06. Assassina.
I primi raggi dell'aurora lambivano gentilmente la sua pelle, ma bastavano a farle bruciare le palpebre. Tentò di girarsi per sfuggire alla luce solare, ma alla fine fu costretta a svegliarsi completamente. Il flusso del sangue si era fermato molto tempo prima: le ferite stavano già trasformandosi in cicatrici, ancora cicatrici da aggiungere alle altre, come succedeva da più di quindici anni. Per terra c'erano macchie di sangue secco: macchie sui vestiti, sulla pelle e fra i capelli. Gray non riusciva ad alzarsi. Nonostante la perdita di sangue si fosse fermata, non era ancora abbastanza per restituirle le forze.
Se non altro il Marchio Nero sarebbe rimasto al suo posto per un bel po': ferire il Marchio era un po' come ferire Voldemort, anche se non poteva nuocergli più di tanto. Era un atto di ribellione nei suoi confronti, una resistenza che lui non si aspettava, come la cicatrice di Harry.
Per un mese, forse meno, forse più, Gray non avrebbe avuto quasi nulla di cui preoccuparsi, se non la malattia con la quale divideva la sua vita dalla nascita.
Passò quasi un ora prima che Gray decidesse che era ora di tornare a scuola. Non sapeva che ore erano e non voleva saperlo. Voleva soltanto quella roba rossa e amarognola che aveva bevuto così di malavoglia il giorno prima, ma che almeno l'aveva fatta sentire meglio.
Come previsto, Madama Chips le proibì un qualsiasi sforzo, anche se minimo, per almeno due giorni. Le era bastato vederla più bianca del solito perché si allarmasse, e se Gray non fosse riuscita a convincerla forse avrebbe trascorso mesi e mesi in infermeria. Si fece strappare il permesso di poter almeno andare in giro per Hogwarts e partecipare alle cene in Sala Grande. Madama Chips non fece obiezioni, sapendo che Gray si presentava al tavolo degli insegnanti solo per un pasto al giorno, a volte neanche quello. Tutte le ragazze continuavano a dire che ci fosse sotto qualcosa, e ormai anche gli studenti se n'erano convinti: Gray non era normale. Le voci che la Umbridge diffondeva su di lei mentre non c'era, poi, farcivano ancora di più l'idea generale.
Così, il giorno che Gray lasciò la Stamberga Strillante con un peso un meno sulla coscienza, dovette aspettarsi qualche altra sorpresa. C'era grande agitazione per i corridoi, tutti parlottavano in modo concitato, e, come Gray si era aspettata dalle battute di Draco Malfoy, Harry e i Weasley erano spariti.
Inutile chiedere informazioni ai professori, perfino la Umbridge ne era all'oscuro: e la cosa sembrava mandarla veramente su tutte le furie, tanto che tempestò la settimana di innumerevoli Editti Scolastici. Da quando era stata nominata Inquisitore Supremo - e Gray "Assistente Vincolata Ufficiale" - sembrava ancora più in forma: aveva dovuto crearsi un orario delle punizioni, da quanto i suoi pomeriggi erano affollati di "giovani delinquenti in penitenza", e sembrava che prima o poi il Ministero avrebbe, per suo tramite, preso il controllo di tutta la scuola. Gray non osò immaginare il trattamento che avrebbero ricevuto Harry e gli altri quando fossero tornati, visto che la Umbridge doveva proprio sfogarsi.
Gray si sarebbe volentieri approfittata dell'ordine di Madama Chips di non fare sforzi per andare a chiedere spiegazioni a Silente, ma la Umbridge sembrava fregarsene del suggerimento, almeno quanto lei: infatti la trascinò a lezione latrando e abbaiando come un mastino, e Gray sfoderò una cera così pessima e un atteggiamento così floscio da farle venire i sensi di colpa.
Dopo un'estenuante giornata, finalmente Gray ebbe il tempo per andare da Silente. Non si curò nemmeno della parola d'ordine, semplicemente ingannò il Gargoyle facendogli credere che fosse la McGranitt in piena e fatale emergenza.
La statua parve molto impressionata e si spostò da sola, senza bisogno della parola d'ordine (che d'altra parte Gray non conosceva). Nello studio, i quadri dei vecchi presidi discutevano animatamente. Silente sembrava l'unico non preoccupato, anche se Gray colse delle ombre nei suoi occhi, dietro le lenti a mezzaluna.
- Che mi sono persa? - chiese semplicemente.
Silente non sembrò meravigliarsi, ma alzò lo sguardo con un'espressione piacevolmente sorpresa, come se non si fosse reso conto dell'entrata di Gray.
- Niente di buono, temo - rispose Silente - E' una vera fortuna che tu sia qui. - - Perché? -
- La professoressa Umbridge sembra interdetta a causa della scomparsa di alcuni studenti. -
- Idem. -
- Ebbene, sono. scomparsi ieri notte, e adesso si trovano nel Quartier Generale. -
- Se la sono filata, eh? -
- Suppongo che potranno raccontatelo loro stessi, perché voglio che tu ti rechi là, e ti assuma la loro completa responsabilità, in quanto Assistente Vincolata Ufficiale. Al tuo ritorno riferirai all'Inquisitore Supremo che i ragazzi erano sotto la tua tutela, e che i tuoi dovere comprendono proprio la vigilanza sugli studenti. Ma non è specificato entro quali confini. -
Gray sorrise - Quanto ci hai messo a prepararti questo piano geniale? -, disse in tono ironico.
- Il tempo necessario, - rispose Silente: in normali circostanze avrebbe risposto al sarcasmo con altro bonario sarcasmo, ma in quel momento non fu così. Evidentemente c'era qualcosa che lo preoccupava, ma Gray non aveva intenzione di saperlo.
