Io e me
stiamo troppo insieme
ma non ci accettiamo.
Ci facciamo domande
troppo difficili per avere una risposta
ma che sconvolgono l'anima
come il vento agita il mare.
La mia testa rotola,
i pensieri si accavallano,
si sorpassano,
lottano,
uno, l'altro...
io non so quale seguire.
I colori si mescolano
le tinte più strane nascono
poi si tuffano con le altre.
Quale meravigliosa ricchezza
può nascere da tutto questo,
pensano gli altri,
credendo che la solitudine apra la mente.
Che colori,
pensieri,
immagini si fondano
dando vita a esperienze straordinarie,
a gradazioni nuove.
E non sanno
che sempre bianco è il risultato.

"Io e me" di Shisui Uchiha.

Devo resistere.

Konan aveva molto amato i lavori svolti nella vita, si era sempre fatta contagiare dall'allegria e la gioia che aveva intorno in modo naturale e avrebbe voluto che le serate in cui succedeva non terminassero mai.

All'epoca in cui stava dietro al bancone del Susanoo, appena trasformato da night in discoteca, le era sembrato un sogno assistere alla nascita di molti amori. Era stata testimone del bacio tra Sasuke e Sakura, non era certo il primo che quei due si scambiavano ma era comunque stato speciale perché da lì era partito il loro amore senza più fare marcia indietro, nonostante tutte le difficoltà che stavano attraversando al momento.

Era stata costretta a schiaffeggiare Kiba la sera in cui allungò un po' troppo le mani con un' appena conosciuta Ino. Anche se sul momento Konan aveva mostrato al castano una faccia severa e intransigente, mentre accompagnava a casa la bionda con la canottiera mezza strappata lo aveva perdonato con un sorriso. Kiba aveva agito così spinto dalla disperazione, credeva che Sai, il ragazzo di cui si era follemente innamorato, stesse con Ino.

Mestieri come quelli richiedevano un carattere solare, sorridente e disponibile. La personalità di Konan in quel modo lo era sempre stata e la sua bella presenza aveva fatto il resto facendola sempre riuscire gradita ai clienti. Però negli ultimi tempi si sentiva disperatamente sull'orlo del cedimento, i sorrisi erano diventati tirati, esistevano soltanto perché la sua mansione li prevedeva. Si era scoperta, biasimandosi, ad essere infastidita dalle risate e dalla gioia che la circondavano ogni giorno. Non era certa di quanto avrebbe potuto resistere senza esplodere in una situazione del genere. Ogni volta cercava di pensare a Itachi e Sai, mentre si esibivano ai tessuti aerei sorridevano agli spettatori per nascondere la fatica degli esercizi.

Dovrei fare anche io così.

Tuttavia Konan si rendeva conto che non avrebbe mai potuto essere la stessa cosa. Lo sforzo fisico dello sport non poteva certo essere paragonato allo strazio che sentiva lei.

Si stava avvicinando l'ora dell'aperitivo, molti ragazzi avevano iniziato ad accalcarsi vicino allo jukebox; coppie, gruppi di amici. Avrebbero iniziato a ballare, gioiosi, con la certezza di avere ancora il mondo completamente in mano e tutta la vita davanti. Poi sarebbero arrivati sorridenti da lei per gustarsi i deliziosi cocktail che sapeva fare. Non doveva deluderli, non ne aveva il diritto.

La rosa delle possibilità di scelta di assottiglia man mano che gli anni passano. Io non me ne sono resa conto finché non è stato troppo tardi.

Konan stava per cedere, avvertiva gli angoli della bocca come tirati da due gru mentre serviva le prime bevute. Il suo desiderio di maternità era sfumato, inghiottito da tutte le elucubrazioni che si era posta senza sosta proprio quando aveva l'età di quei ragazzi che adesso aveva di fronte. Le erano serviti anni per potersi affrancare dalla soffocante e rigida educazione che aveva ricevuto. La sua maturazione era stata per forza di cose più lenta rispetto a quella delle altre persone, d'altronde le esperienze hanno bisogno del loro tempo per potersi concretizzare. L'incontro con Neji le aveva aperto il viale della felicità, Konan, iniziando a percorrerlo, non aveva mai minimamente pensato alla possibilità di andare fuori tempo massimo. Aveva scioccamente creduto che la sua vita fosse iniziata in quel momento e che da lì in poi avrebbe potuto permettersi di gestire le tempistiche come meglio credeva. Peccato però che il corpo non va in stand by spettando che la persona abbia le sue occasioni propizie, continua ad andare avanti automaticamente invecchiando. E nessuno ancora ha inventato una macchina del tempo per ripartire dal via quando le circostanze tanto desiderate arrivano.

