02. La scommessa.

Lo Smistamento. Era la prima volta che Sara assisteva a quella cerimonia, e non ne era sorpresa, tuttavia. La cosa che l'aveva interdetta di più era l'aspetto del castello che, pur non avendo sempre un'aria accogliente, era ben diverso da come lo avevano dipinto i suoi genitori. Cioè come un posto orribile, inquietante e grottesco. Era sempre stata quella la descrizione che Vincent Gray aveva elargito riguardo a Hogwarts, ma Sara non ci aveva mai creduto, un po' perché il desiderio di frequentarla era superiore a tutto, un po' perché suo padre non era molto credibile, aggiungendo particolari sempre più inquietanti di volta in volta.

Sara si sentiva un fantasma, uno di quelli che fluttuavano per la Sala Grande (e nessuno di loro gridava e agitava catene straziando i timpani come diceva suo padre): Nessuno badava a lei, e d'altro canto, non era possibile che si accorgessero della sua presenza: era appollaiata sul bordo di una specie di finestra aperta sul punto più alto di una parete. Se non avesse saputo che si trattava di un'illusione, avrebbe creduto di essere vicinissima al cielo stellato, abbastanza vicina per toccare una nuvola.

La "finestra" faceva parte di una specie di mansarda che girava tutto intorno alla Sala Grande, dietro le pareti. Era praticamente invisibile, e Sara l'aveva raggiunta grazie ad un passaggio segreto dietro a un'armatura che aveva scoperto per caso, andandoci a sbattere contro. Sollevando l'elmo c'era una leva che apriva la strada verso un angusto corridoio i cui vecchi scalini erano affogati nella polvere di anni e anni.

C'era una gran puzza di vecchiume, infatti, ma Sara si rese conto era un luogo molto comodo per stare per i fatti propri: a giudicare da tutta la polvere e lo sporco che c'era (tra cui numerose cacche di gufo), la grossa stanza sospesa era in disuso da tempo. Sara decise che quella sarebbe diventata ufficialmente "la sua soffitta".

Tornò a guardare in basso, verso la Sala Grande, e nonostante fosse molto in alto rispetto ad essa, scoprì di non avere il minimo senso di vertigine. C'erano quattro tavoli apparecchiati e lunghissimi, e davanti a essi un altro tavolo di identica lunghezza, girato però in orizzontale rispetto agli altri. Nei quattro tavoli vicini stavano gli studenti delle quattro case, mentre in quello che li dominava sedevano i professori. C'era un gran vociare. Un gruppo di atterriti ed emozionati studenti del primo anno si accalcava davanti alla professoressa McGranitt. I novizi non facevano che indicare a destra e manca cose che trovavano assolutamente incredibili, fin quando la McGranitt non si schiarì la voce inducendo, quasi magicamente, al silenzio.

- Adesso sarete sottoposti alla prova del Cappello Parlante. Chiamerò i vostri cognomi in ordine alfabetico e voi vi sederete su questo sgabello. - un brusio concitato si levò dalla frotta di matricole, e la McGranitt dovette schiarirsi di nuovo la voce per ottenere attenzione. - Il Cappello Parlante griderà il nome della vostra Casa e voi andrete a sedervi al tavolo corrispondente. E' chiaro? -

Un "sì" alquanto confuso gorgogliò dal gruppo del primo anno.

Sara emise uno sbuffo spazientito quando il Cappello Parlante cominciò a cantare delle strofe di benvenuto. Non le ascoltò neanche un po': aspettava con impazienza che iniziasse il vero e proprio Smistamento, perché sapeva che fra un paio d'anni sarebbe stato il suo turno.

Finalmente, la canzone cessò e la McGranitt cominciò a chiamare in ordine alfabetico cognomi e nomi degli studenti del primo anno.

- Black, Sirius! - disse d'un tratto, e Sara si voltò. Vide avanzare verso lo sgabello, affatto barcollante come tutti quelli che erano venuti prima di lui, lo stesso ragazzo che aveva incontrato da Olivander assieme al vecchio mastino. Il Cappello Parlante non ebbe quasi bisogno di essergli appoggiato in testa: gridò immediatamente "GRIFONDORO!". Dal tavolo dalle decorazioni rosse e oro esplose un sonoro applauso.

Lo stesso successe com "Lupin, Remus!" e "Potter, James!". Al turno di Peter Minus, che li seguì al tavolo dei Grifondoro, il Cappello ebbe molte più incertezze, ma Sara non riuscì a sentire quello che veniva detto prima dell'annuncio della Casa. Con un Corvonero, "Vandom, Thomas!", la lista si chiuse e tutti gli studenti avevano ormai preso posto ai loro tavoli.

