Capitolo 3
Conseguenze
Il giorno dopo Natasha fu svegliata dai potenti raggi del primo sole che filtravano tra le fessure nelle assi. Per un attimo si chiese dov'era: le capitava quasi tutte le mattine, da quando era arrivata a Fort Carolina. Poi realizzò tutto e si preparò ad affrontare un'altra giornata di lavoro. Sperava con tutto il cuore di non incontrare Tavington durante il giorno, ma sapeva che le sue speranze erano vane. A quanto le aveva detto Tom il pomeriggio prima, di solito il Colonnello si prendeva due giorni di riposo dopo una battaglia. Due giorni che avrebbe trascorso interamente a Fort Carolina. Natasha sospirò. Durante la notte aveva riflettuto molto sulla sua situazione, sullo sporco accordo che aveva raggiunto con Tavington, ma non era riuscita ad elaborare molto o a cambiare qualcosa. Le cose stavano proprio così, non c'era nulla da fare: per la salvezza di suo fratello doveva vendersi a lui. Non riusciva a stabilire se quello fosse un prezzo alto, giusto o basso; ovviamente la vita di Rupert valeva molto di più della sua verginità, ma erano comunque due cose importanti. Due cose che, una volta finite, non sarebbero tornate indietro. Se lei avesse rifiutato di concedersi a Tavington, Rupert sarebbe stato ucciso da lui. Se invece lei manteneva fede al suo patto, Tavington l'avrebbe violentata. E' terribile, ma sicuramente ho fatto la cosa giusta. Non voglio che Rupert muoia, l'unico parente che mi è rimasto sulla Terra! Natasha si era accorta di non considerare più Sharon come sua sorella: aveva bisogno di parlarle, per sapere se lei l'avesse dimenticata, se le voleva ancora bene, se era costretta a fare quello che l'aveva vista fare l'altra sera. Il che era sia probabile che improbabile. Poteva essere possibile che alcune delle prostitute del campo fossero obbligate a fare quel lavoro, perché Natasha si ricordava fin troppo bene che Tavington aveva quei programmi proprio per lei. D'altra parte, era difficile dimenticare la felicità che si era dipinta sulla faccia di Sharon quando Tavington l'aveva scelta per passare la notte con lui. Probabilmente sta solo recitando una parte che è costretta a fare. Nessuna di quelle ragazze voleva davvero andare a letto con Tavington. Eppure quando le aveva viste era rimasta così sconvolta...
****
Sei ore dopo, a mezzogiorno, Natasha si ritrovava accucciata in un angolino della sua nuova "camera". Aveva freddo, molto freddo. Il legno delle pareti lasciava filtrare tutto il gelo esterno, insieme a qualche fiocco di neve. Natasha si mise le mani a coppa e ci soffiò dentro, per riscaldarsi. Aveva lavorato costantemente tutta la mattinata, spazzolando e pulendo i cavalli. Cominciava a conoscerli meglio e ad affezionarsi a loro, persino a quello del Colonnello Tavington, che era forse l'esemplare maschio più bello di tutti quelli nella stalla. Era un colosso; alto e marrone scuro, era sempre molto energico e rumoroso. Natasha aveva fatto molta fatica a calmarlo, la notte prima. Ma la sua preferita era Daisy. Sentiva di avere strane somiglianze con lei e le piaceva spazzolarle il bel manto nero lucido. Ormai, a forza di accarezzare i cavalli e occuparsi di loro, le dolevano i muscoli del braccio, ma sinceramente preferiva di gran lunga mettersi al lavoro che starsene lì al patire il freddo. Almeno il fiato dei cavalli la teneva bene al caldo. Più di ogni cosa Natasha voleva qualcuno con cui parlare, qualcuno che la distraesse dai pensieri cupi della sua mente: dai pensieri sui suoi genitori, su Alan, dalle preoccupazioni per Rupert, dalle domande senza risposta sul conto di sua sorella, dal freddo, da Tavington... Fu per questo che quando la porta della stalla si aprì, Natasha drizzò la testa immediatamente. Era Tom che, sorridente, le stava portando un vassoio con il pranzo. -Buongiorno, Natasha. Tutto bene?- disse, mentre saliva disinvoltamente la scala a pioli tenendo il vassoio con una sola mano. -Non c'è male- mentì Natasha, facendosi da parte per lasciarlo passare. Lui si sedette accanto a lei e le porse il vassoio. -Grazie- disse Natasha, afferrando un sandwich. Non si era accorta di quanto fosse affamata. -Senti, Natasha... devo parlarti di una cosa- esordì Tom, guardandola serio. -Di che si tratta?- chiese Natasha, la bocca piena di insalata e formaggio. Tom esitò. Quindi disse: -Ieri sera, quando stavo lavorando su alcune carte, ho lanciato per caso un'occhiata fuori dalla finestra e ho visto... ho visto Tavington entrare nella stalla- Natasha smise di masticare. Tom la guardò, quindi le si avvicinò quasi quanto il giorno prima, quando si stavano per baciare. -Volevo solo chiederti cosa ti ha fatto- Natasha evitò il suo sguardo. E adesso? Dirgli la verità avrebbe condannato a morte Rupert. Doveva mentire. -Non mi ha fatto niente- disse, schiva. Tom alzò le sopracciglia. -Vorrei che fosse così, ma so che non è vero. Sono qui in questo forte da quasi un anno e conosco il Colonnello Tavington. Non è mai andato nella stalla solo per fare una passeggiata. Dimmi la verità- Natasha sospirò. -Doveva solo... parlarmi- buttò lì. -Natasha, ho visto come ti guarda. Sono pronto a scommettere che ha cattive intenzioni su di te. E' capace di...- -So benissimo di cosa è capace!- ribattè Natasha arrabbiata –Si può sapere perché mi stai dicendo di stare in guardia da lui quando ha ucciso i miei genitori e mio fratello?! Credi davvero che sia così stupida da non temerlo?!- -Non ho detto questo!- disse Tom, guardandola fisso –Ti ho solo chiesto cosa ti ha fatto ieri il Colonnello, Natasha, perché so che ti ha fatto qualcosa..., come puoi negarlo?- Natasha sospirò profondamente. Quindi appoggiò il sandwich sul vassoio e si seppellì il viso nelle mani. -Tom, non posso- singhiozzò –Ti prego, non chiedermelo più. Non posso dirtelo- Tom la guardò con apprensione. -Natasha, io sono preoccupato per te! Ieri sera avrei voluto venire a vedere cosa stava succedendo, ma poi ho cambiato idea, pensando che forse Tavington era andato a prendere un cavallo per fare una cavalcata o qualcosa del genere. Poi ho visto che è stato là dentro molto tempo, troppo. Ho cominciato ad insospettirmi. Stavo per lasciare tutto e venire a controllare, ma proprio in quel momento ho visto Tavington uscire. Quando è rientrato, gli ho chiesto cosa fosse andato a fare. Mi ha risposto: 'Due chiacchiere con la signorina Halliwell'. La sua risposta mi ha preoccupato ulteriormente, ma ho pensato che dal momento che non avevo sentito urla, né gemiti, né richieste d'aiuto, tu stessi bene e fosse stupido avere tutte queste paure. Ma ieri notte non sono riuscito a dormire. Mi sono maledetto per non essere neppure venuto a vedere se stavi bene. Ed ora che sono venuto tu non sai cosa raccontarmi. Ti prego Natasha, dimmelo e vedrai che risolveremo tutto. Non devi sopravvalutarlo. Ricordati che qui il capo non è lui, bensì Cornwallis, che è un gentiluomo. Parlamene e troveremo una soluzione- Natasha lo fissò negli occhi. Era così sincero, buono, rassicurante. Doveva valutare le possibilità che aveva. Se gli avesse raccontato tutto, le probabilità che suo fratello non venisse ucciso si assottigliavano, perché per contro era più probabile che Tavington venisse a sapere che lei lo aveva raccontato a qualcuno, infrangendo le regole del patto. Ma se lei lo avesse raccontato a Tom, poi si sarebbe sentita meglio, e lo sapeva. Se invece non glielo avesse detto, sarebbe stata sempre peggio, schiacciata dalla malvagità di quell'accordo che era stata costretta a stipulare. Ma almeno suo fratello sarebbe stato al sicuro. Un momento... chi le assicurava che, se lei si fosse concessa a Tavington, lui non avrebbe ucciso ugualmente suo fratello? Dannazione, a questo non aveva pensato... -Natasha?- Natasha diede in un piccolo sobbalzo: si era quasi dimenticata che Tom fosse ancora lì. Ci mise qualche secondo a ricordarsi che domanda le avesse fatto. -Tom... io...- era ancora profondamente incerta –Non posso dirtelo. Non adesso, almeno. Ti prego, non complicarmi le cose. Ti prego- Tom abbassò lo sguardo e sospirò. -Natasha, capisco che per te dev'essere difficile tutto questo. Io stesso al tuo posto non so se sarei resistito. Ma...- deglutì –se Tavington ti ha fatto del male, devi dirmelo. Immagino che lui ti abbia minacciato di morte o qualcosa del genere per fare in modo che tu non lo dicessi a nessuno, vero?- Natasha esitò. Questo poteva dirlo. Annuì. -Sì, è così. Ma non voglio più parlarne- -Non riesco a non parlarne! Non riesco a pensare che lui ti fa del male e io sono qui a stare a guardare senza fare niente per proteggerti- -Proteggermi?- ripetè Natasha. Nessuno prima le aveva mai detto una cosa del genere. Tom voleva proteggerla. Da Tavington. Protezione. La cosa di cui lei aveva più bisogno in quel momento. E lei la stava rifiutando così, senza indugi. La posta in gioco è troppo alta... si ripetè nella mente. Bastava un piccolo sgarro e Rupert sarebbe morto. -Sì, proteggerti. Io... io...- sembrava che Tom cercasse di trovare le parole giuste per esprimersi –io tengo a te, Natasha. Non voglio che tu soffra- così dicendo le accarezzò con un dito la guancia. Quel gesto la riscaldò molto più della coperta bucherellata che teneva sulle spalle per proteggersi dal freddo. Natasha alzò lo sguardo. -No, Tom, non mi ha fatto del male- rispose brevemente. -Mi stai dicendo la verità?- chiese lui. -Sì- rispose Natasha. Quella era una bugia solo in parte: è vero che il giorno prima Tavington non l'aveva ferita fisicamente, ma la sofferenza psicologica che le aveva inflitto non aveva eguali. In fondo non è neanche tutta colpa sua. Anzi, per la maggior parte è colpa mia. E' colpa della situazione. Ovviamente se Tavington non avesse appeso la vita di mio fratello ad un filo, io non avrei avuto bisogno di arrivare a questo punto. Ma d'altra parte non è stato Tavington a proporre il ricatto. L'ho dovuto stipulare io e lui l'ha accettato. Avevo proprio ragione, ieri. In ogni caso avrebbe vinto lui. Ma ora ho paura di aver fatto la scelta sbagliata... se Tavington mentiva? Se ucciderà Rupert ugualmente? L'espressione sul viso di Tom si rasserenò, ma non del tutto. Era chiaro che si stava domandando se Natasha stesse dicendo il vero. Ed anche il fatto che Tavington l'avesse minacciata di morte se avesse detto a qualcuno che lui non le aveva fatto del male non lo convinceva. -D'accordo, non parliamone più se non vuoi- concluse lui. Trascorsero il pomeriggio chiacchierando sui cavalli e sulla guerra. Con grande sollievo di Natasha, Tom non nominò più Tavington nè fece riferimenti a ciò di cui avevano parlato prima, anche se continuava a studiare ogni minimo movimento che la ragazza faceva, cosa che la infastidiva tanto che ad un tratto si sentì costretta a riaprire il discorso. -Tom, si può sapere perché mi guardi così?- sbottò. Lui impiegò qualche secondo per rispondere: -Bè... sarai stanca di sentirtelo ripetere, ma sono preoccupato per te. Molto preoccupato- -Ma non ne hai motivo! Perché tutte queste angosce?- Tom sospirò. -Non mi hai detto la verità- Natasha deglutì chiedendosi se davvero non fosse neanche capace di raccontare bugie. -Cosa... cosa te lo fa pensare?- Tom la guardò dritta negli occhi. -Natasha, hai ammesso che lui ti ha minacciata di morte se tu me l'avessi detto, e poi mi racconti che non ti ha fatto niente. Perché allora ti ha minacciata?- Natasha abbassò lo sguardo e non rispose. Tom era troppo furbo. Che stupida era stata. -Ma la mia non è curiosità- continuò Tom -E' apprensione. Sappi che se tu non me lo dirai --e sono sicuro che hai le tue buone ragioni se non lo fai-- lo cercherò di scoprire da solo. Il problema è che così mi complichi le cose. Natasha, di cosa hai paura? Se lo dici a me, puoi stare certa che non lo andrò a dire ad anima viva. Te lo assicuro. Hai la mia parola- La mia parola... pensò Natasha. Era la stessa cosa che lei aveva detto a Tavington il giorno prima. -Ho dato anch'io la mia parola al colonnello che non l'avrei detto a nessuno. C'è una vita in gioco, Tom, oltre la mia. Ormai è diventata una questione tra me e il Colonnello Tavington. Non posso rischiare di dirtelo. Non è che non mi fidi di te- aggiunse in fretta, perché Tom aveva aperto la bocca arrabbiato -E' che non posso tradire la mia parola. Se vorrai scoprirlo da solo... bè... questo non posso impedirlo. Ma non posso dirtelo- Tom scosse la testa, senza capire. -Credimi Tom... vorrei tanto confidarmi con te. E' un peso troppo pesante per me e ho bisogno dell'aiuto di qualcuno. Quindi oserei dire che forse è solo questione di tempo. Forse un giorno, se ancora non l'avrai scoperto, te lo dirò- Tom sospirò profondamente. -Cercherò di scoprirlo da solo, allora. Capisco la tua posizione, Natasha. Ma ti prego, giurami una cosa- Natasha lo guardò implorante. -Dipende cosa, Tom- -Giurami che se lui ti farà del male tu verrai a dirmelo immediatamente- Natasha valutò per un attimo la richiesta di Tom. Nel patto che aveva fatto con Tavington forse non si sarebbe fatta male... forse non avrebbe dovuto soffrire per salvare suo fratello. Invece sì, si disse, Il Colonnello Tavington è un uomo malvagio e calcolatore. Sono certa che sfrutterà al meglio tutte le possibilità che il nostro accordo gli offre. Bastardo. -Và bene, Tom- Sì, se però Tavington le avesse fatto del male, troppo male (un po' si aspettava di soffrire, ma fino a quello che riusciva a sopportare), lei sarebbe andata a raccontare tutto a Tom. Si fidava ciecamente di lui. E poi, erano in una stalla, come avrebbe mai fatto Tavington a scoprire che lei lo aveva detto a qualcuno? I cavalli di certo non avrebbero parlato...
