01. Una cliente difficile
28 agosto 1971, LONDRA sto iniziando questo diario, e già mi auguro di finirlo presto. So da adesso che salterò molte parti della mia vita. Non so se avrò sempre la forza di descrivere tutto esattamente com'è andato e comunque, anche se ci riuscissi, immagino che non servirebbe a nessuno.
*
Le luci erano quasi tutte spente, e Diagon Alley versava nel silenzio più profondo. Solo di tanto in tanto qualche schiamazzo proveniente dal Paiolo Magico rompeva la quiete. Ma si trattava di rumori soffici, ovattati; non duravano molto. Dal cielo cadeva la neve, fitta e incassante, e ormai il suolo ne era del tutto ricoperto, a piccole collinette bianche. Da alcune finestra proveniva una danzante luce di caminetto, che apriva un rettangolo arancione a terra. Non era ancora settembre, eppure l'inverno sembrava già arrivato, a il suo gelo stringeva le ossa in una morsa crudele.
Non tutti erano al riparo e al caldo. Non tutti erano sepolti sotto le coperte dei loro letti e dei loro sogni.
Nell'oscurità nebbiosa, all'orizzonte, una piccola figura barcollava senza meta, emettendo a volte qualche gemito, a volte qualche grido debole. Nessuno la sentiva. Si appoggiava ad ogni palo e ad ogni parete. La pelle bianca come un foglio di carta era macchiata di sangue non ancora del tutto seccato. I capelli, la fronte, i vestiti erano madidi di sudore, e gli occhi gonfi e arrossati di lacrime. I ciuffi davanti della capigliatura castana si attaccavano al sangue sulla pelle del viso della bambina.
Spossata ed esausta, ogni tanto cercava di correre, ed evitava la luce che proveniva da quelle finestre aperte come se temesse che potesse ucciderla. Non voleva che qualcuno la vedesse. Chiamò sua madre e suo padre con tutte le sue forze... ma in fondo, lo sapeva.
Non potevano tornare. Ed era colpa sua.
Non valeva la pena di incolparsi di qualcosa che ormai era compiuto e che, comunque, aveva ben poco do ingiusto. Sapeva quanto gli esseri umani si sforzavano ogni giorno di sopravvivere, e dunque, perché non poteva avere anche lei il diritto di farlo? In fin dei conti anche lei era un essere umano.
O forse no.
Non lo sapeva più.
Di colpo una serie di immagini simili a vecchie fotografie sfocate le sfilò davanti agli occhi. Non resisteva più. Non riusciva a crederci. Era stata lei. Lo aveva fatto lei. Era un'assassina.
Non sapeva perché lo aveva fatto, o per meglio dire, non era capace di capire dove avesse trovato l'impulso per compiere quel passo che, ne era certa, preparava da almeno un anno. Da quando aveva scoperto che erano costretti a scappare come dei ricercati. Li stavano inseguendo, e li stavano inseguendo per ucciderli. Ed era tutta colpa di sua madre.
Tutta colpa di quella donna disgustosa, e dell'uomo stupido che l'aveva sposata.
Almeno fossi stata figlia di altri genitori, pensò la bimba, forse a quest'ora starei bene.
Si scaraventò nel primo angolo che le capitò a tiro, riparata da una colonna.
La neve le cadeva addosso implacabile, e ben presto si sarebbe scatenata una tormenta. Alla bambina non importava se sarebbe morta di freddo, o di fame, o se qualcuno fosse venuto a sapere di ciò che aveva fatto e l'avesse punita. Per esempio condannandola ad Azkaban. Ne sarebbe stata quasi felice.
Le sembrava che le fauci del suo futuro fossero terribili assassine anche in confronto alla prigione di cui aveva sentito tanto parlare. Non era possibile che esistesse un inferno peggiore di quello. Non era possibile.
Le lacrime sembravano gocce di fuoco e seccavano sulla pelle insieme al sangue. La bambina sentì che era tutto finito, che non c'era alcuna speranza. La luna si vedeva a mala pena in cielo, era piena. Faceva capolino ogni tanto dalle nuvole, insieme con le stelle, ma durava ben poco. Il cielo era sommerso da una coltre di nubi cariche di tempesta.
Il freddo salì. La notte si estingueva sempre più rapidamente.
All'improvviso, tutte le luci si spensero, e il cielo diventò nero come petrolio, fin quando Diagon Alley non sembrò completamente annaffiata dall'inchiostro nero. Qualche grido in lontananza e poi un vociare confuso che mano a mano si affievoliva, come la fiamma di una candela. Ogni cosa stava spegnendosi.
No, non poteva esistere niente di peggiore. Se lo sentiva.
Mentre stava lì a piangere, cercando invano di pulire il sangue che le gocciolava sul viso, sentiva distintamente che la felicità non esisteva, e si chiese se ne avesse mai provata in vita sua. Poi capì. Era la morte, ed era venuta a prenderla; non chiedeva altro. Finalmente si sarebbe sbarazzata di quella parte di lei che piena di rimorso.
Passarono minuti interminabili. D'un tratto una specie di coltellata le spezzò il cranio in due: guardando nel suo cervello, ricordò della lama che affondava, del sangue che schizzava in tutte direzioni, e delle urla... le urla laceranti che colmavano quella notte mortale...
La fuga precipitosa. La neve, il freddo, le lacrime.
Alzò la testa, convinta che ci fosse qualcosa di spaventoso davanti a lei: lo sentiva distintamente, era sicura che, mentre piangeva con la testa bassa, qualcosa si fosse parato lì di fronte. Si aspettava chissà cosa. Invece, vide solo una specie di mantello.
Uno straccio grosso e nero, che aleggiava a pochi centimetri dal tappeto di neve. Sembrava del tutto incurante del freddo. Il suo tabarro era agitato dal vento, ma fluttuava nell'aria molto più lentamente rispetto alla portata delle raffiche. Emanava un odore disgustoso di cane insepolto, di terra marcia, come di qualcosa in putrefazione. Non si vedeva il viso, se ne aveva, soltanto delle dita disumane, ricoperte di croste, spuntavano a mala pena dal mantello scuro. Emetteva lunghi e rumorosi sospiri rochi, come di un vecchio in punto di morte. E poi, il silenzio che giaceva intorno a sé fu interrotto da un rumore metallico. La bimba si sentì soffocare, come se qualcosa le avesse appena estirpato l'aria dai polmoni.
E poi, l'essere col mantello le si avvicinò.
La bambina aveva gli occhi completamente spalancati, terrorizzati, ed era impallidita di colpo ancora più di prima. Non riusciva a fermare la tosse, ma allo stesso tempo era incapace di staccare lo sguardo dalla creatura.
Ormai era vicinissima. Vide le dita scheletriche abbassare il cappuccio... e poi non fu più in grado di guardare in quella direzione. Dovette chiudere gli occhi. Si accorse a mala pena di venire sollevata, e le parve che tutte le sue ossa di fermassero: non era più in grado di muoversi. Dita scheletriche e ruvide come ghiaia le si serrarono intorno alla gola.
Qualcosa improvvisamente scattò nel suo cervello, come un pensiero che spiccava sugli altri. La bimba non fece in tempo a rendersi conto di che pensiero fosse, che quello era già schizzato via, ed era sparito per sempre. In pochi secondi si ritrovò a terra, con la netta sensazione di essere appena stata morsa da una bestia feroce. Aveva l'impressione che dei denti le si fossero conficcati nella pelle, ma ormai non le interessava.
Dove si trovava? E in fondo, che le importava di saperlo?
Il suo corpo si rovesciò a terra, più magro e fragile che mai. Si sentiva sorda e muta, ma non ancora cieca: macchie di colore brillavano nei suoi occhi, e solo ogni tanto riusciva a distinguere le immagini intorno a sé. Ma era come se la sua testa si rifiutasse di analizzarle. Come se non le importasse più di niente, qualsiasi cosa succedesse, in qualunque posto si trovasse. Anche se fosse morta, dopo che aveva ucciso proprio per non morire.
Ne era sicura: non aveva più un'anima. Soltanto ricordi spaventosi fluttuavano nella sua mente facendola tremare di disperazione e di collera, da capo a piedi. E mentre era lì, accasciata nella neve sporca, vide una specie di barlume bianco poco lontano. Poi, uno sprizzo di luce d'argento le invase il campo visivo, ma non si sforzò di strizzare le palpebre, così per qualche minuto rimase quasi accecata.
Sapeva solo che, quando qualcosa l'aveva di nuovo sollevata, davanti a lei c'era un vecchio essere umano e il mantello nero fluttuante che le aveva portato via l'anima era sparito. Anche la cosa d'argento era scomparsa, lasciando al suo posto una tenue e piacevole nebbiolina perlacea.
- Mi senti? - disse una voce da qualche parte nel limbo.
La bambina non rispose. Non rispose neanche quando la domanda venne ripetuta, due, tre volte di fila. Era una voce strana, come se provenisse da un barattolo sigillato. Era distante, e di umano aveva solo qualche tratto vago.
- Qual è il tuo nome? - disse di nuovo la voce e due mani la scossero per le spalle.