Sara aveva del tutto distolto l'attenzione, una volta appurato che la prova del Cappello Parlante non era nient'altro che un farsi leggere la mente da un vecchio copricapo. Niente a che vedere con l'idea che si era fatta grazie a suo padre, ovvero che il Cappello addentasse lo studente con lunghe fauci facendogli sanguinare la testa e strappandogli i capelli. Ma quando Silente esordì con il suo "benvenuti a un nuovo anno ad Hogwarts", Sara tornò attenta. Era proprio curiosa di sapere che cosa avrebbe detto Silente come discorso di benvenuto; solo dopo scoprì che avrebbe fatto meglio a non sentire.

- Prima di iniziare il banchetto, - esordì Silente, - non debbo darvi che qualche avvertimento. Come prima cosa, è assolutamente vietato l'ingresso alla Foresta Proibita, a tutti gli studenti. Come seconda cosa, è proibito anche l'accesso al villaggio di Hogsmeade agli studenti dal terzo anno in su che non abbiano ottenuto il permesso... quindi anche ai più giovani. E per ultimo, un avvertimento che vi risulterà senz'altro insolito... e cioè che quest'anno noterete una cosa... bizzarra. Hogwarts non ha mai ospitato ragazzi e ragazze che non siano studenti, ma ci sono dei momenti in cui si ritiene necessario tenerli al sicuro. Non che vi voglia intimorire... ma ci sono dei pericoli fuori di qui, che aspettano solo di concretizzarsi. Vorrei diffidarvi quindi dallo scatenare conflitti o disagi, verso chiunque. Sono questi i momenti in cui è necessario dare il meglio di sé, per esempio restando uniti. - il discorso fece ammutolire tutta la Sala, più di quanto non fosse già silenziosa. Perfino i professori erano pietrificati, e non spiccavano parola. Probabilmente nessuno degli studenti aveva capito a cosa si riferiva Silente, ma Sara distolse lo sguardo bruscamente, sentendosi avvampare nel profondo: stava parlando di lei.

- E ora voglio presentarvi, - continuò Silente con uno sguardo e un sorriso verso l'alto. Sara rabbrividì: rivolto verso di lei. - una persona sicuramente molto particolare, che spero non avrete problemi ad accogliere, e che vi sta guardando da quando siete arrivati qua. - tutti gli studenti girarono intorno gli sguardi, agitati, domandandosi dove fosse la persona che li stava osservando di nascosto da quando avevano messo piede in quella sala. Sara notò con orrore che qualcuno aveva gridato "lassù!", e così si ritrasse di colpo, rotolando sul pavimento dove nessun poteva vederla. Si pentì di non essere rimasta al suo posto, magari sfoderando un cipiglio imperturbabile, che avrebbe senz'altro impedito a qualche risatina di arrivare crudelmente fino ai suoi timpani. Silente rimase zitto a lungo, molto a lungo. E poi diede via al banchetto.

*

1 settembre 1973, SCUOLA DI MAGIA E STREGONERIA DI HOGWARTS

Se Sara aveva creduto con tutta sé stessa che non ci fosse niente di peggio del Bacio di un Dissennatore, ora la sua testa le diceva che si era sbagliata.

Due anni erano stati, due anni infernali. Due anni che avrebbe voluto cancellare, e lo aveva voluto con tutta sé stessa. Ma ogni giorno, ogni mese, aveva constatato che non poteva. Non poteva vivere in un mondo diverso o cambiare sé stessa, poteva soltanto sopportare, sopportarne di ogni tipo e soffrire ancora. Lei, la povera orfanella. La cocca di Silente. Se soltanto avesse potuto spiegare... se soltanto avesse potuto gridare in faccia a tutti che non lo aveva scelto lei. che era stata lei ad ammazzare i suoi genitori, che avrebbe voluto marcire ad Azkaban per il resto dei suoi giorni...

Avrebbe potuto farlo, ma non era stato così. Ormai era considerata una pazza, e chi l'avrebbe ascoltata? E comunque, c'era qualcosa dentro di sé che le diceva che non doveva farlo. Una parte di sé era convinta di meritarsi il riposo, magari eterno, e un'altra parte diceva il contrario: aveva ucciso due persone del suo stesso sangue, con la sola colpa di averla fatta nascere. Avrebbe meritato una pena ben peggiore di due anni a Hogwarts al centro del mirino di chiunque.