****
Era quasi il tramonto quando Tom si congedò da lei. Natasha riprese ad occuparsi dei cavalli. Mentre riempiva le mangiatoie, rifletteva. Era incredibile quanto avesse bisogno di riflettere in quei giorni. Troppe cose erano successe, troppe preoccupazioni la soffocavano. Ogni giorno ne arrivava una nuova. E adesso era ancora sola, a pensare, a rimuginare, a ricordare... -Basta- mormorò, mentre faceva cadere per sbaglio del fieno sul pavimento. -Basta?- una voce la raggiunse dall'entrata della stalla. Natasha si voltò, sapendo fin troppo bene chi avrebbe visto. Tavington le si avvicinò, con il solito tung tung dei suoi pesanti stivali e della spada che tintinnava. I suoi occhi azzurri la immobilizzarono prima che lei potesse dire una parola. -Basta cosa, Natasha?- Lei abbassò lo sguardo sul fieno che aveva fatto cadere. -N-nulla, parlavo da sola- balbettò, mentre lui si avvicinava tanto da non consentirle di vedere altro che la sua divisa. Le labbra di Tavington si incresparono e le sue dita iniziarono a passarle tra i capelli. Rimase lì, ghignante, ad osservare ogni riflesso ramato con attenzione e estasi. Natasha tremava. -Perché siete qui, Colonnello?- domandò lei timidamente, cercando di distogliere la propria mente dal pensiero del dolce gioco che le dita di lui facevano con i suoi capelli. -Volevo rammentarti la tua promessa, Natasha- disse lui. La sua voce era roca, bassa, mormorante. Il corpo di Natasha si irrigidì. Sentir pronunciare il loro patto da lui, in qualche modo, l'aveva resa ancora più depressa. Forse aveva mezzo sperato che se ne dimenticasse, o che provasse pena per lei e decidesse di lasciare in vita suo fratello senza niente in cambio. Ma anche queste speranze (già flebili, remote e fioche) erano state calpestate da quegli stivali neri, come tutte le speranze che aveva nutrito nei giorni precedenti. La speranza che quella ragazza non fosse Sharon, la speranza che non avrebbe mai più visto Tavington, la speranza che i suoi genitori e Alan fossero sopravvissuti... -E' una promessa difficile da dimenticare- mormorò lei. Lui sorrise, alzandole il viso con due dita e costringendola a guardarlo negli occhi. -Voglio vederti stasera. Nella mia stanza- disse in un sussurro roco. Paura, terrore e violenta apprensione le attraversarono lo stomaco come un'onda devastatrice. Un lungo brivido scosse la sua spina dorsale. Espirò profondamente per scacciare quell'angoscia pesante e fitta che le invadeva il corpo. Ma non era possibile. All'improvviso si sentì fragile e piccola, nelle mani di un uomo forte, potente e soprattutto adulto. Per la prima volta, nonostante le ore trascorse a rifletterci sopra, si rese conto che quel patto, quel terribile, sporco, odioso patto era stato stipulato troppo in fretta. Lui era un uomo fatto, lei una ragazza di quindici anni. Non era alla sua altezza. Lui l'avrebbe usata per soddisfare stimoli che lei non conosceva, dei quali non sapeva nulla. Le cose sporche che lui aveva pianificato di fare con lei le erano sconosciute. Non si sentiva alla sua altezza affatto. Non era pronta. Non quella sera, non con lui. -Io... io...- Dì qualcosa, qualcosa di furbo, Tasha... pensa... pensa... Tavington la guardava ancora, studiando con evidente piacere le sue reazioni. -Stasera è la sera nella quale ho il permesso di uscire. E' la mia uscita settimanale- disse, d'un fiato, sperando che Tavington rimandasse. Il Colonnello alzò le sopracciglia con fare arrogante: -Quanto potrai stare di fuori?- Natasha deglutì, pensando tristemente che il suo piano improvvisato non stava funzionando affatto. -Un' ora- mormorò, tremante. -Non vedo quale sia il problema, allora- disse lui, circondandola con le braccia. Natasha si ritrovò ancora una volta a fissare i bottoni dorati della sua divisa. Il problema è che ho commesso un errore. Ci dev'essere qualche altro modo per salvare Rupert, non posso fare ciò che mi ha chiesto Tavington... come posso...? Lei alzò la testa per fissarlo: -Non c'è...- deglutì -Non c'è nessun altro modo per salvare mio fratello, Colonnello?-
****
Tavington osservò il viso della ragazza che teneva fra le braccia in ogni particolare. Era un viso impaurito, supplichevole. Con quei bellissimi occhi ambrati rilucenti di lacrime, quelle labbra tremanti... Che labbra invitanti... Così morbide, rosate, innocenti... Sì, "innocente" era sicuramente una perfetta definizione per Natasha Halliwell. La ragazza era così delicata e pura... pronta a sacrificarsi per i suoi familiari, ma non per questo combattiva... no, di certo lei non era una dura. Non aveva un caratterino arrogante, nè era maliziosa come quelle galline senza cervello che erano le puttane dell'accampamento. Natasha era molto diversa da loro. Era diversa da tutte. Tavington si era scoperto a pensare a lei molto più del dovuto. Erano molte le ragazze, o le donne che lo attraevano, ma a nessuna aveva mai pensato così ripetutamente. Per lui tutte quelle donne erano solo giochetti, passatempi per una notte o due. Dopotutto, come si fa ad innamorarsi di una puttana? Ci scopi e basta... Ma questa ragazza... cosa diavolo aveva di speciale? Tavington se lo domandava in continuazione, soprattutto quando i suoi piedi, presi da un istinto indipendente e irrazionale, iniziavano a incamminarsi verso la stalla. Perché perdeva tempo con questa ragazzina? Perché preferiva lei ad una trentina di donne molto più attraenti? Il Colonnello Tavington non ne aveva la più pallida idea, proprio no. Sapeva solo che non vedeva l'ora di portarsela a letto, di baciarla, di imprigionarla con le sue braccia e costringerla a stare ferma mentre lui la spogliava... Quella tunica che lei indossava... era assolutamente disadorna, semplicissima, eppure lo eccitava molto più dei vistosissimi vestiti delle prostitute. Era praticamente uno straccetto, bianco ma strappato e sporcato in più punti, con una scollatura molto ampia ma casuale e sotto... eh, sotto era nuda. Già, sotto non doveva avere nulla. In ogni caso, non vedeva l'ora di scoprirlo. Rimase ad osservarla, ignorando completamente la sua domanda...
****
Natasha distolse lo sguardo da quegli occhi gelidi, mentre sentiva le lacrime giungerle spontanee. Ora la stava anche ignorando... era tutto inutile. Lui non avrebbe cambiato idea, l'offerta era troppo allettante. Come si poteva essere tanto crudeli? Natasha sospirò. -D'accordo. Stasera nel vostro appartamento- biascicò, cercando di non dare peso a ciò che stava dicendo -Come farò a trovarlo?- La sua domanda sembrò risvegliare Tavington da una profonda fantasia. -Il mio appartamento è l'ultima porta a destra del primo corridoio a destra, nell'ingresso. E' il corridoio più grande, lo vedrai subito- Natasha fece un respiro lento e profondo, cercando prima di tutto di riprendere il controllo di sé stessa, poi di smettere di tremare. -A che ora devo venire?- chiese con voce malferma. -Verrai all'una di notte e sii puntuale o saranno guai- -Non ho orologi con me!- protestò lei, mentre i denti le battevano. -Questo- disse Tavington con tono freddo -è un problema tuo. E mi raccomando: non farti vedere da anima viva, intesi?- -Come faccio?!- esclamò lei, in preda al panico. C'erano guardie al portone del palazzo giorno e notte: era impossibile entrarvi o uscirvi senza essere visti. -Le guardie sanno che tu sei la stalliera. Non ti degneranno di uno sguardo-
Natasha abbassò la testa. C'erano così tante cose che avrebbero potuto andare storte... e lei avrebbe dovuto correre tanti rischi per una cosa che non voleva assolutamente fare... Ricordati di Rupert. Sì, se ne ricordava. Era per lui che faceva tutto questo e non doveva rimpiangere la sua scelta. Per lui avrebbe venduto la sua anima al Diavolo... ed in effetti era quello che aveva appena fatto.
****
Tavington lasciò la stalla pochi minuti dopo, lasciando sola una Natasha ancora tremante e preoccupata. Che ore erano? Il tramonto era già passato da un po' e la sera cominciava a scendere. Natasha guardò da una fessura della stalla il cielo bluastro con sfumature azzurre. La luna già appariva lassù, alta, serena, senza problemi. Sarà questa stessa luna che mi vedrà perdere la verginità... -Piantala, Tasha. Smettila di pensarci- si disse per l'ennesima volta. Di nuovo si domandò che ore fossero. Dovevano essere le sette, le sette e mezza, forse le otto. Ciò significava che tra non molto sarebbe arrivato Tom con la cena. Aveva bisogno di stare un po' con lui, di distrarsi, prima di... Smettila. In effetti pochi minuti dopo la porta della stalla si aprì ed entrò Tom. -Ciao Tasha, buonasera. Ecco qui la tua cena- disse, salendo come al solito la scala a pioli per arrivare da lei. -Grazie Tom. Sono davvero affamata- Un'altra bugia. Lo stomaco le si era chiuso, la testa le girava, c'era nell'aria un senso di irrealtà e le sembrava di sentire in lontananza una lancetta di orologio che faceva tic tac tic tac e le ricordava che ogni secondo che passava lei era sempre più vicina a Tavington... forse stava impazzendo. Può darsi, si disse, mentre mangiava gli avanzi di caviale che Tom era riuscito a procurarle, Non mi stupirei affatto se fossi impazzita del tutto. Ma era ancora determinata a non fare notare nulla di strano a Tom. Lui non doveva saperne niente. Così, fingendo di essere addirittura di buon umore, stette ad ascoltare il racconto di
Tom su come avesse rubato il caviale dalle cucine. Tom appariva felice di vedere che finalmente Natasha si trovasse allegra. Quanto a lei, le facevano male i muscoli facciali a forza di sorridere ed ogni sua risata risuonava più falsa dell'altra. -Tom, mi piacerebbe usare questa sera come mia uscita settimanale. Posso?- chiese Natasha col tono più naturale possibile, pulendosi la bocca con un tovagliolo. Tom sorrise: -A dire la verità ci vorrebbe il permesso di un ufficiale per farti uscire, ma visto che in questo momento stanno tutti ubriacandosi... perché no?- -Grazie mille- disse lei con una vena di vera felicità, stavolta. Chissà, forse una boccata d'aria le avrebbe fatto davvero bene. Pochi minuti dopo uscivano dalla stalla, Natasha con una coperta sulle spalle per proteggersi dal freddo. Aveva smesso di nevicare da circa una settimana, e la neve si era quasi completamente asciugata, ma la temperatura era lo stesso molto bassa e il respiro si condensava in nuvolette ogni volta che aprivano bocca. -Hai scelto proprio una bella serata- le disse Tom, prendendola per mano -C'è una luna stupenda- -Già- rispose lei distrattamente, mentre i suoi pensieri precedenti sulla luna le tornavano in mente. Li scacciò scuotendo leggermente la testa. -Ho un'idea- disse Tom, guardandola negli occhi -Ti và di venire nel cortile dietro il palazzo? Non è proprio un paradiso, ma c'è una panchina e addirittura qualche fiore. Là c'è una vista magnifica- -Per me và benissimo- acconsentì lei, mentre lui la conduceva dietro il palazzo. Il luogo di cui aveva parlato Tom era senza dubbio l'angolino migliore di tutto il forte, pensò Natasha nonappena vi giunsero: non era molto grande, ma per terra cresceva rigogliosa un'erbetta all'inglese il cui verde era brillante anche di notte; qualche fiore campestre ondeggiava qua e là nella leggera brezza notturna e tra la murata del palazzo e la staccionata era stata posta una vecchia panchina di legno dall'aria robusta. -Vieni- le disse Tom, accompagnandola alla panchina e facendola accomodare. Lui si sedette accanto a lei. Per qualche minuto rimasero in silenzio, con i giovani visi rivolti al cielo stellato. Anche se con difficoltà, Natasha riuscì a dimenticare, almeno in parte, cosa la aspettava quella sera stessa: il suo sguardo, come la sua mente, si era dilettato a perdersi nell'immensità del cielo e delle sue sfumature vellutate. -Fa dimenticare ogni preoccupazione- mormorò, senza staccare gli occhi dall'immensità. Tom la guardò, ma Natasha impiegò qualche secondo ad accorgersi che lui la stava fissando. -Se solo potessi sapere cosa ti angoscia...- disse lui, ed il suo sguardo era intenso, profondo. Una lacrima scivolò sulla guancia di Natasha. Il mondo le stava cadendo addosso. Era una povera disperata e la sua vita futura sarebbe stata un susseguirsi di sofferenze, ansie e dolori. E non ne avrebbe mai parlato con nessuno, tenendosi tutto per sé, aggiungendo carico a carico sulla sua povera anima lacerata... Tom, come se avesse appena visto cosa Natasha stesse pensando, la strinse forte a sé. Lei si rannicchiò tra le sue braccia, piangendo forte sul suo petto. Lui appoggiò la testa su quella di lei, chiudendo gli occhi. -Scusa, non importa- le sussurrò. Natasha non riusciva più a smettere di piangere, ora che aveva cominciato. Era troppo. Troppo. -Tom, ho tanta paura!- singhiozzò -Io... io non ce la faccio...