- E come faccio ad andare fin là? Non posso smaterializzarmi e non ho nessuna intenzione di farmela tutta a piedi! - Silente, finalmente sorrise, probabilmente guardando oltre lo strato di indolenza che Gray era solita costruire attorno a sé.
- Prenderai il Nottetempo fra sette ore esatte, a Hogsmeade. E il resto lo sai. -
- Posso sapere cos'è successo di preciso, visto che devo anche fare la babysitter? -
- Arthur Weasley è stato aggredito al Ministero della Magia, proprio ieri notte. -
- Ieri notte? E come avete fatto a saperlo nello stesso momento? - chiese Gray sospettosa.
- Suppongo che Harry saprà spiegartelo molto meglio di quanto non possa farlo io stesso. E mi raccomando, non dire niente a nessuno. -
- Sì, boss. - commentò Gray, acida, prima di uscire dall'ufficio richiudendosi la porta alle spalle.
*
Come al solito il viaggio sul Nottetempo fu qualcosa di molto simile ad una tortura: Gray però amava viaggiare su quell'autobus, in un certo senso lo trovava divertente. Aveva dei ricordi collegati anche quell'autobus, forse quella bambina era arrivata a Diagon Alley proprio col Nottetempo.
Gray guardò un attimo fuori dal finestrino ma cambiò immediatamente idea: l'autobus andava così veloce che faceva venire il mal di pancia. L'autista sembrava essersi dimenticato di trovarsi su un veicolo con due passeggeri a bordo - Gray e, naturalmente, Madama Palude - e correva come un invasato. Gray rischiò di picchiare una colossale botta nei denti quando il Nottetempo si fermò per far scendere Madama Palude.
- A Londra, Gray? Grimmauld Place, eh? -
- Mmh. - mugolò Gray annuendo. Aveva veramente sonno e si distese sul letto, ben sapendo che sarebbe stato molto difficile mantenere quella posizione, con i continui scossoni del veicolo.
- Cioccolata, Gray? Latte? Tè? -
- Birra -
- Ehi, non vogliamo vomiticci sulla tappezzeria, no no. -
- Portamela e basta. Sto benissimo. -
Stan Picchetto tornò poco dopo con un boccale di birra e, per precauzione, un sacchetto di carta.
- Di', ce l'avevano questa roba ad Azkaban, eh? -
- Sì, e non era così sgassata - rispose Gray, tentando di liquidarlo.
- Dicono che sia un gran brutto posto, eh? Com'è? -
- Grazioso -
- Cinque anni. orpo! Sei la prima che è scappata, dico bene? C'hai avuto fortuna, però. -
- Se fossi una persona così fortunata non sarei finita qua sopra. -, ribatté Gray, prendendo quella frase come un'offesa al suo piano perfetto di cinque o sei anni prima.
Stan tentò per altri dieci minuti di scucire qualche eroico racconto dalla bocca di Gray, ma ottenne soltanto risposte strascicate e aspre. Gray non aveva proprio voglia di ridere, e tanto meno di farlo raccontando dei cinque anni ad Azkaban. Aveva solo voglia di sprofondare nel cuscino e mettersi a dormire, ma con le frenate del Nottetempo l'impresa era impossibile. Probabilmente, se avesse avuto a disposizione un letto immobile, si sarebbe assopita all'istante.
Ma il viaggio non durò ancora a lungo: ancora un paio di frenate brusche e, finalmente, il Nottetempo raggiunse la sua meta.
- Forza, avanzo di galera! - strillò allegramente Stan - E' ora di scaricarti! -
Gray si alzò, così felice di scendere dal Nottetempo e di tornare al Quartier Generale, che sembrava essersi svegliata di colpo. Ernie e Stan sembrarono piuttosto offesi per questo improvviso rinvigorimento.
- Bhe? "Grazie del viaggio"? "Grazie della birra"? "Grazie di tutto"? - suggerì Stan.
- Sì. ah. sì, bene, grazie. - disse Gray, ricordando improvvisamente dell'esistenza dei due. Poi voltò l'angolo e scomparve dietro una siepe.
Dire che la stanza era un mortorio era una banale restrizione. Gray era arrivata da un'ora e aveva ricevuto un saluto umano soltanto da Sirius: gli altri erano talmente persi nei loro pensieri che si accorsero di Gray solo molti minuti più tardi.
- Ragazzi, forza! - disse Gray sorridendo - Cosa volete che gli succeda? L'ha morso un serpente, non un drago! Al San Mungo guariscono di tutto. - Ma nessuno sembrava interessato a farsi confortare. - Nessuno è mai morto laggiù. Insomma, a volte tornano mezzi paralizzati o con qualche pezzo in meno, però. -
- Gray - sospirò Sirius.
- Bhe? -. Solo dopo qualche minuto Gray si rese conto che forse non aveva detto la frase più appropriata. Si guardò intorno: sembrava la sala d'aspetto di un ospedale Babbano durante un intervento. Tutti riuniti intorno a un tavolo, tutti con lo sguardo angosciato fisso nel vuoto, tutti muti come tombe. Solo qualche enorme sospiro di tanto in tanto. Harry, Sirius e Gray erano gli unici a guardarsi, di tanto in tanto, per scambiarsi occhiate nervose. Non si avevano ancora notizie della signora Weasley, andata immediatamente al San Mungo per vedere suo marito. Gray avrebbe voluto fare delle domande ad Harry ma preferì risparmiarsele. Non le sembrava esattamente il clima adatto per parlare ancora un po' del signor Weasley.
