Grazie dei commenti Ericka Larios, MariaGpe22, Eydie Chong, Charlotte: Può bastare lo sguardo acuto di un'altra donna a mettere in difficoltà Lilian? Albert non si avvicinerebbe mai a Candy sapendo di metterla in pericolo (nemmeno in uno scantinato), anche se gli costa lacrime di sangue. Il discorso di Albert col bambino rimane sempre lo stesso e non so se un giorno riuscirò a farmi capire: immaginate Albert, la vita che ha avuto, praticamente sempre solo, perdendo tutti e persino la sorella. Immaginatelo avere la possibilità di salvare un bambino da un'arpia come Lilian che dovrebbe fargli da madre: QUELLO è il tipo di amore che prova, non quello di un legame vero e proprio, ma è un tipo di amore comunque. Più che altro, Ethan è ancora a piede libero finché Walker non lo acciuffa... Le ore sue e di Lilian sono davvero contate? Ed ecco a voi un altro po' di suspence...
- § -
- § -
- § -
Ricerche
Non stavano solo bussando, per tutti i diavoli dell'Inferno, stavano cercando di buttare giù la porta! Ethan sbatté le palpebre, riemergendo dalle coperte per poi tirarsele di nuovo addosso quasi fossero un cappotto: in quel buco maledetto si gelava e la stoffa sulla finestra si era strappata con il vento.
Morirò di polmonite prima che arrivi l'inverno...
La porta non si era spaccata, ma tremava tanto che pensò sarebbe caduta, visto il legno pressoché marcio di cui era costituita. La spalancò con il ringhio feroce di un leone disturbato durante il riposo e se non si avventò sull'uomo sporco e sparuto dall'altro lato fu solo perché emanava un fetore tale che pareva essere stato di recente nella fossa con 'dita magiche'.
Ethan si portò un lembo della coperta al naso e cercò di non soffermarsi sul viso sporco e sconvolto: "Come fai a puzzare così anche con questo freddo?!".
"Per colpa tua devo trasferirmi anche io! Fai poco lo schizzinoso!", sbottò quello entrando e afferrandolo per le spalle. Un conato gli salì in gola.
"Che cavolo è successo?!", chiese cercando di non respirare e cominciando ad avvertire le avvisaglie del panico.
"Un detective privato è venuto a farmi delle domande. Ha detto che ci sono persone importanti che ti cercano, mi pagherebbero bene! Ma io non ti ho tradito e sono venuto a dirtelo!". Ethan si liberò dalla sua presa e si avvicinò alla maledetta finestrella pur di respirare ossigeno puro: "Quello ha parlato di 'famiglie in vista'. Mi sa che non è solo tua suocera a cercarti! Però ho anche una buona notizia: gli hanno dato informazioni sbagliate". Lo disse quasi a bassa voce, cominciando a guardare verso la dispensa.
Seguì il suo sguardo e la mente iniziò a lavorare a tutta birra. "Che informazioni ha questo detective?". Non era nel panico, ma ci stava andando vicino.
"Cercano un uomo biondo di nome Ethan che ha assunto un cecchino e lavora con le droghe".
Il gelo di fuori gli penetrò nelle vene e fu certo che nel sangue si stessero rincorrendo centinaia di piccole stille di ghiaccio.
"E tu cosa gli hai risposto?", chiese senza lasciar trapelare emozioni, dimentico persino dell'odore cattivo, guardandosi intorno per capire cosa avrebbe dovuto portare con sé quando se ne fosse andato.
"Che non sei biondo e ti chiami Oliver", gracchiò quello cominciando a ridere con un verso catarroso che scemò ben presto in una tosse cavernosa.
Ethan quasi gli credette, per una frazione di secondo, ma quello successivo stava ridendo con lui. Salvo smettere mentre l'altro sembrava voler sputare l'anima: di certo, il freddo e le sigarette di terza categoria che gli rifilavano non gli facevano granché bene.