- -Shh- la quietò lui -Non avere paura, Tasha. Ci sono io qui. Ci sono io- Quelle parole, incredibilmente, la confortarono nel profondo. Non aveva paura, non aveva freddo, ora. Era lì, stretta dalle braccia di Tom, ed era al sicuro. Niente poteva succederle finchè era con lui. Quel che sarebbe accaduto dopo, non le importava. Non adesso, almeno. Alzò la testa lentamente e lo guardò. I loro occhi si incontrarono per un istante lungo un'eternità. Le braccia di Tom, ancora attorno al suo corpo, la avvicinarono a lui. Anche i loro visi si avvicinarono, gli occhi di entrambi si chiusero... le loro labbra si incontrarono. Si sfiorarono lievemente, quindi si posarono. Natasha avvertì una sensazione di calore mai provata prima. Le labbra di lui erano così morbide, così dolce il movimento di esse sopra la sua bocca. Istintivamente, Natasha circondò il collo di Tom con le braccia e continuarono a baciarsi... il loro bacio da dolce e soffice diventò passionale e profondo. Entrambi si sentirono mancare il fiato. Entrambi avvertirono il palazzo sparire alle loro spalle, insieme alla staccionata... anche il cielo sparì, o forse non aveva più importanza... nulla più importava, tranne che il bacio continuasse all'infinito... perché se quel loro dolce, dolcissimo contatto si fosse interrotto, cose terribili sarebbero accadute... E così fu. Un rumore, troppo vicino, troppo seccante, li riportò alla realtà. Pian piano ricomparirono il palazzo, e il cortile, la staccionata e il cielo. Anche il freddo, improvviso e schietto, li investì di nuovo. Ma nessuno dei due aveva davvero voglia di voltarsi a vedere chi o che cosa avesse provocato quel rumore. Volevano solo continuare a guardarsi, ognuno perso negli occhi dell'altra e dimenticarsi del mondo intero e delle sue maledette preoccupazioni e inquietudini. Ma il peso che Natasha aveva sulle spalle la spinse a muoversi per prima. Sbattè le palpebre ripetutamente, come domandandosi cosa fosse successo. Ma quel piccolo movimento fu sufficiente a spezzare l'incantesimo. Tom sospirò, continuando a guardarla. -Sarà meglio muoversi da qui- disse, porgendole la mano per aiutarla ad alzarsi. -Sì- disse lei, afferrandola. Le girava ancora la testa, ma molto più vorticosamente di prima. Quello che era successo era stato meraviglioso, stupendo, fantastico. Un sollievo, anche se temporaneo, da tutto. Sollievo totale. Leggerezza. Ardente passione. Arrivati all'angolo appena precedente al cortile principale, Natasha fermò Tom con un braccio. Senza bisogno di parlare, i due si baciarono di nuovo, appassionatamente, amorevolmente. Tom le sfiorò la guancia con la mano: -Starai attenta, vero, Tasha?- Natasha annuì: -Sì, Tom- e poi aggiunse, di getto -Mi mancherai- Lui sorrise: -Anche tu, tesoro- Dopodichè la baciò sulla fronte e le augurò la buonanotte. Mentre stava per entrare nel palazzo, Natasha si ricordò di una cosa. -Ehi Tom, aspetta!- esclamò. Lui si voltò verso di lei: -Dimmi- Natasha alzò le sopracciglia con aria casuale: -Sai che ore sono?- Tom parve vagamente sorpreso dalla domanda, ma tirò fuori un orologio da taschino e lo consultò: -Le dieci in punto. Perché?- -Devo sapere a che ora dare da mangiare ai cavalli. Sai, li nutro ad intervalli di cinque ore, per non viziarli troppo- Tom sorrise: -Ottima idea. A domani, allora- -A domani- rispose lei, sollevata che almeno lui avesse creduto a questo. Tornò nella stalla e si rannicchiò sul pagliericcio sul quale dormiva. Aveva voglia di rivivere, nella sua mente, il bacio con Tom, ma invece doveva dedicarsi ad un compito assai meno piacevole. L'unico modo per sapere esattamente quando fosse stata l'una di notte era contare secondo per secondo. Per tre ore. Iniziò, sperando di ricordare il ritmo delle lancette che scandivano i secondi nella pendola che c'era nella sua vecchia cucina. Uno, due, tre, quattro, cinque... Un minuto e due, un minuto e tre... Quaranta minuti e otto, e nove, e dieci... Un'ora e uno, due, tre... Un'ora, quaranta minuti e due, tre, quattro, cinque... Due ore, trenta minuti e uno, due tre... Due ore, quarantacinque minuti e uno, due, tre, quattro... Mancavano quindici minuti al suo appuntamento. Poteva già avviarsi. Il suo cuore iniziò a martellare contro le costole violentemente, molto violentemente... pum, pum, pum, pum. Doveva andare. Lentamente, con mani e piedi tremanti, Natasha scese dalla scaletta ed atterrò sul freddo pavimento della stalla. C'era una sensazione di totale irrealtà nell'aria. La stalla, illuminata solo dalle grandi ed alte torce esterne, era immersa nella penombra e in un silenzio quasi innaturale. Com'è possibile che i cavalli non producano neppure un rumore? Perché l'unico suono è il mio respiro? Probabilmente i cavalli stanno dormendo, riflettè. Era così tremendo stare in quel luogo buio e silenzioso, senza altro pensiero che la proprio ansia, senza nulla che potesse distrarla dal suo destino, così temuto, così rimuginato... ed ora così vicino. Ma sapeva che di lì a poco avrebbe dato qualunque cosa pur di poter tornare alla stalla il più presto possibile. Aprì la porta con cautela, ed una volta fuori immerse la testa nel freddo pungente per guardarsi a destra e sinistra. Non sapeva neppure lei chi avesse paura di incontrare: le guardie stavano come al solito ritte davanti all'ingresso del palazzo e non si mossero nemmeno quando lei richiuse la porta della stalla alle sue spalle. Natasha si strinse le mani sugli avambracci, abbracciandosi. Tentava di riscaldarsi, ma era impossibile. Faceva troppo freddo. Si domandò come avesse fatto ad uscire con una temperatura del genere, qualche ora prima. Il suo cuore si calmò un poco al ricordo del bacio con Tom. Oh, come voleva rivederlo ancora! Lui le mancava davvero, soprattutto in questo momento angosciante. Cercando di non pensare a nulla, Natasha percorse i pochi passi che la separavano dalla scalinata frontale del palazzo. Iniziò a salire i gradini, automaticamente, senza esitare... ogni esitazione le sarebbe costata sofferenza, incertezza, ed una voce in lei che gridava sempre più forte... Vattene! Che stai facendo?? Scappa! Non puoi andargli incontro! Stupida, scappa!! No, non posso farlo... La vita di Rupert è nelle mie mani! E' nelle mani di Tavington, Tasha. Non capisci? Lo ucciderà comunque...! NON DEVO PENSARE. Giunse sul pianerottolo e spinse il massiccio portone di quercia senza guardarsi indietro, senza rivolgere neanche uno sguardo alle guardie sull'attenti che stavano di fianco a lei. Straordinariamente, anche essi la ignorarono e ben presto Natasha si ritrovò a contemplare il maestoso ingresso del palazzo di Fort Carolina. L'aveva visto una sola volta, e di sfuggita, quando era uscita dalla sua camera con Tom diretta alla stalla. Adesso non era, come lei si era aspettata, buio o ombroso: al contrario, delicate torce dorate erano appese qua e là, gettando una luce decisa sull'elegante mobilia, sul tappeto persiano sul quale i suoi piedi stavano camminando e sulla scala imponente che si apriva davanti a lei. Delle porte si susseguivano ai lati del salone, e subito Natasha immaginò che si trattasse dei vari corridoi del piano terra. Cosa aveva detto Tavington? Il primo corridoio sulla destra? Natasha si voltò e vide una porta che corrispondeva alla descrizione. Era leggermente più larga delle altre, e anche se era praticamente identica ad ogni altra, a Natasha pareva molto più minacciosa di qualunque altra porta lei avesse mai visto in vita sua. Il corridoio in cui si trovava l'appartamento di Tavington doveva celarsi là dietro... Natasha avanzò decisa ed appoggiò la mano tremante sul gelido metallo della maniglia. La abbassò. Entrò. Chiuse la porta dietro di sé e osservò il corridoio che le si parava davanti. Era arredato con lo stesso stile dell'atrio: muri di pietra bianca, tappeto rosso per terra, torce fiammeggianti ai lati di ogni porta. C'erano molte porte... Tavington doveva vivere nell'ultima... Il corridoio era piuttosto lungo, ma non molto largo; Natasha iniziò a percorrerlo mentre i suoi stessi passi, ovattati dallo spesso e morbido tappeto, le risuonavano nelle orecchie quasi minacciosamente. Oltrepassò le prime tre porte in uno stato sognante: sì, tutto intorno a lei le pareva appartenere ad un sogno... ad un incubo, per essere più precisi... Dalla quarta porta alla sua sinistra proveniva un rumore di voci: dovevano essere due uomini che discutevano. Natasha passò oltre in punta di piedi. Quelle pareti, così strette... sembrava la stessero soffocando... Andò avanti, aumentando l'andatura. Camminò così velocemente che i muscoli dei suoi polpacci iniziarono a protestare... non le importava nulla. Doveva arrivare in fondo, doveva porre fine a tutto questo... Era quasi ansante quando giunse al termine del corridoio. Si fermò, il cuore che le batteva all'impazzata. Lentamente, tristemente, voltò la testa verso la porta alla sua destra. Il suo sguardo terrorizzato percorse con lentezza il legno lucido della superficie... poi i suoi occhi si fermarono sulla maniglia. Tavington l'avrebbe mossa, quella maniglia, dall'interno della sua stanza... Fece più di un respiro profondo. Chiuse gli occhi ed alzò la mano per bussare. No, non ce la faceva, la mano non rispondeva ai comandi del cervello. Natasha la guardò e vide che tremava violentemente, e non per il freddo. Fece un altro respiro. Poi, più velocemente che potè, alzò il piccolo pugno e bussò delicatamente, tre volte, senza pause. Sperava ardentemente che lui avesse aperto subito. Non sarebbe mai riuscita a trovare la forza per bussare di nuovo. Si udirono dei movimenti dall'interno della stanza. Il cuore di Natasha batteva così forte che ne avvertiva i battiti nelle orecchie. Dopo quello che parve un millennio, la maniglia della porta si abbassò di scatto e la porta si spalancò. Quel rumore, così brusco nel silenzio che la circondava, la fece sobbalzare. Guardò d'istinto l'uomo sulla soglia e il suo cuore si fermò. Tavington si era sciolto i lunghi capelli castano scuro dal loro ordinato codino, ed ora gli ricadevano sulle spalle, ondulati e in disordine. Il suo fisico atletico era messo in evidenza da un'ampia camicia bianca leggermente sbottonata, che lasciava intravedere il suo torace robusto e scolpito. Su tutto risaltavano i suoi occhi azzurro-ghiaccio, in forte contrasto con i capelli scuri. Quegli occhi la scrutarono, apparentemente deliziati, ed un ghigno si formò sulle sue labbra. -Miss Halliwell...- disse, continuando a studiarla -Entrate- Si fece da parte per lasciarla passare, tenendo aperta la porta con una mano. Natasha mosse qualche timido, breve passo all'interno della stanza, guardandosi intorno. Era una locale largo e spazioso, dall'aria comoda ma poco accogliente. Aveva più l'aspetto di uno studio che di una camera da letto. Il pavimento era di legno scuro e lucido, anche se, in parecchi punti, non era perfettamente levigato: alcune rigature, anche se sottili, erano ben visibili alla luce tenue e aranciata fornita da due piccoli lampadari appesi alle pareti; l'unica illuminazione. Una scrivania possente, della stessa tonalità lignea del pavimento, troneggiava al centro della stanza, ricoperta da fogli scritti, carte, calamai di diversi colori e una pila di lettere ancora non aperte. C'erano tre sedie vicino allo scrittoio: una, imbottita come una poltroncina, era posta dietro alla scrivania; le altre due, di fattura più semplice, vi erano davanti, pronte a ricevere ospiti. La mobilia era scarsa: a parte le sedie e l'elegante scrivania, vi era un grosso armadio immerso nell'ombra, che se ne stava silenzioso ed inosservato alla destra della porta; e, per ultimo (ed in effetti pareva anche fuori posto in quella specie di studio) vi era un letto matrimoniale, nella parte più posteriore della stanza: un letto semplice, ma che manteneva intatti i colori della stanza, tutta sul legno scuro, l'arancio pallido ed il bianco. Le sue lenzuola candide, di lino a giudicare dalle apparenze, si intonavano alla perfezione con il soffitto e le pareti nude. La testata del letto era probabilmente la sua parte più degna di nota: un bell'intaglio nel legno sovrastava altero i cuscini e le coperte in disordine. Natasha lasciò vagare il suo sguardo su tutto quello che la circondava, mentre Tavington chiudeva la porta con un rumore leggero. La ragazza non sapeva se avrebbe osato voltare la testa e fronteggiarlo. Udì, con il cuore che batteva all'impazzata, i suoi stivali muovere alcuni passi sul legno, avvicinandosi a lei. D'un tratto, troppo presto, avvertì chiaramente il petto di lui contro la sua schiena. Non riusciva ancora a realizzare di essergli così vicina. All'improvviso, eppure lentamente, le sue forti braccia la circondarono all'altezza della vita, imprigionandola. Natasha fece un respiro profondo, per sciogliere il disagio che, come una nuvola nera che porta tempesta, stagnava nel suo stomaco. Quel respiro non servì a tranquillizzarla, nè a rassicurarla, nè a rilassarla. Non servì a nulla. Era come una persona che cercasse di consolarsi mentre si avviava al patibolo. La paura, il terrore di quella situazione mai l'avrebbero abbandonata, lo sapeva. Tuttavia nutriva ancora tante speranze. Speranze che lui non le avrebbe fatto del male, speranze che un giorno, forse vicino, lei se ne sarebbe andata per sempre da Fort Carolina. Speranze che la sua felicità potesse tornare intatta come lo era un tempo. Le labbra di Tavington che le si posavano sul collo nudo la risvegliarono da quel torpore, da quel panico tumultuoso ma così confuso... aveva paura di ciò che lui, quell'uomo così forte e vigoroso, le avrebbe fatto quella notte... aveva paura perché non conosceva il pericolo. Percorrendo quel corridoio, bussando a quella porta, sapeva che sarebbe andata incontro all'ignoto. E pensare che non era del tutto ignoto, non era del tutto nuovo quello che di lì a poco avrebbe incontrato. Ricordava (e quei ricordi l'avevano ossessionata da quando aveva preso quell'orrido accordo con Tavington) quello che Caroline le aveva detto riguardo al sesso. Caroline era sua cugina, una ragazza di venticinque anni che lo scorso anno si era sposata con un giovanotto di Boston, e che poi era andata a vivere col marito in una proprietà del Massachussets senza più mettere piede nel South Carolina. Quando ancora abitava in questa regione, Natasha era andata con la sua famiglia ad assistere al matrimonio. Dal momento che si era svolto nella cittadina di Pembroke, gli Halliwell si erano offerti di ospitare i due sposi per qualche tempo, e Caroline, insieme al marito, aveva accettato. Nel tanto tempo che trascorrevano conversando, Caroline e Natasha un giorno erano arrivate all'argomento del sesso. Natasha le aveva chiesto, un po' timida ma segretamente curiosa, com'era la prima volta. Sapeva che poteva chiederlo a sua cugina, perché Caroline non era una ragazza vecchio stampo, anzi aveva un caratterino piccante e vivace. Le aveva risposto senza indugi e senza occhiate maliziose. "-Non voglio metterti in ansia, mia cara, ma è un'esperienza assai dolorosa. Voglio dire, quando si arriva al momento di fare l'amore con un uomo, devi essere sicura che tu, di quell'uomo, puoi fidarti. Ed anche quello comunque non basterà. Ma non c'è solo il dolore, mia cara, c'è anche il piacere. E' un'esperienza meravigliosa, da consumare insieme al tuo sposo, ovvero la persona che più ami al mondo. Non vi è nulla di scandaloso in ciò. Ma ricorda: la responsabilità sta tutta nell'uomo a cui ti concederai. La verginità è il dono più grande che una donna, o una ragazza, può fare ad un uomo. Sono sicura che tu, tesoro, con la tua intelligenza e il tuo bel carattere dolce, troverai l'uomo giusto nel giro di pochi anni e sono certa che quest'uomo non ti ferirà in nessun senso...