15. La trappola perfetta.
Continuava a divincolarsi. Cercava di liberarsi dalla stressa del professor Tofty che tentava di accompagnarlo in infermeria. Harry alla fine si arrese, convinto che mai sarebbe riuscito a dissuaderlo che andava tutto bene: d'altra parte, non poteva certo raccontargli quello che aveva visto nel suo sogno.
Scappò, dicendo che andava da Madama Chips. Scappò e corse per i corridoi con tutta la forza che aveva nelle gambe. Scappò fino al Dormitorio, poi corse oltre, sperando che qualcosa sbucasse dal pavimento, qualcosa, qualsiasi cosa che lo facesse volare immediatamente via, verso il Ministero della Magia.
Le tre del pomeriggio.
Come diavolo avrebbe fatto ad entrare al Ministero? Ma doveva provarci. Anche se nessuno l'avrebbe aiutato, e chi poteva farlo del resto? A scuola non c'era nessun membro dell'Ordine. Piton? Figurarsi se avrebbe ascoltato una singola parola di quel che diceva. Silente? Nessuno sapeva dove fosse. Avrebbe potuto fidarsi della professoressa McGranitt, ma l'avevano portata al San Mungo giorni prima.
Ron era ancora privo di sensi. Hermione. Solo Hermione poteva aiutarlo, e mancavano solo due minuti alla fine dell'esame... avrebbe potuto chiedere a lei, lei avrebbe senz'altro saputo cosa fare.
Ancora non riusciva a crederci.
Sirius, nell'Ufficio Misteri. Voldemort lo aveva preso. E lo stava torturando. Harry credette che non ci fosse spiegazione logica a tutto questo, fin quando non gli fu tutto chiaro. Ricordò del sogno che aveva fatto un attimo prima che Marietta corresse urlando per il corridoio davanti alla Signora Grassa. Voldemort aveva parlato di Sara. Aveva ordinato a Malfoy di portarla da lui viva e vegeta, perché voleva torturarla... torturarla fin quando il pesciolino non avrebbe abboccato all'amo...
Ecco qual era il suo piano. Catturare Sara perché Sirius corresse a salvarla.
E poi, obbligarlo con la tortura a prendere per lui quella cosa, quell'arma, o quel che diavolo era...
Se le cose erano davvero andate così, non c'era tempo. Non c'era un minimo di tempo per quello stupido esame, ed Hermione doveva muoversi, doveva sbrigarsi con quei fogli inutili, perché Sirius stava per morire, forse... e forse Sara aveva già incontrato la stessa sorte da chissà quanto tempo.
Stava ancora correndo, disperato, per tutta la scuola, cercando di farsi venire un'idea, ma qualcosa lo interruppe. Qualcosa che emerse dall'ombra di una vecchia statua, una figura umana alta e longilinea.
E dopo di essa, un'altra, inequivocabilmente quella di una donna.
Harry li riconobbe. Li aveva visti, li aveva visti fin troppo bene quando era tornato l'ultima volta alla Stamberga Strillante, ed erano in cima alla lista di persone che non avrebbe mai voluto incontrare in un momento come quello. Senza accorgersene, Harry era giunto in un corridoio che gli studenti non percorrevano mai: era un piano ancora inferiore ai sotterranei di Piton, era il piano più basso di tutti, forse superiore soltanto alla Camera dei Segreti.
E davanti a lui, c'erano Scilla e Seymour. Ma li riconobbe solo dalla voce, perché entrambi portavano indosso un pesante mantello nero, con un cappuccio che oscurava quasi completamente il loro viso pallido. Gli occhi rossi della donna scintillavano come rubini sotto l'ombra del tabarro, e i suoi boccoli corvini emergevano di tanto in tanto dalla veste, coprendole le spalle. Harry dedusse che doveva avere un braccio nuovo, un braccio fasullo, come la mano di Codaliscia: vedeva delle dita d'argento spuntare da sotto la manica della tunica nera. Era la tunica di un Mangiamorte.
Seymour aveva un sorriso famelico stampato sulle labbra, i lunghi canini in mostra, i denti bianchissimi scintillanti alla luce delle deboli torce. Era più alto di Scilla e perciò svettava minaccioso sopra la testa di Harry.
Ma lui era troppo nervoso, troppo ansioso, troppo scosso per provare qualsiasi altra cosa.
- Perché corri in giro per tutto il castello, Potter? - chiese Seymour con voce sibilante e perfida.
- Per caso qualcuno sta per fare una brutta fine? - aggiunse Scilla, e Harry seppe che la sua testa stava scoppiando. La cicatrice gli doleva immensamente e le parole dei due Mangiamorte lo avevano fatto completamente avvampare di fiamme, al punto che Harry si stupì di non vedere neanche una lingua di fuoco spuntare dalla sua pelle. La sua mano volò alla bacchetta, ma prima ancora che potesse spiccare parola, Seymour gli paralizzò il braccio.
- Buono, buono... - ghignò, - Sai, purtroppo abbiamo ricevuto ordini non simpatici... -
- E dobbiamo portarli a termine, - concluse Scilla, alzando a sua volta la bacchetta di nero ebano. - Non sarà difficile paralizzarti qua sotto, mentre l'Oscuro Signore termina la sua opera... -
Harry corse verso di lei, scattò in avanti, deciso a farli a pezzi entrambi. Ridendo divertito, Seymour gli paralizzò anche una gamba, e Harry cadde a terra in modo alquanto ridicolo. Scilla si aggiunse alle risate di Seymour.
- Bel colpo, pa'. - sorrise. Harry bruciava di furore. - Dovresti sistemarti un po' quei capelli, ragazzo. Gratta e netta. -
Una cascata di bolle di sapone azzurrognole gli piombarono in testa, colandogli sulle palpebre serrate. Harry non poteva muoversi... e mentre quei due si trastullavano con lui come fosse stato un giocattolo, un ridicolo stupido giocattolo, Sirius era ancora con Voldemort...