Si voltò con gesti lenti frugando nella dispensa: "Sono riuscito a rimediare del whisky, ci crederesti?".
Dal rumore che sentì, il barbone si stava sfregando le mani: "Oh, bene, bene, se mi offri da bere la prossima volta posso risultare persino più convincente quando gli dirò che non conosco nessuno che corrisponda a quella descrizione. Ehi, Oliver, di' un po', non è che Ethan è il tuo secondo nome?".
"No", rispose trovando finalmente ciò che cercava.
"Comunque levo le tende da quella stradaccia, ho a malapena i soldi per mangiare un boccone e non far morire di fame il mio cane: gli animali non attirano più le persone come una volta", si lamentò.
Dandogli le spalle, Ethan versò in un bicchiere una generosa dose di whisky per sé e per lui, correggendo quest'ultima con un ingrediente davvero speciale. Uno di quelli che si assaporano una volta sola nella vita.
"A te, amico. Grazie per avermi riportato notizie così importanti". Si voltò e gli porse un bicchiere, mimando un brindisi.
Lui alzò il proprio con un sorriso storto e prese un primo sorso: "Un grazie e un whisky vanno bene per la bugia di oggi, ma per la corsa che ho dovuto fare fin qui ho bisogno di almeno cinque dollari".
Cominciamo da subito...
"Così tanto?", ripose tranquillo, sorseggiando il proprio whisky e vedendo l'altro fare altrettanto. Lo scolò in un colpo solo.
"In realtà è anche poco, perché devi sapere che io... io...".
Il verso che emise era per metà un ringhio e per metà uno sbuffo e la mano che reggeva il bicchiere con l'indice alzato a indicarlo tremò.
"Tu?", chiese con aria genuinamente curiosa.
"I... gh... c...". Il corpo avvolto dall'impermeabile lurido sussultò e il fetore divenne insopportabile quando le viscere gli cedettero e lui cadde a terra in preda alle convulsioni.
Ethan fece un passo indietro e strappò la stoffa dalla finestra: "Vuoi sapere una cosa tu, invece?", gli chiese portandosi la coperta sul naso. "Puzzi ancora più di prima. E io mi chiamo davvero Ethan".
"Ah... agh...".
"Sì, come dici tu, amico, proprio così. Dio, devi fare proprio tutto questo casino?! Sono certo che 'dita magiche' è morto in maniera più elegante della tua!".
Il barbone schiumava dalla bocca e gli occhi mostravano solo il bianco, mentre s'inarcava come se stesse vivendo un amplesso invece del momento precedente la morte.
Ethan distolse lo sguardo, disgustato, prendendo una sacca e infilandovi velocemente ingredienti e accessori. L'aria fredda che proveniva dalla finestra poteva ben simulare una morte per ipotermia, ma comprese con orrore che non sarebbe bastata.
Svuotò la bottiglia di whisky nel lavabo, trattenne il respiro e gliela mise accanto. Anche col naso tappato gli sembrava di avvertire il puzzo di sudore, feci e urina: in confronto, quello che proveniva dalla finestra che dava sul marciapiede ricordava le rose.
Rassegnato a dover fare il lavoro più lurido della propria vita, Ethan strappò un lembo della coperta e se lo avvolse sul viso come aveva visto fare a molti durante l'epidemia di spagnola per avere le mani libere. Trattenendo a stento i conati di vomito, si predispose a togliergli quanti più vestiti possibili.
La prossima casa sarà una soffitta, parola mia!
- § -
"Ho acquisito questo terreno da mio padre, ma ormai vivo con la mia famiglia in una zona centrale e non ho abbastanza soldi per costruire una casa qui", spiegò l'uomo stringendosi nel cappotto marrone con le mani affondate nelle tasche. Accennò con il naso importante all'area boschiva poco distante. "A dire il vero mi sarebbe piaciuto molto, perché c'è tanto verde dove far giocare i miei figli, ma non sempre possiamo avere ciò che desideriamo, giusto?".