Nemmeno Kreacher si faceva sentire. Sembrava come scomparso. Tutto nella casa taceva, i mobili e le assi non scricchiolavano, il vento non frusciava fuori dalle finestre e, soprattutto, non c'erano quadri a sbraitare tutto il tempo. Gray aveva quasi voglia di ficcarsi di nuovo nel Nottetempo, bastava allontanarsi il più possibile da quell'atmosfera ossessiva. E poi aveva così sonno.
- Ma perché no? Perché non posso? -
- Oh, tesoro, cerca di capire. Puoi vivere una vita normalissima frequentando le scuole babbane. Se tu andassi là ti faresti un sacco di idee sbagliate. e poi anche tu ti fisseresti con questa storia del sangue puro. lo sai che sono tutte stupidaggini. -
Gray aveva l'impressione di non aver mai sentito un'ingiustizia come quella. - Tu ci sei andato a Hogwarts! Ci sei andato!! Però ti sei sposato una. Babbana! -
- Non parlare con quel tono! Non ci vai e basta! -
- E' tutta colpa tua! - urlò Gray in faccia a sua madre - Perché sei una Babbana!! Mi hai fatto diventare una. una mezzosangue ! E' colpa tua! -
- Piccola, ti prego. noi siamo la tua famiglia. cosa conta il sangue rispetto a. -
- Rispetto a cosa!? Ci stanno inseguendo!! Ci uccideranno tutti! Ed è solo colpa vostra! Colpa tua! Se morirò è perché mi hai fatto diventare una Mezzosangue!! -
Un colpo.
Lo schiaffo di suo padre sulla pelle bruciava come una fiamma accesa.
- Vi detesto! Siete dei bastardi! -
- Quelle parole non te le ho insegnate io, ragazzina! - ringhiò Vincent.
- Vai all'Inferno! Ci ammazzeranno! -
- Forse, piccola. forse. - Theresa era in lacrime. era disperata. - Ma io. io ti giuro che. -
- Io ti giuro che vado a Hogwarts! Imparerò le Arti Oscure e sarò io ad uccidervi! -
- Le Arti Oscure non le imparerai mai a scuola. -
- Le imparerò da sola! Troverò qualcuno che me le insegni! Vi odio! Vi odio!! -
Sangue. I suoi genitori gridarono.
Gray sentiva la vergogna bruciarle la pelle. ma nessun senso di colpa. nessuno.
Assassina!
- .vi odio. -
Gray si era addormentata sul tavolo, e quando si svegliò era così sconvolta che ci mise un po' per rendersene conto. La stanza si era svuotata, e la pallida luce della luna entrava a mala pena dalla finestra, filtrando dalle tende consunte. Tutto era scuro: non c'era neanche una luce accesa. Gray scoprì di avere una vecchia coperta sulle spalle.
Non si sentiva bene. Avrebbe dovuto prendere una medicina, una qualunque, aveva fatto troppi sforzi. Si sentiva come se avesse avuto la febbre. La pelle avvampava, come se decine di fiamme vi camminassero sopra, ma dentro aveva un gran freddo.
Le tremavano le gambe, come se facessero fatica a tenersi ferme in quella posizione. Non osava muoversi, perché sapeva che, al minimo spostamento, avrebbe avuto un freddo terribile. Dopo aver dormito per così tanto tempo - o almeno, lei credeva che fosse così - si era come pietrificata e il caldo che le faceva la coperta sembrava averla bloccata.
Gray aveva le palpebre sempre più pesanti.
- Con chi ce l'avevi, Gray? -
- Non lo so. - rispose.
- Con i tuoi, forse? -, disse Sirius.
- Come fai a saperlo? -
- Parlavi nel sonno. Ma gli altri non hanno sentito. Se ne sono andati un'ora fa. -
- Al San Mungo? -
- Sì. -
Gray sospirò.
- Silente mi aveva detto che avevo la loro responsabilità e io non faccio che addormentarmi in giro. -
- Ti dispiace essere qui? -
Gray alzò la testa, con un movimento quasi involontario, e scoprì che i loro corpi erano vicinissimi. Riusciva a sentirlo respirare, quasi a sentire il suo cuore che batteva. Gray si lasciò accarezzare, assorta, incapace di muoversi.
- No, - rispose, sorridendo.
Sirius la strinse per le braccia, e Gray sentì le sue labbra, la sua lingua, le sembrò che le si stesse sciogliendo il cervello. Non si mosse più di tanto, rimase quasi immobile, mentre la stanza affogava sempre di più nell'oscurità. Non riusciva quasi a distinguere niente, la sua vista si appannava.
Toccherà anche a lui. prima o poi.
Un velo bollente le calò sugli occhi. Le lacrime scendevano sulle guance, lasciando sul loro percorso una fastidiosa sensazione di umido appiccicoso. Scorrevano sul collo, e i vestiti le assorbivano. Gray non diceva niente, né aveva intenzione di dirlo.
Mentre Sirius le accarezzava le guance, sentiva uno strano calore.
Le lacrime scintillavano sul suo viso, imprigionando la luce della luna piena.
Sirius non le chiese che le prendeva, non le disse niente, come se avesse avuto paura di distruggere il silenzio. Il respiro di Gray si troncava spesso in un singhiozzo. Neanche lei riusciva a capirsi. Affondò il viso nei vestiti di Sirius, strofinandovi la pelle contro, stringendo i pungi, come se avesse voluto impedirsi di piangere.
Ma non poteva farne a meno.
Sentiva un qualcosa di gigantesco crescere dentro di lei, crescere e gonfiarsi, così tanto da squartarle la pelle. Ricordava una scena simile, ne ricordava tante altri, le sembrava che ogni giorno della sua vita si assomigliasse in maniera terribile.