Harry si alzò in piedi. La sua gamba e il suo braccio erano tornati a muoversi. Stava correndo via, quando Scilla lo fermò: - Imperio! -
Ecco che i pensieri sparivano dalla sua testa. Da qualche parte giaceva ancora il fantasma di un cervello, di un pensiero, di un volere forse... ma era troppo flebile. Harry non riusciva a coglierlo, e sentiva che niente avrebbe potuto liberarlo da quella fortezza di sogni, di silenzio alla quale la Maledizione Imperius lo aveva condannato.
Sì, era bello non pensare... era bello non preoccuparsi di niente...
:Fai la gallina:, disse una voce. :Imita una gallina, coraggio...:
Harry voleva opporsi. Doveva opporsi. Ma sentiva che il suo corpo stava imitando un pollo, ecco che sbatteva le braccia piegate sui fianchi, ecco che la sua voce si contorceva nel verso di quello stupido animale...
:E adesso baciami le scarpe.:
Non ti bacerò le scarpe! Per chi mi hai preso?
:Baciami le scarpe.:
E la voce era forte, irresistibile... era seducente. Come poteva resisterle? Come poteva rifiutarsi? Si chinò, per baciare le scarpe alla bellissima donna vestita di nero che stava in piedi di fronte a lui. Harry sentì la sua stessa voce rantolare un rifiuto, poi un'imprecazione, ma il resto del suo corpo non riusciva a ribellarsi al suo volere.
- Finite incantatem - disse una voce allegra e derisoria.
Harry si afflosciò per terra, sfinito. Non aveva mai provato una Maledizione Imperius così potente, probabilmente neanche quando aveva affrontato Voldemort l'anno prima. Ma Voldemort non possedeva quella voce suadente, che sembrava ridurgli il cervello in una misera poltiglia. Non aveva tempo di rifletterci su. Doveva correre, doveva scappare...
L'esame era finito, sicuramente, e quindi doveva cercare Hermione. Doveva filare all'Ufficio Misteri, doveva aiutare Sirius.
- Se lo uccidessimo? - domandò Scilla.
- Non sarebbe male, - annuì Seymour con un sorriso fin troppo rilassato, - Ma non è questo l'ordine. -
- E allora divertiamoci un po' - Scilla scrollò le spalle.
- Expelliarmus! - gridò Harry, ma con sua immensa sorpresa, il colpo che andò perfettamente a segno non funzionò: la bacchetta rimase ben salda nelle mani di Seymour. - Expelliarmus! Expelliarmus! - ripeté mille e mille volte, esasperato. Seymour ormai si disfaceva dalle risate. Di colpo tornò serio e sussurrò: - Serpensortia -
Harry si sarebbe aspettato qualcosa come una vipera, o un serpente di piccola taglia. Ma dalla bacchetta di Seymour uscì un'enorme Boa Constrinctor. Harry lo riconobbe, era identico a quello che aveva visto allo zoo, cinque anni prima, quando il suo odioso cugino Dudley era quasi stato aggredito.
Scilla pronunciò a sua volta lo stesso incantesimo, ma dette un colpo diverso alla bacchetta: dalla sua, uscì un cobra dal bellissimo disegno nero e nocciola, ma Harry non ebbe il tempo di restarne ammirato: il cobra e il boa strisciavano verso di lui velocemente, troppo velocemente. Il boa gli afferrò la caviglia, stritolandogliela quasi, lo fece cadere. Il cobra si infilò sotto la sua maglietta e prese a strisciargli sulla schiena...
- Stupeficium! - gridò qualcuno. Harry non sapeva chi. Era paralizzato dal terrore, e sudava freddo, molto freddo. Poi alzò la testa, quando il boa schizzò via lontano da lui, colpito dallo Schiantesimo: era Ron.
E dietro di lui c'era Hermione. Non era da sola. Pronunciò un incantesimo di cui Harry non colse le parole e il cobra sparì all'istante: Harry non sentiva più le sue sottili spire gelate. Mise a fuoco, aggiustandosi gli occhiali e rialzandosi in piedi. Dietro Hermione e Ron, non meno esterrefatti di questi ultimi, c'erano Neville, Luna e Ginny.
- Siamo in un asilo, - sospirò Seymour - Guarda quanti mocciosi. -
Seymour dette un colpetto alla sua bacchetta e le scale in cima alle quali stava il gruppetto si disciolsero, come fossero diventate un budino. I cinque rotolarono giù, atterrando dritti dritti sulla schiena di Harry.
- Scappate! - rantolò Harry, mezzo soffocato. - Scappate subito! I vampiri... - Guardò indietro: Scilla e Seymour erano a un millimetro da loro.
- Con te abbiamo finito, Potter. A meno che qualcuno di voi non sia così sciocco da lanciarci contro un incantesimo... - disse Scilla.
- Nessuno dei due può vivere se l'altro sopravvive, - aggiunse Seymour - E saranno gli innocenti i primi a morire, e i ciechi ignoranti a sopravvivere, trascinandone altri nella morte. Ricordatelo, Potter. -
E poi, in una nube di pipistrelli, entrambi sparirono.
*
Indubbiamente, stava succedendo qualcosa di strano, qualcosa di molto strano. Nessuno poteva sapere quali fossero le cause.
Si sapeva solo che un attimo prima Sara stava aiutando Molly Weasley a lavare i piatti, e un attimo dopo, era caduta profondamente nel sonno, con espressione inquieta e angosciata, e sembrava non avere la minima intenzione di svegliarsi.
Sirius e gli altri aveva fissato con orrore il Marchio Nero emergere sempre di più, diventare nero come il petrolio, incidersi linea dopo linea nella pelle di Sara, mentre le dormiva e gridava nel sonno. Piantava le unghie nel tessuto del divano, sferrava calci e pugni, tossiva, come sempre, ma in quella situazione pareva ancora più malata. Il pallore della sua pelle aumentava sempre di più e sembrava dimagrire ogni ora.
Erano passate ormai cinque ore da quando, a mezzogiorno, Sara era caduta nel suo strano incubo perpetuo, e da cinque ore, cinque ore inarrestabili, i membri dell'Ordine della Fenice assistevano al suo delirio.
Non faceva che gridare della vendetta di Voldemort, del suo riscatto, dell'impero che stava sorgendo di nuovo, dell'inutile guerra che gli avrebbero mosso contro. Tutto per merito del suo piano perfetto, della sua trappola infallibile.