Candy ricambiò il sorriso luminoso dai denti perfetti e annuì.
Non sa quanto ha ragione...
"Sa, avevo pensato di far costruire una clinica attrezzata con un buon reparto di pediatria: in questa zona di periferia non ce ne sono e l'ospedale più vicino dista quasi trenta miglia. Ma ho notato che le abitazioni sono cresciute parecchio negli ultimi anni e chi vive qui non dovrebbe percorrere tanta strada, in caso di bisogno".
Il vento freddo le penetrò nelle narici e Candy pensò che quell'anno l'inverno era piuttosto in anticipo, stava quasi spingendo via l'autunno a forza.
"Lei è molto altruista, signorina. Sono veramente poche le donne di buona famiglia che si metterebbero in prima linea come lei per fare del bene alla comunità". Il tono era ammirato, ma Candy si sentì comunque a disagio.
Scosse la testa per spostare un ricciolo ribelle che le era ricaduto sulla fronte e fece qualche passo sull'erba secca e incolta: "La ringrazio, ma sono solo un'orfana che ha avuto la fortuna di essere cresciuta da persone meravigliose. E la mia vecchia famiglia adottiva mi ha lasciato un'eredità, quindi voglio usarla bene: siccome sono un'infermiera, ho pensato che nulla fosse più importante di una clinica".
"È lodevole comunque e sono onorato di cederle il mio terreno a un prezzo inferiore di quello concordato. Una clinica non deve essere solo costruita, ma ha bisogno di medici e... infermieri".
Candy spalancò gli occhi: "Grazie, grazie di cuore!". Mentre lo ringraziava stringendogli la mano e si congedava da lui dandogli appuntamento in uno studio notarile che le aveva indicato Archie, Candy ripensò alle sue parole e si rese conto che non sarebbe bastato acquistare il terreno e chiedere di far costruire una clinica.
D'altronde, sia Archie che Annie le avevano ribadito che si trattava di un impegno che richiedeva tempo e organizzazione. Aveva pensato di rivolgersi a persone fidate come il dottor Leonard, che di certo avevano maggiori contatti nell'ambiente, ma non poteva delegare a lui o ad altri qualcosa di così grande.
Camminando per le vie di Chicago in cerca di una carrozza, Candy comprese che quella sua decisione era stata in qualche modo influenzata dal desiderio di rimanere vicina ad Albert. Era un desiderio che aveva espresso ai suoi amici solo poco tempo prima, tuttavia aveva anche pensato che si sarebbe trattato di uno o due mesi... forse fino all'anno nuovo, quando fosse nato il bambino.
E allora sapremo... saprò...
Ma era stata sciocca e illusa: una clinica non si costruisce e si organizza dall'oggi al domani e non avrebbe certo lasciato un impegno così gravoso nelle mani già tanto occupate di Archie.
Quel progetto era la sua personale scusa per restare a lungo. Molto più a lungo.
C'era il serio rischio che avrebbe incontrato di nuovo Albert e Lilian, certo, ma lei avrebbe fatto di tutto per limitare quella possibilità. Lo avrebbe guardato da lontano, proprio come lo zio William aveva fatto un giorno per lei.
E si sarebbe accertata che la donna che gli stava accanto non gli creasse problemi, facendola preoccupare a morte come in quei giorni.
Candy alzò il braccio e la carrozza di passaggio si fermò. Chiese al conducente di portarla nella zona residenziale, dove avrebbe cercato un piccolo appartamento in cui stare: non voleva più approfittare dell'ospitalità pur generosa di Annie.
E mentre la carrozza procedeva per le strade dove solo pochi passanti incappucciati e stretti nelle sciarpe si avventuravano, capì che se solo Lilian avesse fatto del male ad Albert, era pronta a fargliela pagare molto cara, moglie o matriarca che fosse.
D'altronde, cos'altro aveva da perdere?
- § -
"Un altro barbone morto, vero commissario?".