E ora era arrivato il momento di iniziare la scuola. Non c'era prospettiva che la uccidesse più di quella. Quando non frequentava le lezioni, almeno, poteva nascondersi quando non le andava di condividere la stessa aria di quella gente disgustosa. Ma ora, avrebbe dovuto sopportarli sempre, ovunque, in qualsiasi momento.

Scherzi crudeli, risatine e sussurri al suo passaggio, battute mordaci, pettegolezzi orrendi, e il resto di una serie infinita di torture. Non c'erra nient'altro per lei finché fosse rimasta a Hogwarts.

Che colpa ne aveva se Silente non faceva che ricordare a tutti di trattarla bene, ogni volta che ne aveva l'occasione? Che colpa ne aveva se era nata malata, se sveniva di tanto in tanto, se sputava sangue, se non poteva correre per più di dieci minuti senza restare in infermeria per giorni?

Lei non aveva chiesto neanche quegli occhi disgustosi. Si guardava allo specchio e pensava che non ci fosse niente di peggio. Tutti avevano paura di lei come i loro parenti avevano avuto paura della sua famiglia. Era forse per causa sua che era nata sotto il loro cognome? Non poteva farci niente.

Era consapevole che poteva "illudere" le persone semplicemente volendolo. Sapeva di poter leggere i sogni, poteva crearli, poteva cancellarli e poteva modificarli. Era in grado di fare qualsiasi cosa col cervello umano. Ma il potere che mai avrebbe desiderato e che era costretta a trascinarsi dietro ovunque andasse era la lettura del pensiero. La odiava. La considerava la più grande tortura che avesse mai sopportato. Non era in grado di impedire che i suoi occhi leggessero i pensieri di qualcun altro, erano due anni che ci provava, ma non ci era mai riuscita. E così, doveva sopportare non solo ciò che poteva sentire e vedere... ma anche ciò che cercavano di tenerle nascosto.

E solo lei poteva farlo. L'aveva detto anche Silente.

Non c'era nessuno che odiasse di più di quello stupido vecchio.

Si fingeva suo amico, forse credendosi d'aiuto... ma come poteva esserlo se l'aveva condannata a tutto ciò? Non era umano farlo quando si era a conoscenza delle conseguenze... Non era umano neanche sopportarlo. Non quando si è così giovani... quando di solito la propria vita è innocente e spensierata.

Sara aveva imparato di potersi trasformare in un animale, e aveva capito che era un corvo; quasi d'istinto aveva scelto un corvo al posto di un gufo, quando si era trattato di comprare un animale... e ora capiva che il legame non era stato una semplice conseguenza. Scoprì leggendo che era un Animagus. E nessuno lo sapeva. Due cose che le sarebbero state di vantaggio ma, visto quanto odiava sé stessa, non aveva nessuna intenzione di usare. Non avrebbe mai usato nessuno dei suoi poteri, appena fosse stata in grado di cancellarli tutti. Silente la stava obbligando, fra le altre cose precoci, a studiare Occlumanzia: era una buona occasione per impedire al suo cervello di lavorare, con quelle armi spaventose che possedeva dalla nascita.

Un centinaio di pensieri le affollavano la mente mentre camminava solitaria verso la Sala Grande. I quadri non la degnavano di uno sguardo, e neanche in fantasmi che passavano di tanto in tento. Solo Pix non la ignorava, ma da quando Sara lo aveva conosciuto, non aveva fatto che bersagliare la ragazzina di scherzi di pessimo gusto.

Sara aveva contemplato mille volte l'idea di buttarsi di sotto da una delle torri. Ma qualcosa l'aveva trattenuta. E non riusciva a capire cosa: sarebbe stata un'occasione perché tutti parlassero di lei con qualcosa di diverso dalla cattiveria, e comunque lei non avrebbe potuto sentirli.

Mai più.

Mai più voci rimbombanti nell'orecchio. Mai più quella vita disgustosa.

E invece si era fermata. Non ce l'aveva mai fatta, e questo contribuiva a farle calare ancora un po' l'autostima: probabilmente c'era una sola persona che odiava Sara più di quanto non la odiassero gli altri. E quella persona era sé stessa. Si odiava in modo ormai irrimediabile, un odio così viscerale da costringerla quasi al vomito.

Sì, decisamente il Bacio dei Dissennatori al confronto era una pacchia.

*

La professoressa McGranitt chiamava, come ogni anno, gli studenti uno per uno; questi indossavano il Cappello Parlante e, quando la loro Casa veniva annunciata, un'esplosione di applausi scaturiva dal tavolo cui il nuovo arrivato era stato destinato.