Sirius non si era allontanato da lei neanche un attimo. Forse Sara non era in grado di sentire la stretta della sua mano, ma era bello illudersi che avrebbe funzionato, che ciò l'avrebbe riportata alla realtà. Nessuno se lo aspettava, non così all'improvviso, e Malocchio non era stato per niente confortante. Secondo lui, la malattia di Gray aveva raggiunto il capolinea, il picco supremo, e non aveva detto cosa le sarebbe successo dopo. E nel delirio, continuava a ripetere ciò che Voldemort non aveva fatto che ripeterle nelle orecchie ogni istante della sua vita.
- Ogni malattia passa, - sentenziò Moody - E può passare nel migliore dei modi, così come nel peggiore. -
Sirius si era rifiutato di ascoltarlo. Non poteva sentire neanche una di quelle parole stupide... perché non stava succedendo niente, Sara si era solo addormentata e al risveglio non avrebbe ricordato più niente...
Non poteva ignorare la crudeltà dei fatti; ad un tratto Sara strinse ancora di più la presa sulla sua mano e cominciò a strillare che Harry, Ron, Hermione, Neville, Ginny e Luna, si trovavano in quel preciso istante nell'Ufficio Misteri, al cospetto di tutti quanti i Mangiamorte, ai quali si erano aggiunti gli antichi servi di Voldemort che erano risorti dall'ambra nella quale Demetrius li aveva imprigionati. I vampiri della famiglia Gray. E mentre le fiamme bruciavano ancora nel caminetto della Stamberga Strillante e i quadri dei mortali parlottavano tra loro fitto fitto, i risorti figli di Cassandra erano liberi e si erano ricongiunti a Voldemort.
E poi, Gray si era afflosciata.
Era diventata ancora più pallida, se era possibile, e aveva tirato l'ultimo rantolo di tosse, un singhiozzo fioco e appena percettibile. Un istante dopo, però, aveva riaperto gli occhi di scatto, ed erano occhi ancora più rossi, ancora più sanguigni, ancora più terrificanti. Era stato questione di un istante prima che spalancasse una finestra, si trasformasse in corvo, e volasse via di corsa senza guardare in faccia a nessuno.
Erano rimasti tutti allibiti.
- Dove credete che sia andata? - chiese Tonks, mentre tutti i membri erano riuniti nel salotto, di fronte al camino, come aspettandosi una qualche comunicazione importante che suggerisse loro cosa fare. Erano passati due quarti d'ora dalla fuga misteriosa di Sara, e nessuno aveva ancora capito quale ne fosse la causa - Da... da Voldemort? - suggerì, a dir poco esitante.
- Non sarebbe da escludere, - commentò Moody, crudo.
- Ma certo che è da escludere. - lo rimbeccò Sirius - Non lo farebbe mai... non starebbe mai ad obbedire a un ordine di quel... -
- L'hai sentita anche tu, - ribatté Malocchio senza scomporsi - L'hai sentita meglio di tutti noi, visto che eri a un centimetro da lei. E hai sentito altrettanto bene che ha parlato di Potter e degli altri. -
- Pensi che possano essere all'Ufficio Misteri? - chiese Remus. - Non è un po'... improbabile? -
- Forse. -
- Sentite, non possiamo trascorrere tutto il tempo a fare ipotesi! - li interruppe Tonks con veemenza, - Se sono davvero all'Ufficio Misteri e se Sara ha... emh... detto il vero mentre dormiva, i ragazzi sono nei guai! E noi dobbiamo andare ad aiutarli! -
- Potrebbe essere una trappola. -
- Tu vedi trappole ovunque! - disse Tonks, seccata ma tuttavia vagamente arrendevole. Effettivamente poteva trattarsi di un tranello, di un subdolo agguato. E molto ben preparato, tra l'altro, per quanto la cosa non fosse affatto lodevole. C'erano troppi punti interrogativi nell'intera vicenda, e soltanto affidandosi all'istinto avrebbero risolto ben poco. Fu con questo ragionamento che Tonks si piegò definitivamente: non valeva la pena abboccare all'amo senza la certezza che i ragazzi fossero davvero in serio pericolo. - Bhe... hai ragione, Malocchio. Per una volta... -
- Bene, d'accordo, tutti convinti, non è vero? - intervenne Sirius con voce rabbiosa, - Harry potrebbe essere al sicuro, vivo e vegeto, e ho i miei seri dubbi che sia così... ma Sara, dovunque sia, non sta certo bene. E se avete intenzione di lasciare che vada da sola, ovunque Voldemort l'abbia costretta ad andare, bhe, non contate su di me. -
Qualcuno aprì la bocca per ribattere, ma la richiuse subito dopo emettendo appena un mormorio incerto.
- Remus! - Sirius si voltò seccamente verso Lupin, il quale sembrò serrare le labbra, esitante, - Anche tu la pensi come loro? Non sei tu quello che la difendeva sempre, a scuola? Non siete amici? -
I due per qualche istante si guardarono negli occhi. E poi, il primo a distogliere lo sguardo fu Lupin, che non aveva più alcuna traccia di esitazione nella voce.
- All'Ufficio Misteri, - disse Remus, - E' là... sono là. Di sicuro. -
- Andiamo, non ti ci mettere anche tu con i piani idioti, - lo contraddisse Moody. Ma prima che qualcun altro potesse rispondere, lo specchio appeso in salotto, a pochi metri da loro, cominciò a strillare come un pazzo, facendo netta concorrenza alla signora Black. Per nulla meravigliati, i membri dell'Ordine presenti si diressero verso lo specchio e Tonks disse: - Fatina orba. -
Lo specchio si zittì all'istante e la sua superficie si fece azzurrina. Per qualche istante increspature turchesi apparvero sullo specchio ovale, prima che questo tornasse normale e riflettesse un posto che era completamente diverso da Grimmauld Place: era Hogwarts e, più precisamente, l'ufficio di Severus Piton. Al centro dello specchio la sua figura scura e unticcia, il naso adunco e gli occhi neri e spenti bastava a riempire la cornice.
- Piton? - disse Sirius con una smorfia visibilmente disgustata.
