel mezzo e fermandosi lì, leggera sulla sua nuca. I miei occhi si spostarono sulla sua bocca piena con quel leggero overbite che lo aveva reso sempre così adorabile e unico. Così umano. Sembrava fatta di puro velluto, ma non avendola mai toccata non potevo averne la certezza. La mano che gli tenevo sulla nuca iniziò a fare una lieve pressione, vidi le sue labbra schiudersi leggermente mentre gli occhi restavano saldi.

Tranquillo, non lo dirò.

La mia mano sinistra si sollevò per abbassare il bavaglio, non lo avevo mai fatto con nessuno, nemmeno con Obito. Neanche Gai conosceva interamente la mia faccia.

Non lo dirai.

Ero così vicino da respirare il suo respiro, chiusi gli occhi per sentire meglio il calore che adesso mi stava scendendo nell'anima. Erano scomparsi timori e dubbi per lasciare spazio a una nuova immagine di me e a un altro modo di vedere che però, ora, erano quelli giusti. Ero io, adesso, quello vero.

Molto più di come lo avevo sempre immaginato, il velluto delle sue labbra era caldo, morbido, turgido e accogliente. Le mosse solo leggermente, casualmente rimasero un poco appiccicate alle mie facendomi esplodere una bomba atomica nel bassoventre. Risvegliandomi dal letargo, non riuscii a trattenere un gemito.

L'unico muscolo che aveva mosso fino ad ora, era stato capace di farmi riemergere dall'abisso in cui mi ero sepolto, con le mie stesse mani, per una vita.