Candele fluttuanti illuminavano la Sala Grande con l'aiuto di grosse torce appese al muro. Per Sara, comunque, la sala era buia.

- Gray, Sara! - chiamò la McGranitt.

E lei non si mosse, sotto lo sguardo impaziente e imbarazzato della professoressa, e soprattutto, tra le risatine non troppo nascoste di tutti i commensali. Stava lì, in piedi, fissando il pavimento. Non era sicura di voler veramente stare lì. Perché Silente non la lasciava andare? Non cercava di aiutarla, no, altrimenti l'avrebbe fatta scappare via da tanto, tantissimo tempo... forse era soltanto un altro che amava prenderla in giro.

- G...Gray, Sara! - ripeté la professoressa a voce più alta. Le risate schiantavano da ogni parte in tutta la Sala Grande e Sara sentì un velo bollente scenderle sugli occhi... un velo opaco che le rendeva tutto invisibile... voleva trasformarsi in corvo, ma sapeva di non potere, non doveva permettere che qualcuno lo scoprisse... ma voleva volare via... voleva scappare, andarsene... no, lei non sarebbe rimasta a Hogwarts.

Uno spintone, e risate ancora più forti. Qualcuno dietro di lei l'aveva spinta... e lei era inciampata finendo a terra senza opporre la minima resistenza. Immediatamente un rivolo di sangue le era colato giù dall'angolo della bocca. Ma non le importava di niente.

Non più.

Si tirò su, ben consapevole che non aveva scelta: Silente la guardava fissa... la stava obbligando a quella vita che non voleva... perché faceva questo? Che gusto ci provava?

Il Cappello Parlante le fu calato in testa, e Sara si strinse nelle spalle. Era un segno di imbarazzo o di timore... ma lei non era arrossita. Non stava più bene come quando era a Diagon Alley. Tutte le speranze false e inutili che aveva nutrito per Hogwarts erano svanite in una nube di fumo, e di quella vita che si era illusa potesse migliorare non era rimasto che uno straccio nero senza alcuna volontà. Un vegetale. Un qualcosa che ormai si era del tutto arreso, che non aveva più voglia di lottare per niente.

Poi, una voce le parlò nella testa.

- Oh, suvvia, ragazza, apri quella testa, non posso certo assegnarti a una casa se non mi fai vedere che c'è dentro... -

Sara si sorprese: evidentemente il suo desiderio di non appartenere a quel mondo... di non esistere... era stato così forte che perfino il Cappello Parlante si era trovato di fronte a una porta chiusa quando aveva cercato di leggerle dentro. Stava quasi per sorridere. Ma poi si rese conto che non era un potere bello o utile: era mostruoso.

Cercò di rilassarsi, di respingere qualsiasi dubbio o rancore...

- Ecco, così va meglio... molto meglio. - Sara cercò di resistere allo strano formicolio che sicuramente gli altri non sentivano: era l'effetto che faceva l'incursione del cappello nei suoi pensieri. E si protrasse più a lungo di quanto non avrebbe dovuto. Sara aveva visto quanto poco ci aveva messo a smistare gli altri prima di lei, e allora perché la tirava tanto per lunghe proprio con lei? Ci teneva a ridicolizzarla ancora di più? - No, no, no, ti sei richiusa di nuovo... rilassati, ragazza mia, rilassati... non si sente alcun dolore, sai? - Sara strinse i pugni, rilasciandoli poco dopo con una nervosa espirazione. Era ridicolo che avesse bisogno di concentrarsi per essere come una persona normale, ma ormai aveva quasi accettato l'idea. - Bhe... sei difficile... che dire... c'è tanto coraggio qui, e lealtà... saresti un'ottima... - Sara guardò verso il tavolo dei Grifondoro, dove i soliti quattro non si erano ancora ripresi dalle risate, e sfoggiavano sorrisi maligni.

Qualsiasi cosa che non sia Grifondoro mi andà bene, qualsiasi, pensò intensamente, e come previsto il Cappello Parlante riuscì a leggere quella supplica.