Il vecchio sovrappeso con una bombetta che sembrava entrare a fatica sul capo calvo spostò con la lingua il sigaro da un lato all'altro delle labbra, guardandolo con circospezione. Davanti a loro, alcuni uomini con i camici da infermieri stavano trasportando su da uno scantinato un corpo coperto da un lenzuolo.
"E lei chi è?", strascicò le parole bilanciando il sigaro spento.
"Detective Walker, sto indagando su tutt'altra storia", si difese subito con tono di sufficienza, comunicandogli che quell'evento non sortiva in lui il minimo interesse. In realtà, tutti quei barboni, morti per cause che andavano dall'inedia, al freddo fino al consumo di droghe, avevano da subito attirato la sua attenzione. Soprattutto nell'ultimo caso.
"Quindi è qui di passaggio?". Non gli sfuggì il tono sarcastico dell'uomo e il verso strozzato e catarroso che doveva essere un tentativo di risata.
"Esattamente", confermò senza spostare gli occhi dalla costruzione fatiscente. Le finestre del primo e del secondo piano erano rotte e dubitava che vi abitasse qualcuno. Il palazzetto sembrava abbandonato e questo innescò una serie di rotelle nel suo cervello.
Ho cambiato zona per cercare edifici semi-abbandonati e mi imbatto in questo. Se non è fortuna è intuito premiato...
"Certo, e io sono Charlie Chaplin!", sbottò il commissario allontanandosi per dire qualcosa agli agenti di guardia al palazzo.
"Chi diavolo è Charlie Chaplin?", mormorò stizzito. Forse era un cantante? O un attore? Walker non amava andare nei teatri o nei bar, la sua vita si riduceva al suo lavoro e a qualche occasionale rimpatriata tra colleghi. Forse era il caso di aggiornarsi, poteva sempre tornare utile...
Voleva avvicinarsi ai poliziotti, ma sapeva che il commissario grassoccio con il sigaro non lo vedeva di buon occhio: le ingerenze degli investigatori privati non erano sempre gradite alla polizia, tanto quanto lui non sopportava che gli agenti dei vari distretti gli togliessero lavoro.
Mentre rifletteva sulle differenze denotate anche dal diverso tipo di tabacco fumato, considerando il proprio molto più elegante, vide con la coda dell'occhio una ragazzina spaurita con un vestito tanto logoro che non capiva come non fosse già morta di freddo.
Sembrava davvero molto interessata a ciò che vedeva e, senza pensarci due volte, Walker si avvicinò a lei non appena la polizia si fu allontanata con il corpo.
"Brutta storia, vero?", esordì senza guardarla direttamente. Lei non rispose e azzardò un'occhiata di traverso. "Non hai freddo con quel vestito primaverile addosso?". Il rosso sbiadito copriva a malapena il corpo di quella che doveva essere una dodicenne e che, suppose, fosse un abito di almeno due anni prima. Se non tre. I capelli biondo cenere erano crespi e sporchi e un'idea cominciò a farsi strada nella sua mente.
Un uomo dai tratti nordici...
"Lui... è andato giù di corsa", mormorò così piano che fu certo di aver udito male.
Si piegò per essere alla sua altezza: "Chi?", domandò cercando di non spaventarla con la sua veemenza. Notò che la bambina aveva gli occhi verdi e dei lineamenti molto sottili, anche se il viso sembrava annerito da fuliggine o polvere.
"L'uomo che hanno riportato su con la coperta. È lui, vero?".
L'adrenalina prese a scorrergli nelle vene e si assestò meglio sulle ginocchia piegate, bilanciandosi sui piedi anche se sentiva formicolare le gambe per la posizione scomoda.
"E che aspetto aveva quell'uomo?". Lei lo guardò con un misto di timore e diffidenza, così si affrettò a spiegarle: "Sono della polizia anche io, vedi? Devo capire cosa è successo qui". Le mostrò il proprio tesserino, certo che non avrebbe fatto caso alla differenza tra un agente e un detective privato.