La bambina balbettò il suo nome con la voce di un morto.
In qualche minuto il paesaggio intorno a lei era cambiato. Ora di trovava su qualcosa di caldo e morbido, forse un letto, e non lontano da lei ardeva un fuoco. Il crudo inferno là fuori sembrava molto lontano.
Sentiva un parlare concitato che sembrava provenire fuori da una porta chiusa, e si accorse di essere sola in una stanza di albergo. Al parlottio nervoso rispondeva una voce tranquilla che sembrava appartenere un uomo molto vecchio.
- Puoi tenere qui Sara fin quando non si sarà ripresa? Sono certo che tra pochi giorni sarà di nuovo in sé. -
- Ma... andiamo, Albus! - disse la voce agitata. - Un... un Dissennatore! Se l'ha baciata, co... come accidenti speri che possa svegliarsi! E' una bambina! -
- Non preoccuparti, - rispose il vecchio - Qualcosa mi dice che sono arrivato giusto in tempo. Falle bere qualcosa di caldo e poi lasciala dormire, e vedrai che sarà come nuova. E ora vorrai scusarmi, ma devo avvertire il Ministero della Magia che c'era un Dissennatore fuori controllo qui a Diagon Alley. Non saranno molto felici di saperlo, temo. -
Poi Sara sentì dei passi e immaginò che il vecchio se ne fosse andato.
*
La nevicata era esaurita e il sole splendeva di nuovo allegro.
Sara osservava incuriosita la via gremita di maghi e di streghe. Le case e i negozi sembravano precipitare sulla strada lastricata, da quanto vi erano ammassati intorno. C'era un gran vociare e un andirivieni continuo di ragazzi e ragazze accompagnati dai loro genitori, e Sara immaginò che fossero tutti futuri studenti della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts che andavano a Diagon Alley a rifornirsi del necessario. Bastava quel pensiero a farle dimenticare tutto il resto e a farle venire una gran voglia di scendere e visitare un negozio dopo l'altro. Ma sapeva di non potere. Era obbligata a restare nella sua stanza.
Con lo sguardo corse per le strade fin quando non si accorse che qualcuno era entrato: era un uomo molto vecchio, con una lunga barba argentea. I suoi occhi la guardavano da dietro un paio di occhiali dalle lenti a mezzaluna, e sembrava avere un'espressione fin troppo serena. Appena lo vide, Sara cessò di essere allegra. Era chiaro che aveva intenzione di parlare con lei, e sapeva anche di cosa: non aveva nessuna voglia di rievocare gli eventi di tre notti fa. Tornò a girarsi verso la finestra con fare austero.
Il vecchio si schiarì la voce e le tese la mano.
- Sono Albus Silente. -
Sara lo squadrò per un attimo con la coda dell'occhio, poi tornò a fissare ostinatamente le strade di Diagon Alley dall'alto della sua finestra.
- Devo farti un paio di domande... Sara, giusto? Spero che la cosa non ti dia troppo fastidio, ma dopo la notte scorsa tutto il paese è preoccupato. -
- Perché? - chiese Sara, facendo sentire la sua voce per la prima volta.
Silente tornò serio, ma pur sempre tranquillo e pacato.
- Ciò che ti ha aggredita era un Dissennatore, e non è per niente bello che una creatura simile girovaghi per Diagon Alley... e aggredisca una bambina. -
- Che cos'è un Dissennatore? -
- Sono le guardie di Azkaban e... bhe, penso non ci sia bisogno di descriverti ciò che fanno di preciso. -
No, non importa, disse Sara dentro di sé, ho capito benissimo. Le guardie di Azkaban. Che quel Dissennatore non fosse lì per caso? Forse aveva capito, aveva saputo... ed era lì per rinchiuderla nella prigione dei maghi, perché si era venuto a sapere in giro che aveva ucciso i suoi genitori. Una ferita che le faceva ancora male, e quell'uomo dietro di lei sembrava peggiorarla: cos'era quella gentilezza? Se doveva condannarla a qualcosa, tanto valeva che lo facesse subito e basta.
- Come ti senti? -
- Voglio uscire di qui, - disse aspramente Sara - Mi sono rotta. -
- Bhe, - sorrise Silente, - Questo è un buon segno. -
Sara per la prima volta lo guardò negli occhi: ma ne era sicura, Silente aveva avuto un brivido non appena lei gli aveva puntato lo sguardo addosso. Cercò di sforzarsi per chiudere la sua mente: Silente non doveva sapere la verità, non doveva sapere che lei aveva ucciso i suoi, altrimenti l'avrebbe portata ad Azkaban. Ora che aveva visto che esistevano posti come Diagon Alley, non le andava più di finire i suoi giorni in quel posto orribile, dove era certa che non esistessero complicazioni nel rinchiudere anche un minorenne.
Non lo seppe mai, ma in quel momento Silente ebbe la netta sensazione che una porta gli fosse sbattuta in faccia. Sara poté solo sospettarlo dalla sua espressione interdetta. Lo fissava torva da sotto l'ombra dei capelli. Aveva la testa bassa, ma le iridi rosso sangue sembravano vedere oltre la cortina di ciuffi fulvi. Apparivano da sotto di essi come due falciate di fuoco su un viso dal colorito di un cadavere.
- Da dove vieni? Dove sono i tuoi genitori? -
- Non ho nessun genitore, - rispose Sara, più fredda del ghiaccio.
- Oh. - Silente parve quasi intenerirsi, ma la sua espressione non mutò di molto. Sulla fronte gli era apparsa una piccola ruga incerta. - Capisco. Mi dispiace di avertelo chiesto. Come sei finita qui? -
- Non lo so. - mentì Sara - Non me lo ricordo. -
Era una bugia a metà. I suoi ricordi erano così vaghi che faceva fatica a ricongiungerli, perciò non era molto sicura di aver davvero preso un autobus impazzito chiamato Nottetempo. Poi, non sapeva come, aveva desiderato con tutta sé stessa che i conducenti la scambiassero per una donna adulta e del tutto normale... e i due si erano comportati esattamente come Sara aveva sperato. Non riusciva a spiegarsi come fosse successo.
- Sì che lo sai. -
- No, non lo so. - ripeté Sara.
- Un'ultima domanda. - Silente si interruppe, quasi che volesse attendere un cenno da parte della bambina che lo esortasse a parlare. Sara rispose alzando le sopracciglia sottili.
- Ti senti... strana? Voglio dire... infinitamente triste? Come se ti mancasse qualche ricordo... come se tu non potessi essere felice mai più? -
Sara fissò Silente, stupita. Non si aspettava una domanda del genere, o meglio, non si aspettava che il vecchio indovinasse esattamente ciò che aveva provato quando il Dissennatore le si era avvicinato. Ora, comunque, si sentiva in modo molto diverso: era ancora scombussolata, ma non del tutto depressa. Riusciva a tratti ad uscire dal baratro che le si stendeva davanti, ma a volte aveva l'impressione che la sua vita sarebbe stata nient'altro che un tormento, che mai più avrebbe visto un sorriso illuminare il suo futuro.
- Un po'. -
- Cioè... non troppo? -
- Mh-m. - annuì rapidamente Sara, e stavolta stava dicendo la verità.
- Molto bene. - Silente fece un cenno con la testa, e sorrise di nuovo, assumendo di colpo un tono di voce più vivace. - Aspettami qui. Ci metterò solo un minuto. -
Sara guardò con aria sarcastica il vecchio che usciva dalla porta, e la richiudeva alle spalle. Chissà quanti altri giorni di prigionia le sarebbero toccati...
*
- Com'è andata, Albus? - chiese una quasi giovane Minerva McGranitt, con espressione agitata. Sembrava che stesse aspettando Silente da ore e ore, mentre invece era lì da appena cinque minuti.
- Stupefacente, - rispose Silente, lasciando la McGranitt ancora più perplessa.
- P... prego? - disse, aggiustandosi gli occhiali.