-" Quanto si sbagliava! D'accordo che Tavington non era l'uomo con cui era fidanzata, ma era quello a cui si era concessa! Come l'avrebbe rovinata, il Colonnello Tavington... con quale coraggio poteva farle questo? Con quale cuore? Ma lui non ha cuore, nè pietà, ricordò a sé stessa, cercando di distrarsi dai baci che ora Tavington le stava dando sul collo e sulle spalle, procurandole lunghi brividi freddi, E stanotte mi farà sua... -Voltati- ordinò lui a bassa voce, sciogliendo il suo abbraccio. Natasha obbedì, lentamente, senza guardarlo in viso. Come ormai aveva fatto tante volte, abbassò lo sguardo sul suo petto: non era affatto tranquillizzante, ma era senza dubbio meglio dei suoi occhi gelidi e beffardi. Le sue braccia la circondarono di nuovo, tenendola stretta a sé. Natasha posò le mani sulla camicia di Tavington cercando allo stesso tempo di spingerlo via e di proteggersi. Tavington chinò la testa e posò le sue labbra su quelle di lei. La baciò con impeto, quasi con furia. Natasha ebbe difficoltà a respirare. Prima che se ne rendesse conto, le mani di Tavington avevano raggiunto i bottoni della sua tunica ed ora li stavano slacciando. Natasha aveva la pelle d'oca e le ginocchia le iniziavano a cedere. Tavington la sorresse con un braccio, mentre l'altra mano era ancora al lavoro con la fila di sottili bottoni... Natasha avvertì una lacrima scenderle sulle guance, mentre il bacio forzato di Tavington non accennava a spegnersi. Tavington slacciò il primo bottone. Quindi il secondo. Ora, la scollatura era abbastanza ampia per permettergli di osservare il seno della ragazza. Natasha sussultò avvertendo la fredda mano di lui insidiarsi nel suo vestito semi-aperto, raggiungere il suo seno e accarezzarlo lentamente, deliberatamente... Natasha gemette lievemente. I brividi la scuotevano in tremiti convulsi. Lui separò le labbra dalle sue e la fissò... Natasha si sentì prigioniera dei suoi occhi di ghiaccio, mentre la mano di lui si fermava, salda, su uno dei suoi seni. Natasha non riusciva a reagire. Era perduta. Tavington la condusse, quasi impercettibilmente, verso il fondo della stanza. Natasha se ne rese conto solo quando lui la spinse violentemente sul letto. Dopodichè, Tavington montò sopra di lei. Allora Natasha urlò. Urlò di paura, urlò per il peso di lui sul suo corpo fragile... urlò istintivamente. Tavington le tirò uno schiaffo che le girò la faccia. -Zitta!- intimò. Si chinò nuovamente su di lei, baciandola, mentre le sue mani slacciavano gli ultimi bottoni e le facevano scivolare delicatamente il vestito dalle spalle. Ben presto i seni della ragazza furono nudi di fronte a lui. Natasha pianse, e pianse ancora. Voleva coprirsi, voleva proteggersi da quegli occhi bramosi e da quelle mani insidiose. Invece rimase ferma, chiuse nel suo dolore, imprigionata nel patto che lei stessa aveva stipulato. Tavington si concesse un minuto per togliersi la camicia, che buttò a terra, rivelando un torace muscoloso e ben proporzionato. Un torace forte. Poi si tolse gli stivali, che caddero sul legno del pavimento con un tonfo. Quindi Tavington concentrò nuovamente la sua attenzione su di lei, sul suo seno nudo, innocente, che mai un uomo aveva toccato prima. Natasha vide le sue labbra arricciarsi in un sorriso, prima di posarsi su uno dei suoi capezzoli. Natasha inarcò la schiena. Le labbra di lui succhiarono, poi si aprirono leggermente per permettere alla lingua di leccare, puntellare, descrivere cerchi concentrici. Natasha si mosse, a disagio. Pensa a qualcos'altro, Tasha, dai, si disse, mentre calde lacrime le scorrevano ancora sulle guance. No, era impossibile pensare a qualcosa che non fosse il ritmo della lingua di lui, così calda e viscida, che giocava con il suo seno... -Per favore, basta- mormorò, la flebile voce rotta dal pianto e dalla disperazione. Lui si alzò e la guardò negli occhi: erano occhi che assaporavano la sua vittoria... occhi altezzosi, canzonatori, furbi. -Perché dovrei smettere? Vuoi forse dire che a questo punto vuoi che tuo fratello muoia? Se è così, allora...- Natasha singhiozzò, in preda alla disperazione. -No, vi prego, non fatemi altro... per favore- Tavington avvicinò ulteriormente il viso a quello di lei. Natasha non potè fare a meno di soffrire del forte contatto del suo petto muscoloso sui suoi seni nudi. -Abbiamo un accordo, Miss Halliwell- le sussurrò malevolo all'orecchio -Se volete che io smetta qui, sapete qual è il prezzo da pagare- Natasha rabbrividì dopo quelle parole, ma non disse nulla. La sua mente era svuotata. Tavington sorrise beffardo, e dopo qualche secondo le sue labbra iniziarono a esplorarle l'altro capezzolo. Natasha diede in un sospiro penoso e tremante. Dopo altri minuti di tortura, Tavington iniziò a eccitarsi febbrilmente. Natasha lo udì ansimare e voltò la testa, per non vederlo. Una mano di Tavington iniziò a frugare sotto la sua gonna... le gambe di Natasha si mossero nervose, cercando di impedire che succedesse... ma Tavington raggiunse la sua intimità in pochi secondi, nonostante i tentativi di resistenza di lei. Ghignando perfidamente, lui le alzò la gonna in un lampo. Natasha singhiozzò, colma di terrore. Vide Tavington iniziare a slacciarsi i pantaloni... -No!- esclamò Natasha, cercando di alzarsi -Vi prego, no!- -Stà seduta!- ringhiò lui, spingendola nuovamente sul letto e tenendola ferma con una mano, mentre l'altra continuava a slacciare i pantaloni. Natasha fu accecata dalle lacrime. -Vi prego, vi scongiuro, no!- lo supplicò -Io... io... non ho mai...- Il ghigno di Tavington si allargò. -Ti farò mia, Natasha. Che tu lo voglia o no- Dopo queste crudeli parole, Tavington si chinò ulteriormente su di lei e la penetrò. Il dolore arrivò in un'ondata pesante e inevitabile. Natasha gridò con tutte le sue forze, ma ben presto Tavington, ansante, le coprì la bocca con una mano. Il corpo di Natasha si irrigidì sotto il peso di lui. Un acuto dolore si spanse come veleno in tutte le parti del suo corpo. Lacrime di panico continuavano a sgorgare dai suoi occhi, mentre con le mani Natasha cercava disperatamente di staccarlo da lei, di mettere fine a tutto questo... Tavington iniziò a spingere, sempre più a fondo, sempre più dentro di lei. Natasha sentiva il fiato di Tavington sugli occhi, ne sentiva il rumore, avvertiva ancora il peso del suo corpo sopra il suo, ma erano diventate tutte cose di secondaria importanza: la mente di Natasha era totalmente concentrata sul ritmo con cui il colonnello spingeva in lei... all'improvviso un senso di nausea la avvolse, mentre sentiva il seme di lui sprigionarsi dentro di lei, spandersi nel suo corpo già avvolto dalle convulsioni. La testa di Natasha iniziò a girare e a dolere. Le sue mani sottili, svanito il tentativo di scacciare quel mostro dal suo corpo semi-nudo, ora giacevano inerti ai lati del petto scoperto di lei, talvolta scosse da un tremito. Ma ad un tratto, tutto finì.
****
Tavington contemplò, col fiatone, il corpo inerte della fanciulla che aveva appena stuprato. Natasha Halliwell era lì, scossa dai tremiti, con la mano di lui ancora postata sulla bocca per impedirle di urlare. Meglio lasciarle la bocca coperta ancora per un po', riflettè, osservandole tuttavia i seni, Non si sa mai, potrebbe iniziare a chiamare aiuto. Tavington si posò su di lei, facendo aderire il suo corpo a quello della ragazza. Ancora non avevano ripreso fiato, nè lui, nè lei. Tavington la osservò ancora, appassionatamente. I suoi bei capelli ramati, così pieni di riflessi, erano sparsi sul copriletto, in disordine. I suoi occhi dolci ora erano colmi di lacrime e di paura e lo guardavano imploranti. Le sue guance rosate, per metà coperte dalla mano di lui, erano umide di pianto. Caspita, doveva averle fatto male. Fu sorpreso a pensare di non averle voluto fare male. Se l'aveva ferita, stranamente, quella volta non era stata sua intenzione. In effetti era difficile voler far del male ad una ragazza così. Insomma, era difficile odiarla, una volta che la conoscevi almeno un po'. Si ricordò di quando aveva tentato di strangolarla. Diavolo, probabilmente Natasha ora lo detestava. Ma di certo lei non si era domandata perché mai lui non l'avesse strangolata del tutto. La risposta era strana: per un attimo, nonostante la rabbia che provava dopo che lei aveva permesso la fuga di Rupert Halliwell, quella piccola, indifesa ragazza gli aveva fatto pena. Aveva provato pietà per lei. Bah, era stato senz'altro un miracolo che, quel giorno, gli aveva fatto allentare la presa sul collo di Natasha. Un miracolo senza dubbio l'aveva salvata. Sebbene Tavington non fosse certo religioso, conveniva che non vi era altra spiegazione. Lui mai aveva provato pietà per qualcuno. Donne, bambini, ragazzi e fanciulle aveva ucciso, nella sua vita, senza ombra di rimpianto. Senza esitazioni, senza dubbi, senza rimorsi di coscienza. Lui non era quel genere di uomo. No, William agiva, senza pensare alle conseguenze, ed agiva sempre per arrivare ad uno scopo prestabilito. Nessuno, non una persona si sarebbe dovuta mettere sulla sua strada, perché questo qualcuno sarebbe morto. Nessuno, su quel pianeta, nè su altri, avrebbe mai potuto fermare William Tavington e le sue ambizioni. Come colonnello non aveva mai perso una battaglia, forse perché nella vita di battaglie ne aveva perse fin troppe. In un lampo, William si ricordò di suo padre, la prima persona che lui avesse odiato a tal punto da desiderare che morisse... Alexander Tavington era una alcolista. Uno sporco ubriacone, forse peggiore di quelli che lui, William, aveva incontrato di recente in quel pub di ribelli dove lavorava la ragazza. Se fosse ancora vivo lo ucciderei , pensò William. Alexander Tavington era un ricco mercante di Liverpool: aveva trovato la ricchezza nelle colonie del South Carolina, dove alla fine si era sposato felicemente con una donna, anche lei inglese, di nome Paula. I due si amavano follemente, e dopo pochi anni dal loro amore nacque William, un bambino meraviglioso, intelligente, sveglio, precoce. I suoi genitori avevano molti progetti per lui... William non ricordava esattamente quando e come tutta quella felicità iniziò a vacillare, ma così successe. Ricordava solo che sempre più frequentemente suo padre tornava a casa, di sera, e si comportava in una maniera che un bambino poteva definire strana. William allora era troppo piccolo per capire che suo padre si ubriacava una sera sì e una no. Vedeva solo che ogni tanto suo padre urlava contro sua madre, la spingeva contro il muro... e sua madre piangeva, gridava a William di andare in camera, di chiudere gli occhi, di non stare a guardare cosa succedeva... e poi, quando lui aveva tredici, o forse quattordici anni, era successo. Suo padre era entrato sbattendo la porta. Era bastato uno sguardo per far capire a William che stavolta aveva proprio esagerato con la birra. Ricordava troppo bene come avesse cercato di fermarlo... -No, papà, non andare dalla mamma. Rimani qui, cerca di calmarti...- -Chi sei tu per darmi ordini, BASTARDO?? Fuori dai piedi...!- William che cadeva per terra dopo il potente schiaffo di suo padre... passi possenti verso la cucina... la voce di sua madre... -No, Alex, no! Ti prego, lasciami, mi fai male!- -Chi ti credi di essere, puttana?! Ti farò stare zitta per sempre, eccome se lo farò...- -No, lasciami...!- E poi quello sparo. L'inconfondibile tonfo di un corpo che si accasciava sul pavimento. La voce di suo padre... -Mio Dio! Paula! Paula! Che cosa ho fatto!! Che cosa ho FATTO!- Quelle furono le sue ultime parole. Poco dopo si era infilato una pistola in bocca e si era sparato. Da quel giorno William se l'era sempre cavata da solo... aveva dato fuoco alla casa, con dentro ancora i suoi genitori morti... non voleva più vederli, gli avevano rovinato la vita, quei due stupidi... Ed ora era lì, a trentotto anni, Colonnello dell'Unità dei Dragoni Verdi. Ma era ancora rimasto in lui qualcosa del ragazzino che quel lontano giorno aveva dato fuoco alla casa. L'odio. Quello era rimasto intatto, invariato. Solo che ora gli tornava utile, facendo un mestiere dove si uccideva per professione. E se ne fotteva altamente, lui, del codice di guerra. Voleva uccidere. Provocare dolore. Morte. Sofferenza. Panico. Distruzione. Perché tutti quegli idioti che se ne stavano intorno a lui, e lo disprezzavano, e si divertivano ad impartirgli ordini, non avevano idea di cosa avesse passato. Nessuno aveva idea dell'odio bruciante, della rabbia che ancora ardeva in lui come un fuoco implacabile. Per questo era strano che per quella ragazza avesse provato pena, desiderio di non farle del male, di non ferirla. Ma ora che gli erano tornate alla mente tutti questi ricordi era difficile trattenere la rabbia. E visto che aveva un'occasione proprio sotto di lui, perché rifiutarla?