Anche i ricordi più recenti si affollavano nella stessa parte della sua testa, le forme cambiavano, si ingigantivano, le voci che aveva sentito erano diverse. Non riusciva a ricordare neanche che cosa avesse fatto cinque secondi prima.
- Che cosa ti sta succedendo, Gray? -
Sapeva che non si riferiva a quella notte. Si riferiva a tutta la sua vita. A tutto quello che era andato in pezzi così tanti anni prima. Cosa ci era voluto, in fin dei conti? Era bastato una specie di tatuaggio, un segno sulla pelle, per distruggere tutto quello che era riuscita a crearsi. O forse. forse era così fin da quando era nata. Forse era destinata, fin dal principio, a non poter condurre una vita come tutti gli altri.
- Non lo so. - ansimò Gray - Sirius. quel. quella tenda. -
Sirius sembrò lanciare uno sguardo alle tende della stanza.
- Quale tenda? -
- Quella. nera. -
- Non ci sono tende nere in questa casa, Gray. - La voce di Sirius avrebbe dovuto rassicurarla, ma la fece soltanto cadere nella più totale confusione. Com'era possibile che non capisse?
- No. Non qui! Non è. -
Sirius la baciò di nuovo e la strinse a sé.
- Credi. credi che. che mi piaccia? - strillò Gray.
- Che cosa? -
- Ve. vedere tutto questo. Non mi piace. Non ce la faccio più. -
Neanche Gray capiva di cosa stesse parlando.
- Gray. - disse Sirius, sollevandole il viso, come faceva ogni volta che voleva guardarla negli occhi. - Sconfiggeranno Voldemort e non ci sarà più nessuno a tormentarti. E allora tutto tornerà come prima. Te lo assicuro. -
Gray stavolta non rispose. Era ormai certa di avere la febbre; aveva voglia solo di svenire. Di perdere conoscenza. Non le importava cosa sarebbe successo.
Milioni di prospettive sul futuro si aggiravano nella sua testa. Poteva darsi che Voldemort non venisse mai sconfitto, poteva darsi che il suo regno sarebbe durato ancora per molti anni, così come la tortura che Gray doveva auto infliggersi ogni volta che il Marchio cercava di sopraffarla.
Ma c'era anche un'altra ipotesi. Gray sembrava voler scartare tutte le altre, perché erano troppo atroci al confronto.
Poteva darsi che prima o poi tutto sarebbe finito.
Non era possibile che le cose tornassero esattamente com'erano prima, ma potevano migliorare. Il Marchio Nero non sarebbe scomparso, ma sarebbe stato perfettamente inutile. Nessuno l'avrebbe più guardata come un'assassina, come un pericolo, come una malata di mente, qualcosa da eliminare. Finalmente tutti avrebbero potuto iniziare una vita veramente tranquilla, e Sirius non sarebbe stato più latitante, tutti avrebbero dovuto ammettere la sua innocenza. Avrebbero lasciato quella casa squallida e sarebbero andati a vivere da qualche parte, come persone finalmente normali.
Gray era sicura che prima o poi sarebbe successo.
Aveva una certezza bruciante dentro di sé. Un piccolo incendio che sembrava averle fatto riprendere la voglia di vivere.
Ma c'era anche la pioggia. Una violenta tempesta di dubbi, di incertezze, in piena agitazione, contro la quale la piccola fiamma lottava, senza mai arrendersi, ma era diventata così debole. Era un brutto, un terribile presentimento.
Il signor Weasley ormai sembrava essersi ripreso. Sembrava ben lontano da lasciare il San Mungo in quella settimana, ma se non altro aveva recuperato le forze. Harry, da quando era tornato dal San Mungo, era sempre più schivo. Si rifiutava di parlare con chiunque ed evitava accuratamente di incontrare esseri umani.
Intanto, le vacanze natalizie erano iniziate. A dire il vero mancava ancora un giorno alla partenza della maggior parte degli studenti da Hogwarts, ma tutti si sentivano già in vacanza e non avevano nessuna forza di volontà nel seguire le lezioni. Come sempre erano stati torchiati da pile e pile di compiti, e l'aspetto era alquanto preoccupante: l'unica a non essere minimamente toccata da tutto questo era Hermione.
Aveva in programma di andare a sciare coi suoi genitori, ma sembrava ben felice di avere così tanti compiti da fare.
- Almeno ci teniamo in allenamento. Sono troppo preoccupata per gli esami. Avrei avuto proprio paura di oziare per un mese intero! -
Ron e Harry erano rimasti sbigottiti da quest'affermazione.
Loro, invece, avrebbero trascorso le vacanze a Grimmauld Place, insieme a tutti i Weasley e i membri dell'Ordine, e Sirius sembrava particolarmente allegro per questo improvviso affluire di ospiti.
Gray fu costretta a tornare a Hogwarts, ma se la filò alla prima occasione, ben sapendo che, al suo ritorno, la Umbridge l'avrebbe decisamente fatta nuova. Non che la cosa la preoccupasse: sapeva che non andava mai più in là della voce grossa, come una vecchia zia, a causa del timore naturale che nutriva nei confronti della ragazza. E comunque l'idea di tornare a Hogwarts, in confronto a quella di restare a Grimmauld Place, era decisamente la peggiore.
Gray non disse a nessuno del suo sogno, nemmeno a Sirius. O almeno, non rivelò come era finito, anche perché non aveva capito molto nemmeno lei.
Sentiva come una specie di serpente sotto la pelle, che puntava dritto al cuore.
Era stata lei. Non sapeva bene a far cosa. ma era stata lei.