- Sarò un Legilimens, - sorrise Silente con espressione soddisfatta - Ma non sono riuscito a leggere proprio niente in questa bambina, Minerva, anzi... posso assicurarti che è stata lei a leggere me. -
Stavolta la McGranitt si aggiustò il capello. - Possibile? -
- Oh, certo! Riconosco quegli occhi, non c'è alcun dubbio. Pensavo che non avrei mai più visto nessun altro membro di quella famiglia, ma a quanto pare mi stavo sbagliando. Eh sì, la bocca, le mani, il modo di fare... quella è una Gray, Minerva. Ne sono certo. - A quel punto la McGranitt si sentì mancare. Tornò a fissare il Preside di Hogwarts con occhi ancora più scombussolati di prima, evidentemente chiedendosi come fosse possibile una cosa del genere. Ma vedendo lo sguardo sicuro che Silente le rimandava indietro, decise di non fare altre domande. - E' innocua, anche se un po'... come dire?... gelida. Credo di sapere come abbia fatto ad arrivare fin qui, ma avrò bisogno di farmelo dire da lei di persona, se voglio una certezza. Per il momento, visto che non ha un posto dove andare, dovrebbe venire con noi a Hogwarts, direi. -
- Al... m... ma... Professor Silente! - si stizzì la McGranitt, sforzandosi di recuperare un minimo di sicurezza, e facendosi improvvisamente di pietra. - A Hogwarts? Ma lei è... E'... come posso dire... piccola. Troppo piccola. Non sarebbe meglio trovarle una casa e una famiglia con cui stare? -
- E mettere a repentaglio una famiglia qualunque di persone oneste? Oh no, Minerva, temo proprio che dovremmo tenerla con noi... Demetrius non oserà toccarla se si trova a Hogwarts, e ritengo necessario che, prima che raggiunga l'età giusta, cominci a portarsi avanti col lavoro. Qualche incantesimo di base e qualcosa per difendersi, sarà più che sufficiente. Ce la farà. Poi frequenterà la scuola come tutti gli altri e, mi dispiace dirlo... non dovrà mai muoversi dal castello. -
- Demetrius la sta cercando, vero? -
- Temo di sì. - disse Silente, annuendo con sguardo mesto. - Per questo dobbiamo insegnarle qualcosa in anticipo. -
- E' sicuro che sia la cosa giusta da fare? Crescerà, Albus, come tutti vorrà essere un po' più indipendente... non potremo tenerla laggiù per sempre! Non è che... -
- Colui che vede una vittima... ma non l'aiuta, - la interruppe Silente, - E' un infame. -
*
Sara aveva sentito tutto, con l'orecchio poggiato alla porta, nonostante i due parlassero con toni piuttosto sommessi. Così non si stupì quando il Preside le promise che a Hogwarts niente le avrebbe fatto del male e nessun Dissennatore avrebbe osato avvicinarsi. Non riusciva ad immaginarsi quante cose sapesse Silente sulla sua famiglia, né come potesse averle scoperte, ma per il momento non le interessava. Si accontentava solo di essere finalmente fuori per le vie di Diagon Alley, in mezzo a tutte quelle vetrine, a tutti quei negozi pieni zeppi di cose che non si sarebbe mai immaginata di vedere...
Tutto ciò non poteva neanche lontanamente competere con il mondo Babbano al quale sarebbe stata condannata. Nonostante tutti si voltassero quando vedessero la Professoressa McGranitt accompagnarla per i negozi, si sentiva allegra. Forse, per la prima volta, avrebbe potuto essere felice.
Qualcosa catturò la sua attenzione, mentre camminavano per la strada principale: una strada in discesa che, schiacciata fra due negozi, si vedeva a mala pena. Era immersa nell'ombra, nonostante l'ora del pomeriggio, ed era certa che da quelle parti fosse pieno di maghi e streghe strani - molto più del normale. Qualcuno reggeva strano strumenti in mano, qualcun altro parlava sottovoce additando i passanti e sogghignando.
- Che cosa c'è laggiù, McGranitt? -
- Professoressa McGranitt, - corresse Minerva rigidamente, cercando di ignorare l'incertezza che il piano di Silente le aveva trasmesso - Laggiù non c'è niente di interessante. O per meglio dire... sono cose molto interessanti per chiunque, ma è meglio tenersi alla larga. -
- Perché? Cosa sono? - insistette Sara.
La professoressa finse di ignorarla.
- Che cosa c'è laggiù? - ripeté Sara, e la professoressa commise l'errore di guardarla negli occhi per più di un secondo. Non poté resistere: sentiva il bisogno di dirglielo..
- Laggiù vendono strumenti per la Magia Oscura, eccetera. - rispose con un brivido nella voce - E' pieno di tipi pericolosi... insomma, strana gente... ed è meglio non rivolgere loro la parole o entrare nei negozi. Sul serio. Tieniti alla larga da Notturn Alley, e vedrai che tornerai al Paiolo Magico viva e vegeta. -
Poi si zittì con espressione sconvolta, come se avesse appena detto qualcosa di compromettente, contro la sua volontà. Sara continuò a fissare Notturn Alley, voltandosi continuamente indietro, fin quando non fu costretta a guardare in avanti per evitare di andare a sbattere contro qualcuno.
- Beh. - disse la McGranitt fermandosi di fronte a un piccolo negozio dell'insegna consulta e le finestre impolverate. - E' ora di comprarti una bacchetta. Non puoi fare alcun incantesimo senza quella. Olivander è il miglior fabbricante di bacchette che ci sia in tutta l'Inghilterra, e sicuramente anche più in là. -
Sara fissò con scarso interesse la vecchia bottega di Olivander. La sua mente era ancora a vagare nella stradina ombrosa.
- Coraggio, entra, - la esortò la professoressa, vedendo che si era come impalata. Sara si riscosse, spinse la porta ed entrò.
*
Sembrava una specie di negozio di scarpe vecchio stile. Sugli scaffali si ammonticchiavano decine e decine di vecchie scatole sottoli, e Sara non riuscì neanche a immaginarsi quante bacchette doveva contenere quel negozio.
Vedendo che non arrivava nessuno, dopo circa un quarto d'ora la McGranitt prese a schiarirsi la voce, sempre più forte e con stizza, fin quando una scala appesa agli scaffali non si mosse rivelando un vecchio di statura piuttosto bassa e dalla schiena ingobbita. Sara continuava a guardare altrove, nonostante sapesse che non poteva fare incantesimi senza bacchetta; in quel momento le interessava ben altro.
- Ah, sì... - riflettè Olivander a voce alta. - Sì. Silente mi ha avvisato del tuo arrivo... non immaginavo che ti avrei vista così presto... bhe, non immaginavo neanche che ti avrei vista, in verità. È rischioso sottoporsi alla prova della bacchetta così presto... -
Prova?, pensò Sara. Non era pronta. Non era senz'altro pronta a nessun tipo di prova...
- Lo sappiamo, - disse la McGranitt. - ma il Professor Silente ritiene... -
- Oh, certo. Bene, ecco qua. - tirò giù da uno scaffale una scatola e la aprì sotto gli occhi di Sara - Ebano. Dodici pollici. Lingua di serpente. Scilla... ricordo che la vendetti anche a Scilla, sai? Prendila e agitala... vediamo come funziona. -
Sara, con la mente assorta, fece come il venditore le aveva detto. Si aspettava di provare una sensazione strana, o almeno un fremito, invece impugnare una bacchetta fu esattamente come prendere in mano un normale pezzo di legno. Agitò la bacchetta con un movimento fluido, come aveva visto fare a suo padre, e questo parve sorprendere sia Olivander sia la McGranitt. L'unico risultato che ottenne fu quasi rovesciare l'armadio che stava di fronte a lei. Diverse scatole caddero a terra.
- Oh, no, non ci siamo, non proprio... - bofonchiò Olivander, tornando a rovistare fra la sua merce. - Allora che ne dici di questa? Abete e piuma caudale di pavone. Tuo nonno aveva proprio questa, sì... fui io a vendergliela, un modello difficile... -
Sara ripeté il movimento del braccio che aveva fatto prima, e stavolta un raggio nerastro mancò per un pelo Olivander è spaccò un vaso di fiori marciti davanti a lei. Sara notò con stupore che, pochi secondi dopo, il vaso era già tornato in piedi con acqua e fiori al suo interno, perfettamente ricostruito.
- No, neanche questa... ah, ma la troveremo, stai tranquilla... dunque... sì... - Olivander sembrava riflettere per conto suo, ma a voce alta. Si inabissò nel retro del negozio. Sara pensava ancora a tutt'altro che alle bacchette, e la McGranitt si guardava intorno apparentemente molto interessata alle pareti. Dopo poco il vecchio fece ritorno con una dozzina di scatole e scatolette sottobraccio, e le riversò tutte sulla vecchia scrivania tarlata. Sara sgranò appena gli occhi, perché fino a quel giorno aveva sempre creduto che le bacchette fossero tutte uguali. - Ciliegio! Pelo di grifone! Quindici pollici! - Sara prese in mano la bacchetta, non molto convinta, e di nuovo non avvertì alcuna sensazione fuori dal normale. Agitò la bacchetta e stavolta il povero vecchio fu centrato in pieno e ribaltato all'indietro. La McGranitt si voltò, sbalordita e inquieta, con occhi spalancati.
- Emh... ops. - Sara fu colta da un buffo rossore sul naso, stringendosi nelle spalle, ma Olivander si rialzò con quel suo portamento sbrigativo, come se niente fosse stato.
- E allora... - aprì fulmineamente un'altra scatola - Legno di noce e cuore di drago... un Dorsorugoso di Norvegia. - Sara fece un tentativo, tenendo la mira ben lontana dal venditore: distrusse i vetri di una vecchia piccola finestra. Olivander non si spazientiva, anzi, era sempre più esaltato. - Oh, beh, una cliente difficile... e allora prova questo: Rovere e piuma d'Ippogrifo, una rarità. -
Non fu l'unica "rarità" che Sara dovette provare; tanti altri tentativi fallirono, tuttavia stava cominciando a divertirsi. Aveva mandato in frantumi quasi tutto il negozio e la McGranitt dava segni di addormentarsi da un momento all'altro. Olivander era di tutt'altro avviso: non gli capitava molto spesso un cliente che dovesse provare una trentina di bacchette senza ancora trovare la sua.