Lei si irrigidì, squadrandolo dalla testa ai piedi. "Aveva un cappotto marrone consumato e i capelli castani tutti sporchi. Non mi ricordo altro...". Si stropicciò un occhio, come se avesse sonno o desiderasse dimenticare che aveva visto qualcuno che era stato riportato cadavere.
"E secondo te perché era di corsa? Ci abita qualcuno, lì?".
La ragazzina scosse la testa. "No, il palazzo è vuoto. Hanno detto che è morto di freddo".
Mille domande si avvicendarono aggiungendosi alle prime che si era posto e Walker si ritrovò combattuto tra la necessità di porle tutte e quella di non spaventare la ragazzina. Non sentiva più le gambe, ma se ne accorse marginalmente, come se il suo corpo non gli appartenesse: "Ti ricordi quanto tempo fa lo hai visto correre di sotto?".
Lei parve pensarci e Walker fu certo che non gli avrebbe più risposto, invece lo fece: "Era stamattina".
Stamattina. E nel pomeriggio è morto di freddo nonostante un cappotto di certo più pesante dell'abitino consunto di questa bambina. Era di corsa ma qui non abitava nessuno...
"Quei poliziotti", chiese accennando dietro di sé con il capo, "ti hanno fatto domande?".
"No, ero nascosta dietro la finestra perché la polizia mi fa paura. Tu però non sei un vero poliziotto, il tuo distintivo è finto".
Walker era di rado rimasto senza parole, ma in quel momento la mascella gli ricadde: quella ragazzina forse non aveva idea di quanto fosse andata vicina alla verità. Di sicuro, la polizia l'aveva sorpresa a rubare per mangiare e redarguita. Purtroppo succedeva spesso e spiegava come mai avesse tanta avversione per gli uomini in divisa. La tenuta civile doveva averla rassicurata nonostante la sua presentazione.
"Dove sono i tuoi genitori?".
"Sono morti l'anno scorso quando c'è stato l'incendio. Mi arrangio da sola". Alzò le spalle e a Walker si strinse il cuore. Non tanto perché la pista dell'eventuale figlia di quell'Ethan fosse sfumata, ma perché la bambina che aveva davanti rappresentava l'emblema della società povera dell'epoca.
Si rialzò, lottando per recuperare la normale circolazione sanguigna agli arti inferiori. Quando si sentì saldo sulle gambe, disse: "Che ne dici se ti compro un vestito nuovo, ti offro una cioccolata calda e chiacchieriamo un po'?".
Gli occhi della piccola si spalancarono e Walker si ritrovò a pensare che da grande sarebbe diventata bellissima. Il che, vista la vita che faceva, era una pessima notizia perché rischiava di doversi prostituire per sopravvivere.
S'incamminò e si rilassò solo quando fu certo che lei lo seguiva.
- § -
Frank era inquieto, per usare un eufemismo.
Il termine della gravidanza di Lilian si stava avvicinando e il castello di bugie che lei aveva eretto a beneficio del marito si sarebbe presto sgretolato: entro un mese e mezzo al massimo, avrebbe dovuto far uscire nel mondo un neonato che era perfettamente a termine e mostrarlo a suo padre.
Si passò le mani sul viso, esitando come se in casa sua ci fosse un mostro in attesa di fagocitarlo. E quel mostro era la fine della sua carriera. Non aveva altro, nella vita, se non l'amore impossibile e vagamente perverso con quella che doveva essere solo sua cugina.
E temeva di ricascarci.
Con i gesti lenti di un vecchio, Frank scese dall'auto e richiuse la portiera, prendendo un respiro profondo mentre guardava la facciata del palazzo signorile dove era riuscito a trovare un appartamento piccolo ma elegante. Un appartamento da medico affermato.
"Partorirò in casa e di certo non avrò bisogno di infermiere".