I primi raggi dell'aurora lambivano gentilmente la sua pelle, ma bastavano a farle bruciare le palpebre. Tentò di girarsi per sfuggire alla luce solare, ma alla fine fu costretta a svegliarsi completamente. Il flusso del sangue si era fermato molto tempo prima: le ferite stavano già trasformandosi in cicatrici, ancora cicatrici da aggiungere alle altre, come succedeva da più di quindici anni. Per terra c'erano macchie di sangue secco: macchie sui vestiti, sulla pelle e fra i capelli. Gray non riusciva ad alzarsi. Nonostante la perdita di sangue si fosse fermata, non era ancora abbastanza per restituirle le forze.
Se non altro il Marchio Nero sarebbe rimasto al suo posto per un bel po': ferire il Marchio era un po' come ferire Voldemort, anche se non poteva nuocergli più di tanto. Era un atto di ribellione nei suoi confronti, una resistenza che lui non si aspettava, come la cicatrice di Harry.
Per un mese, forse meno, forse più, Gray non avrebbe avuto quasi nulla di cui preoccuparsi, se non la malattia con la quale divideva la sua vita dalla nascita.
Passò quasi un ora prima che Gray decidesse che era ora di tornare a scuola. Non sapeva che ore erano e non voleva saperlo. Voleva soltanto quella roba rossa e amarognola che aveva bevuto così di malavoglia il giorno prima, ma che almeno l'aveva fatta sentire meglio.
Come previsto, Madama Chips le proibì un qualsiasi sforzo, anche se minimo, per almeno due giorni. Le era bastato vederla più bianca del solito perché si allarmasse, e se Gray non fosse riuscita a convincerla forse avrebbe trascorso mesi e mesi in infermeria. Si fece strappare il permesso di poter almeno andare in giro per Hogwarts e partecipare alle cene in Sala Grande. Madama Chips non fece obiezioni, sapendo che Gray si presentava al tavolo degli insegnanti solo per un pasto al giorno, a volte neanche quello. Tutte le ragazze continuavano a dire che ci fosse sotto qualcosa, e ormai anche gli studenti se n'erano convinti: Gray non era normale. Le voci che la Umbridge diffondeva su di lei mentre non c'era, poi, farcivano ancora di più l'idea generale.
Così, il giorno che Gray lasciò la Stamberga Strillante con un peso un meno sulla coscienza, dovette aspettarsi qualche altra sorpresa. C'era grande agitazione per i corridoi, tutti parlottavano in modo concitato, e, come Gray si era aspettata dalle battute di Draco Malfoy, Harry e i Weasley erano spariti.
Inutile chiedere informazioni ai professori, perfino la Umbridge ne era all'oscuro: e la cosa sembrava mandarla veramente su tutte le furie, tanto che tempestò la settimana di innumerevoli Editti Scolastici. Da quando era stata nominata Inquisitore Supremo - e Gray "Assistente Vincolata Ufficiale" - sembrava ancora più in forma: aveva dovuto crearsi un orario delle punizioni, da quanto i suoi pomeriggi erano affollati di "giovani delinquenti in penitenza", e sembrava che prima o poi il Ministero avrebbe, per suo tramite, preso il controllo di tutta la scuola. Gray non osò immaginare il trattamento che avrebbero ricevuto Harry e gli altri quando fossero tornati, visto che la Umbridge doveva proprio sfogarsi.
Gray si sarebbe volentieri approfittata dell'ordine di Madama Chips di non fare sforzi per andare a chiedere spiegazioni a Silente, ma la Umbridge sembrava fregarsene del suggerimento, almeno quanto lei: infatti la trascinò a lezione latrando e abbaiando come un mastino, e Gray sfoderò una cera così pessima e un atteggiamento così floscio da farle venire i sensi di colpa.
Dopo un'estenuante giornata, finalmente Gray ebbe il tempo per andare da Silente. Non si curò nemmeno della parola d'ordine, semplicemente ingannò il Gargoyle facendogli credere che fosse la McGranitt in piena e fatale emergenza.
La statua parve molto impressionata e si spostò da sola, senza bisogno della parola d'ordine (che d'altra parte Gray non conosceva). Nello studio, i quadri dei vecchi presidi discutevano animatamente. Silente sembrava l'unico non preoccupato, anche se Gray colse delle ombre nei suoi occhi, dietro le lenti a mezzaluna.
- Che mi sono persa? - chiese semplicemente.
Silente non sembrò meravigliarsi, ma alzò lo sguardo con un'espressione piacevolmente sorpresa, come se non si fosse reso conto dell'entrata di Gray.
- Niente di buono, temo - rispose Silente - E' una vera fortuna che tu sia qui. - - Perché? -
- La professoressa Umbridge sembra interdetta a causa della scomparsa di alcuni studenti. -
- Idem. -
- Ebbene, sono. scomparsi ieri notte, e adesso si trovano nel Quartier Generale. -
- Se la sono filata, eh? -
- Suppongo che potranno raccontatelo loro stessi, perché voglio che tu ti rechi là, e ti assuma la loro completa responsabilità, in quanto Assistente Vincolata Ufficiale. Al tuo ritorno riferirai all'Inquisitore Supremo che i ragazzi erano sotto la tua tutela, e che i tuoi dovere comprendono proprio la vigilanza sugli studenti. Ma non è specificato entro quali confini. -
Gray sorrise - Quanto ci hai messo a prepararti questo piano geniale? -, disse in tono ironico.
- Il tempo necessario, - rispose Silente: in normali circostanze avrebbe risposto al sarcasmo con altro bonario sarcasmo, ma in quel momento non fu così. Evidentemente c'era qualcosa che lo preoccupava, ma Gray non aveva intenzione di saperlo.