****
Il dolore nel corpo di Natasha, il prezzo della brutalità del colonnello, si era leggermente placato. Natasha si domandava cos'altro sarebbe venuto. Tavington l'aveva guardata per un'eternità, e nonostante tutto i suoi occhi erano persi, la sua espressione vuota. Sembrava stesse riflettendo molto intensamente su qualcosa. Era stato torturante attendere che lui facesse qualcosa, che la lasciasse andare, o che almeno si spostasse. Il corpo di Tavington era molto pesante, per una ragazza esile come lei. Dopo qualche minuto, comunque, Tavington tornò in sé e le parve arrabbiato. Evidentemente aveva ricordato o pensato cose poco felici. Natasha iniziò a tremare mentre lo sguardo malvagio di Tavington riprendeva vita e la contemplava. Tavington si avvicinò alle sue labbra e prese a baciarla violentemente, spingendo sempre più il corpo su quello di lei, schiacciandola, togliendole il respiro, facendola gemere di dolore. Natasha potè riprendere fiato solo quando lui si rialzò e scese dal letto con inaspettata velocità. Mosse alcuni passi lontano dal letto. Dopo qualche minuto, Natasha afferrò incerta il vestito, ormai arrivatole alla vita, e si coprì i seni, risistemandosi le spallucce. Quindi si abbassò la gonna, sempre con mano tremante. Si sedette sulla sponda del letto, puntellando i gomiti sulle ginocchia e appoggiandosi la testa sulle mani. Si asciugò con il palmo della mano le lacrime che le rigavano le guance. Le doleva la testa. Le dolevano le gambe e il bacino, per il costante peso del corpo di un uomo massiccio il triplo di lei. Da in mezzo le gambe le partiva un bruciore acuto e costante. In bocca aveva il sapore della saliva di lui. Tavington si era seduto alla sua scrivania, dandole le spalle. Era ancora a torso nudo e non pareva provare il minimo brivido di freddo. La stava ignorando. Natasha raccolse tutte le forze che le rimanevano per alzarsi in piedi e avvicinarsi alla porta. -Posso... posso andare?- domandò con voce fioca e arrochita. Tavington alzò gli occhi dalla lettera che stava leggendo. Dalla sua espressione sembrava si fosse completamente dimenticato della sua presenza. -Andate, Miss Halliwell. Ci rivedremo domani- aggiunse con una nota di minaccia, tornando al suo foglio. Ma questo Natasha a malapena lo udì. Aveva aperto la porta avventatamente, l'aveva richiusa una volta uscita e si era messa a correre nel corridoio. Doveva uscire di lì, doveva allontanarsi da lui, da quel mostro... Attraverso l'atrio, fuori nell'aria gelida, giù per la scalinata, e... era di nuovo nella buia stalla. Salì la scala a pioli incespicando, quindi si stese sul pagliericcio. Cominciò a piangere. Disperatamente, senza interruzione. Tavington l'aveva violentata. Era successo. Ed era stato peggio di quanto lei avesse mai potuto immaginare. Sulle mani, sulle braccia, le era rimasto il profumo di lui, quella sue essenza maschile... Dio, quanto si sentiva... si sentiva... sporca. Sporca e piena di vergogna. Doveva lavarsi, doveva pulirsi in qualche modo... Fitte di acuto bruciore le provenivano ancora da in mezzo alle gambe. Strappò un piccolo lembo del suo vestito, scese con difficoltà la scaletta e andò fino all'abbeveratoio dei cavalli. Immerse il lembo di stoffa nell'acqua gelida, quindi si sedette, la schiena contro una colonna della stalla e si portò il fazzolettino in mezzo alle gambe. Chiuse gli occhi, assaporando quel momentaneo sollievo. La luce della luna ormai morente entrava a barlumi tra le fessure della stalla, gettando luce su alcuni dei cavalli addormentati. Natasha tirò fuori il fazzolettino per immergerlo di nuovo, ma si fermò di stucco dopo avergli lanciato un'occhiata. Il pezzo di stoffa era sporco di sangue. Natasha lo fissò confusa. Non erano quelli i giorni del suo ciclo mestruale, lo sapeva bene. E allora cosa...? Forse è normale perdere sangue dopo il primo rapporto, si disse. In ogni caso, immerse nuovamente il fazzolettino per acquietare le fitte di dolore. Di sangue, non ne usciva più, anche se faceva ancora piuttosto male. Oh, Natasha era piena di vergogna per quello che era successo. Se ci pensava... il solo ricordarlo era una tremenda agonia. Appoggiò la testa sulle ginocchia e pianse di nuovo.
Conseguenze
Il giorno dopo Natasha fu svegliata dai potenti raggi del primo sole che filtravano tra le fessure nelle assi. Per un attimo si chiese dov'era: le capitava quasi tutte le mattine, da quando era arrivata a Fort Carolina. Poi realizzò tutto e si preparò ad affrontare un'altra giornata di lavoro. Sperava con tutto il cuore di non incontrare Tavington durante il giorno, ma sapeva che le sue speranze erano vane. A quanto le aveva detto Tom il pomeriggio prima, di solito il Colonnello si prendeva due giorni di riposo dopo una battaglia. Due giorni che avrebbe trascorso interamente a Fort Carolina. Natasha sospirò. Durante la notte aveva riflettuto molto sulla sua situazione, sullo sporco accordo che aveva raggiunto con Tavington, ma non era riuscita ad elaborare molto o a cambiare qualcosa. Le cose stavano proprio così, non c'era nulla da fare: per la salvezza di suo fratello doveva vendersi a lui. Non riusciva a stabilire se quello fosse un prezzo alto, giusto o basso; ovviamente la vita di Rupert valeva molto di più della sua verginità, ma erano comunque due cose importanti. Due cose che, una volta finite, non sarebbero tornate indietro. Se lei avesse rifiutato di concedersi a Tavington, Rupert sarebbe stato ucciso da lui. Se invece lei manteneva fede al suo patto, Tavington l'avrebbe violentata. E' terribile, ma sicuramente ho fatto la cosa giusta. Non voglio che Rupert muoia, l'unico parente che mi è rimasto sulla Terra! Natasha si era accorta di non considerare più Sharon come sua sorella: aveva bisogno di parlarle, per sapere se lei l'avesse dimenticata, se le voleva ancora bene, se era costretta a fare quello che l'aveva vista fare l'altra sera. Il che era sia probabile che improbabile. Poteva essere possibile che alcune delle prostitute del campo fossero obbligate a fare quel lavoro, perché Natasha si ricordava fin troppo bene che Tavington aveva quei programmi proprio per lei. D'altra parte, era difficile dimenticare la felicità che si era dipinta sulla faccia di Sharon quando Tavington l'aveva scelta per passare la notte con lui. Probabilmente sta solo recitando una parte che è costretta a fare. Nessuna di quelle ragazze voleva davvero andare a letto con Tavington. Eppure quando le aveva viste era rimasta così sconvolta...
****
Sei ore dopo, a mezzogiorno, Natasha si ritrovava accucciata in un angolino della sua nuova "camera". Aveva freddo, molto freddo. Il legno delle pareti lasciava filtrare tutto il gelo esterno, insieme a qualche fiocco di neve. Natasha si mise le mani a coppa e ci soffiò dentro, per riscaldarsi. Aveva lavorato costantemente tutta la mattinata, spazzolando e pulendo i cavalli. Cominciava a conoscerli meglio e ad affezionarsi a loro, persino a quello del Colonnello Tavington, che era forse l'esemplare maschio più bello di tutti quelli nella stalla. Era un colosso; alto e marrone scuro, era sempre molto energico e rumoroso. Natasha aveva fatto molta fatica a calmarlo, la notte prima. Ma la sua preferita era Daisy. Sentiva di avere strane somiglianze con lei e le piaceva spazzolarle il bel manto nero lucido. Ormai, a forza di accarezzare i cavalli e occuparsi di loro, le dolevano i muscoli del braccio, ma sinceramente preferiva di gran lunga mettersi al lavoro che starsene lì al patire il freddo. Almeno il fiato dei cavalli la teneva bene al caldo. Più di ogni cosa Natasha voleva qualcuno con cui parlare, qualcuno che la distraesse dai pensieri cupi della sua mente: dai pensieri sui suoi genitori, su Alan, dalle preoccupazioni per Rupert, dalle domande senza risposta sul conto di sua sorella, dal freddo, da Tavington... Fu per questo che quando la porta della stalla si aprì, Natasha drizzò la testa immediatamente. Era Tom che, sorridente, le stava portando un vassoio con il pranzo. -Buongiorno, Natasha. Tutto bene?- disse, mentre saliva disinvoltamente la scala a pioli tenendo il vassoio con una sola mano. -Non c'è male- mentì Natasha, facendosi da parte per lasciarlo passare. Lui si sedette accanto a lei e le porse il vassoio. -Grazie- disse Natasha, afferrando un sandwich. Non si era accorta di quanto fosse affamata. -Senti, Natasha... devo parlarti di una cosa- esordì Tom, guardandola serio. -Di che si tratta?- chiese Natasha, la bocca piena di insalata e formaggio. Tom esitò. Quindi disse: -Ieri sera, quando stavo lavorando su alcune carte, ho lanciato per caso un'occhiata fuori dalla finestra e ho visto... ho visto Tavington entrare nella stalla- Natasha smise di masticare. Tom la guardò, quindi le si avvicinò quasi quanto il giorno prima, quando si stavano per baciare. -Volevo solo chiederti cosa ti ha fatto- Natasha evitò il suo sguardo. E adesso? Dirgli la verità avrebbe condannato a morte Rupert. Doveva mentire. -Non mi ha fatto niente- disse, schiva. Tom alzò le sopracciglia. -Vorrei che fosse così, ma so che non è vero. Sono qui in questo forte da quasi un anno e conosco il Colonnello Tavington. Non è mai andato nella stalla solo per fare una passeggiata. Dimmi la verità- Natasha sospirò. -Doveva solo... parlarmi- buttò lì. -Natasha, ho visto come ti guarda. Sono pronto a scommettere che ha cattive intenzioni su di te. E' capace di...- -So benissimo di cosa è capace!- ribattè Natasha arrabbiata –Si può sapere perché mi stai dicendo di stare in guardia da lui quando ha ucciso i miei genitori e mio fratello?! Credi davvero che sia così stupida da non temerlo?!- -Non ho detto questo!- disse Tom, guardandola fisso –Ti ho solo chiesto cosa ti ha fatto ieri il Colonnello, Natasha, perché so che ti ha fatto qualcosa..., come puoi negarlo?- Natasha sospirò profondamente. Quindi appoggiò il sandwich sul vassoio e si seppellì il viso nelle mani. -Tom, non posso- singhiozzò –Ti prego, non chiedermelo più. Non posso dirtelo- Tom la guardò con apprensione. -Natasha, io sono preoccupato per te! Ieri sera avrei voluto venire a vedere cosa stava succedendo, ma poi ho cambiato idea, pensando che forse Tavington era andato a prendere un cavallo per fare una cavalcata o qualcosa del genere. Poi ho visto che è stato là dentro molto tempo, troppo. Ho cominciato ad insospettirmi. Stavo per lasciare tutto e venire a controllare, ma proprio in quel momento ho visto Tavington uscire. Quando è rientrato, gli ho chiesto cosa fosse andato a fare. Mi ha risposto: 'Due chiacchiere con la signorina Halliwell'. La sua risposta mi ha preoccupato ulteriormente, ma ho pensato che dal momento che non avevo sentito urla, né gemiti, né richieste d'aiuto, tu stessi bene e fosse stupido avere tutte queste paure. Ma ieri notte non sono riuscito a dormire. Mi sono maledetto per non essere neppure venuto a vedere se stavi bene. Ed ora che sono venuto tu non sai cosa raccontarmi. Ti prego Natasha, dimmelo e vedrai che risolveremo tutto. Non devi sopravvalutarlo. Ricordati che qui il capo non è lui, bensì Cornwallis, che è un gentiluomo. Parlamene e troveremo una soluzione- Natasha lo fissò negli occhi. Era così sincero, buono, rassicurante. Doveva valutare le possibilità che aveva. Se gli avesse raccontato tutto, le probabilità che suo fratello non venisse ucciso si assottigliavano, perché per contro era più probabile che Tavington venisse a sapere che lei lo aveva raccontato a qualcuno, infrangendo le regole del patto. Ma se lei lo avesse raccontato a Tom, poi si sarebbe sentita meglio, e lo sapeva. Se invece non glielo avesse detto, sarebbe stata sempre peggio, schiacciata dalla malvagità di quell'accordo che era stata costretta a stipulare. Ma almeno suo fratello sarebbe stato al sicuro. Un momento... chi le assicurava che, se lei si fosse concessa a Tavington, lui non avrebbe ucciso ugualmente suo fratello? Dannazione, a questo non aveva pensato... -Natasha?- Natasha diede in un piccolo sobbalzo: si era quasi dimenticata che Tom fosse ancora lì. Ci mise qualche secondo a ricordarsi che domanda le avesse fatto. -Tom... io...- era ancora profondamente incerta –Non posso dirtelo. Non adesso, almeno. Ti prego, non complicarmi le cose. Ti prego- Tom abbassò lo sguardo e sospirò. -Natasha, capisco che per te dev'essere difficile tutto questo. Io stesso al tuo posto non so se sarei resistito. Ma...- deglutì –se Tavington ti ha fatto del male, devi dirmelo. Immagino che lui ti abbia minacciato di morte o qualcosa del genere per fare in modo che tu non lo dicessi a nessuno, vero?- Natasha esitò. Questo poteva dirlo. Annuì. -Sì, è così. Ma non voglio più parlarne- -Non riesco a non parlarne! Non riesco a pensare che lui ti fa del male e io sono qui a stare a guardare senza fare niente per proteggerti- -Proteggermi?- ripetè Natasha. Nessuno prima le aveva mai detto una cosa del genere. Tom voleva proteggerla. Da Tavington. Protezione. La cosa di cui lei aveva più bisogno in quel momento. E lei la stava rifiutando così, senza indugi. La posta in gioco è troppo alta... si ripetè nella mente. Bastava un piccolo sgarro e Rupert sarebbe morto. -Sì, proteggerti. Io... io...- sembrava che Tom cercasse di trovare le parole giuste per esprimersi –io tengo a te, Natasha. Non voglio che tu soffra- così dicendo le accarezzò con un dito la guancia. Quel gesto la riscaldò molto più della coperta bucherellata che teneva sulle spalle per proteggersi dal freddo. Natasha alzò lo sguardo. -No, Tom, non mi ha fatto del male- rispose brevemente. -Mi stai dicendo la verità?- chiese lui. -Sì- rispose Natasha. Quella era una bugia solo in parte: è vero che il giorno prima Tavington non l'aveva ferita fisicamente, ma la sofferenza psicologica che le aveva inflitto non aveva eguali. In fondo non è neanche tutta colpa sua. Anzi, per la maggior parte è colpa mia. E' colpa della situazione. Ovviamente se Tavington non avesse appeso la vita di mio fratello ad un filo, io non avrei avuto bisogno di arrivare a questo punto. Ma d'altra parte non è stato Tavington a proporre il ricatto. L'ho dovuto stipulare io e lui l'ha accettato. Avevo proprio ragione, ieri. In ogni caso avrebbe vinto lui. Ma ora ho paura di aver fatto la scelta sbagliata... se Tavington mentiva? Se ucciderà Rupert ugualmente? L'espressione sul viso di Tom si rasserenò, ma non del tutto. Era chiaro che si stava domandando se Natasha stesse dicendo il vero. Ed anche il fatto che Tavington l'avesse minacciata di morte se avesse detto a qualcuno che lui non le aveva fatto del male non lo convinceva. -D'accordo, non parliamone più se non vuoi- concluse lui. Trascorsero il pomeriggio chiacchierando sui cavalli e sulla guerra. Con grande sollievo di Natasha, Tom non nominò più Tavington nè fece riferimenti a ciò di cui avevano parlato prima, anche se continuava a studiare ogni minimo movimento che la ragazza faceva, cosa che la infastidiva tanto che ad un tratto si sentì costretta a riaprire il discorso. -Tom, si può sapere perché mi guardi così?- sbottò. Lui impiegò qualche secondo per rispondere: -Bè... sarai stanca di sentirtelo ripetere, ma sono preoccupato per te. Molto preoccupato- -Ma non ne hai motivo! Perché tutte queste angosce?- Tom sospirò. -Non mi hai detto la verità- Natasha deglutì chiedendosi se davvero non fosse neanche capace di raccontare bugie. -Cosa... cosa te lo fa pensare?- Tom la guardò dritta negli occhi. -Natasha, hai ammesso che lui ti ha minacciata di morte se tu me l'avessi detto, e poi mi racconti che non ti ha fatto niente. Perché allora ti ha minacciata?- Natasha abbassò lo sguardo e non rispose. Tom era troppo furbo. Che stupida era stata. -Ma la mia non è curiosità- continuò Tom -E' apprensione. Sappi che se tu non me lo dirai --e sono sicuro che hai le tue buone ragioni se non lo fai-- lo cercherò di scoprire da solo. Il problema è che così mi complichi le cose. Natasha, di cosa hai paura? Se lo dici a me, puoi stare certa che non lo andrò a dire ad anima viva. Te lo assicuro. Hai la mia parola- La mia parola... pensò Natasha. Era la stessa cosa che lei aveva detto a Tavington il giorno prima. -Ho dato anch'io la mia parola al colonnello che non l'avrei detto a nessuno. C'è una vita in gioco, Tom, oltre la mia. Ormai è diventata una questione tra me e il Colonnello Tavington. Non posso rischiare di dirtelo. Non è che non mi fidi di te- aggiunse in fretta, perché Tom aveva aperto la bocca arrabbiato -E' che non posso tradire la mia parola. Se vorrai scoprirlo da solo... bè... questo non posso impedirlo. Ma non posso dirtelo- Tom scosse la testa, senza capire. -Credimi Tom... vorrei tanto confidarmi con te. E' un peso troppo pesante per me e ho bisogno dell'aiuto di qualcuno. Quindi oserei dire che forse è solo questione di tempo. Forse un giorno, se ancora non l'avrai scoperto, te lo dirò- Tom sospirò profondamente. -Cercherò di scoprirlo da solo, allora. Capisco la tua posizione, Natasha. Ma ti prego, giurami una cosa- Natasha lo guardò implorante. -Dipende cosa, Tom- -Giurami che se lui ti farà del male tu verrai a dirmelo immediatamente- Natasha valutò per un attimo la richiesta di Tom. Nel patto che aveva fatto con Tavington forse non si sarebbe fatta male... forse non avrebbe dovuto soffrire per salvare suo fratello. Invece sì, si disse, Il Colonnello Tavington è un uomo malvagio e calcolatore. Sono certa che sfrutterà al meglio tutte le possibilità che il nostro accordo gli offre. Bastardo. -Và bene, Tom- Sì, se però Tavington le avesse fatto del male, troppo male (un po' si aspettava di soffrire, ma fino a quello che riusciva a sopportare), lei sarebbe andata a raccontare tutto a Tom. Si fidava ciecamente di lui. E poi, erano in una stalla, come avrebbe mai fatto Tavington a scoprire che lei lo aveva detto a qualcuno? I cavalli di certo non avrebbero parlato...