- Oh... bene! - ansò, dopo essere spuntato faticosamente fuori da un mucchio di scatole che gli era piombato addosso dopo l'ultima accidentale distruzione. - Non ho dubbi. Non ho dubbi! Non può essere che... - corse speditamente verso il retro, seguito da un gran rumore di scartamenti. Ne uscì con una scatola in pugno che sembrava la più recente di tutte: era ancora lucida e profumava intensamente di legno appena tirato a lucido e lisciato. Sembrava di una bacchetta fabbricata da come minimo una mezz'ora: Olivander si era portato dietro una gran dose di trucioli e rimasugli di piallatura, quando era andato a prenderla. - L'ho appena terminata. È un legno molto, molto particolare. Lei lo conoscerà, Minerva... - la professoressa gli lanciò uno sguardo interrogativo - Non so come mai... ma l'hanno piantato a Hogwarts giusto quest'estate, e Silente è stato così gentile da mandarmene un campione. È stato difficile lavorarlo... Platano Picchiatore! L'unico legno che non galleggia! E poi... Guarda che caratterino... - e mostrò le mani piene di lividi e cerotti. Sara rabbrividì: come si faceva ad impugnare una bacchetta fatta con quel legno? Pregò ardentemente che non fosse la sua, o avrebbe dovuto prepararsi un guantone da baseball, ma Olivander parve leggerle nel pensiero, indovinando il suo timore, e disse: - Soltanto il legittimo proprietario di questa bacchetta può calmare il legno del Platano Picchiatore, e bada, solo e soltanto lui. - Sara deglutì. Improvvisamente, il divertimento le era evaporato di dosso. - Certo... questo è un esemplare molto giovane. Perciò non ha ancora la forza di un Picchiatore millenario, ma posso assicurarti che non è dei più amichevoli. Se ora, Minerva, lei mi facesse la cortesia... di scansarsi... - La McGranitt non se lo fece ripetere e andò a rifugiarsi verso un vecchio scrittoio usato anch'esso per stipare le numerose bacchette del negozio.
Olivander iniziò a sfilare le corde e le catene che tenevano ben chiusa la tremolante scatola... e in quello stesso istante il tintinnio limpido del campanello sospeso sopra la porta segnalò che qualcuno era entrato. Voltandosi, Sara vide entrare un ragazzo che doveva avere due o tre anni più di lei. Aveva capelli neri piuttosto lunghi, e numerosi ciuffi gli ricadevano sugli occhi. Non si salutarono.
Il ragazzo era accompagnato da una vecchia donna dall'aspetto arcigno, vagamente rassomigliante a quello di un mastino. Vestiva di tonalità scure tali che la facevano rassomigliare a una composizione in natura morta. Il viso era pieno di rughe e i capelli grigio scuri erano raccolti in una crocchia dietro la nuca. Neanche lei salutò Sara, anzi la squadrò con sguardo così torvo da farle drizzare i capelli.
- Aah... chi si vede. Un altro Black, eh? Bhe, scansatevi... devo far provare... una bacchetta... a questa... signor...ina...!... - annaspò, togliendo l'ultima catena e trattenendo il coperchio del contenitore fin quando la porta non fu completamente chiusa.
In un attimo qualcosa di simile a un lampo schizzò fuori dalla scatola, e cominciò a distruggere ogni cosa che gli capitasse sotto tiro. Sara ebbe un moto di terrore quando si rese conto che era quella la bacchetta.
Continuò a roteare e saltellare all'impazzata per tutta la bottega, scatenando un pandemonio. Sfilò di testa il cappello alla professoressa McGranitt, facendolo ricadere molto più lontano, e rischiò quasi di accecare la vecchia che accompagnava il ragazzo. Poi Sara, vedendo che la bacchetta impazzita puntava dritta contro di lei, tese la mano nel tentativo - che lei stessa trovava folle - di fermarla. Non riuscì a crederci quando la bacchetta cessò la sua opera di distruzione e si posò docilmente nella sua mano.
Stavolta Sara si sentì strana. Invasa da uno strano calore che le sembrava quasi familiare. La bacchetta, attimo dopo attimo, si faceva sempre più calma, fin quando non si fermò del tutto, sotto gli sguardi sbigottiti degli altri. Solo Olivander, quando riemerse dalla scrivania dietro la quale si era nascosto, batté le mani come a seguito di uno spettacolo particolarmente entusiasmante. - Splendido! Davvero splendido! - esclamò - Ma stai attenta che nessuno te la prenda, quando sarai a scuola: non vorrei che ci rimettesse un occhio. -
La Professoressa McGranitt si fermò a parlare con Olivander in tono sommesso, generando un brusio incomprensibile. Nel frattempo, il ragazzo si avvicinò a Sara che non poté fare a meno di sentirsi imbarazzata, e di nuovo comparve quel bizzarro rossore sul naso. In effetti non aveva mai frequentato neanche una scuola Babbana e non aveva mai rivolto la parola a nessun essere umano che non fossero stati i suoi genitori. Prima che li uccidesse.
- Tu quest'anno vai a Hogwarts, vero? -
- Emh... beh... - Sara non sapeva che genere di figura avrebbe fatto dicendogli che Silente le aveva consentito di vivere a Hogwarts. Non voleva passare come la povera orfanella accolta sotto il tetto di qualcuno, e soprattutto alle spese di qualcuno. Le dava una sensazione di dipendenza che non riusciva a sopportare, specie se si trattava di parlarne con qualcuno che non conosceva.
Fortunatamente l'arrivo della vecchia con la faccia da mastino interruppe il suo balbettare prima che fosse costretta a rispondere. Come se la McGranitt avesse capito che quella donna non era delle più affabili, si allontanò dal banco ed esortò Sara a sbrigarsi, dato che dovevano comprare ancora un sacco di cose.
- E lei, - ringhiò la vecchia, - E' sua madre? Sua nonna? -
- Oh, no, - rispose con indifferenza la McGranitt - Insegno a Hogwarts. Sono la professoressa di Trasfigurazione. -
La vecchia inarcò le sopracciglia. Sara desiderò disperatamente che la McGranitt non lo avesse mai detto, e intanto il rossore le si estendeva alle guance magre.
- Oh. E... come si chiama? -
- Minerva McGranitt. -
- McGranitt. - ripeté la vecchia con le sopracciglia ancora più arcuate. La professoressa annuì. - E posso chiederle... a quale discendenza... -
- Mamma...! - protestò il ragazzo a voce alta.
La professoressa alzò leggermente le spalle con aria di sufficienza. Ma mentre usciva, non poté fare a meno di notare che la vecchia aveva puntato i suoi occhi infossati su Sara, e di questo anche suo figlio si era accorto.
Sara si fermò e ricambiò lo sguardo: furono necessari solo due secondi prima che la donna fosse scossa da un fremito allarmante che la indusse a distogliere lo sguardo. Non riusciva a fissare troppo a lungo quegli occhi.
- E tu... - esordì - posso sapere come ti chiami? -
- Sara. - rispose la bambina. La donna schioccò le labbra.
- Non m'interessa il tuo nome. - ribatté scocciata, mentre la McGranitt dava segni di stizza. - Voglio il cognome. -
Sara non sapeva se rispondere o no, ma infine si decise:
- Gray. -
Il ragazzo la scrutava con curiosità, evitando accuratamente di guardarla negli occhi. Sua madre, invece, non perdeva la sua espressione bieca, ma sembrava del tutto dissuasa dal farle altre domande. E la McGranitt, nonostante in effetti lo sapesse già, ebbe un mezzo mancamento, pur restando eretta con la mano sulla maniglia dell'uscio.
E Sara sapeva il perché.
- Molto bene, - sibilò la vecchia - Spero che siano state adottate delle misure particolari per farti frequentare le lezioni con gli altri esseri umani... -
Sara di colpo abbassò gli occhi sul pavimento. La McGranitt intervenne.
- Non frequenterà il primo anno. - rispose con immensa freddezza.
Perché accidenti lo aveva detto? Non poteva rimanere zitta? La vecchia donna fissò prima Sara e poi la McGranitt con rinnovata perfidia. - E allora... perché una bacchetta così presto? E come mai una professoressa di Hogwarts ad accompagnarla? Oh, non me lo dica, non me lo dica... i Gray si sono di nuovo sbranati fra loro? - e scoppiò in una risata roca. - Allora questa dev'essere una piccola orfanella... - e rise più forte.
Sara strinse i pugni, conficcando con violenza le lunghe unghie nella carne. Che cosa ne sapeva lei? Quella vecchia stupida...
Il ragazzo sembrò accorgersi della sua strana reazione e tirò una piccola pedata intimidatoria negli stinchi a sua madre: la vecchia gli rispose assestandogli uno schiaffo decisamente più forte.
- L'ospedale San Mungo per Ferite Magiche non è lontano da qui, - sillabò la professoressa - ... e curano anche l'insolenza. - Girò stizzosamente i tacchi e Sara giurò di avere sentito un autentico ruggito provenire dalla vecchia. - Ragazzo, più forti, quelle pedate. - concluse la McGranitt prima di spingere la bambina fuori e richiudersi violentemente la porta alle spalle.