- Ne sei proprio convinta? Non ho ancora conosciuto uno studente che rifiuti Grifondoro, ma... bhe, qui c'è anche l'astuzia... e un po' di ambizione... forse Serpeverde? Ma c'è un bel cervello, degno dei Corvonero... e... no, proprio non Tassorosso... bene, sei davvero complicata... e questo cos'è? - Sarà sentì una specie di strizza, ma non riuscì a distinguere se fosse la tensione oppure qualcosa di legato all'incursione troppo lunga del Cappello Parlante nella sua testa. - Ah, questo è l'odio... quanto odio... e c'è anche la vendetta... Voi giovani disturbati... comunque. se allora non vuoi Grifondoro, direi proprio... Serpeverde! -

Quell'ultimo grido risuonò violentemente nella Sala Grande, ma portava in sé qualcosa di gelido. Nessuno applaudì mentre Sara si sedeva, più in disparte possibile, al tavolo dei Serpeverde; solo un qualche battito di mani fugace e alquanto incerto, proveniente dal tavolo del professori. Sara colse lo sguardo preoccupato di Silente, ma lo ignorò. Non aveva bisogno di altra compassione, men che meno, poi, della sua.

- Chi l'avrebbe detto che avrebbero Smistato anche quella... - bofonchiò James Potter due tavoli più in là. - Pensavo che Silente la volesse tenere in uno scantinato, così almeno sarebbe stata al sicuro... -

- Logico che è finita in quella discarica di Serpeverde. - commentò acido Sirius senza curarsi che nessuno lo sentisse.

- Io invece pensavo che fosse troppo tonta per Serpeverde, - replicò l'altro. - E comunque è una Mezzosangue, che io sappia. Pensavo che nessun Mezzosangue andasse a Serpeverde. -

- L'ho incontrata, a Diagon Alley... al Paiolo Magico dicevano tutti che l'aveva assalita un Dissennatore. Ma penso che fossero ubriachi... nemmeno un Dissennatore potrebbe avere un tale senso dell'orrido. -

- Appunto. -

Sara non li sentiva, ma immaginava benissimo che cosa si stessero dicendo.

*

Sara fece immediatamente ritorno al Dormitorio, sgattaiolando lontano dall'attenzione del Prefetto dei Serpeverde, tanto per risparmiarsi la compagnia di qualche altro studente: ne aveva visti fin troppi, e ciò era un grave attentato ai suoi nervi, visto che voleva soltanto stare sola. Senza degnare neanche di uno sguardo il corvo che stava dormendo sul suo trespolo (non le andava di tenerlo alla Guferia), scribacchiò qualche pagina del suo diario, o piuttosto lo riempì di scarabocchi dettati unicamente dalla depressione, finchè decise che si sarebbe ficcata subito a letto fingendo di dormire; così avrebbe evitato sguardi carichi di disgusto, battute idiote e quant'altro da parte delle sue compagne di camera che, a loro dire, la sopportavano da fin troppo tempo.

Avrebbe voluto addormentarsi davvero per non sentire o sapere niente, ma il nervosismo e l'acidità che le gravavano sul cuore erano così forti che la tennero sveglia come un grillo fin quando non giunsero anche le altre tre ragazze. Erano del terzo anno: Sara aveva dormito in camera con loro da quando era arrivata a Hogwarts, e loro non l'avevano mai trovata particolarmente simpatica o piacevole di compagnia. Erano tra le persone più maligne che avesse mai conosciuto in vita sua. Era una sfortuna terribile che l'unica camera con un posto libero, quando lei era arrivata, fosse quella. Se almeno fosse stata in un'altra Casa, avrebbe potuto andarsene di lì ma dopotutto, che differenza avrebbe fatto?

Che lei sapesse, non una sola persona in tutta la scuola la risparmiava da ogni genere di scherzo o frase perfida, perciò tanto valeva restare dov'era.

- Che sfortuna! - esordì una delle tre, quando entrarono, gettando la sua uniforme sul letto. - Proprio a noi doveva toccare? -

Un'altra stava tranquillamente rovistando fra le cose di Sara.

- Guardate qua! - sghignazzò - con tutte queste medicine si tiene a mala pena in vita. Se gliele rompessimo? Sarebbe nei guai, no? -

E buttò a terra una boccetta, che s'infranse appena toccò il pavimento. Sara, abituata a questo, continuava a far finta di dormire, ma stringeva i pugni sotto le coperte.

- Chiudi la tenda, invece, Anna. - disse la terza, - non la posso vedere. -

Con una nota fin troppo evidente di disgusto, Anna chiuse le tende del letto di Sara, e lo fece con tale violenza che quasi le strappò. Poi le tre cominciarono a parlare sommessamente. Sara si concentrava per non leggere dalle loro menti quello che stavano dicendo e che lei non era in grado di sentire, ma non sempre ci riusciva.

A volte le facevano l'imitazione quando sveniva o tossiva, esagerando ognuno dei suoi sintomi, altre volte meditavano su quale maledizione lanciarle la prossima volta che l'avessero visto.