- Strano, - commentò Piton per niente ironico - A sentire Potter un paio d'ore fa, dovresti essere all'Ufficio Misteri sotto la crudele tortura di Voldemort. -
- Che... eh? - Sirius rimase perplesso, ma Piton lo interruppe subito.
- Potter e altri dei suoi amici sono entrati nella foresta con la Umbridge, e ne ignoro la ragione. Non ne sono più usciti. Ho ragione di credere che si siano recati all'Ufficio Misteri, perché credo di averli intravisti a cavallo di alcuni Thestral che sbucavano dagli alberi. -
- Come fai a dire che sono andati proprio là? - chiese Lupin, poco convinto.
- E' quello che ha detto Potter. - rispose Piton tranquillamente.
- E perché diavolo non ci hai avvertiti prima? - abbaiò Sirius.
- Perché una certa Sara Gray mi ha aggredito alle spalle e mi ha trattenuto per tutto questo tempo, dicendo che era un ordine dell'Oscuro Signore. Dopodiché si è riscossa, ha balbettato qualcosa che somigliava grottescamente a delle scuse, ed è volata via dalla finestra. -
Si guardarono tutti negli occhi, a turno, con aria scioccata. Ma non c'era tempo per riflettere troppo. Se era trascorso tutto quel tempo da quando Harry era partito con i suoi amici, a quest'ora erano senz'altro nei guai. In guai seri.
Non ci vollero parole perché tutti si convincessero ad agire: e se c'erano ancora dei dubbi, si dissiparono all'istante. Harry e gli altri erano in pericolo. Era ora di agire.
- Te lo ripeterò per l'ultima volta, - disse uno dei Mangiamorte a denti stretti, fissando Harry negli occhi. - Dammi quella Profezia. Adesso. -
Harry, al contrario strinse la Profezia nella mano ancora più forte. Era la prima volta che si trovava in una situazione così disperata, e dopotutto, stava considerando l'idea che non gli sarebbe cambiato niente se l'avesse consegnata o tenuta. Dunque era quella l'arma che l'Ordine della Fenice cercava di allontanare da Voldemort.
- No. - rispose con fermezza, ma dentro di sé stava pensando il contrario.
- Andiamo, Harry, - disse Scilla in tono mite, o forse soltanto mellifluo. - Dacci la Profezia e ti lasceremo andare senza un graffio. Tu e i tuoi amici, ok? -
Scilla aveva fatto un passo verso di lui, ma Harry si ritrasse di scatto, portandosi il braccio con la sfera di vetro all'altezza del petto. Fissava gli affilati occhi rossi della vampira, e si chiedeva se non fosse stato meglio consegnare loro la Profezia e basta. Ma non appena Hermione gli ebbe sferrato una gomitata, Harry guardò altrove e si riscosse.
Mai i suoi amici erano stati così in pericolo di morte, mai per causa sua.
Ai Mangiamorte si erano riuniti, come in passato, molti dei componenti della famiglia Gray che essendo vampiri erano potuto resuscitare. Scilla era di fronte a lui, di fianco a Bellatrix. Poco lontano c'era Seymour, poi altre due donne e tre uomini che Harry non aveva mai visto. Era convinto che molti più vampiri fossero resuscitati, a giudicare da come era ridotto il sepolcro sotto la Stamberga Strillante, ma dopotutto non tutti loro potevano essere dei sostenitori di Voldemort, per quanto Demetrius fosse stato uno sterminatore di Mezzosangue.
Dietro Harry c'erano gli altri cinque, Ron, Hermione, Ginny, Neville e Luna. Ogni tanto qualcuno di loro si lasciava sfuggire un gemito atterrito, e non c'era da biasimarli: più di una decina di Mangiamorte stava di fronte a loro, causando un netto svantaggio numerico. E tra l'altro, sapevano quali erano state le orribili gesta degli incappucciati, ed erano certi che, anche se fossero stati in vantaggio, non avrebbero mai potuto competere con loro.
Harry si sforzava di non essere pessimista: nonostante i Mangiamorte li avessero inseguiti per tutto quel tempo e ora li avessero infine circondati, lui doveva ancora cercare Sirius, e doveva evitare in qualsiasi modo che entrassero in possesso della Profezia...
Ma non era il caso di consegnarla? O voleva forse essere lui il responsabile della morte dei suoi amici, che erano stati coinvolti quasi per caso? Avrebbe dovuto avere la coscienza in pace, erano stati loro ad insistere... ma questo non significava niente, era tutta colpa della sua mania di fare l'eroe, certo, nient'altro che di quello...
- Come dobbiamo ripetertelo, Potter? - sibilò Bellatrix Lestrange, - Dacci la Profezia o farete tutti una brutta fine. -
- Voi ditemi dov'è Sirius e io vi darò la Profezia! - abbaiò Harry e si sentì rispondere dalle risate malvagie della ventina di Mangiamorte. Bellatrix era quella che rideva di più, al contrario di Scilla. Quest'ultima sembrava piuttosto seria, e fissava intensamente, uno per uno, tutti coloro che la circondavano. Harry non ci fece troppo caso. Poteva darsi che non avesse semplicemente voglia di prenderlo in giro, ma alla fine lo avrebbe ucciso ugualmente.
- Povero bambino, - lo schernì Bellatrix - Forse dovresti distinguere meglio i sogni dalla realtà, che cosa ne pensi? -
Harry non capiva cosa volesse dire.
Per un attimo, il folle pensiero che fosse solo una trappola gli attanagliò il cervello, senza pietà, e non fu solo l'idea di un momento: per lunghi, interminabili minuti continuò a tormentarlo. E poi, vide Scilla annuire lentamente, ma senza sorridere, senza schernirlo. Harry ebbe un fremito convulso: anche Scilla leggeva il pensiero.
Ed era una Mangiamorte. Qualsiasi cosa Harry avesse voluto fare, lei l'avrebbe prevenuto. Non sarebbe stato difficile ingannarla, se solo avesse studiato Occlumanzia, se solo non avesse guardato in quel maledetto Pensatoio...
Mentre i Mangiamorte parlavano, lui non sentiva: era troppo preso a guardare Scilla. stava muovendo le labbra senza emettere suoni, ma lui non capiva. Che cosa voleva dire? Scilla, spazientita, mosse le labbra molto più distintamente: "scappa".