28 agosto 1971, LONDRA sto iniziando questo diario, e già mi auguro di finirlo presto. So da adesso che salterò molte parti della mia vita. Non so se avrò sempre la forza di descrivere tutto esattamente com'è andato e comunque, anche se ci riuscissi, immagino che non servirebbe a nessuno.
*
Le luci erano quasi tutte spente, e Diagon Alley versava nel silenzio più profondo. Solo di tanto in tanto qualche schiamazzo proveniente dal Paiolo Magico rompeva la quiete. Ma si trattava di rumori soffici, ovattati; non duravano molto. Dal cielo cadeva la neve, fitta e incassante, e ormai il suolo ne era del tutto ricoperto, a piccole collinette bianche. Da alcune finestra proveniva una danzante luce di caminetto, che apriva un rettangolo arancione a terra. Non era ancora settembre, eppure l'inverno sembrava già arrivato, a il suo gelo stringeva le ossa in una morsa crudele.
Non tutti erano al riparo e al caldo. Non tutti erano sepolti sotto le coperte dei loro letti e dei loro sogni.
Nell'oscurità nebbiosa, all'orizzonte, una piccola figura barcollava senza meta, emettendo a volte qualche gemito, a volte qualche grido debole. Nessuno la sentiva. Si appoggiava ad ogni palo e ad ogni parete. La pelle bianca come un foglio di carta era macchiata di sangue non ancora del tutto seccato. I capelli, la fronte, i vestiti erano madidi di sudore, e gli occhi gonfi e arrossati di lacrime. I ciuffi davanti della capigliatura castana si attaccavano al sangue sulla pelle del viso della bambina.
Spossata ed esausta, ogni tanto cercava di correre, ed evitava la luce che proveniva da quelle finestre aperte come se temesse che potesse ucciderla. Non voleva che qualcuno la vedesse. Chiamò sua madre e suo padre con tutte le sue forze... ma in fondo, lo sapeva.
Non potevano tornare. Ed era colpa sua.
Non valeva la pena di incolparsi di qualcosa che ormai era compiuto e che, comunque, aveva ben poco do ingiusto. Sapeva quanto gli esseri umani si sforzavano ogni giorno di sopravvivere, e dunque, perché non poteva avere anche lei il diritto di farlo? In fin dei conti anche lei era un essere umano.
O forse no.
Non lo sapeva più.
Di colpo una serie di immagini simili a vecchie fotografie sfocate le sfilò davanti agli occhi. Non resisteva più. Non riusciva a crederci. Era stata lei. Lo aveva fatto lei. Era un'assassina.
Non sapeva perché lo aveva fatto, o per meglio dire, non era capace di capire dove avesse trovato l'impulso per compiere quel passo che, ne era certa, preparava da almeno un anno. Da quando aveva scoperto che erano costretti a scappare come dei ricercati. Li stavano inseguendo, e li stavano inseguendo per ucciderli. Ed era tutta colpa di sua madre.
Tutta colpa di quella donna disgustosa, e dell'uomo stupido che l'aveva sposata.
Almeno fossi stata figlia di altri genitori, pensò la bimba, forse a quest'ora starei bene.
Si scaraventò nel primo angolo che le capitò a tiro, riparata da una colonna.
La neve le cadeva addosso implacabile, e ben presto si sarebbe scatenata una tormenta. Alla bambina non importava se sarebbe morta di freddo, o di fame, o se qualcuno fosse venuto a sapere di ciò che aveva fatto e l'avesse punita. Per esempio condannandola ad Azkaban. Ne sarebbe stata quasi felice.
Le sembrava che le fauci del suo futuro fossero terribili assassine anche in confronto alla prigione di cui aveva sentito tanto parlare. Non era possibile che esistesse un inferno peggiore di quello. Non era possibile.
Le lacrime sembravano gocce di fuoco e seccavano sulla pelle insieme al sangue. La bambina sentì che era tutto finito, che non c'era alcuna speranza. La luna si vedeva a mala pena in cielo, era piena. Faceva capolino ogni tanto dalle nuvole, insieme con le stelle, ma durava ben poco. Il cielo era sommerso da una coltre di nubi cariche di tempesta.
Il freddo salì. La notte si estingueva sempre più rapidamente.
All'improvviso, tutte le luci si spensero, e il cielo diventò nero come petrolio, fin quando Diagon Alley non sembrò completamente annaffiata dall'inchiostro nero. Qualche grido in lontananza e poi un vociare confuso che mano a mano si affievoliva, come la fiamma di una candela. Ogni cosa stava spegnendosi.
No, non poteva esistere niente di peggiore. Se lo sentiva.
Mentre stava lì a piangere, cercando invano di pulire il sangue che le gocciolava sul viso, sentiva distintamente che la felicità non esisteva, e si chiese se ne avesse mai provata in vita sua. Poi capì. Era la morte, ed era venuta a prenderla; non chiedeva altro. Finalmente si sarebbe sbarazzata di quella parte di lei che piena di rimorso.
Passarono minuti interminabili. D'un tratto una specie di coltellata le spezzò il cranio in due: guardando nel suo cervello, ricordò della lama che affondava, del sangue che schizzava in tutte direzioni, e delle urla... le urla laceranti che colmavano quella notte mortale...
La fuga precipitosa. La neve, il freddo, le lacrime.
Alzò la testa, convinta che ci fosse qualcosa di spaventoso davanti a lei: lo sentiva distintamente, era sicura che, mentre piangeva con la testa bassa, qualcosa si fosse parato lì di fronte. Si aspettava chissà cosa. Invece, vide solo una specie di mantello.
Uno straccio grosso e nero, che aleggiava a pochi centimetri dal tappeto di neve. Sembrava del tutto incurante del freddo. Il suo tabarro era agitato dal vento, ma fluttuava nell'aria molto più lentamente rispetto alla portata delle raffiche. Emanava un odore disgustoso di cane insepolto, di terra marcia, come di qualcosa in putrefazione. Non si vedeva il viso, se ne aveva, soltanto delle dita disumane, ricoperte di croste, spuntavano a mala pena dal mantello scuro. Emetteva lunghi e rumorosi sospiri rochi, come di un vecchio in punto di morte. E poi, il silenzio che giaceva intorno a sé fu interrotto da un rumore metallico. La bimba si sentì soffocare, come se qualcosa le avesse appena estirpato l'aria dai polmoni.
E poi, l'essere col mantello le si avvicinò.
La bambina aveva gli occhi completamente spalancati, terrorizzati, ed era impallidita di colpo ancora più di prima. Non riusciva a fermare la tosse, ma allo stesso tempo era incapace di staccare lo sguardo dalla creatura.
Ormai era vicinissima. Vide le dita scheletriche abbassare il cappuccio... e poi non fu più in grado di guardare in quella direzione. Dovette chiudere gli occhi. Si accorse a mala pena di venire sollevata, e le parve che tutte le sue ossa di fermassero: non era più in grado di muoversi. Dita scheletriche e ruvide come ghiaia le si serrarono intorno alla gola.
Qualcosa improvvisamente scattò nel suo cervello, come un pensiero che spiccava sugli altri. La bimba non fece in tempo a rendersi conto di che pensiero fosse, che quello era già schizzato via, ed era sparito per sempre. In pochi secondi si ritrovò a terra, con la netta sensazione di essere appena stata morsa da una bestia feroce. Aveva l'impressione che dei denti le si fossero conficcati nella pelle, ma ormai non le interessava.
Dove si trovava? E in fondo, che le importava di saperlo?
Il suo corpo si rovesciò a terra, più magro e fragile che mai. Si sentiva sorda e muta, ma non ancora cieca: macchie di colore brillavano nei suoi occhi, e solo ogni tanto riusciva a distinguere le immagini intorno a sé. Ma era come se la sua testa si rifiutasse di analizzarle. Come se non le importasse più di niente, qualsiasi cosa succedesse, in qualunque posto si trovasse. Anche se fosse morta, dopo che aveva ucciso proprio per non morire.
Ne era sicura: non aveva più un'anima. Soltanto ricordi spaventosi fluttuavano nella sua mente facendola tremare di disperazione e di collera, da capo a piedi. E mentre era lì, accasciata nella neve sporca, vide una specie di barlume bianco poco lontano. Poi, uno sprizzo di luce d'argento le invase il campo visivo, ma non si sforzò di strizzare le palpebre, così per qualche minuto rimase quasi accecata.
Sapeva solo che, quando qualcosa l'aveva di nuovo sollevata, davanti a lei c'era un vecchio essere umano e il mantello nero fluttuante che le aveva portato via l'anima era sparito. Anche la cosa d'argento era scomparsa, lasciando al suo posto una tenue e piacevole nebbiolina perlacea.
- Mi senti? - disse una voce da qualche parte nel limbo.
La bambina non rispose. Non rispose neanche quando la domanda venne ripetuta, due, tre volte di fila. Era una voce strana, come se provenisse da un barattolo sigillato. Era distante, e di umano aveva solo qualche tratto vago.
- Qual è il tuo nome? - disse di nuovo la voce e due mani la scossero per le spalle.
La bambina balbettò il suo nome con la voce di un morto.