- Quella deficiente, - disse Anna - sempre a nascondersi dietro Silente! Perché è il Preside, naturalmente... non ho mai incontrato una persona più debole! Si merita almeno il doppio di tutto quello che le fanno. -

- Ti ricordi quando Daniels e gli altri l'hanno pestata l'anno scorso? Come frignava! -

- Sì, sì! E poi sviene sempre dappertutto. -

- Spero che trovino una scusa per espellerla. Sarebbe proprio il massimo. Finalmente avremmo la stanza tutta per noi senza quella scema con cui spartirla. Prende troppo spazio. Guarda lì... - e probabilmente fece un cenno verso il letto di Sara. Era probabilmente la più pigiata delle quattro. Per evitare che il trio di avvoltoi trovasse una scusa per tormentarla ancora di più, cercava di accatastare le sue cose in un angolo, nel tentativo di occupare sempre meno spazio possibile. Ma a quanto pareva, avrebbe dovuto far Evanescere il tutto per non dar loro fastidio. O forse neanche quello sarebbe bastato.

- Vorrei proprio vederla domani a lezione, come se la caverà. Anzi... meno male che siamo al terzo anno e lei al primo. Non potrei sopportarla anche in classe. -

- Io dico che sverrà al primo quarto d'ora. Ci scommetto almeno cinque galeoni. -

- Un galeone che ci farà subito perdere punti! E tu, Liz? -

Elizabeth simulò un patetico istante pensieroso che fece ridere le sue compagne, prima di scommettere dieci galeoni sul fatto che Sara avrebbe preso una punizione il primo giorno di scuola.

- Bhe, ma perché parlare di lei? - sbottò infastidita una di loro.

- Giusto, Ellie. Che ci dici del francese? - chiese Anna con tono malizioso.

- Mi ha scritto per tutta l'estate... - rispose Elise con una voce alquanto patetica e civetta - E' un vero peccato che studi a Beuxbatons... sai, sua madre è francese... Ma ci vedremo per le vacanze... mio padre non mi rifiuta niente. Ha detto che andremo in Francia a Natale. Non vedo l'ora di incontrarlo... poi devo farvi leggere qualcosa che mi ha scritto, oh, è davvero dolce... -

- Sarete una coppia adorabile... -

Sara sbuffò sommessamente per non farsi sentire, ma non poteva restare insensibile a quelle insinuazioni. Mai e poi mai Elise sarebbe stata una persona adorabile, non lo era neppure d'aspetto, e anche se fosse stata accanto al ragazzo più splendido del pianeta le cose non sarebbero cambiate. Le menti delle tre ragazze erano cariche di un'ipocrisia degna di un gruppo di zitelle. Sara non aveva mai visto un'amicizia più falsa e carica di gelosia di quella... ma dato che non aveva mai avuto amici, non poteva dirsi esperta in materia. Chissà se tutte le persone "amiche" erano così. Chissà se tutte erano invidiose l'una dell'altra, chissà se tutte erano civette e ipocrite, con quell'eterna puzza sotto il naso... chissà se erano felici.

*

La lezione di Pozioni allora si teneva nell'aula più luminosa di tutto il castello. Ricordava una vecchia soffitta; la polvere era molto spessa ed evidente sotto le falci di sole che entravano dalle grandissime finestre. I banchi, dato il vasto spazio a disposizione, erano ben distanti l'uno dall'altro e sparsi per la classe un po' alla rinfusa. La cattedra era anch'essa decisamente impolverata, posta su un piano sopraelevato del pavimento di legno.

La professoressa Mandragola era una tipa svampita e dall'andatura saltellante. La sua statura non era certo delle più invidiabili e aveva una voce alquanto stridula. Vestiva principalmente abiti dai colori pastello; sembrava molto vecchia, aveva dei cespugliosi capelli brizzolati e occhi verdi molto chiari. Nonostante l'aspetto quasi amabile, alcuni studenti del terzo anno che passavano di lì per recarsi a Trasfigurazione avevano avvertito le matricole che era meglio, molto meglio, non farla arrabbiare.

La sua nocetta stridula sembrava capace di far vibrare persino i vetri: gli studenti, nonostante la spiegazione lunga e noiosa, non sarebbero riusciti ad addormentarsi neppure sotto l'effetto di una pozione soporifera con quel parlottio squillante nei timpani.

Sara era quella che meno di tutti stava attenta. Il docile terrore da primo anno le scivolava addosso spingendola ad approfittare di ogni momento di distrazione. Il ronzio di una mosca imprigionata fra il vetro e la tenda, un volatile che passava, là fuori, il rumore dello spostarsi di una sedia. Come avrebbe potuto impegnarsi nella lezione, con tutti quei pensieri altrui che mulinavano nel suo cervello?