Continuava a divincolarsi. Cercava di liberarsi dalla stressa del professor Tofty che tentava di accompagnarlo in infermeria. Harry alla fine si arrese, convinto che mai sarebbe riuscito a dissuaderlo che andava tutto bene: d'altra parte, non poteva certo raccontargli quello che aveva visto nel suo sogno.
Scappò, dicendo che andava da Madama Chips. Scappò e corse per i corridoi con tutta la forza che aveva nelle gambe. Scappò fino al Dormitorio, poi corse oltre, sperando che qualcosa sbucasse dal pavimento, qualcosa, qualsiasi cosa che lo facesse volare immediatamente via, verso il Ministero della Magia.
Le tre del pomeriggio.
Come diavolo avrebbe fatto ad entrare al Ministero? Ma doveva provarci. Anche se nessuno l'avrebbe aiutato, e chi poteva farlo del resto? A scuola non c'era nessun membro dell'Ordine. Piton? Figurarsi se avrebbe ascoltato una singola parola di quel che diceva. Silente? Nessuno sapeva dove fosse. Avrebbe potuto fidarsi della professoressa McGranitt, ma l'avevano portata al San Mungo giorni prima.
Ron era ancora privo di sensi. Hermione. Solo Hermione poteva aiutarlo, e mancavano solo due minuti alla fine dell'esame... avrebbe potuto chiedere a lei, lei avrebbe senz'altro saputo cosa fare.
Ancora non riusciva a crederci.
Sirius, nell'Ufficio Misteri. Voldemort lo aveva preso. E lo stava torturando. Harry credette che non ci fosse spiegazione logica a tutto questo, fin quando non gli fu tutto chiaro. Ricordò del sogno che aveva fatto un attimo prima che Marietta corresse urlando per il corridoio davanti alla Signora Grassa. Voldemort aveva parlato di Sara. Aveva ordinato a Malfoy di portarla da lui viva e vegeta, perché voleva torturarla... torturarla fin quando il pesciolino non avrebbe abboccato all'amo...
Ecco qual era il suo piano. Catturare Sara perché Sirius corresse a salvarla.
E poi, obbligarlo con la tortura a prendere per lui quella cosa, quell'arma, o quel che diavolo era...
Se le cose erano davvero andate così, non c'era tempo. Non c'era un minimo di tempo per quello stupido esame, ed Hermione doveva muoversi, doveva sbrigarsi con quei fogli inutili, perché Sirius stava per morire, forse... e forse Sara aveva già incontrato la stessa sorte da chissà quanto tempo.
Stava ancora correndo, disperato, per tutta la scuola, cercando di farsi venire un'idea, ma qualcosa lo interruppe. Qualcosa che emerse dall'ombra di una vecchia statua, una figura umana alta e longilinea.
E dopo di essa, un'altra, inequivocabilmente quella di una donna.
Harry li riconobbe. Li aveva visti, li aveva visti fin troppo bene quando era tornato l'ultima volta alla Stamberga Strillante, ed erano in cima alla lista di persone che non avrebbe mai voluto incontrare in un momento come quello. Senza accorgersene, Harry era giunto in un corridoio che gli studenti non percorrevano mai: era un piano ancora inferiore ai sotterranei di Piton, era il piano più basso di tutti, forse superiore soltanto alla Camera dei Segreti.
E davanti a lui, c'erano Scilla e Seymour. Ma li riconobbe solo dalla voce, perché entrambi portavano indosso un pesante mantello nero, con un cappuccio che oscurava quasi completamente il loro viso pallido. Gli occhi rossi della donna scintillavano come rubini sotto l'ombra del tabarro, e i suoi boccoli corvini emergevano di tanto in tanto dalla veste, coprendole le spalle. Harry dedusse che doveva avere un braccio nuovo, un braccio fasullo, come la mano di Codaliscia: vedeva delle dita d'argento spuntare da sotto la manica della tunica nera. Era la tunica di un Mangiamorte.
Seymour aveva un sorriso famelico stampato sulle labbra, i lunghi canini in mostra, i denti bianchissimi scintillanti alla luce delle deboli torce. Era più alto di Scilla e perciò svettava minaccioso sopra la testa di Harry.
Ma lui era troppo nervoso, troppo ansioso, troppo scosso per provare qualsiasi altra cosa.
- Perché corri in giro per tutto il castello, Potter? - chiese Seymour con voce sibilante e perfida.
- Per caso qualcuno sta per fare una brutta fine? - aggiunse Scilla, e Harry seppe che la sua testa stava scoppiando. La cicatrice gli doleva immensamente e le parole dei due Mangiamorte lo avevano fatto completamente avvampare di fiamme, al punto che Harry si stupì di non vedere neanche una lingua di fuoco spuntare dalla sua pelle. La sua mano volò alla bacchetta, ma prima ancora che potesse spiccare parola, Seymour gli paralizzò il braccio.
- Buono, buono... - ghignò, - Sai, purtroppo abbiamo ricevuto ordini non simpatici... -
- E dobbiamo portarli a termine, - concluse Scilla, alzando a sua volta la bacchetta di nero ebano. - Non sarà difficile paralizzarti qua sotto, mentre l'Oscuro Signore termina la sua opera... -
Harry corse verso di lei, scattò in avanti, deciso a farli a pezzi entrambi. Ridendo divertito, Seymour gli paralizzò anche una gamba, e Harry cadde a terra in modo alquanto ridicolo. Scilla si aggiunse alle risate di Seymour.
- Bel colpo, pa'. - sorrise. Harry bruciava di furore. - Dovresti sistemarti un po' quei capelli, ragazzo. Gratta e netta. -
Una cascata di bolle di sapone azzurrognole gli piombarono in testa, colandogli sulle palpebre serrate. Harry non poteva muoversi... e mentre quei due si trastullavano con lui come fosse stato un giocattolo, un ridicolo stupido giocattolo, Sirius era ancora con Voldemort...
Harry si alzò in piedi. La sua gamba e il suo braccio erano tornati a muoversi. Stava correndo via, quando Scilla lo fermò: - Imperio! -
Ecco che i pensieri sparivano dalla sua testa. Da qualche parte giaceva ancora il fantasma di un cervello, di un pensiero, di un volere forse... ma era troppo flebile. Harry non riusciva a coglierlo, e sentiva che niente avrebbe potuto liberarlo da quella fortezza di sogni, di silenzio alla quale la Maledizione Imperius lo aveva condannato.