"Ma, Lilian, per sicurezza dovremmo...".
"Filerà tutto liscio! Hai detto che il bambino è rimasto nella posizione corretta, giusto? Quindi di che ti preoccupi?!".
"La medicina non è una scienza esatta e gli imprevisti possono accadere, specie quando si verifica un parto!".
La sua testarda nipote, però, non aveva voluto sentire ragioni e Frank cominciò a immaginare gli scenari più disparati mentre saliva le scale stringendo la valigetta tra le mani.
Lui che porgeva a William Ardlay il bambino dichiarando che aveva sbagliato i tempi; il patriarca che poteva denunciarlo indicandolo come incompetente o solo perché lo riconosceva come complice; una fuga precipitosa prima che le cose degenerassero; la polizia alle sue calcagna...
Scosse la testa, infilando la chiave nella toppa e allungando una mano per accendere le luci. In qualunque modo la mettesse, se il suo piano era una fuga doveva attuarlo immediatamente e disattendere la promessa fatta a Margaret e a Lilian.
Lasciandosi cadere su una poltrona e desiderando qualcosa di forte da bere, Frank rifletté che, pur essendosi ripetuto decine di volte quel semplice concetto, non riusciva proprio a metterlo in atto. Da quando Alain era morto, si era sentito responsabile nei confronti delle due donne come nemmeno il fratello di Margaret lo era mai stato, anche se si occupava degli affari di famiglia.
È perché tu e lei avete un legame profondo... molto profondo...
Era stata lei ad avvicinarlo, quando erano ragazzini, eppure lui si ritrovava imbrigliato nelle sue reti come se l'amasse davvero. No, non poteva essere amore: non quel sentimento malato di dipendenza e impotenza.
Irretito, come Lilian ha fatto con William Ardlay.
Si alzò e andò al mobile bar, versandosi una generosa dose di whisky e ripensò alle occhiate di Margaret di quel pomeriggio, quando si era presentata senza preavviso allo studio dove stava visitando Lilian.
"Ho saputo che oggi avresti lavorato qui e non in ospedale", aveva risposto alla sua domanda seccata. Sapeva che la nipote non gradiva la presenza di sua madre e sopportava a malapena che lui la visitasse.
"Mamma, per favore, non voglio spettatori", si era infatti infuriata la ragazza, alzando subito la voce.
"Lo so, tesoro, per questo ho immaginato che preferissi lo studio di Frank e ho indovinato. Hai lasciato tuo marito in macchina con la scusa che ti vergogni del tuo corpo?", aveva suggerito lei accomodandosi su una sedia senza essere invitata.
"Non ti riguarda!".
La lite, però, si era spenta con le frasi irate di Lilian cadute nel vuoto, perché Margaret gli stava rivolgendo degli sguardi inequivocabili che lui aveva tentato disperatamente di ignorare, cercando di concentrarsi sui movimenti e sulla posizione del bambino.
Come se il fato volesse beffarsi di lui, qualcuno bussò alla porta proprio in quell'istante e Frank comprese che Margaret lo aveva seguito prima ancora di aprire la porta. Entrò senza dire una parola e si tolse l'impermeabile, cominciando a sbottonarsi il vestito.
"Cosa diavolo pensi di fare?!", le chiese in tono pericoloso.
"Voglio solo che ti rilassi un po', eri così teso oggi!".
"Non mi incastrerai più nelle tue spire! Non ti basta esserti inimicata tua figlia per sempre?!".
Margaret stava avanzando verso di lui e Frank d'istinto indietreggiò, odiandosi, volendo solo prendersi a pugni per la propria debolezza. Perché doveva sempre essere messo al muro da una donna?
"Lo sto facendo proprio per lei, non solo per me". Il vestito cadde e Frank vide il negligé nero sottostante che aspettava solo di essere rimosso.
Ignorando le reazioni del proprio corpo, Frank allungò le braccia per bloccarla e lei, credendo forse che fosse un segnale di accoglimento, provò a fare un altro passo.