In qualche minuto il paesaggio intorno a lei era cambiato. Ora di trovava su qualcosa di caldo e morbido, forse un letto, e non lontano da lei ardeva un fuoco. Il crudo inferno là fuori sembrava molto lontano.
Sentiva un parlare concitato che sembrava provenire fuori da una porta chiusa, e si accorse di essere sola in una stanza di albergo. Al parlottio nervoso rispondeva una voce tranquilla che sembrava appartenere un uomo molto vecchio.
- Puoi tenere qui Sara fin quando non si sarà ripresa? Sono certo che tra pochi giorni sarà di nuovo in sé. -
- Ma... andiamo, Albus! - disse la voce agitata. - Un... un Dissennatore! Se l'ha baciata, co... come accidenti speri che possa svegliarsi! E' una bambina! -
- Non preoccuparti, - rispose il vecchio - Qualcosa mi dice che sono arrivato giusto in tempo. Falle bere qualcosa di caldo e poi lasciala dormire, e vedrai che sarà come nuova. E ora vorrai scusarmi, ma devo avvertire il Ministero della Magia che c'era un Dissennatore fuori controllo qui a Diagon Alley. Non saranno molto felici di saperlo, temo. -
Poi Sara sentì dei passi e immaginò che il vecchio se ne fosse andato.
*
La nevicata era esaurita e il sole splendeva di nuovo allegro.
Sara osservava incuriosita la via gremita di maghi e di streghe. Le case e i negozi sembravano precipitare sulla strada lastricata, da quanto vi erano ammassati intorno. C'era un gran vociare e un andirivieni continuo di ragazzi e ragazze accompagnati dai loro genitori, e Sara immaginò che fossero tutti futuri studenti della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts che andavano a Diagon Alley a rifornirsi del necessario. Bastava quel pensiero a farle dimenticare tutto il resto e a farle venire una gran voglia di scendere e visitare un negozio dopo l'altro. Ma sapeva di non potere. Era obbligata a restare nella sua stanza.
Con lo sguardo corse per le strade fin quando non si accorse che qualcuno era entrato: era un uomo molto vecchio, con una lunga barba argentea. I suoi occhi la guardavano da dietro un paio di occhiali dalle lenti a mezzaluna, e sembrava avere un'espressione fin troppo serena. Appena lo vide, Sara cessò di essere allegra. Era chiaro che aveva intenzione di parlare con lei, e sapeva anche di cosa: non aveva nessuna voglia di rievocare gli eventi di tre notti fa. Tornò a girarsi verso la finestra con fare austero.
Il vecchio si schiarì la voce e le tese la mano.
- Sono Albus Silente. -
Sara lo squadrò per un attimo con la coda dell'occhio, poi tornò a fissare ostinatamente le strade di Diagon Alley dall'alto della sua finestra.
- Devo farti un paio di domande... Sara, giusto? Spero che la cosa non ti dia troppo fastidio, ma dopo la notte scorsa tutto il paese è preoccupato. -
- Perché? - chiese Sara, facendo sentire la sua voce per la prima volta.
Silente tornò serio, ma pur sempre tranquillo e pacato.
- Ciò che ti ha aggredita era un Dissennatore, e non è per niente bello che una creatura simile girovaghi per Diagon Alley... e aggredisca una bambina. -
- Che cos'è un Dissennatore? -
- Sono le guardie di Azkaban e... bhe, penso non ci sia bisogno di descriverti ciò che fanno di preciso. -
No, non importa, disse Sara dentro di sé, ho capito benissimo. Le guardie di Azkaban. Che quel Dissennatore non fosse lì per caso? Forse aveva capito, aveva saputo... ed era lì per rinchiuderla nella prigione dei maghi, perché si era venuto a sapere in giro che aveva ucciso i suoi genitori. Una ferita che le faceva ancora male, e quell'uomo dietro di lei sembrava peggiorarla: cos'era quella gentilezza? Se doveva condannarla a qualcosa, tanto valeva che lo facesse subito e basta.
- Come ti senti? -
- Voglio uscire di qui, - disse aspramente Sara - Mi sono rotta. -
- Bhe, - sorrise Silente, - Questo è un buon segno. -
Sara per la prima volta lo guardò negli occhi: ma ne era sicura, Silente aveva avuto un brivido non appena lei gli aveva puntato lo sguardo addosso. Cercò di sforzarsi per chiudere la sua mente: Silente non doveva sapere la verità, non doveva sapere che lei aveva ucciso i suoi, altrimenti l'avrebbe portata ad Azkaban. Ora che aveva visto che esistevano posti come Diagon Alley, non le andava più di finire i suoi giorni in quel posto orribile, dove era certa che non esistessero complicazioni nel rinchiudere anche un minorenne.
Non lo seppe mai, ma in quel momento Silente ebbe la netta sensazione che una porta gli fosse sbattuta in faccia. Sara poté solo sospettarlo dalla sua espressione interdetta. Lo fissava torva da sotto l'ombra dei capelli. Aveva la testa bassa, ma le iridi rosso sangue sembravano vedere oltre la cortina di ciuffi fulvi. Apparivano da sotto di essi come due falciate di fuoco su un viso dal colorito di un cadavere.
- Da dove vieni? Dove sono i tuoi genitori? -
- Non ho nessun genitore, - rispose Sara, più fredda del ghiaccio.
- Oh. - Silente parve quasi intenerirsi, ma la sua espressione non mutò di molto. Sulla fronte gli era apparsa una piccola ruga incerta. - Capisco. Mi dispiace di avertelo chiesto. Come sei finita qui? -
- Non lo so. - mentì Sara - Non me lo ricordo. -
Era una bugia a metà. I suoi ricordi erano così vaghi che faceva fatica a ricongiungerli, perciò non era molto sicura di aver davvero preso un autobus impazzito chiamato Nottetempo. Poi, non sapeva come, aveva desiderato con tutta sé stessa che i conducenti la scambiassero per una donna adulta e del tutto normale... e i due si erano comportati esattamente come Sara aveva sperato. Non riusciva a spiegarsi come fosse successo.
- Sì che lo sai. -
- No, non lo so. - ripeté Sara.
- Un'ultima domanda. - Silente si interruppe, quasi che volesse attendere un cenno da parte della bambina che lo esortasse a parlare. Sara rispose alzando le sopracciglia sottili.
- Ti senti... strana? Voglio dire... infinitamente triste? Come se ti mancasse qualche ricordo... come se tu non potessi essere felice mai più? -
Sara fissò Silente, stupita. Non si aspettava una domanda del genere, o meglio, non si aspettava che il vecchio indovinasse esattamente ciò che aveva provato quando il Dissennatore le si era avvicinato. Ora, comunque, si sentiva in modo molto diverso: era ancora scombussolata, ma non del tutto depressa. Riusciva a tratti ad uscire dal baratro che le si stendeva davanti, ma a volte aveva l'impressione che la sua vita sarebbe stata nient'altro che un tormento, che mai più avrebbe visto un sorriso illuminare il suo futuro.
- Un po'. -
- Cioè... non troppo? -
- Mh-m. - annuì rapidamente Sara, e stavolta stava dicendo la verità.
- Molto bene. - Silente fece un cenno con la testa, e sorrise di nuovo, assumendo di colpo un tono di voce più vivace. - Aspettami qui. Ci metterò solo un minuto. -
Sara guardò con aria sarcastica il vecchio che usciva dalla porta, e la richiudeva alle spalle. Chissà quanti altri giorni di prigionia le sarebbero toccati...
*
- Com'è andata, Albus? - chiese una quasi giovane Minerva McGranitt, con espressione agitata. Sembrava che stesse aspettando Silente da ore e ore, mentre invece era lì da appena cinque minuti.
- Stupefacente, - rispose Silente, lasciando la McGranitt ancora più perplessa.
- P... prego? - disse, aggiustandosi gli occhiali.