Sì, era bello non pensare... era bello non preoccuparsi di niente...
:Fai la gallina:, disse una voce. :Imita una gallina, coraggio...:
Harry voleva opporsi. Doveva opporsi. Ma sentiva che il suo corpo stava imitando un pollo, ecco che sbatteva le braccia piegate sui fianchi, ecco che la sua voce si contorceva nel verso di quello stupido animale...
:E adesso baciami le scarpe.:
Non ti bacerò le scarpe! Per chi mi hai preso?
:Baciami le scarpe.:
E la voce era forte, irresistibile... era seducente. Come poteva resisterle? Come poteva rifiutarsi? Si chinò, per baciare le scarpe alla bellissima donna vestita di nero che stava in piedi di fronte a lui. Harry sentì la sua stessa voce rantolare un rifiuto, poi un'imprecazione, ma il resto del suo corpo non riusciva a ribellarsi al suo volere.
- Finite incantatem - disse una voce allegra e derisoria.
Harry si afflosciò per terra, sfinito. Non aveva mai provato una Maledizione Imperius così potente, probabilmente neanche quando aveva affrontato Voldemort l'anno prima. Ma Voldemort non possedeva quella voce suadente, che sembrava ridurgli il cervello in una misera poltiglia. Non aveva tempo di rifletterci su. Doveva correre, doveva scappare...
L'esame era finito, sicuramente, e quindi doveva cercare Hermione. Doveva filare all'Ufficio Misteri, doveva aiutare Sirius.
- Se lo uccidessimo? - domandò Scilla.
- Non sarebbe male, - annuì Seymour con un sorriso fin troppo rilassato, - Ma non è questo l'ordine. -
- E allora divertiamoci un po' - Scilla scrollò le spalle.
- Expelliarmus! - gridò Harry, ma con sua immensa sorpresa, il colpo che andò perfettamente a segno non funzionò: la bacchetta rimase ben salda nelle mani di Seymour. - Expelliarmus! Expelliarmus! - ripeté mille e mille volte, esasperato. Seymour ormai si disfaceva dalle risate. Di colpo tornò serio e sussurrò: - Serpensortia -
Harry si sarebbe aspettato qualcosa come una vipera, o un serpente di piccola taglia. Ma dalla bacchetta di Seymour uscì un'enorme Boa Constrinctor. Harry lo riconobbe, era identico a quello che aveva visto allo zoo, cinque anni prima, quando il suo odioso cugino Dudley era quasi stato aggredito.
Scilla pronunciò a sua volta lo stesso incantesimo, ma dette un colpo diverso alla bacchetta: dalla sua, uscì un cobra dal bellissimo disegno nero e nocciola, ma Harry non ebbe il tempo di restarne ammirato: il cobra e il boa strisciavano verso di lui velocemente, troppo velocemente. Il boa gli afferrò la caviglia, stritolandogliela quasi, lo fece cadere. Il cobra si infilò sotto la sua maglietta e prese a strisciargli sulla schiena...
- Stupeficium! - gridò qualcuno. Harry non sapeva chi. Era paralizzato dal terrore, e sudava freddo, molto freddo. Poi alzò la testa, quando il boa schizzò via lontano da lui, colpito dallo Schiantesimo: era Ron.
E dietro di lui c'era Hermione. Non era da sola. Pronunciò un incantesimo di cui Harry non colse le parole e il cobra sparì all'istante: Harry non sentiva più le sue sottili spire gelate. Mise a fuoco, aggiustandosi gli occhiali e rialzandosi in piedi. Dietro Hermione e Ron, non meno esterrefatti di questi ultimi, c'erano Neville, Luna e Ginny.
- Siamo in un asilo, - sospirò Seymour - Guarda quanti mocciosi. -
Seymour dette un colpetto alla sua bacchetta e le scale in cima alle quali stava il gruppetto si disciolsero, come fossero diventate un budino. I cinque rotolarono giù, atterrando dritti dritti sulla schiena di Harry.
- Scappate! - rantolò Harry, mezzo soffocato. - Scappate subito! I vampiri... - Guardò indietro: Scilla e Seymour erano a un millimetro da loro.
- Con te abbiamo finito, Potter. A meno che qualcuno di voi non sia così sciocco da lanciarci contro un incantesimo... - disse Scilla.
- Nessuno dei due può vivere se l'altro sopravvive, - aggiunse Seymour - E saranno gli innocenti i primi a morire, e i ciechi ignoranti a sopravvivere, trascinandone altri nella morte. Ricordatelo, Potter. -
E poi, in una nube di pipistrelli, entrambi sparirono.
*
Indubbiamente, stava succedendo qualcosa di strano, qualcosa di molto strano. Nessuno poteva sapere quali fossero le cause.
Si sapeva solo che un attimo prima Sara stava aiutando Molly Weasley a lavare i piatti, e un attimo dopo, era caduta profondamente nel sonno, con espressione inquieta e angosciata, e sembrava non avere la minima intenzione di svegliarsi.
Sirius e gli altri aveva fissato con orrore il Marchio Nero emergere sempre di più, diventare nero come il petrolio, incidersi linea dopo linea nella pelle di Sara, mentre le dormiva e gridava nel sonno. Piantava le unghie nel tessuto del divano, sferrava calci e pugni, tossiva, come sempre, ma in quella situazione pareva ancora più malata. Il pallore della sua pelle aumentava sempre di più e sembrava dimagrire ogni ora.
Erano passate ormai cinque ore da quando, a mezzogiorno, Sara era caduta nel suo strano incubo perpetuo, e da cinque ore, cinque ore inarrestabili, i membri dell'Ordine della Fenice assistevano al suo delirio.
Non faceva che gridare della vendetta di Voldemort, del suo riscatto, dell'impero che stava sorgendo di nuovo, dell'inutile guerra che gli avrebbero mosso contro. Tutto per merito del suo piano perfetto, della sua trappola infallibile.