Quella serata sarebbe stata difficile, Konan sperava che l'assottigliamento degli occhi di ambra non spremesse nessuna lacrima ogni volta che avrebbe dovuto sorridere.

"Zia Konan!" la voce squillante di Akira l'aveva tirata fuori da quei pensieri come se fosse stata un pallone che viene improvvisamente a galla da un nero e profondo abisso.

Il bambino sembrava essere sbucato fuori dal nulla e momentaneamente non accompagnato da nessuno. Konan si meravigliò di quanto fosse cresciuto in pochi mesi e quanti progressi avesse fatto sia nel movimenti che parlando. Si fermò davanti al bancone con il sorrisone sdentato ogni volta in maniera diversa, adesso gli mancavano gli incisivi inferiori. La canottiera da marinaretto, a righe blu e bianche con bottoni dorati sulle spalline. Calzoncini bianchi e un berrettino dello spesso colore calcato al contrario, un look decisamente azzeccato per il locale vintage in cui si trovava adesso.

Le macchine del tempo esistono?

Obito e Rin comparirono dalla folla facondo tirare un lieve sospiro di sollievo a Konan.

"Che bella finestra che vedo, quando la chiudiamo?" Konan si riferiva agli incisivi mancanti. Uscì da dietro il bancone per prenderlo in braccio.

"Lui ne va orgogliosissimo" le rispose Obito "Pensa che quando deve fare una foto si mette in posa proprio per far risaltare gli spifferi."

Obito mostrò il cellulare all'amica, gli ultimi scatti ritraevano Akira che addirittura si allargava il labbro inferiore tirandolo con gli indici.

Il sorridere di Konan finalmente fu un po' meno amaro mentre accompagnava la famiglia verso un tavolo.

"Perché non prendi qualcosa in nostra compagnia?" il piccolo viso radioso di Rin apparve irresistibile mentre rivolgeva quella domanda a Konan. Le paillettes che ornavano il cerchietto con cui tratteneva il caschetto castano scintillarono.

Volentieri! Mi trattengo poco perché ho un sacco di gente, ma ne sono felice comunque.

"Mi dispiace ma non posso chiedere alle mie colleghe di fare anche la mia parte all'orario di punta." Il viso di pietra di Konan dovette fare ancora uno sforzo terribile prima di tornare al bancone.

Non poteva sedersi lì o sarebbe esplosa. Non era il caso di mettersi a piangere davanti a tutti, soprattutto ai suoi amici. Dopo aver consegnato le ordinazioni alla famiglia, Konan non riuscì a tornare al suo posto al bar. La vista le si annebbiò, si sentiva girare la testa.

Devo resistere.

Per farlo aveva assolutamente bisogno di una boccata d'aria. Se fosse passata da una delle ampie vetrate che si aprivano sul cortile, Obito e Rin l'avrebbero certamente vista. Sgattaiolò velocemente lungo il bancone uscendo dall'ingresso principale, sfruttò la massa dei ragazzi che ballavano allegramente per nascondersi ulteriormente. Una volta all'esterno, Konan fu investita dalle risate e la gioia di chi stava seduto ai tavoli esterni. Camminò velocemente inseguendo l'aria fresca e il placido suono del mare in quella notte d'estate ormai entrata nel pieno del vigore di luglio, i sandali gioiello di Konan smisero di risuonare sulla ghiaia del cortile per arrivare sulla passeggiata di tamerici. Si appoggiò con i gomiti alla balaustra di pietra, si sporse in avanti in modo che l'acqua del dolore potesse andare a confondersi con quella del mare. Non era certo la stessa cosa che mimetizzarsi sotto la doccia o facendo un tuffo, ma era comunque sola e tutta quella gente aveva certamente di meglio da fare che stare lì a guardare lei. Non ci fu più verso di trattenere i singhiozzi, ogni argine del mondo, quando si rompe, sembra che voglia far pagare gli interessi per ogni anno di prigionia a cui ha dovuto costringere il fiume. Niente poteva ormai smuoverla di lì o farla calmare, se qualcuno avesse fatto crollare quelle mura sparando una cannonata dal mare, lei sarebbe precipitata di sotto senza cambiare posizione. Gli occhi non si sarebbero sgranati nella paura e i singhiozzi non avrebbero subito nessuna variazione.