Avrebbe dato qualsiasi cosa per evitare di sentirli, ma se si fosse concentrata per scacciarli la sua attenzione sarebbe calata ancora di più.

- E ora voglio che prepariate la pozione di cui abbiamo appena parlato, - concluse la professoressa Mandragola sedendosi, con un sorriso quasi sornione.

Sara ebbe un fremito: non aveva sentito una parola.

Poco male, pensò, scriverà gli ingredienti alla lavagna...

Invece no. La professoressa stava ferma immobile ad osservare i suoi studenti che lavoravano. Tutti tranne Sara. E ora nel turbinio di pensieri che già aleggiava sulla sua mente si aggiungeva qualche inconfondibile battuta di scherno nei suoi confronti.

La Mandragola colse quella sua passività.

- Tu non hai intenzione di preparare la Pozione, Gray? -

- Lo farei, se la scrivesse alla lavagna. - rispose tranquillamente, vincendo l'ansia.

Qualcuno ridacchiò sommessamente.

- Scriverla alla lavagna? - sorrise la professoressa Mandragola, - Non hai bisogno che io la scriva alla lavagna, avendo ascoltato la mia spiegazione. -

- Non la ascoltavo, - confessò Sara con la medesima tranquillità.

Per un attimo un rossore infiammato indugiò sulle guance rugose della Mandragola, ma durò poco: il rossore divenne ben presto un verde intenso.

- Non la trovavi forse interessante, Gray? -

I risolini non erano più tanto celati. Sara alzò le spalle, ormai del tutto incapace di rispondere. Si sentiva avvampare; aveva conosciuto un imbarazzo ben peggiore di quello, ma non riusciva a controllarlo, ed immaginò di essere veramente molto rossa in viso.

La professoressa Mandragola scattò in piedi sbattendo due poderose manate sulla cattedra. Probabilmente il pavimento in corrispondenza del tavolo era rialzato per cercare di farla apparire un po' più imponente. Sara ebbe la disgustosa sensazione che gli occhi della professoressa fossero diventate due biglie d'argento, dardeggianti fiamme.

- Ci vuole una punizione, professoressa! - osservò Emma Dawson, una ragazza al primo anno di Serpeverde.

- Silenzio! -

Sara era terrorizzata, e per una volta i suoi pensieri erano in sincronia con quelli altrui: perché in effetti tutti erano terrorizzati. Gli occhi della professoressa Mandragola avevano emanato dei bagliori impossibili da non cogliere, e un istante dopo Emma Dawson era rimasta pietrificata, fissa nella sua posizione. I cappelli bianchi e lanosi della professoressa erano ora vagamente rassomiglianti a corti rettili ondeggianti, e le unghie le erano di colpo cresciute.

- Punizione per Gray, Dawson, e per te, laggiù!, - e puntò un dito artigliato contro un ragazzo in ultima fila che stava indietreggiando ancora di più con la sedia, tentando di nascondersi. Il ragazzo si drizzò immediatamente sulla sedia sudando di paura - ...sì, proprio a te, Stebbins! -

- Gray! Tu non solo toglierai quindici punti a Serpeverde, ma trascriverai venticinque volte il tema di sessantasette centimetri sugli usi dell'Amanita Trinciapollo, e lo farai oggi! Dawson! - continuò, latrando, puntando gli occhi di nuovo contro la studentessa pietrificata - Ripulirai alla perfezione questa stanza fin quando il più piccolo granello di polvere non sarà volato via! Senza magia! Chiaro?... Dawson! DAWSON!?? -

Emma non dava segno di rispondere alla professoressa Mandragola.

- E'... è... - azzardò un Tassorosso, alzando timidamente la mano.

- Che cosa diavolo vuoi, Hornby!? -

- Lei è... è... è... - alla fine Hornby deglutì, e disse, a voce tanto bassa che anche il suo vicino di banco dovette tendere l'orecchio: - ...pietrificata. -

Il silenzio cadde imperturbabile, e negli istanti della sua durata la professoressa Mandragola fissò gli studenti uno per uno, gli occhi fiammeggianti; pietrificò almeno altri tre ignari alunni, e aveva l'espressione di chi è costretto ad ammettere l'evidenza ma ha subito un'onta degna d'ogni sorta di punizione.