"Non sono il vostro burattino, Margaret!", tuonò spingendola via. La donna trasalì e lo fissò come se fosse impazzito.
"Nessuno ti farà nulla, te lo assicuro! Spiegherò a William Ardlay che sei stato molto angosciato per via della nostra storia e tu gli dirai che c'è comunque un margine di errore...".
"Non servirà a farvi avere i suoi soldi! Lui chiederà il divorzio perché capirà di non essere il padre naturale del bambino e voi vi ritroverete in mezzo a una strada! E io non sarò certo lì a salvarvi...".
Il bel viso di Margaret si scompose in una smorfia che gli chiarì quanto fosse, a sua volta, frustrata. Possibile che non ci avessero pensato fin dall'inizio?
"Lilian vuole ucciderlo per scappare con quel ragazzo", disse stizzita, raccogliendo il vestito finito per terra.
Frank aprì la bocca senza fiato: aveva capito bene?! "Stai scherzando?!".
"Ne sono quasi certa. Ho assunto un investigatore privato per trovare il padre del bambino e mandarlo in galera con qualche scusa: di certo non è un santo. A quel punto potremo raccontare a William che Lilian ha subìto una violenza...".
"Credi che quell'uomo sia un imbecille?!".
"...e lui, che è un filantropo ed è stato persino in Africa in mezzo ai popoli poveri, non potrà rifiutarsi di riconoscerlo! Molto più prosaicamente dovrà salvare la faccia di fronte alla società e non vorrà innescare uno scandalo, passando oltretutto per uno che si è fatto incastrare!".
Scosse la testa più volte davanti ai deliri della donna: pensava sul serio che il mondo ruotasse intorno a lei e a Lilian? Che William Ardlay fosse una specie di burattino senza volontà? Tra provocare uno scandalo e riconoscere quale erede un figlio non suo, ne sarebbe passata di acqua sotto i ponti!
"Voi siete pazze, tutte e due", disse asciutto, versandosi altro whisky e dandole le spalle per accendere il caminetto: in casa si gelava.
"L'alternativa è nelle tue mani, Frank. Si tratterebbe solo di falsificare un documento e fingere che il bambino abbia bisogno di cure per un paio di mesi prima di portarlo a casa. Un padre innamorato del proprio figlio ci crederebbe".
Frank cercò negli occhi di Margaret un segno di follia, ma vide solo convinzione. Era davvero certa che William Ardlay avrebbe creduto al figlio prematuro, magari vedendolo di sfuggita prima che tornasse a casa in piena salute.
"Scordati che io dica una menzogna di tale portata e nasconda quella creatura nel mio studio o persino in ospedale col rischio di farmi cacciare".
"Posso raccontare...".
"Racconta quel diavolo che ti pare, io sarò già lontano!", urlò fuori di sé, la voce tonante che gli parve rimbombare sulle pareti mentre gettava via l'attizzatoio rinunciando ad accendere il camino.
Finalmente, Margaret gli parve spaventata. E finalmente, Frank sentì di avere il controllo. La vide, tremante, con i bottoni del vestito chiusi per metà e comprese che la sua vita era già in malora. Lo era da quando le aveva permesso di baciarlo che erano solo ragazzini e soprattutto da quando l'aveva accolta fra le sue braccia senza fiatare.
L'alcool e la rabbia, mescolate a un senso oppressivo d'impotenza e di fine imminente di ciò per cui aveva studiato così duramente, gli annebbiarono i sensi e in lui ci fu spazio solo per l'uomo primordiale che rivendicava ciò che era suo.
"Spogliati".
"Che cos...?".
"Ti ho chiesto di spogliarti, non ci senti?! Non era questo che volevi?".
Per la prima volta, Margaret titubò qualche istante. Ma poi eseguì, diligente, e lui non le diede neanche il tempo di terminare l'operazione: le strappò quasi il vestito di dosso e si avventò su di lei.