Non arrivò una cannonata bensì una carezza, Konan la sentì posarsi leggera sul suo caschetto blu elettrico. Non fu sorpresa, non trasalì, il disastro provocato dalla diga rotta era talmente potente da soffocare anche la vergogna di essere stata scoperta. Voltandosi di tre quarti, Konan scorse il bordo del vestito bianco di Rin, le gambe magre e i piedi incredibilmente minuti stretti in sandali tempestati di perline subito dopo. Non le restò altro che arrendersi all'abbraccio dell'amica, la faccia sprofondata sulla spalla nuda di Rin. La pelle calda e accogliente stava progressivamente diventando fradicia di lacrime. Konan si sentì avvolgere dalle braccia di Rin, la castana la cullò dolcemente.

Un bacio si posò sulla testa blu: "Non nascondere il tuo dolore pensando che non venga capito. Chi è mamma è passata prima dal desiderio di esserlo, compresa me."

Konan si aggrappò convulsamente alle spalle di Rin, la personalità profondamente empatica della castana la portò a commuoversi a sua volta.

"Il tuo amore non cadrà nel vuoto, te lo prometto."

Konan ebbe l'impressione di essere sollevata verso la luce trasportata da un'onda morbida e spumeggiante. Non era un disonore condividere il proprio dolore, il vero sbaglio era dare per scontato che rimanesse incompreso o addirittura deriso. Nonostante tutto Konan si sentì rincuorata, aveva teso una mano e qualcuno l'aveva afferrata senza porsi troppe domande. Il viale della felicità imboccato la sera in cui aveva conosciuto Neji era ancora lungo e lei si trovava all'inizio, non poteva certo tornare indietro senza aver visto le cose più belle.

Nella palestra di Kisame regnava di nuovo il silenzio assoluto, tutti stavano col fiato sospeso guardando i due uomini che si fronteggiavano.

Choji avanzava camminando sui tappetoni verdi, silenzioso nonostante la sua mole. Il busto scoperto, pur rimanendo piuttosto massiccio l'attività di insegnate di Wrestling gli aveva fatto notevolmente sviluppare i pettorali e i muscoli di spalle e braccia. Era un uomo con la tendenza a diventare grosso in poco tempo in qualunque sport si cimentasse. I folti capelli castani sebbene tenuti stretti in una fascia rossa affinché non gli andassero sul viso, erano comunque liberi di scendergli fluenti lungo la schiena. Indossava solo dei pantaloni neri e aderenti, i piedi erano scalzi. Il visto, se nella vita era sempre allegro e sorridente, durante gli allenamenti e le lezioni si faceva sempre molto serio e concentrato. Choji procedeva ma la persona in piedi di fronte a lui restava ferma. L'espressione pacata non lasciava trapelare niente, nemmeno l'attenzione alzata al massimo che stava utilizzando per captare i suoni dell'ambiente. Anche il tatto era all'erta in questo momento, la superficie dell'intero corpo si concentrava su temperatura e movimenti dell'aria, le narici si dilatavano impercettibilmente per facilitare il passaggio alle molecole odorose. Itachi, nella sua divisa da Taekwondo e i capelli stretti in una lunga treccia, attendeva il contatto fisico con l'avversario. Choji e Kisame non avevano creduto alle loro orecchie quando il moro aveva accettato così seriamente la competizione.

"Sai, Choji, non mi è mai capitato di vedere un incontro tra due discipline così diverse come il Wrestling e il Taekwondo" aveva detto Kisame due giorni prima asciugandosi il viso sudato con un piccolo asciugamano verde dopo aver terminato una lunga serie ai glutei.

"Beh, Kisame, non credo sia fattibile, di solito è presente una notevole differenza di prestanza fisica" Choji gli aveva risposto dal macchinario dei dorsali di fronte a lui con un bel sorriso soddisfatto "Sarebbe come veder lottare un adulto e un bambino."

"Io non ne sarei così sicuro, Choji." La voce sempre allentante di Itachi era arrivata dal fondo della stanza, la distanza e il disturbo della musica in filodiffusione le avevano conferito un lieve effetto hangar.

Kisame rimase stupito di come avesse fatto Itachi a udirli. Lui e Choji avevano parlato abbastanza piano, in sala erano presenti altre persone che conversavano tra loro e il moro si stava cimentando in una serie alla panca degli addominali che si trovava abbastanza distante.

Sei un cyborg sul serio, Itachi?

"Itachi, queste tue parole mi suonano come una sfida" Choji non perse il sorriso voltandosi nella sua direzione.

"Infatti hai capito bene, Choji. Vorrei dimostrarti che sbagli pensandola così." La voce di Itachi sempre incredibilmente suadente.

"Sei sicuro?" Il sorriso adesso era scomparso dal viso del castano che si era fatto serio "Promettimi che accetterai di arrenderti nel caso io inizi a farti male davvero, purtroppo a volte non me ne rendo conto."