****
Era quasi il tramonto quando Tom si congedò da lei. Natasha riprese ad occuparsi dei cavalli. Mentre riempiva le mangiatoie, rifletteva. Era incredibile quanto avesse bisogno di riflettere in quei giorni. Troppe cose erano successe, troppe preoccupazioni la soffocavano. Ogni giorno ne arrivava una nuova. E adesso era ancora sola, a pensare, a rimuginare, a ricordare... -Basta- mormorò, mentre faceva cadere per sbaglio del fieno sul pavimento. -Basta?- una voce la raggiunse dall'entrata della stalla. Natasha si voltò, sapendo fin troppo bene chi avrebbe visto. Tavington le si avvicinò, con il solito tung tung dei suoi pesanti stivali e della spada che tintinnava. I suoi occhi azzurri la immobilizzarono prima che lei potesse dire una parola. -Basta cosa, Natasha?- Lei abbassò lo sguardo sul fieno che aveva fatto cadere. -N-nulla, parlavo da sola- balbettò, mentre lui si avvicinava tanto da non consentirle di vedere altro che la sua divisa. Le labbra di Tavington si incresparono e le sue dita iniziarono a passarle tra i capelli. Rimase lì, ghignante, ad osservare ogni riflesso ramato con attenzione e estasi. Natasha tremava. -Perché siete qui, Colonnello?- domandò lei timidamente, cercando di distogliere la propria mente dal pensiero del dolce gioco che le dita di lui facevano con i suoi capelli. -Volevo rammentarti la tua promessa, Natasha- disse lui. La sua voce era roca, bassa, mormorante. Il corpo di Natasha si irrigidì. Sentir pronunciare il loro patto da lui, in qualche modo, l'aveva resa ancora più depressa. Forse aveva mezzo sperato che se ne dimenticasse, o che provasse pena per lei e decidesse di lasciare in vita suo fratello senza niente in cambio. Ma anche queste speranze (già flebili, remote e fioche) erano state calpestate da quegli stivali neri, come tutte le speranze che aveva nutrito nei giorni precedenti. La speranza che quella ragazza non fosse Sharon, la speranza che non avrebbe mai più visto Tavington, la speranza che i suoi genitori e Alan fossero sopravvissuti... -E' una promessa difficile da dimenticare- mormorò lei. Lui sorrise, alzandole il viso con due dita e costringendola a guardarlo negli occhi. -Voglio vederti stasera. Nella mia stanza- disse in un sussurro roco. Paura, terrore e violenta apprensione le attraversarono lo stomaco come un'onda devastatrice. Un lungo brivido scosse la sua spina dorsale. Espirò profondamente per scacciare quell'angoscia pesante e fitta che le invadeva il corpo. Ma non era possibile. All'improvviso si sentì fragile e piccola, nelle mani di un uomo forte, potente e soprattutto adulto. Per la prima volta, nonostante le ore trascorse a rifletterci sopra, si rese conto che quel patto, quel terribile, sporco, odioso patto era stato stipulato troppo in fretta. Lui era un uomo fatto, lei una ragazza di quindici anni. Non era alla sua altezza. Lui l'avrebbe usata per soddisfare stimoli che lei non conosceva, dei quali non sapeva nulla. Le cose sporche che lui aveva pianificato di fare con lei le erano sconosciute. Non si sentiva alla sua altezza affatto. Non era pronta. Non quella sera, non con lui. -Io... io...- Dì qualcosa, qualcosa di furbo, Tasha... pensa... pensa... Tavington la guardava ancora, studiando con evidente piacere le sue reazioni. -Stasera è la sera nella quale ho il permesso di uscire. E' la mia uscita settimanale- disse, d'un fiato, sperando che Tavington rimandasse. Il Colonnello alzò le sopracciglia con fare arrogante: -Quanto potrai stare di fuori?- Natasha deglutì, pensando tristemente che il suo piano improvvisato non stava funzionando affatto. -Un' ora- mormorò, tremante. -Non vedo quale sia il problema, allora- disse lui, circondandola con le braccia. Natasha si ritrovò ancora una volta a fissare i bottoni dorati della sua divisa. Il problema è che ho commesso un errore. Ci dev'essere qualche altro modo per salvare Rupert, non posso fare ciò che mi ha chiesto Tavington... come posso...? Lei alzò la testa per fissarlo: -Non c'è...- deglutì -Non c'è nessun altro modo per salvare mio fratello, Colonnello?-
****
Tavington osservò il viso della ragazza che teneva fra le braccia in ogni particolare. Era un viso impaurito, supplichevole. Con quei bellissimi occhi ambrati rilucenti di lacrime, quelle labbra tremanti... Che labbra invitanti... Così morbide, rosate, innocenti... Sì, "innocente" era sicuramente una perfetta definizione per Natasha Halliwell. La ragazza era così delicata e pura... pronta a sacrificarsi per i suoi familiari, ma non per questo combattiva... no, di certo lei non era una dura. Non aveva un caratterino arrogante, nè era maliziosa come quelle galline senza cervello che erano le puttane dell'accampamento. Natasha era molto diversa da loro. Era diversa da tutte. Tavington si era scoperto a pensare a lei molto più del dovuto. Erano molte le ragazze, o le donne che lo attraevano, ma a nessuna aveva mai pensato così ripetutamente. Per lui tutte quelle donne erano solo giochetti, passatempi per una notte o due. Dopotutto, come si fa ad innamorarsi di una puttana? Ci scopi e basta... Ma questa ragazza... cosa diavolo aveva di speciale? Tavington se lo domandava in continuazione, soprattutto quando i suoi piedi, presi da un istinto indipendente e irrazionale, iniziavano a incamminarsi verso la stalla. Perché perdeva tempo con questa ragazzina? Perché preferiva lei ad una trentina di donne molto più attraenti? Il Colonnello Tavington non ne aveva la più pallida idea, proprio no. Sapeva solo che non vedeva l'ora di portarsela a letto, di baciarla, di imprigionarla con le sue braccia e costringerla a stare ferma mentre lui la spogliava... Quella tunica che lei indossava... era assolutamente disadorna, semplicissima, eppure lo eccitava molto più dei vistosissimi vestiti delle prostitute. Era praticamente uno straccetto, bianco ma strappato e sporcato in più punti, con una scollatura molto ampia ma casuale e sotto... eh, sotto era nuda. Già, sotto non doveva avere nulla. In ogni caso, non vedeva l'ora di scoprirlo. Rimase ad osservarla, ignorando completamente la sua domanda...
****
Natasha distolse lo sguardo da quegli occhi gelidi, mentre sentiva le lacrime giungerle spontanee. Ora la stava anche ignorando... era tutto inutile. Lui non avrebbe cambiato idea, l'offerta era troppo allettante. Come si poteva essere tanto crudeli? Natasha sospirò. -D'accordo. Stasera nel vostro appartamento- biascicò, cercando di non dare peso a ciò che stava dicendo -Come farò a trovarlo?- La sua domanda sembrò risvegliare Tavington da una profonda fantasia. -Il mio appartamento è l'ultima porta a destra del primo corridoio a destra, nell'ingresso. E' il corridoio più grande, lo vedrai subito- Natasha fece un respiro lento e profondo, cercando prima di tutto di riprendere il controllo di sé stessa, poi di smettere di tremare. -A che ora devo venire?- chiese con voce malferma. -Verrai all'una di notte e sii puntuale o saranno guai- -Non ho orologi con me!- protestò lei, mentre i denti le battevano. -Questo- disse Tavington con tono freddo -è un problema tuo. E mi raccomando: non farti vedere da anima viva, intesi?- -Come faccio?!- esclamò lei, in preda al panico. C'erano guardie al portone del palazzo giorno e notte: era impossibile entrarvi o uscirvi senza essere visti. -Le guardie sanno che tu sei la stalliera. Non ti degneranno di uno sguardo-
Natasha abbassò la testa. C'erano così tante cose che avrebbero potuto andare storte... e lei avrebbe dovuto correre tanti rischi per una cosa che non voleva assolutamente fare... Ricordati di Rupert. Sì, se ne ricordava. Era per lui che faceva tutto questo e non doveva rimpiangere la sua scelta. Per lui avrebbe venduto la sua anima al Diavolo... ed in effetti era quello che aveva appena fatto.
****
Tavington lasciò la stalla pochi minuti dopo, lasciando sola una Natasha ancora tremante e preoccupata. Che ore erano? Il tramonto era già passato da un po' e la sera cominciava a scendere. Natasha guardò da una fessura della stalla il cielo bluastro con sfumature azzurre. La luna già appariva lassù, alta, serena, senza problemi. Sarà questa stessa luna che mi vedrà perdere la verginità... -Piantala, Tasha. Smettila di pensarci- si disse per l'ennesima volta. Di nuovo si domandò che ore fossero. Dovevano essere le sette, le sette e mezza, forse le otto. Ciò significava che tra non molto sarebbe arrivato Tom con la cena. Aveva bisogno di stare un po' con lui, di distrarsi, prima di... Smettila. In effetti pochi minuti dopo la porta della stalla si aprì ed entrò Tom. -Ciao Tasha, buonasera. Ecco qui la tua cena- disse, salendo come al solito la scala a pioli per arrivare da lei. -Grazie Tom. Sono davvero affamata- Un'altra bugia. Lo stomaco le si era chiuso, la testa le girava, c'era nell'aria un senso di irrealtà e le sembrava di sentire in lontananza una lancetta di orologio che faceva tic tac tic tac e le ricordava che ogni secondo che passava lei era sempre più vicina a Tavington... forse stava impazzendo. Può darsi, si disse, mentre mangiava gli avanzi di caviale che Tom era riuscito a procurarle, Non mi stupirei affatto se fossi impazzita del tutto. Ma era ancora determinata a non fare notare nulla di strano a Tom. Lui non doveva saperne niente. Così, fingendo di essere addirittura di buon umore, stette ad ascoltare il racconto di
Tom su come avesse rubato il caviale dalle cucine. Tom appariva felice di vedere che finalmente Natasha si trovasse allegra. Quanto a lei, le facevano male i muscoli facciali a forza di sorridere ed ogni sua risata risuonava più falsa dell'altra. -Tom, mi piacerebbe usare questa sera come mia uscita settimanale. Posso?- chiese Natasha col tono più naturale possibile, pulendosi la bocca con un tovagliolo. Tom sorrise: -A dire la verità ci vorrebbe il permesso di un ufficiale per farti uscire, ma visto che in questo momento stanno tutti ubriacandosi... perché no?- -Grazie mille- disse lei con una vena di vera felicità, stavolta. Chissà, forse una boccata d'aria le avrebbe fatto davvero bene. Pochi minuti dopo uscivano dalla stalla, Natasha con una coperta sulle spalle per proteggersi dal freddo. Aveva smesso di nevicare da circa una settimana, e la neve si era quasi completamente asciugata, ma la temperatura era lo stesso molto bassa e il respiro si condensava in nuvolette ogni volta che aprivano bocca. -Hai scelto proprio una bella serata- le disse Tom, prendendola per mano -C'è una luna stupenda- -Già- rispose lei distrattamente, mentre i suoi pensieri precedenti sulla luna le tornavano in mente. Li scacciò scuotendo leggermente la testa. -Ho un'idea- disse Tom, guardandola negli occhi -Ti và di venire nel cortile dietro il palazzo? Non è proprio un paradiso, ma c'è una panchina e addirittura qualche fiore. Là c'è una vista magnifica- -Per me và benissimo- acconsentì lei, mentre lui la conduceva dietro il palazzo. Il luogo di cui aveva parlato Tom era senza dubbio l'angolino migliore di tutto il forte, pensò Natasha nonappena vi giunsero: non era molto grande, ma per terra cresceva rigogliosa un'erbetta all'inglese il cui verde era brillante anche di notte; qualche fiore campestre ondeggiava qua e là nella leggera brezza notturna e tra la murata del palazzo e la staccionata era stata posta una vecchia panchina di legno dall'aria robusta. -Vieni- le disse Tom, accompagnandola alla panchina e facendola accomodare. Lui si sedette accanto a lei. Per qualche minuto rimasero in silenzio, con i giovani visi rivolti al cielo stellato. Anche se con difficoltà, Natasha riuscì a dimenticare, almeno in parte, cosa la aspettava quella sera stessa: il suo sguardo, come la sua mente, si era dilettato a perdersi nell'immensità del cielo e delle sue sfumature vellutate. -Fa dimenticare ogni preoccupazione- mormorò, senza staccare gli occhi dall'immensità. Tom la guardò, ma Natasha impiegò qualche secondo ad accorgersi che lui la stava fissando. -Se solo potessi sapere cosa ti angoscia...- disse lui, ed il suo sguardo era intenso, profondo. Una lacrima scivolò sulla guancia di Natasha. Il mondo le stava cadendo addosso. Era una povera disperata e la sua vita futura sarebbe stata un susseguirsi di sofferenze, ansie e dolori. E non ne avrebbe mai parlato con nessuno, tenendosi tutto per sé, aggiungendo carico a carico sulla sua povera anima lacerata... Tom, come se avesse appena visto cosa Natasha stesse pensando, la strinse forte a sé. Lei si rannicchiò tra le sue braccia, piangendo forte sul suo petto. Lui appoggiò la testa su quella di lei, chiudendo gli occhi. -Scusa, non importa- le sussurrò. Natasha non riusciva più a smettere di piangere, ora che aveva cominciato. Era troppo. Troppo. -Tom, ho tanta paura!- singhiozzò -Io... io non ce la faccio...