- Sarò un Legilimens, - sorrise Silente con espressione soddisfatta - Ma non sono riuscito a leggere proprio niente in questa bambina, Minerva, anzi... posso assicurarti che è stata lei a leggere me. -
Stavolta la McGranitt si aggiustò il capello. - Possibile? -
- Oh, certo! Riconosco quegli occhi, non c'è alcun dubbio. Pensavo che non avrei mai più visto nessun altro membro di quella famiglia, ma a quanto pare mi stavo sbagliando. Eh sì, la bocca, le mani, il modo di fare... quella è una Gray, Minerva. Ne sono certo. - A quel punto la McGranitt si sentì mancare. Tornò a fissare il Preside di Hogwarts con occhi ancora più scombussolati di prima, evidentemente chiedendosi come fosse possibile una cosa del genere. Ma vedendo lo sguardo sicuro che Silente le rimandava indietro, decise di non fare altre domande. - E' innocua, anche se un po'... come dire?... gelida. Credo di sapere come abbia fatto ad arrivare fin qui, ma avrò bisogno di farmelo dire da lei di persona, se voglio una certezza. Per il momento, visto che non ha un posto dove andare, dovrebbe venire con noi a Hogwarts, direi. -
- Al... m... ma... Professor Silente! - si stizzì la McGranitt, sforzandosi di recuperare un minimo di sicurezza, e facendosi improvvisamente di pietra. - A Hogwarts? Ma lei è... E'... come posso dire... piccola. Troppo piccola. Non sarebbe meglio trovarle una casa e una famiglia con cui stare? -
- E mettere a repentaglio una famiglia qualunque di persone oneste? Oh no, Minerva, temo proprio che dovremmo tenerla con noi... Demetrius non oserà toccarla se si trova a Hogwarts, e ritengo necessario che, prima che raggiunga l'età giusta, cominci a portarsi avanti col lavoro. Qualche incantesimo di base e qualcosa per difendersi, sarà più che sufficiente. Ce la farà. Poi frequenterà la scuola come tutti gli altri e, mi dispiace dirlo... non dovrà mai muoversi dal castello. -
- Demetrius la sta cercando, vero? -
- Temo di sì. - disse Silente, annuendo con sguardo mesto. - Per questo dobbiamo insegnarle qualcosa in anticipo. -
- E' sicuro che sia la cosa giusta da fare? Crescerà, Albus, come tutti vorrà essere un po' più indipendente... non potremo tenerla laggiù per sempre! Non è che... -
- Colui che vede una vittima... ma non l'aiuta, - la interruppe Silente, - E' un infame. -
*
Sara aveva sentito tutto, con l'orecchio poggiato alla porta, nonostante i due parlassero con toni piuttosto sommessi. Così non si stupì quando il Preside le promise che a Hogwarts niente le avrebbe fatto del male e nessun Dissennatore avrebbe osato avvicinarsi. Non riusciva ad immaginarsi quante cose sapesse Silente sulla sua famiglia, né come potesse averle scoperte, ma per il momento non le interessava. Si accontentava solo di essere finalmente fuori per le vie di Diagon Alley, in mezzo a tutte quelle vetrine, a tutti quei negozi pieni zeppi di cose che non si sarebbe mai immaginata di vedere...
Tutto ciò non poteva neanche lontanamente competere con il mondo Babbano al quale sarebbe stata condannata. Nonostante tutti si voltassero quando vedessero la Professoressa McGranitt accompagnarla per i negozi, si sentiva allegra. Forse, per la prima volta, avrebbe potuto essere felice.
Qualcosa catturò la sua attenzione, mentre camminavano per la strada principale: una strada in discesa che, schiacciata fra due negozi, si vedeva a mala pena. Era immersa nell'ombra, nonostante l'ora del pomeriggio, ed era certa che da quelle parti fosse pieno di maghi e streghe strani - molto più del normale. Qualcuno reggeva strano strumenti in mano, qualcun altro parlava sottovoce additando i passanti e sogghignando.
- Che cosa c'è laggiù, McGranitt? -
- Professoressa McGranitt, - corresse Minerva rigidamente, cercando di ignorare l'incertezza che il piano di Silente le aveva trasmesso - Laggiù non c'è niente di interessante. O per meglio dire... sono cose molto interessanti per chiunque, ma è meglio tenersi alla larga. -
- Perché? Cosa sono? - insistette Sara.
La professoressa finse di ignorarla.
- Che cosa c'è laggiù? - ripeté Sara, e la professoressa commise l'errore di guardarla negli occhi per più di un secondo. Non poté resistere: sentiva il bisogno di dirglielo..
- Laggiù vendono strumenti per la Magia Oscura, eccetera. - rispose con un brivido nella voce - E' pieno di tipi pericolosi... insomma, strana gente... ed è meglio non rivolgere loro la parole o entrare nei negozi. Sul serio. Tieniti alla larga da Notturn Alley, e vedrai che tornerai al Paiolo Magico viva e vegeta. -
Poi si zittì con espressione sconvolta, come se avesse appena detto qualcosa di compromettente, contro la sua volontà. Sara continuò a fissare Notturn Alley, voltandosi continuamente indietro, fin quando non fu costretta a guardare in avanti per evitare di andare a sbattere contro qualcuno.
- Beh. - disse la McGranitt fermandosi di fronte a un piccolo negozio dell'insegna consulta e le finestre impolverate. - E' ora di comprarti una bacchetta. Non puoi fare alcun incantesimo senza quella. Olivander è il miglior fabbricante di bacchette che ci sia in tutta l'Inghilterra, e sicuramente anche più in là. -
Sara fissò con scarso interesse la vecchia bottega di Olivander. La sua mente era ancora a vagare nella stradina ombrosa.
- Coraggio, entra, - la esortò la professoressa, vedendo che si era come impalata. Sara si riscosse, spinse la porta ed entrò.
*
Sembrava una specie di negozio di scarpe vecchio stile. Sugli scaffali si ammonticchiavano decine e decine di vecchie scatole sottoli, e Sara non riuscì neanche a immaginarsi quante bacchette doveva contenere quel negozio.
Vedendo che non arrivava nessuno, dopo circa un quarto d'ora la McGranitt prese a schiarirsi la voce, sempre più forte e con stizza, fin quando una scala appesa agli scaffali non si mosse rivelando un vecchio di statura piuttosto bassa e dalla schiena ingobbita. Sara continuava a guardare altrove, nonostante sapesse che non poteva fare incantesimi senza bacchetta; in quel momento le interessava ben altro.
- Ah, sì... - riflettè Olivander a voce alta. - Sì. Silente mi ha avvisato del tuo arrivo... non immaginavo che ti avrei vista così presto... bhe, non immaginavo neanche che ti avrei vista, in verità. È rischioso sottoporsi alla prova della bacchetta così presto... -
Prova?, pensò Sara. Non era pronta. Non era senz'altro pronta a nessun tipo di prova...
- Lo sappiamo, - disse la McGranitt. - ma il Professor Silente ritiene... -
- Oh, certo. Bene, ecco qua. - tirò giù da uno scaffale una scatola e la aprì sotto gli occhi di Sara - Ebano. Dodici pollici. Lingua di serpente. Scilla... ricordo che la vendetti anche a Scilla, sai? Prendila e agitala... vediamo come funziona. -
Sara, con la mente assorta, fece come il venditore le aveva detto. Si aspettava di provare una sensazione strana, o almeno un fremito, invece impugnare una bacchetta fu esattamente come prendere in mano un normale pezzo di legno. Agitò la bacchetta con un movimento fluido, come aveva visto fare a suo padre, e questo parve sorprendere sia Olivander sia la McGranitt. L'unico risultato che ottenne fu quasi rovesciare l'armadio che stava di fronte a lei. Diverse scatole caddero a terra.
- Oh, no, non ci siamo, non proprio... - bofonchiò Olivander, tornando a rovistare fra la sua merce. - Allora che ne dici di questa? Abete e piuma caudale di pavone. Tuo nonno aveva proprio questa, sì... fui io a vendergliela, un modello difficile... -
Sara ripeté il movimento del braccio che aveva fatto prima, e stavolta un raggio nerastro mancò per un pelo Olivander è spaccò un vaso di fiori marciti davanti a lei. Sara notò con stupore che, pochi secondi dopo, il vaso era già tornato in piedi con acqua e fiori al suo interno, perfettamente ricostruito.
- No, neanche questa... ah, ma la troveremo, stai tranquilla... dunque... sì... - Olivander sembrava riflettere per conto suo, ma a voce alta. Si inabissò nel retro del negozio. Sara pensava ancora a tutt'altro che alle bacchette, e la McGranitt si guardava intorno apparentemente molto interessata alle pareti. Dopo poco il vecchio fece ritorno con una dozzina di scatole e scatolette sottobraccio, e le riversò tutte sulla vecchia scrivania tarlata. Sara sgranò appena gli occhi, perché fino a quel giorno aveva sempre creduto che le bacchette fossero tutte uguali. - Ciliegio! Pelo di grifone! Quindici pollici! - Sara prese in mano la bacchetta, non molto convinta, e di nuovo non avvertì alcuna sensazione fuori dal normale. Agitò la bacchetta e stavolta il povero vecchio fu centrato in pieno e ribaltato all'indietro. La McGranitt si voltò, sbalordita e inquieta, con occhi spalancati.
- Emh... ops. - Sara fu colta da un buffo rossore sul naso, stringendosi nelle spalle, ma Olivander si rialzò con quel suo portamento sbrigativo, come se niente fosse stato.
- E allora... - aprì fulmineamente un'altra scatola - Legno di noce e cuore di drago... un Dorsorugoso di Norvegia. - Sara fece un tentativo, tenendo la mira ben lontana dal venditore: distrusse i vetri di una vecchia piccola finestra. Olivander non si spazientiva, anzi, era sempre più esaltato. - Oh, beh, una cliente difficile... e allora prova questo: Rovere e piuma d'Ippogrifo, una rarità. -
Non fu l'unica "rarità" che Sara dovette provare; tanti altri tentativi fallirono, tuttavia stava cominciando a divertirsi. Aveva mandato in frantumi quasi tutto il negozio e la McGranitt dava segni di addormentarsi da un momento all'altro. Olivander era di tutt'altro avviso: non gli capitava molto spesso un cliente che dovesse provare una trentina di bacchette senza ancora trovare la sua.