- E... e... va bene! E allora voi le riferirete ciò che dovrà fare! Stebbins? Tu riordinerai per argomenti tutti i libri della biblioteca! Fila! Marsch! -

- Ma... c'è... ho... abbiamo... lezio... -

- Non m'interessa! - ululò Mandragola - Muoviti! -

Immediatamente Frank Stebbins lasciò la stanza, correndo come una pazzo, e la professoressa si volse verso Hornby, ansante.

- Hornby, quaranta punti in meno per Tassorosso! Sì, Hornby, sì, quaranta! Per avermi contraddetta! Qualcosa in contrario!? - I Tassorosso la guardavano con un'espressione più che terrificata. La professoressa Mandragola uscì come una furia dall'aula, sbattendo la porta con tanta forza che la scardinò, e si rifiutò di terminare la lezione di due ore che spettava agli studenti quella mattina.

E loro rimasero lì, incerti se andarsene, se avvertire qualcuno, se terminare la pozione...

Quando, allarmata dal galoppare di Stebbins per i corridoi, giunse Madama Chips, ordinò agli studenti di tornare immediatamente nei loro dormitori e augurando loro di non incontrare più la professoressa Mandragola mentre era arrabbiata.

*

Era con estrema riluttanza che Sara aveva fatto ritorno alla Sala Comune dei Serpeverde. Forse per il pensiero che avrebbe dovuto ricopiare un tema lunghissimo venticinque volte. Non la preoccupava il fatto di incontrare qualcuno, perché tutti erano ancora a lezione e ne avrebbero avuto fino a metà pomeriggio. Non aveva intenzione di presentarsi in Sala Grande per il pranzo. Avrebbe finito i venticinque temi di sessantasette centimetri prima che qualcuno la vedesse. Avrebbe volentieri evitato di farlo, in fondo bastava illudere la professoressa che non avesse mai chiesto una cosa simile. Ma non avrebbe funzionato tanto a lungo, Sara sapeva che prima o poi l'illusione sarebbe crollata.

E comunque, disse una vocina dentro di sé, se lo meritava.

Il fatto che anche qualcun altro avesse preso una punizione e che, contro i suoi quindici punti, i Tassorosso ne avessero persi quaranta in un colpo solo, non era che una magra consolazione. Per evitare ancora meglio che qualcuno la notasse, si chiuse fra le tende del suo letto e baldacchino e si mise a fare i temi sotto le coperte. Nessuno aveva freddo come lei, e quando tutti erano in maniche corte lei portava ancora dei maglioni; era un altro motivo per prenderla in giro, naturalmente.

Il corvo s'insinuò in un apertura delle tende del suo letto e si appollaiò sulla sua spalla. Sara gli sfiorò il muso con la piuma d'aquila, pensando che in fin dei conti era il suo unico amico.

Cercava di scrivere con la miglior grafia possibile, ma era così arrabbiata che ogni parola le veniva ritorta e allungata. Il problema più grande non era trascrivere venticinque volte il tema ma buttarne giù la prima copia. Era solo il suo primo giorno di scuola, e nonostante avesse trascorso i due anni che lo avevano preceduto in biblioteca, non sapeva niente dell'Amanita Trinciapollo. Riuscì a copiare qualcosa dal libro di testo - non aveva nessuna voglia di andare in biblioteca, magari per incontrare Stebbins che le avrebbe sicuramente dato la colpa per aver fatto arrabbiare la professoressa Mandragola - e tentò di allungare i discorsi più che poteva, e lasciare più spazio fra una riga e l'altra. Non raggiunse esattamente i sessantasette centimetri a causa della sua grafia sottile e minuscola: arrivo solo ai sessantacinque, ma alla professoressa sarebbe andato bene lo stesso. Forse.

Rassegnata ormai alla tempesta che ribolliva nel fondo delle sue viscere, tirò fuori un'abbondante quantità di fogli di pergamena e prese a ricopiare il tema.

Le ore passavano e lei continuava a scrivere come non aveva mai scritto in vita sua. La tensione saliva ogni volta che sentiva delle voci in corridoio, ma fortunatamente nessuno era ancora entrato nella stanza.

Nessuno, tranne i tre avvoltoi.

Sara strinse i denti pregando che non la notassero, e cercò di reprimere i colpi di tosse con tutte le sue forze: non ci teneva affatto ad essere scorta.

Per fortuna erano venute solo ad accompagnare Anna, che doveva prendere il suo manico di scopa per l'allenamento di Quidditch. Sara trasse un immenso sospiro quando se ne andarono, ma il vulcano dentro di sé esplose inesorabile al sentir dire a Elizabeth:

- Mi dovete dieci galeoni. -

E tutte e tre scoppiarono a ridere.