- E come faccio ad andare fin là? Non posso smaterializzarmi e non ho nessuna intenzione di farmela tutta a piedi! - Silente, finalmente sorrise, probabilmente guardando oltre lo strato di indolenza che Gray era solita costruire attorno a sé.
- Prenderai il Nottetempo fra sette ore esatte, a Hogsmeade. E il resto lo sai. -
- Posso sapere cos'è successo di preciso, visto che devo anche fare la babysitter? -
- Arthur Weasley è stato aggredito al Ministero della Magia, proprio ieri notte. -
- Ieri notte? E come avete fatto a saperlo nello stesso momento? - chiese Gray sospettosa.
- Suppongo che Harry saprà spiegartelo molto meglio di quanto non possa farlo io stesso. E mi raccomando, non dire niente a nessuno. -
- Sì, boss. - commentò Gray, acida, prima di uscire dall'ufficio richiudendosi la porta alle spalle.
*
Come al solito il viaggio sul Nottetempo fu qualcosa di molto simile ad una tortura: Gray però amava viaggiare su quell'autobus, in un certo senso lo trovava divertente. Aveva dei ricordi collegati anche quell'autobus, forse quella bambina era arrivata a Diagon Alley proprio col Nottetempo.
Gray guardò un attimo fuori dal finestrino ma cambiò immediatamente idea: l'autobus andava così veloce che faceva venire il mal di pancia. L'autista sembrava essersi dimenticato di trovarsi su un veicolo con due passeggeri a bordo - Gray e, naturalmente, Madama Palude - e correva come un invasato. Gray rischiò di picchiare una colossale botta nei denti quando il Nottetempo si fermò per far scendere Madama Palude.
- A Londra, Gray? Grimmauld Place, eh? -
- Mmh. - mugolò Gray annuendo. Aveva veramente sonno e si distese sul letto, ben sapendo che sarebbe stato molto difficile mantenere quella posizione, con i continui scossoni del veicolo.
- Cioccolata, Gray? Latte? Tè? -
- Birra -
- Ehi, non vogliamo vomiticci sulla tappezzeria, no no. -
- Portamela e basta. Sto benissimo. -
Stan Picchetto tornò poco dopo con un boccale di birra e, per precauzione, un sacchetto di carta.
- Di', ce l'avevano questa roba ad Azkaban, eh? -
- Sì, e non era così sgassata - rispose Gray, tentando di liquidarlo.
- Dicono che sia un gran brutto posto, eh? Com'è? -
- Grazioso -
- Cinque anni. orpo! Sei la prima che è scappata, dico bene? C'hai avuto fortuna, però. -
- Se fossi una persona così fortunata non sarei finita qua sopra. -, ribatté Gray, prendendo quella frase come un'offesa al suo piano perfetto di cinque o sei anni prima.
Stan tentò per altri dieci minuti di scucire qualche eroico racconto dalla bocca di Gray, ma ottenne soltanto risposte strascicate e aspre. Gray non aveva proprio voglia di ridere, e tanto meno di farlo raccontando dei cinque anni ad Azkaban. Aveva solo voglia di sprofondare nel cuscino e mettersi a dormire, ma con le frenate del Nottetempo l'impresa era impossibile. Probabilmente, se avesse avuto a disposizione un letto immobile, si sarebbe assopita all'istante.
Ma il viaggio non durò ancora a lungo: ancora un paio di frenate brusche e, finalmente, il Nottetempo raggiunse la sua meta.
- Forza, avanzo di galera! - strillò allegramente Stan - E' ora di scaricarti! -
Gray si alzò, così felice di scendere dal Nottetempo e di tornare al Quartier Generale, che sembrava essersi svegliata di colpo. Ernie e Stan sembrarono piuttosto offesi per questo improvviso rinvigorimento.
- Bhe? "Grazie del viaggio"? "Grazie della birra"? "Grazie di tutto"? - suggerì Stan.
- Sì. ah. sì, bene, grazie. - disse Gray, ricordando improvvisamente dell'esistenza dei due. Poi voltò l'angolo e scomparve dietro una siepe.
Dire che la stanza era un mortorio era una banale restrizione. Gray era arrivata da un'ora e aveva ricevuto un saluto umano soltanto da Sirius: gli altri erano talmente persi nei loro pensieri che si accorsero di Gray solo molti minuti più tardi.
- Ragazzi, forza! - disse Gray sorridendo - Cosa volete che gli succeda? L'ha morso un serpente, non un drago! Al San Mungo guariscono di tutto. - Ma nessuno sembrava interessato a farsi confortare. - Nessuno è mai morto laggiù. Insomma, a volte tornano mezzi paralizzati o con qualche pezzo in meno, però. -
- Gray - sospirò Sirius.
- Bhe? -. Solo dopo qualche minuto Gray si rese conto che forse non aveva detto la frase più appropriata. Si guardò intorno: sembrava la sala d'aspetto di un ospedale Babbano durante un intervento. Tutti riuniti intorno a un tavolo, tutti con lo sguardo angosciato fisso nel vuoto, tutti muti come tombe. Solo qualche enorme sospiro di tanto in tanto. Harry, Sirius e Gray erano gli unici a guardarsi, di tanto in tanto, per scambiarsi occhiate nervose. Non si avevano ancora notizie della signora Weasley, andata immediatamente al San Mungo per vedere suo marito. Gray avrebbe voluto fare delle domande ad Harry ma preferì risparmiarsele. Non le sembrava esattamente il clima adatto per parlare ancora un po' del signor Weasley.