Sirius non si era allontanato da lei neanche un attimo. Forse Sara non era in grado di sentire la stretta della sua mano, ma era bello illudersi che avrebbe funzionato, che ciò l'avrebbe riportata alla realtà. Nessuno se lo aspettava, non così all'improvviso, e Malocchio non era stato per niente confortante. Secondo lui, la malattia di Gray aveva raggiunto il capolinea, il picco supremo, e non aveva detto cosa le sarebbe successo dopo. E nel delirio, continuava a ripetere ciò che Voldemort non aveva fatto che ripeterle nelle orecchie ogni istante della sua vita.
- Ogni malattia passa, - sentenziò Moody - E può passare nel migliore dei modi, così come nel peggiore. -
Sirius si era rifiutato di ascoltarlo. Non poteva sentire neanche una di quelle parole stupide... perché non stava succedendo niente, Sara si era solo addormentata e al risveglio non avrebbe ricordato più niente...
Non poteva ignorare la crudeltà dei fatti; ad un tratto Sara strinse ancora di più la presa sulla sua mano e cominciò a strillare che Harry, Ron, Hermione, Neville, Ginny e Luna, si trovavano in quel preciso istante nell'Ufficio Misteri, al cospetto di tutti quanti i Mangiamorte, ai quali si erano aggiunti gli antichi servi di Voldemort che erano risorti dall'ambra nella quale Demetrius li aveva imprigionati. I vampiri della famiglia Gray. E mentre le fiamme bruciavano ancora nel caminetto della Stamberga Strillante e i quadri dei mortali parlottavano tra loro fitto fitto, i risorti figli di Cassandra erano liberi e si erano ricongiunti a Voldemort.
E poi, Gray si era afflosciata.
Era diventata ancora più pallida, se era possibile, e aveva tirato l'ultimo rantolo di tosse, un singhiozzo fioco e appena percettibile. Un istante dopo, però, aveva riaperto gli occhi di scatto, ed erano occhi ancora più rossi, ancora più sanguigni, ancora più terrificanti. Era stato questione di un istante prima che spalancasse una finestra, si trasformasse in corvo, e volasse via di corsa senza guardare in faccia a nessuno.
Erano rimasti tutti allibiti.
- Dove credete che sia andata? - chiese Tonks, mentre tutti i membri erano riuniti nel salotto, di fronte al camino, come aspettandosi una qualche comunicazione importante che suggerisse loro cosa fare. Erano passati due quarti d'ora dalla fuga misteriosa di Sara, e nessuno aveva ancora capito quale ne fosse la causa - Da... da Voldemort? - suggerì, a dir poco esitante.
- Non sarebbe da escludere, - commentò Moody, crudo.
- Ma certo che è da escludere. - lo rimbeccò Sirius - Non lo farebbe mai... non starebbe mai ad obbedire a un ordine di quel... -
- L'hai sentita anche tu, - ribatté Malocchio senza scomporsi - L'hai sentita meglio di tutti noi, visto che eri a un centimetro da lei. E hai sentito altrettanto bene che ha parlato di Potter e degli altri. -
- Pensi che possano essere all'Ufficio Misteri? - chiese Remus. - Non è un po'... improbabile? -
- Forse. -
- Sentite, non possiamo trascorrere tutto il tempo a fare ipotesi! - li interruppe Tonks con veemenza, - Se sono davvero all'Ufficio Misteri e se Sara ha... emh... detto il vero mentre dormiva, i ragazzi sono nei guai! E noi dobbiamo andare ad aiutarli! -
- Potrebbe essere una trappola. -
- Tu vedi trappole ovunque! - disse Tonks, seccata ma tuttavia vagamente arrendevole. Effettivamente poteva trattarsi di un tranello, di un subdolo agguato. E molto ben preparato, tra l'altro, per quanto la cosa non fosse affatto lodevole. C'erano troppi punti interrogativi nell'intera vicenda, e soltanto affidandosi all'istinto avrebbero risolto ben poco. Fu con questo ragionamento che Tonks si piegò definitivamente: non valeva la pena abboccare all'amo senza la certezza che i ragazzi fossero davvero in serio pericolo. - Bhe... hai ragione, Malocchio. Per una volta... -
- Bene, d'accordo, tutti convinti, non è vero? - intervenne Sirius con voce rabbiosa, - Harry potrebbe essere al sicuro, vivo e vegeto, e ho i miei seri dubbi che sia così... ma Sara, dovunque sia, non sta certo bene. E se avete intenzione di lasciare che vada da sola, ovunque Voldemort l'abbia costretta ad andare, bhe, non contate su di me. -
Qualcuno aprì la bocca per ribattere, ma la richiuse subito dopo emettendo appena un mormorio incerto.
- Remus! - Sirius si voltò seccamente verso Lupin, il quale sembrò serrare le labbra, esitante, - Anche tu la pensi come loro? Non sei tu quello che la difendeva sempre, a scuola? Non siete amici? -
I due per qualche istante si guardarono negli occhi. E poi, il primo a distogliere lo sguardo fu Lupin, che non aveva più alcuna traccia di esitazione nella voce.
- All'Ufficio Misteri, - disse Remus, - E' là... sono là. Di sicuro. -
- Andiamo, non ti ci mettere anche tu con i piani idioti, - lo contraddisse Moody. Ma prima che qualcun altro potesse rispondere, lo specchio appeso in salotto, a pochi metri da loro, cominciò a strillare come un pazzo, facendo netta concorrenza alla signora Black. Per nulla meravigliati, i membri dell'Ordine presenti si diressero verso lo specchio e Tonks disse: - Fatina orba. -
Lo specchio si zittì all'istante e la sua superficie si fece azzurrina. Per qualche istante increspature turchesi apparvero sullo specchio ovale, prima che questo tornasse normale e riflettesse un posto che era completamente diverso da Grimmauld Place: era Hogwarts e, più precisamente, l'ufficio di Severus Piton. Al centro dello specchio la sua figura scura e unticcia, il naso adunco e gli occhi neri e spenti bastava a riempire la cornice.
- Piton? - disse Sirius con una smorfia visibilmente disgustata.