Ad avere invogliato Itachi al confronto era stata quest'ultima frase, forse sarebbe stato Choji a dover invocare pietà.

"Tesoro, cerca di non esagerare" gridò Temari al marito con le sopracciglia aggrottate, poi bisbigliando all'orecchio di Kisame: "Ci sono oltre trenta chili di differenza!"

"Non preoccuparti, Temari, Itachi sa quello fa." Il sorriso di Kisame non fu sufficiente a cancellare completamente l'apprensione della donna.

Choji, nella sua avanzata sicura e silenziosa, aveva quasi raggiunto Itachi. Pochi metri, pochi centimetri, il moro restava immobile. Temari ebbe un tremito. Madara, Sasuke e Obito con una spanna di bocca spalancata. Persino Akira aveva smesso di saltellare ovunque rimanendo fermo a guardare la scena.

Quando Itachi percepì che la distanza era quella giusta, la sua gamba destra si sollevò e il suo piede nudo sferrò un calcio alla gola di Choji. Il castano immobilizzò prontamente la caviglia di Itachi con una mano prima che la forza potesse scaricarsi, afferrando il moro contemporaneamente con l'altra dal colletto della divisa bianca.

"Attento, Nii – san!" gridò Sasuke vedendo la mossa del fratello neutralizzata in pochi secondi.

Choji sollevò Itachi sopra la sua testa facendo diventare il viso di Sasuke ancora più bianco e terrorizzato. Dalla posa che assunse Itachi si intuì che aveva previsto quella reazione, Sasuke, un poco rilassato, cercò conferme sul viso di Madara. Dall'espressione assolutamente tranquilla del cugino maggiore finalmente capì che era tutto calcolato, almeno fino a lì.

Choji caricò con l'intenzione di sbatacchiate Itachi sul pavimento, ma pochi secondi prima che potesse agire, il moro usò il piede sinistro, rimasto libero dalla presa, per colpire il lato del collo di Choji. Il castano fu costretto a mollare mentre Itachi atterrava in piedi come un gatto. Choji tornò alla carica, si abbassò fulmineo afferrando Itachi dalle cosce, con uno strattone lo fece cadere disteso sui tappetoni. Prima che il moro potesse rialzarsi spiccò un salto con l'intenzione di piombargli addosso di gomito.

Esclamazioni soffocate e fiato sospeso tra i presenti.

Prima che Choji potesse atterrare dal salto, Itachi era già rotolato via per rimettersi in pedi. La sorpresa la ebbe Itachi, questa volta, si ritrovò afferrato alle spalle dal castano, la presa salda, le mani incrociate sul petto. Itachi, intuendo al volo che sarebbe stato inutile tentare di liberarsi, decise di attendere la prossima mossa di Choji per sfruttarla a suo favore. Non appena si sentì sollevato dal castano e scaraventato di nuovo verso il pavimento, sfruttò la forza che Choji avrebbe voluto imprimere al suo corpo sottile per farselo volare oltre le spalle.

Le grida di sorpresa adesso si alzarono vedendo Choji rovinare a terra di schiena, Temari si mordicchiò il labbro inferiore, ora la sua apprensione si era spostata nei confronti del marito.

Il più incredulo di tutti, però, fu lo stesso Choji. Rimessosi in pedi, caricò Itachi correndo e lanciando un vero e proprio grido di guerra. Il moro, apparendo calmo anche in questo, gli afferrò una spalla possente con una mano; sfruttando ancora la sua immensa forza, schivò facendolo volare in avanti come se Choji avesse voluto sfondare una porta aperta. Pochi attimi dopo si ritrovò con un ginocchio di Itachi nello stomaco rendendosi finalmente conto che si era sempre fatto male a causa della sua di potenza, non certo per quella di Itachi. Il moro non aveva usato i muscoli ma il cervello.

Choji tossì e mugolò tenendosi lo stomaco dolorante e non riuscendo più ad abbandonare la posizione rannicchiata su sé stesso.

"Dai, alzati" Itachi gli tese una mano sorridente "Mi hai dato del filo da torcere, bellissima sfida."

L'applauso li investì mentre Itachi riaccompagnava l'amico dalla preoccupatissima moglie.

"Nii – san, sei stato meraviglioso come sempre."

Itachi si godette il meritato abbraccio del suo Otouto.

"Notevole, Itachi, ormai sei più bravo di me." Si complimentò Madara.

"Io non credo che sia tutto merito mio" disse Itachi abbracciando Choji sorridente "Alcune discipline sono incompatibili tra loro e basta. Io sono un acrobata, ho imparato il Taekwondo per un bisogno di difesa personale, la parte del lottatore la lascio a chi sa onorarla sicuramente meglio me."