Nemmeno Kreacher si faceva sentire. Sembrava come scomparso. Tutto nella casa taceva, i mobili e le assi non scricchiolavano, il vento non frusciava fuori dalle finestre e, soprattutto, non c'erano quadri a sbraitare tutto il tempo. Gray aveva quasi voglia di ficcarsi di nuovo nel Nottetempo, bastava allontanarsi il più possibile da quell'atmosfera ossessiva. E poi aveva così sonno.
- Ma perché no? Perché non posso? -
- Oh, tesoro, cerca di capire. Puoi vivere una vita normalissima frequentando le scuole babbane. Se tu andassi là ti faresti un sacco di idee sbagliate. e poi anche tu ti fisseresti con questa storia del sangue puro. lo sai che sono tutte stupidaggini. -
Gray aveva l'impressione di non aver mai sentito un'ingiustizia come quella. - Tu ci sei andato a Hogwarts! Ci sei andato!! Però ti sei sposato una. Babbana! -
- Non parlare con quel tono! Non ci vai e basta! -
- E' tutta colpa tua! - urlò Gray in faccia a sua madre - Perché sei una Babbana!! Mi hai fatto diventare una. una mezzosangue ! E' colpa tua! -
- Piccola, ti prego. noi siamo la tua famiglia. cosa conta il sangue rispetto a. -
- Rispetto a cosa!? Ci stanno inseguendo!! Ci uccideranno tutti! Ed è solo colpa vostra! Colpa tua! Se morirò è perché mi hai fatto diventare una Mezzosangue!! -
Un colpo.
Lo schiaffo di suo padre sulla pelle bruciava come una fiamma accesa.
- Vi detesto! Siete dei bastardi! -
- Quelle parole non te le ho insegnate io, ragazzina! - ringhiò Vincent.
- Vai all'Inferno! Ci ammazzeranno! -
- Forse, piccola. forse. - Theresa era in lacrime. era disperata. - Ma io. io ti giuro che. -
- Io ti giuro che vado a Hogwarts! Imparerò le Arti Oscure e sarò io ad uccidervi! -
- Le Arti Oscure non le imparerai mai a scuola. -
- Le imparerò da sola! Troverò qualcuno che me le insegni! Vi odio! Vi odio!! -
Sangue. I suoi genitori gridarono.
Gray sentiva la vergogna bruciarle la pelle. ma nessun senso di colpa. nessuno.
Assassina!
- .vi odio. -
Gray si era addormentata sul tavolo, e quando si svegliò era così sconvolta che ci mise un po' per rendersene conto. La stanza si era svuotata, e la pallida luce della luna entrava a mala pena dalla finestra, filtrando dalle tende consunte. Tutto era scuro: non c'era neanche una luce accesa. Gray scoprì di avere una vecchia coperta sulle spalle.
Non si sentiva bene. Avrebbe dovuto prendere una medicina, una qualunque, aveva fatto troppi sforzi. Si sentiva come se avesse avuto la febbre. La pelle avvampava, come se decine di fiamme vi camminassero sopra, ma dentro aveva un gran freddo.
Le tremavano le gambe, come se facessero fatica a tenersi ferme in quella posizione. Non osava muoversi, perché sapeva che, al minimo spostamento, avrebbe avuto un freddo terribile. Dopo aver dormito per così tanto tempo - o almeno, lei credeva che fosse così - si era come pietrificata e il caldo che le faceva la coperta sembrava averla bloccata.
Gray aveva le palpebre sempre più pesanti.
- Con chi ce l'avevi, Gray? -
- Non lo so. - rispose.
- Con i tuoi, forse? -, disse Sirius.
- Come fai a saperlo? -
- Parlavi nel sonno. Ma gli altri non hanno sentito. Se ne sono andati un'ora fa. -
- Al San Mungo? -
- Sì. -
Gray sospirò.
- Silente mi aveva detto che avevo la loro responsabilità e io non faccio che addormentarmi in giro. -
- Ti dispiace essere qui? -
Gray alzò la testa, con un movimento quasi involontario, e scoprì che i loro corpi erano vicinissimi. Riusciva a sentirlo respirare, quasi a sentire il suo cuore che batteva. Gray si lasciò accarezzare, assorta, incapace di muoversi.
- No, - rispose, sorridendo.
Sirius la strinse per le braccia, e Gray sentì le sue labbra, la sua lingua, le sembrò che le si stesse sciogliendo il cervello. Non si mosse più di tanto, rimase quasi immobile, mentre la stanza affogava sempre di più nell'oscurità. Non riusciva quasi a distinguere niente, la sua vista si appannava.
Toccherà anche a lui. prima o poi.
Un velo bollente le calò sugli occhi. Le lacrime scendevano sulle guance, lasciando sul loro percorso una fastidiosa sensazione di umido appiccicoso. Scorrevano sul collo, e i vestiti le assorbivano. Gray non diceva niente, né aveva intenzione di dirlo.
Mentre Sirius le accarezzava le guance, sentiva uno strano calore.
Le lacrime scintillavano sul suo viso, imprigionando la luce della luna piena.
Sirius non le chiese che le prendeva, non le disse niente, come se avesse avuto paura di distruggere il silenzio. Il respiro di Gray si troncava spesso in un singhiozzo. Neanche lei riusciva a capirsi. Affondò il viso nei vestiti di Sirius, strofinandovi la pelle contro, stringendo i pungi, come se avesse voluto impedirsi di piangere.
Ma non poteva farne a meno.
Sentiva un qualcosa di gigantesco crescere dentro di lei, crescere e gonfiarsi, così tanto da squartarle la pelle. Ricordava una scena simile, ne ricordava tante altri, le sembrava che ogni giorno della sua vita si assomigliasse in maniera terribile.