- -Shh- la quietò lui -Non avere paura, Tasha. Ci sono io qui. Ci sono io- Quelle parole, incredibilmente, la confortarono nel profondo. Non aveva paura, non aveva freddo, ora. Era lì, stretta dalle braccia di Tom, ed era al sicuro. Niente poteva succederle finchè era con lui. Quel che sarebbe accaduto dopo, non le importava. Non adesso, almeno. Alzò la testa lentamente e lo guardò. I loro occhi si incontrarono per un istante lungo un'eternità. Le braccia di Tom, ancora attorno al suo corpo, la avvicinarono a lui. Anche i loro visi si avvicinarono, gli occhi di entrambi si chiusero... le loro labbra si incontrarono. Si sfiorarono lievemente, quindi si posarono. Natasha avvertì una sensazione di calore mai provata prima. Le labbra di lui erano così morbide, così dolce il movimento di esse sopra la sua bocca. Istintivamente, Natasha circondò il collo di Tom con le braccia e continuarono a baciarsi... il loro bacio da dolce e soffice diventò passionale e profondo. Entrambi si sentirono mancare il fiato. Entrambi avvertirono il palazzo sparire alle loro spalle, insieme alla staccionata... anche il cielo sparì, o forse non aveva più importanza... nulla più importava, tranne che il bacio continuasse all'infinito... perché se quel loro dolce, dolcissimo contatto si fosse interrotto, cose terribili sarebbero accadute... E così fu. Un rumore, troppo vicino, troppo seccante, li riportò alla realtà. Pian piano ricomparirono il palazzo, e il cortile, la staccionata e il cielo. Anche il freddo, improvviso e schietto, li investì di nuovo. Ma nessuno dei due aveva davvero voglia di voltarsi a vedere chi o che cosa avesse provocato quel rumore. Volevano solo continuare a guardarsi, ognuno perso negli occhi dell'altra e dimenticarsi del mondo intero e delle sue maledette preoccupazioni e inquietudini. Ma il peso che Natasha aveva sulle spalle la spinse a muoversi per prima. Sbattè le palpebre ripetutamente, come domandandosi cosa fosse successo. Ma quel piccolo movimento fu sufficiente a spezzare l'incantesimo. Tom sospirò, continuando a guardarla. -Sarà meglio muoversi da qui- disse, porgendole la mano per aiutarla ad alzarsi. -Sì- disse lei, afferrandola. Le girava ancora la testa, ma molto più vorticosamente di prima. Quello che era successo era stato meraviglioso, stupendo, fantastico. Un sollievo, anche se temporaneo, da tutto. Sollievo totale. Leggerezza. Ardente passione. Arrivati all'angolo appena precedente al cortile principale, Natasha fermò Tom con un braccio. Senza bisogno di parlare, i due si baciarono di nuovo, appassionatamente, amorevolmente. Tom le sfiorò la guancia con la mano: -Starai attenta, vero, Tasha?- Natasha annuì: -Sì, Tom- e poi aggiunse, di getto -Mi mancherai- Lui sorrise: -Anche tu, tesoro- Dopodichè la baciò sulla fronte e le augurò la buonanotte. Mentre stava per entrare nel palazzo, Natasha si ricordò di una cosa. -Ehi Tom, aspetta!- esclamò. Lui si voltò verso di lei: -Dimmi- Natasha alzò le sopracciglia con aria casuale: -Sai che ore sono?- Tom parve vagamente sorpreso dalla domanda, ma tirò fuori un orologio da taschino e lo consultò: -Le dieci in punto. Perché?- -Devo sapere a che ora dare da mangiare ai cavalli. Sai, li nutro ad intervalli di cinque ore, per non viziarli troppo- Tom sorrise: -Ottima idea. A domani, allora- -A domani- rispose lei, sollevata che almeno lui avesse creduto a questo. Tornò nella stalla e si rannicchiò sul pagliericcio sul quale dormiva. Aveva voglia di rivivere, nella sua mente, il bacio con Tom, ma invece doveva dedicarsi ad un compito assai meno piacevole. L'unico modo per sapere esattamente quando fosse stata l'una di notte era contare secondo per secondo. Per tre ore. Iniziò, sperando di ricordare il ritmo delle lancette che scandivano i secondi nella pendola che c'era nella sua vecchia cucina. Uno, due, tre, quattro, cinque... Un minuto e due, un minuto e tre... Quaranta minuti e otto, e nove, e dieci... Un'ora e uno, due, tre... Un'ora, quaranta minuti e due, tre, quattro, cinque... Due ore, trenta minuti e uno, due tre... Due ore, quarantacinque minuti e uno, due, tre, quattro... Mancavano quindici minuti al suo appuntamento. Poteva già avviarsi. Il suo cuore iniziò a martellare contro le costole violentemente, molto violentemente... pum, pum, pum, pum. Doveva andare. Lentamente, con mani e piedi tremanti, Natasha scese dalla scaletta ed atterrò sul freddo pavimento della stalla. C'era una sensazione di totale irrealtà nell'aria. La stalla, illuminata solo dalle grandi ed alte torce esterne, era immersa nella penombra e in un silenzio quasi innaturale. Com'è possibile che i cavalli non producano neppure un rumore? Perché l'unico suono è il mio respiro? Probabilmente i cavalli stanno dormendo, riflettè. Era così tremendo stare in quel luogo buio e silenzioso, senza altro pensiero che la proprio ansia, senza nulla che potesse distrarla dal suo destino, così temuto, così rimuginato... ed ora così vicino. Ma sapeva che di lì a poco avrebbe dato qualunque cosa pur di poter tornare alla stalla il più presto possibile. Aprì la porta con cautela, ed una volta fuori immerse la testa nel freddo pungente per guardarsi a destra e sinistra. Non sapeva neppure lei chi avesse paura di incontrare: le guardie stavano come al solito ritte davanti all'ingresso del palazzo e non si mossero nemmeno quando lei richiuse la porta della stalla alle sue spalle. Natasha si strinse le mani sugli avambracci, abbracciandosi. Tentava di riscaldarsi, ma era impossibile. Faceva troppo freddo. Si domandò come avesse fatto ad uscire con una temperatura del genere, qualche ora prima. Il suo cuore si calmò un poco al ricordo del bacio con Tom. Oh, come voleva rivederlo ancora! Lui le mancava davvero, soprattutto in questo momento angosciante. Cercando di non pensare a nulla, Natasha percorse i pochi passi che la separavano dalla scalinata frontale del palazzo. Iniziò a salire i gradini, automaticamente, senza esitare... ogni esitazione le sarebbe costata sofferenza, incertezza, ed una voce in lei che gridava sempre più forte... Vattene! Che stai facendo?? Scappa! Non puoi andargli incontro! Stupida, scappa!! No, non posso farlo... La vita di Rupert è nelle mie mani! E' nelle mani di Tavington, Tasha. Non capisci? Lo ucciderà comunque...! NON DEVO PENSARE. Giunse sul pianerottolo e spinse il massiccio portone di quercia senza guardarsi indietro, senza rivolgere neanche uno sguardo alle guardie sull'attenti che stavano di fianco a lei. Straordinariamente, anche essi la ignorarono e ben presto Natasha si ritrovò a contemplare il maestoso ingresso del palazzo di Fort Carolina. L'aveva visto una sola volta, e di sfuggita, quando era uscita dalla sua camera con Tom diretta alla stalla. Adesso non era, come lei si era aspettata, buio o ombroso: al contrario, delicate torce dorate erano appese qua e là, gettando una luce decisa sull'elegante mobilia, sul tappeto persiano sul quale i suoi piedi stavano camminando e sulla scala imponente che si apriva davanti a lei. Delle porte si susseguivano ai lati del salone, e subito Natasha immaginò che si trattasse dei vari corridoi del piano terra. Cosa aveva detto Tavington? Il primo corridoio sulla destra? Natasha si voltò e vide una porta che corrispondeva alla descrizione. Era leggermente più larga delle altre, e anche se era praticamente identica ad ogni altra, a Natasha pareva molto più minacciosa di qualunque altra porta lei avesse mai visto in vita sua. Il corridoio in cui si trovava l'appartamento di Tavington doveva celarsi là dietro... Natasha avanzò decisa ed appoggiò la mano tremante sul gelido metallo della maniglia. La abbassò. Entrò. Chiuse la porta dietro di sé e osservò il corridoio che le si parava davanti. Era arredato con lo stesso stile dell'atrio: muri di pietra bianca, tappeto rosso per terra, torce fiammeggianti ai lati di ogni porta. C'erano molte porte... Tavington doveva vivere nell'ultima... Il corridoio era piuttosto lungo, ma non molto largo; Natasha iniziò a percorrerlo mentre i suoi stessi passi, ovattati dallo spesso e morbido tappeto, le risuonavano nelle orecchie quasi minacciosamente. Oltrepassò le prime tre porte in uno stato sognante: sì, tutto intorno a lei le pareva appartenere ad un sogno... ad un incubo, per essere più precisi... Dalla quarta porta alla sua sinistra proveniva un rumore di voci: dovevano essere due uomini che discutevano. Natasha passò oltre in punta di piedi. Quelle pareti, così strette... sembrava la stessero soffocando... Andò avanti, aumentando l'andatura. Camminò così velocemente che i muscoli dei suoi polpacci iniziarono a protestare... non le importava nulla. Doveva arrivare in fondo, doveva porre fine a tutto questo... Era quasi ansante quando giunse al termine del corridoio. Si fermò, il cuore che le batteva all'impazzata. Lentamente, tristemente, voltò la testa verso la porta alla sua destra. Il suo sguardo terrorizzato percorse con lentezza il legno lucido della superficie... poi i suoi occhi si fermarono sulla maniglia. Tavington l'avrebbe mossa, quella maniglia, dall'interno della sua stanza... Fece più di un respiro profondo. Chiuse gli occhi ed alzò la mano per bussare. No, non ce la faceva, la mano non rispondeva ai comandi del cervello. Natasha la guardò e vide che tremava violentemente, e non per il freddo. Fece un altro respiro. Poi, più velocemente che potè, alzò il piccolo pugno e bussò delicatamente, tre volte, senza pause. Sperava ardentemente che lui avesse aperto subito. Non sarebbe mai riuscita a trovare la forza per bussare di nuovo. Si udirono dei movimenti dall'interno della stanza. Il cuore di Natasha batteva così forte che ne avvertiva i battiti nelle orecchie. Dopo quello che parve un millennio, la maniglia della porta si abbassò di scatto e la porta si spalancò. Quel rumore, così brusco nel silenzio che la circondava, la fece sobbalzare. Guardò d'istinto l'uomo sulla soglia e il suo cuore si fermò. Tavington si era sciolto i lunghi capelli castano scuro dal loro ordinato codino, ed ora gli ricadevano sulle spalle, ondulati e in disordine. Il suo fisico atletico era messo in evidenza da un'ampia camicia bianca leggermente sbottonata, che lasciava intravedere il suo torace robusto e scolpito. Su tutto risaltavano i suoi occhi azzurro-ghiaccio, in forte contrasto con i capelli scuri. Quegli occhi la scrutarono, apparentemente deliziati, ed un ghigno si formò sulle sue labbra. -Miss Halliwell...- disse, continuando a studiarla -Entrate- Si fece da parte per lasciarla passare, tenendo aperta la porta con una mano. Natasha mosse qualche timido, breve passo all'interno della stanza, guardandosi intorno. Era una locale largo e spazioso, dall'aria comoda ma poco accogliente. Aveva più l'aspetto di uno studio che di una camera da letto. Il pavimento era di legno scuro e lucido, anche se, in parecchi punti, non era perfettamente levigato: alcune rigature, anche se sottili, erano ben visibili alla luce tenue e aranciata fornita da due piccoli lampadari appesi alle pareti; l'unica illuminazione. Una scrivania possente, della stessa tonalità lignea del pavimento, troneggiava al centro della stanza, ricoperta da fogli scritti, carte, calamai di diversi colori e una pila di lettere ancora non aperte. C'erano tre sedie vicino allo scrittoio: una, imbottita come una poltroncina, era posta dietro alla scrivania; le altre due, di fattura più semplice, vi erano davanti, pronte a ricevere ospiti. La mobilia era scarsa: a parte le sedie e l'elegante scrivania, vi era un grosso armadio immerso nell'ombra, che se ne stava silenzioso ed inosservato alla destra della porta; e, per ultimo (ed in effetti pareva anche fuori posto in quella specie di studio) vi era un letto matrimoniale, nella parte più posteriore della stanza: un letto semplice, ma che manteneva intatti i colori della stanza, tutta sul legno scuro, l'arancio pallido ed il bianco. Le sue lenzuola candide, di lino a giudicare dalle apparenze, si intonavano alla perfezione con il soffitto e le pareti nude. La testata del letto era probabilmente la sua parte più degna di nota: un bell'intaglio nel legno sovrastava altero i cuscini e le coperte in disordine. Natasha lasciò vagare il suo sguardo su tutto quello che la circondava, mentre Tavington chiudeva la porta con un rumore leggero. La ragazza non sapeva se avrebbe osato voltare la testa e fronteggiarlo. Udì, con il cuore che batteva all'impazzata, i suoi stivali muovere alcuni passi sul legno, avvicinandosi a lei. D'un tratto, troppo presto, avvertì chiaramente il petto di lui contro la sua schiena. Non riusciva ancora a realizzare di essergli così vicina. All'improvviso, eppure lentamente, le sue forti braccia la circondarono all'altezza della vita, imprigionandola. Natasha fece un respiro profondo, per sciogliere il disagio che, come una nuvola nera che porta tempesta, stagnava nel suo stomaco. Quel respiro non servì a tranquillizzarla, nè a rassicurarla, nè a rilassarla. Non servì a nulla. Era come una persona che cercasse di consolarsi mentre si avviava al patibolo. La paura, il terrore di quella situazione mai l'avrebbero abbandonata, lo sapeva. Tuttavia nutriva ancora tante speranze. Speranze che lui non le avrebbe fatto del male, speranze che un giorno, forse vicino, lei se ne sarebbe andata per sempre da Fort Carolina. Speranze che la sua felicità potesse tornare intatta come lo era un tempo. Le labbra di Tavington che le si posavano sul collo nudo la risvegliarono da quel torpore, da quel panico tumultuoso ma così confuso... aveva paura di ciò che lui, quell'uomo così forte e vigoroso, le avrebbe fatto quella notte... aveva paura perché non conosceva il pericolo. Percorrendo quel corridoio, bussando a quella porta, sapeva che sarebbe andata incontro all'ignoto. E pensare che non era del tutto ignoto, non era del tutto nuovo quello che di lì a poco avrebbe incontrato. Ricordava (e quei ricordi l'avevano ossessionata da quando aveva preso quell'orrido accordo con Tavington) quello che Caroline le aveva detto riguardo al sesso. Caroline era sua cugina, una ragazza di venticinque anni che lo scorso anno si era sposata con un giovanotto di Boston, e che poi era andata a vivere col marito in una proprietà del Massachussets senza più mettere piede nel South Carolina. Quando ancora abitava in questa regione, Natasha era andata con la sua famiglia ad assistere al matrimonio. Dal momento che si era svolto nella cittadina di Pembroke, gli Halliwell si erano offerti di ospitare i due sposi per qualche tempo, e Caroline, insieme al marito, aveva accettato. Nel tanto tempo che trascorrevano conversando, Caroline e Natasha un giorno erano arrivate all'argomento del sesso. Natasha le aveva chiesto, un po' timida ma segretamente curiosa, com'era la prima volta. Sapeva che poteva chiederlo a sua cugina, perché Caroline non era una ragazza vecchio stampo, anzi aveva un caratterino piccante e vivace. Le aveva risposto senza indugi e senza occhiate maliziose. "-Non voglio metterti in ansia, mia cara, ma è un'esperienza assai dolorosa. Voglio dire, quando si arriva al momento di fare l'amore con un uomo, devi essere sicura che tu, di quell'uomo, puoi fidarti. Ed anche quello comunque non basterà. Ma non c'è solo il dolore, mia cara, c'è anche il piacere. E' un'esperienza meravigliosa, da consumare insieme al tuo sposo, ovvero la persona che più ami al mondo. Non vi è nulla di scandaloso in ciò. Ma ricorda: la responsabilità sta tutta nell'uomo a cui ti concederai. La verginità è il dono più grande che una donna, o una ragazza, può fare ad un uomo. Sono sicura che tu, tesoro, con la tua intelligenza e il tuo bel carattere dolce, troverai l'uomo giusto nel giro di pochi anni e sono certa che quest'uomo non ti ferirà in nessun senso...