- Oh... bene! - ansò, dopo essere spuntato faticosamente fuori da un mucchio di scatole che gli era piombato addosso dopo l'ultima accidentale distruzione. - Non ho dubbi. Non ho dubbi! Non può essere che... - corse speditamente verso il retro, seguito da un gran rumore di scartamenti. Ne uscì con una scatola in pugno che sembrava la più recente di tutte: era ancora lucida e profumava intensamente di legno appena tirato a lucido e lisciato. Sembrava di una bacchetta fabbricata da come minimo una mezz'ora: Olivander si era portato dietro una gran dose di trucioli e rimasugli di piallatura, quando era andato a prenderla. - L'ho appena terminata. È un legno molto, molto particolare. Lei lo conoscerà, Minerva... - la professoressa gli lanciò uno sguardo interrogativo - Non so come mai... ma l'hanno piantato a Hogwarts giusto quest'estate, e Silente è stato così gentile da mandarmene un campione. È stato difficile lavorarlo... Platano Picchiatore! L'unico legno che non galleggia! E poi... Guarda che caratterino... - e mostrò le mani piene di lividi e cerotti. Sara rabbrividì: come si faceva ad impugnare una bacchetta fatta con quel legno? Pregò ardentemente che non fosse la sua, o avrebbe dovuto prepararsi un guantone da baseball, ma Olivander parve leggerle nel pensiero, indovinando il suo timore, e disse: - Soltanto il legittimo proprietario di questa bacchetta può calmare il legno del Platano Picchiatore, e bada, solo e soltanto lui. - Sara deglutì. Improvvisamente, il divertimento le era evaporato di dosso. - Certo... questo è un esemplare molto giovane. Perciò non ha ancora la forza di un Picchiatore millenario, ma posso assicurarti che non è dei più amichevoli. Se ora, Minerva, lei mi facesse la cortesia... di scansarsi... - La McGranitt non se lo fece ripetere e andò a rifugiarsi verso un vecchio scrittoio usato anch'esso per stipare le numerose bacchette del negozio.
Olivander iniziò a sfilare le corde e le catene che tenevano ben chiusa la tremolante scatola... e in quello stesso istante il tintinnio limpido del campanello sospeso sopra la porta segnalò che qualcuno era entrato. Voltandosi, Sara vide entrare un ragazzo che doveva avere due o tre anni più di lei. Aveva capelli neri piuttosto lunghi, e numerosi ciuffi gli ricadevano sugli occhi. Non si salutarono.
Il ragazzo era accompagnato da una vecchia donna dall'aspetto arcigno, vagamente rassomigliante a quello di un mastino. Vestiva di tonalità scure tali che la facevano rassomigliare a una composizione in natura morta. Il viso era pieno di rughe e i capelli grigio scuri erano raccolti in una crocchia dietro la nuca. Neanche lei salutò Sara, anzi la squadrò con sguardo così torvo da farle drizzare i capelli.
- Aah... chi si vede. Un altro Black, eh? Bhe, scansatevi... devo far provare... una bacchetta... a questa... signor...ina...!... - annaspò, togliendo l'ultima catena e trattenendo il coperchio del contenitore fin quando la porta non fu completamente chiusa.
In un attimo qualcosa di simile a un lampo schizzò fuori dalla scatola, e cominciò a distruggere ogni cosa che gli capitasse sotto tiro. Sara ebbe un moto di terrore quando si rese conto che era quella la bacchetta.
Continuò a roteare e saltellare all'impazzata per tutta la bottega, scatenando un pandemonio. Sfilò di testa il cappello alla professoressa McGranitt, facendolo ricadere molto più lontano, e rischiò quasi di accecare la vecchia che accompagnava il ragazzo. Poi Sara, vedendo che la bacchetta impazzita puntava dritta contro di lei, tese la mano nel tentativo - che lei stessa trovava folle - di fermarla. Non riuscì a crederci quando la bacchetta cessò la sua opera di distruzione e si posò docilmente nella sua mano.
Stavolta Sara si sentì strana. Invasa da uno strano calore che le sembrava quasi familiare. La bacchetta, attimo dopo attimo, si faceva sempre più calma, fin quando non si fermò del tutto, sotto gli sguardi sbigottiti degli altri. Solo Olivander, quando riemerse dalla scrivania dietro la quale si era nascosto, batté le mani come a seguito di uno spettacolo particolarmente entusiasmante. - Splendido! Davvero splendido! - esclamò - Ma stai attenta che nessuno te la prenda, quando sarai a scuola: non vorrei che ci rimettesse un occhio. -
La Professoressa McGranitt si fermò a parlare con Olivander in tono sommesso, generando un brusio incomprensibile. Nel frattempo, il ragazzo si avvicinò a Sara che non poté fare a meno di sentirsi imbarazzata, e di nuovo comparve quel bizzarro rossore sul naso. In effetti non aveva mai frequentato neanche una scuola Babbana e non aveva mai rivolto la parola a nessun essere umano che non fossero stati i suoi genitori. Prima che li uccidesse.
- Tu quest'anno vai a Hogwarts, vero? -
- Emh... beh... - Sara non sapeva che genere di figura avrebbe fatto dicendogli che Silente le aveva consentito di vivere a Hogwarts. Non voleva passare come la povera orfanella accolta sotto il tetto di qualcuno, e soprattutto alle spese di qualcuno. Le dava una sensazione di dipendenza che non riusciva a sopportare, specie se si trattava di parlarne con qualcuno che non conosceva.
Fortunatamente l'arrivo della vecchia con la faccia da mastino interruppe il suo balbettare prima che fosse costretta a rispondere. Come se la McGranitt avesse capito che quella donna non era delle più affabili, si allontanò dal banco ed esortò Sara a sbrigarsi, dato che dovevano comprare ancora un sacco di cose.
- E lei, - ringhiò la vecchia, - E' sua madre? Sua nonna? -
- Oh, no, - rispose con indifferenza la McGranitt - Insegno a Hogwarts. Sono la professoressa di Trasfigurazione. -
La vecchia inarcò le sopracciglia. Sara desiderò disperatamente che la McGranitt non lo avesse mai detto, e intanto il rossore le si estendeva alle guance magre.
- Oh. E... come si chiama? -
- Minerva McGranitt. -
- McGranitt. - ripeté la vecchia con le sopracciglia ancora più arcuate. La professoressa annuì. - E posso chiederle... a quale discendenza... -
- Mamma...! - protestò il ragazzo a voce alta.
La professoressa alzò leggermente le spalle con aria di sufficienza. Ma mentre usciva, non poté fare a meno di notare che la vecchia aveva puntato i suoi occhi infossati su Sara, e di questo anche suo figlio si era accorto.
Sara si fermò e ricambiò lo sguardo: furono necessari solo due secondi prima che la donna fosse scossa da un fremito allarmante che la indusse a distogliere lo sguardo. Non riusciva a fissare troppo a lungo quegli occhi.
- E tu... - esordì - posso sapere come ti chiami? -
- Sara. - rispose la bambina. La donna schioccò le labbra.
- Non m'interessa il tuo nome. - ribatté scocciata, mentre la McGranitt dava segni di stizza. - Voglio il cognome. -
Sara non sapeva se rispondere o no, ma infine si decise:
- Gray. -
Il ragazzo la scrutava con curiosità, evitando accuratamente di guardarla negli occhi. Sua madre, invece, non perdeva la sua espressione bieca, ma sembrava del tutto dissuasa dal farle altre domande. E la McGranitt, nonostante in effetti lo sapesse già, ebbe un mezzo mancamento, pur restando eretta con la mano sulla maniglia dell'uscio.
E Sara sapeva il perché.
- Molto bene, - sibilò la vecchia - Spero che siano state adottate delle misure particolari per farti frequentare le lezioni con gli altri esseri umani... -
Sara di colpo abbassò gli occhi sul pavimento. La McGranitt intervenne.
- Non frequenterà il primo anno. - rispose con immensa freddezza.
Perché accidenti lo aveva detto? Non poteva rimanere zitta? La vecchia donna fissò prima Sara e poi la McGranitt con rinnovata perfidia. - E allora... perché una bacchetta così presto? E come mai una professoressa di Hogwarts ad accompagnarla? Oh, non me lo dica, non me lo dica... i Gray si sono di nuovo sbranati fra loro? - e scoppiò in una risata roca. - Allora questa dev'essere una piccola orfanella... - e rise più forte.
Sara strinse i pugni, conficcando con violenza le lunghe unghie nella carne. Che cosa ne sapeva lei? Quella vecchia stupida...
Il ragazzo sembrò accorgersi della sua strana reazione e tirò una piccola pedata intimidatoria negli stinchi a sua madre: la vecchia gli rispose assestandogli uno schiaffo decisamente più forte.
- L'ospedale San Mungo per Ferite Magiche non è lontano da qui, - sillabò la professoressa - ... e curano anche l'insolenza. - Girò stizzosamente i tacchi e Sara giurò di avere sentito un autentico ruggito provenire dalla vecchia. - Ragazzo, più forti, quelle pedate. - concluse la McGranitt prima di spingere la bambina fuori e richiudersi violentemente la porta alle spalle.