Anche i ricordi più recenti si affollavano nella stessa parte della sua testa, le forme cambiavano, si ingigantivano, le voci che aveva sentito erano diverse. Non riusciva a ricordare neanche che cosa avesse fatto cinque secondi prima.
- Che cosa ti sta succedendo, Gray? -
Sapeva che non si riferiva a quella notte. Si riferiva a tutta la sua vita. A tutto quello che era andato in pezzi così tanti anni prima. Cosa ci era voluto, in fin dei conti? Era bastato una specie di tatuaggio, un segno sulla pelle, per distruggere tutto quello che era riuscita a crearsi. O forse. forse era così fin da quando era nata. Forse era destinata, fin dal principio, a non poter condurre una vita come tutti gli altri.
- Non lo so. - ansimò Gray - Sirius. quel. quella tenda. -
Sirius sembrò lanciare uno sguardo alle tende della stanza.
- Quale tenda? -
- Quella. nera. -
- Non ci sono tende nere in questa casa, Gray. - La voce di Sirius avrebbe dovuto rassicurarla, ma la fece soltanto cadere nella più totale confusione. Com'era possibile che non capisse?
- No. Non qui! Non è. -
Sirius la baciò di nuovo e la strinse a sé.
- Credi. credi che. che mi piaccia? - strillò Gray.
- Che cosa? -
- Ve. vedere tutto questo. Non mi piace. Non ce la faccio più. -
Neanche Gray capiva di cosa stesse parlando.
- Gray. - disse Sirius, sollevandole il viso, come faceva ogni volta che voleva guardarla negli occhi. - Sconfiggeranno Voldemort e non ci sarà più nessuno a tormentarti. E allora tutto tornerà come prima. Te lo assicuro. -
Gray stavolta non rispose. Era ormai certa di avere la febbre; aveva voglia solo di svenire. Di perdere conoscenza. Non le importava cosa sarebbe successo.
Milioni di prospettive sul futuro si aggiravano nella sua testa. Poteva darsi che Voldemort non venisse mai sconfitto, poteva darsi che il suo regno sarebbe durato ancora per molti anni, così come la tortura che Gray doveva auto infliggersi ogni volta che il Marchio cercava di sopraffarla.
Ma c'era anche un'altra ipotesi. Gray sembrava voler scartare tutte le altre, perché erano troppo atroci al confronto.
Poteva darsi che prima o poi tutto sarebbe finito.
Non era possibile che le cose tornassero esattamente com'erano prima, ma potevano migliorare. Il Marchio Nero non sarebbe scomparso, ma sarebbe stato perfettamente inutile. Nessuno l'avrebbe più guardata come un'assassina, come un pericolo, come una malata di mente, qualcosa da eliminare. Finalmente tutti avrebbero potuto iniziare una vita veramente tranquilla, e Sirius non sarebbe stato più latitante, tutti avrebbero dovuto ammettere la sua innocenza. Avrebbero lasciato quella casa squallida e sarebbero andati a vivere da qualche parte, come persone finalmente normali.
Gray era sicura che prima o poi sarebbe successo.
Aveva una certezza bruciante dentro di sé. Un piccolo incendio che sembrava averle fatto riprendere la voglia di vivere.
Ma c'era anche la pioggia. Una violenta tempesta di dubbi, di incertezze, in piena agitazione, contro la quale la piccola fiamma lottava, senza mai arrendersi, ma era diventata così debole. Era un brutto, un terribile presentimento.
Il signor Weasley ormai sembrava essersi ripreso. Sembrava ben lontano da lasciare il San Mungo in quella settimana, ma se non altro aveva recuperato le forze. Harry, da quando era tornato dal San Mungo, era sempre più schivo. Si rifiutava di parlare con chiunque ed evitava accuratamente di incontrare esseri umani.
Intanto, le vacanze natalizie erano iniziate. A dire il vero mancava ancora un giorno alla partenza della maggior parte degli studenti da Hogwarts, ma tutti si sentivano già in vacanza e non avevano nessuna forza di volontà nel seguire le lezioni. Come sempre erano stati torchiati da pile e pile di compiti, e l'aspetto era alquanto preoccupante: l'unica a non essere minimamente toccata da tutto questo era Hermione.
Aveva in programma di andare a sciare coi suoi genitori, ma sembrava ben felice di avere così tanti compiti da fare.
- Almeno ci teniamo in allenamento. Sono troppo preoccupata per gli esami. Avrei avuto proprio paura di oziare per un mese intero! -
Ron e Harry erano rimasti sbigottiti da quest'affermazione.
Loro, invece, avrebbero trascorso le vacanze a Grimmauld Place, insieme a tutti i Weasley e i membri dell'Ordine, e Sirius sembrava particolarmente allegro per questo improvviso affluire di ospiti.
Gray fu costretta a tornare a Hogwarts, ma se la filò alla prima occasione, ben sapendo che, al suo ritorno, la Umbridge l'avrebbe decisamente fatta nuova. Non che la cosa la preoccupasse: sapeva che non andava mai più in là della voce grossa, come una vecchia zia, a causa del timore naturale che nutriva nei confronti della ragazza. E comunque l'idea di tornare a Hogwarts, in confronto a quella di restare a Grimmauld Place, era decisamente la peggiore.
Gray non disse a nessuno del suo sogno, nemmeno a Sirius. O almeno, non rivelò come era finito, anche perché non aveva capito molto nemmeno lei.
Sentiva come una specie di serpente sotto la pelle, che puntava dritto al cuore.
Era stata lei. Non sapeva bene a far cosa. ma era stata lei.