- Strano, - commentò Piton per niente ironico - A sentire Potter un paio d'ore fa, dovresti essere all'Ufficio Misteri sotto la crudele tortura di Voldemort. -
- Che... eh? - Sirius rimase perplesso, ma Piton lo interruppe subito.
- Potter e altri dei suoi amici sono entrati nella foresta con la Umbridge, e ne ignoro la ragione. Non ne sono più usciti. Ho ragione di credere che si siano recati all'Ufficio Misteri, perché credo di averli intravisti a cavallo di alcuni Thestral che sbucavano dagli alberi. -
- Come fai a dire che sono andati proprio là? - chiese Lupin, poco convinto.
- E' quello che ha detto Potter. - rispose Piton tranquillamente.
- E perché diavolo non ci hai avvertiti prima? - abbaiò Sirius.
- Perché una certa Sara Gray mi ha aggredito alle spalle e mi ha trattenuto per tutto questo tempo, dicendo che era un ordine dell'Oscuro Signore. Dopodiché si è riscossa, ha balbettato qualcosa che somigliava grottescamente a delle scuse, ed è volata via dalla finestra. -
Si guardarono tutti negli occhi, a turno, con aria scioccata. Ma non c'era tempo per riflettere troppo. Se era trascorso tutto quel tempo da quando Harry era partito con i suoi amici, a quest'ora erano senz'altro nei guai. In guai seri.
Non ci vollero parole perché tutti si convincessero ad agire: e se c'erano ancora dei dubbi, si dissiparono all'istante. Harry e gli altri erano in pericolo. Era ora di agire.
- Te lo ripeterò per l'ultima volta, - disse uno dei Mangiamorte a denti stretti, fissando Harry negli occhi. - Dammi quella Profezia. Adesso. -
Harry, al contrario strinse la Profezia nella mano ancora più forte. Era la prima volta che si trovava in una situazione così disperata, e dopotutto, stava considerando l'idea che non gli sarebbe cambiato niente se l'avesse consegnata o tenuta. Dunque era quella l'arma che l'Ordine della Fenice cercava di allontanare da Voldemort.
- No. - rispose con fermezza, ma dentro di sé stava pensando il contrario.
- Andiamo, Harry, - disse Scilla in tono mite, o forse soltanto mellifluo. - Dacci la Profezia e ti lasceremo andare senza un graffio. Tu e i tuoi amici, ok? -
Scilla aveva fatto un passo verso di lui, ma Harry si ritrasse di scatto, portandosi il braccio con la sfera di vetro all'altezza del petto. Fissava gli affilati occhi rossi della vampira, e si chiedeva se non fosse stato meglio consegnare loro la Profezia e basta. Ma non appena Hermione gli ebbe sferrato una gomitata, Harry guardò altrove e si riscosse.
Mai i suoi amici erano stati così in pericolo di morte, mai per causa sua.
Ai Mangiamorte si erano riuniti, come in passato, molti dei componenti della famiglia Gray che essendo vampiri erano potuto resuscitare. Scilla era di fronte a lui, di fianco a Bellatrix. Poco lontano c'era Seymour, poi altre due donne e tre uomini che Harry non aveva mai visto. Era convinto che molti più vampiri fossero resuscitati, a giudicare da come era ridotto il sepolcro sotto la Stamberga Strillante, ma dopotutto non tutti loro potevano essere dei sostenitori di Voldemort, per quanto Demetrius fosse stato uno sterminatore di Mezzosangue.
Dietro Harry c'erano gli altri cinque, Ron, Hermione, Ginny, Neville e Luna. Ogni tanto qualcuno di loro si lasciava sfuggire un gemito atterrito, e non c'era da biasimarli: più di una decina di Mangiamorte stava di fronte a loro, causando un netto svantaggio numerico. E tra l'altro, sapevano quali erano state le orribili gesta degli incappucciati, ed erano certi che, anche se fossero stati in vantaggio, non avrebbero mai potuto competere con loro.
Harry si sforzava di non essere pessimista: nonostante i Mangiamorte li avessero inseguiti per tutto quel tempo e ora li avessero infine circondati, lui doveva ancora cercare Sirius, e doveva evitare in qualsiasi modo che entrassero in possesso della Profezia...
Ma non era il caso di consegnarla? O voleva forse essere lui il responsabile della morte dei suoi amici, che erano stati coinvolti quasi per caso? Avrebbe dovuto avere la coscienza in pace, erano stati loro ad insistere... ma questo non significava niente, era tutta colpa della sua mania di fare l'eroe, certo, nient'altro che di quello...
- Come dobbiamo ripetertelo, Potter? - sibilò Bellatrix Lestrange, - Dacci la Profezia o farete tutti una brutta fine. -
- Voi ditemi dov'è Sirius e io vi darò la Profezia! - abbaiò Harry e si sentì rispondere dalle risate malvagie della ventina di Mangiamorte. Bellatrix era quella che rideva di più, al contrario di Scilla. Quest'ultima sembrava piuttosto seria, e fissava intensamente, uno per uno, tutti coloro che la circondavano. Harry non ci fece troppo caso. Poteva darsi che non avesse semplicemente voglia di prenderlo in giro, ma alla fine lo avrebbe ucciso ugualmente.
- Povero bambino, - lo schernì Bellatrix - Forse dovresti distinguere meglio i sogni dalla realtà, che cosa ne pensi? -
Harry non capiva cosa volesse dire.
Per un attimo, il folle pensiero che fosse solo una trappola gli attanagliò il cervello, senza pietà, e non fu solo l'idea di un momento: per lunghi, interminabili minuti continuò a tormentarlo. E poi, vide Scilla annuire lentamente, ma senza sorridere, senza schernirlo. Harry ebbe un fremito convulso: anche Scilla leggeva il pensiero.
Ed era una Mangiamorte. Qualsiasi cosa Harry avesse voluto fare, lei l'avrebbe prevenuto. Non sarebbe stato difficile ingannarla, se solo avesse studiato Occlumanzia, se solo non avesse guardato in quel maledetto Pensatoio...
Mentre i Mangiamorte parlavano, lui non sentiva: era troppo preso a guardare Scilla. stava muovendo le labbra senza emettere suoni, ma lui non capiva. Che cosa voleva dire? Scilla, spazientita, mosse le labbra molto più distintamente: "scappa".