-" Quanto si sbagliava! D'accordo che Tavington non era l'uomo con cui era fidanzata, ma era quello a cui si era concessa! Come l'avrebbe rovinata, il Colonnello Tavington... con quale coraggio poteva farle questo? Con quale cuore? Ma lui non ha cuore, nè pietà, ricordò a sé stessa, cercando di distrarsi dai baci che ora Tavington le stava dando sul collo e sulle spalle, procurandole lunghi brividi freddi, E stanotte mi farà sua... -Voltati- ordinò lui a bassa voce, sciogliendo il suo abbraccio. Natasha obbedì, lentamente, senza guardarlo in viso. Come ormai aveva fatto tante volte, abbassò lo sguardo sul suo petto: non era affatto tranquillizzante, ma era senza dubbio meglio dei suoi occhi gelidi e beffardi. Le sue braccia la circondarono di nuovo, tenendola stretta a sé. Natasha posò le mani sulla camicia di Tavington cercando allo stesso tempo di spingerlo via e di proteggersi. Tavington chinò la testa e posò le sue labbra su quelle di lei. La baciò con impeto, quasi con furia. Natasha ebbe difficoltà a respirare. Prima che se ne rendesse conto, le mani di Tavington avevano raggiunto i bottoni della sua tunica ed ora li stavano slacciando. Natasha aveva la pelle d'oca e le ginocchia le iniziavano a cedere. Tavington la sorresse con un braccio, mentre l'altra mano era ancora al lavoro con la fila di sottili bottoni... Natasha avvertì una lacrima scenderle sulle guance, mentre il bacio forzato di Tavington non accennava a spegnersi. Tavington slacciò il primo bottone. Quindi il secondo. Ora, la scollatura era abbastanza ampia per permettergli di osservare il seno della ragazza. Natasha sussultò avvertendo la fredda mano di lui insidiarsi nel suo vestito semi-aperto, raggiungere il suo seno e accarezzarlo lentamente, deliberatamente... Natasha gemette lievemente. I brividi la scuotevano in tremiti convulsi. Lui separò le labbra dalle sue e la fissò... Natasha si sentì prigioniera dei suoi occhi di ghiaccio, mentre la mano di lui si fermava, salda, su uno dei suoi seni. Natasha non riusciva a reagire. Era perduta. Tavington la condusse, quasi impercettibilmente, verso il fondo della stanza. Natasha se ne rese conto solo quando lui la spinse violentemente sul letto. Dopodichè, Tavington montò sopra di lei. Allora Natasha urlò. Urlò di paura, urlò per il peso di lui sul suo corpo fragile... urlò istintivamente. Tavington le tirò uno schiaffo che le girò la faccia. -Zitta!- intimò. Si chinò nuovamente su di lei, baciandola, mentre le sue mani slacciavano gli ultimi bottoni e le facevano scivolare delicatamente il vestito dalle spalle. Ben presto i seni della ragazza furono nudi di fronte a lui. Natasha pianse, e pianse ancora. Voleva coprirsi, voleva proteggersi da quegli occhi bramosi e da quelle mani insidiose. Invece rimase ferma, chiuse nel suo dolore, imprigionata nel patto che lei stessa aveva stipulato. Tavington si concesse un minuto per togliersi la camicia, che buttò a terra, rivelando un torace muscoloso e ben proporzionato. Un torace forte. Poi si tolse gli stivali, che caddero sul legno del pavimento con un tonfo. Quindi Tavington concentrò nuovamente la sua attenzione su di lei, sul suo seno nudo, innocente, che mai un uomo aveva toccato prima. Natasha vide le sue labbra arricciarsi in un sorriso, prima di posarsi su uno dei suoi capezzoli. Natasha inarcò la schiena. Le labbra di lui succhiarono, poi si aprirono leggermente per permettere alla lingua di leccare, puntellare, descrivere cerchi concentrici. Natasha si mosse, a disagio. Pensa a qualcos'altro, Tasha, dai, si disse, mentre calde lacrime le scorrevano ancora sulle guance. No, era impossibile pensare a qualcosa che non fosse il ritmo della lingua di lui, così calda e viscida, che giocava con il suo seno... -Per favore, basta- mormorò, la flebile voce rotta dal pianto e dalla disperazione. Lui si alzò e la guardò negli occhi: erano occhi che assaporavano la sua vittoria... occhi altezzosi, canzonatori, furbi. -Perché dovrei smettere? Vuoi forse dire che a questo punto vuoi che tuo fratello muoia? Se è così, allora...- Natasha singhiozzò, in preda alla disperazione. -No, vi prego, non fatemi altro... per favore- Tavington avvicinò ulteriormente il viso a quello di lei. Natasha non potè fare a meno di soffrire del forte contatto del suo petto muscoloso sui suoi seni nudi. -Abbiamo un accordo, Miss Halliwell- le sussurrò malevolo all'orecchio -Se volete che io smetta qui, sapete qual è il prezzo da pagare- Natasha rabbrividì dopo quelle parole, ma non disse nulla. La sua mente era svuotata. Tavington sorrise beffardo, e dopo qualche secondo le sue labbra iniziarono a esplorarle l'altro capezzolo. Natasha diede in un sospiro penoso e tremante. Dopo altri minuti di tortura, Tavington iniziò a eccitarsi febbrilmente. Natasha lo udì ansimare e voltò la testa, per non vederlo. Una mano di Tavington iniziò a frugare sotto la sua gonna... le gambe di Natasha si mossero nervose, cercando di impedire che succedesse... ma Tavington raggiunse la sua intimità in pochi secondi, nonostante i tentativi di resistenza di lei. Ghignando perfidamente, lui le alzò la gonna in un lampo. Natasha singhiozzò, colma di terrore. Vide Tavington iniziare a slacciarsi i pantaloni... -No!- esclamò Natasha, cercando di alzarsi -Vi prego, no!- -Stà seduta!- ringhiò lui, spingendola nuovamente sul letto e tenendola ferma con una mano, mentre l'altra continuava a slacciare i pantaloni. Natasha fu accecata dalle lacrime. -Vi prego, vi scongiuro, no!- lo supplicò -Io... io... non ho mai...- Il ghigno di Tavington si allargò. -Ti farò mia, Natasha. Che tu lo voglia o no- Dopo queste crudeli parole, Tavington si chinò ulteriormente su di lei e la penetrò. Il dolore arrivò in un'ondata pesante e inevitabile. Natasha gridò con tutte le sue forze, ma ben presto Tavington, ansante, le coprì la bocca con una mano. Il corpo di Natasha si irrigidì sotto il peso di lui. Un acuto dolore si spanse come veleno in tutte le parti del suo corpo. Lacrime di panico continuavano a sgorgare dai suoi occhi, mentre con le mani Natasha cercava disperatamente di staccarlo da lei, di mettere fine a tutto questo... Tavington iniziò a spingere, sempre più a fondo, sempre più dentro di lei. Natasha sentiva il fiato di Tavington sugli occhi, ne sentiva il rumore, avvertiva ancora il peso del suo corpo sopra il suo, ma erano diventate tutte cose di secondaria importanza: la mente di Natasha era totalmente concentrata sul ritmo con cui il colonnello spingeva in lei... all'improvviso un senso di nausea la avvolse, mentre sentiva il seme di lui sprigionarsi dentro di lei, spandersi nel suo corpo già avvolto dalle convulsioni. La testa di Natasha iniziò a girare e a dolere. Le sue mani sottili, svanito il tentativo di scacciare quel mostro dal suo corpo semi-nudo, ora giacevano inerti ai lati del petto scoperto di lei, talvolta scosse da un tremito. Ma ad un tratto, tutto finì.
****
Tavington contemplò, col fiatone, il corpo inerte della fanciulla che aveva appena stuprato. Natasha Halliwell era lì, scossa dai tremiti, con la mano di lui ancora postata sulla bocca per impedirle di urlare. Meglio lasciarle la bocca coperta ancora per un po', riflettè, osservandole tuttavia i seni, Non si sa mai, potrebbe iniziare a chiamare aiuto. Tavington si posò su di lei, facendo aderire il suo corpo a quello della ragazza. Ancora non avevano ripreso fiato, nè lui, nè lei. Tavington la osservò ancora, appassionatamente. I suoi bei capelli ramati, così pieni di riflessi, erano sparsi sul copriletto, in disordine. I suoi occhi dolci ora erano colmi di lacrime e di paura e lo guardavano imploranti. Le sue guance rosate, per metà coperte dalla mano di lui, erano umide di pianto. Caspita, doveva averle fatto male. Fu sorpreso a pensare di non averle voluto fare male. Se l'aveva ferita, stranamente, quella volta non era stata sua intenzione. In effetti era difficile voler far del male ad una ragazza così. Insomma, era difficile odiarla, una volta che la conoscevi almeno un po'. Si ricordò di quando aveva tentato di strangolarla. Diavolo, probabilmente Natasha ora lo detestava. Ma di certo lei non si era domandata perché mai lui non l'avesse strangolata del tutto. La risposta era strana: per un attimo, nonostante la rabbia che provava dopo che lei aveva permesso la fuga di Rupert Halliwell, quella piccola, indifesa ragazza gli aveva fatto pena. Aveva provato pietà per lei. Bah, era stato senz'altro un miracolo che, quel giorno, gli aveva fatto allentare la presa sul collo di Natasha. Un miracolo senza dubbio l'aveva salvata. Sebbene Tavington non fosse certo religioso, conveniva che non vi era altra spiegazione. Lui mai aveva provato pietà per qualcuno. Donne, bambini, ragazzi e fanciulle aveva ucciso, nella sua vita, senza ombra di rimpianto. Senza esitazioni, senza dubbi, senza rimorsi di coscienza. Lui non era quel genere di uomo. No, William agiva, senza pensare alle conseguenze, ed agiva sempre per arrivare ad uno scopo prestabilito. Nessuno, non una persona si sarebbe dovuta mettere sulla sua strada, perché questo qualcuno sarebbe morto. Nessuno, su quel pianeta, nè su altri, avrebbe mai potuto fermare William Tavington e le sue ambizioni. Come colonnello non aveva mai perso una battaglia, forse perché nella vita di battaglie ne aveva perse fin troppe. In un lampo, William si ricordò di suo padre, la prima persona che lui avesse odiato a tal punto da desiderare che morisse... Alexander Tavington era una alcolista. Uno sporco ubriacone, forse peggiore di quelli che lui, William, aveva incontrato di recente in quel pub di ribelli dove lavorava la ragazza. Se fosse ancora vivo lo ucciderei , pensò William. Alexander Tavington era un ricco mercante di Liverpool: aveva trovato la ricchezza nelle colonie del South Carolina, dove alla fine si era sposato felicemente con una donna, anche lei inglese, di nome Paula. I due si amavano follemente, e dopo pochi anni dal loro amore nacque William, un bambino meraviglioso, intelligente, sveglio, precoce. I suoi genitori avevano molti progetti per lui... William non ricordava esattamente quando e come tutta quella felicità iniziò a vacillare, ma così successe. Ricordava solo che sempre più frequentemente suo padre tornava a casa, di sera, e si comportava in una maniera che un bambino poteva definire strana. William allora era troppo piccolo per capire che suo padre si ubriacava una sera sì e una no. Vedeva solo che ogni tanto suo padre urlava contro sua madre, la spingeva contro il muro... e sua madre piangeva, gridava a William di andare in camera, di chiudere gli occhi, di non stare a guardare cosa succedeva... e poi, quando lui aveva tredici, o forse quattordici anni, era successo. Suo padre era entrato sbattendo la porta. Era bastato uno sguardo per far capire a William che stavolta aveva proprio esagerato con la birra. Ricordava troppo bene come avesse cercato di fermarlo... -No, papà, non andare dalla mamma. Rimani qui, cerca di calmarti...- -Chi sei tu per darmi ordini, BASTARDO?? Fuori dai piedi...!- William che cadeva per terra dopo il potente schiaffo di suo padre... passi possenti verso la cucina... la voce di sua madre... -No, Alex, no! Ti prego, lasciami, mi fai male!- -Chi ti credi di essere, puttana?! Ti farò stare zitta per sempre, eccome se lo farò...- -No, lasciami...!- E poi quello sparo. L'inconfondibile tonfo di un corpo che si accasciava sul pavimento. La voce di suo padre... -Mio Dio! Paula! Paula! Che cosa ho fatto!! Che cosa ho FATTO!- Quelle furono le sue ultime parole. Poco dopo si era infilato una pistola in bocca e si era sparato. Da quel giorno William se l'era sempre cavata da solo... aveva dato fuoco alla casa, con dentro ancora i suoi genitori morti... non voleva più vederli, gli avevano rovinato la vita, quei due stupidi... Ed ora era lì, a trentotto anni, Colonnello dell'Unità dei Dragoni Verdi. Ma era ancora rimasto in lui qualcosa del ragazzino che quel lontano giorno aveva dato fuoco alla casa. L'odio. Quello era rimasto intatto, invariato. Solo che ora gli tornava utile, facendo un mestiere dove si uccideva per professione. E se ne fotteva altamente, lui, del codice di guerra. Voleva uccidere. Provocare dolore. Morte. Sofferenza. Panico. Distruzione. Perché tutti quegli idioti che se ne stavano intorno a lui, e lo disprezzavano, e si divertivano ad impartirgli ordini, non avevano idea di cosa avesse passato. Nessuno aveva idea dell'odio bruciante, della rabbia che ancora ardeva in lui come un fuoco implacabile. Per questo era strano che per quella ragazza avesse provato pena, desiderio di non farle del male, di non ferirla. Ma ora che gli erano tornate alla mente tutti questi ricordi era difficile trattenere la rabbia. E visto che aveva un'occasione proprio sotto di lui, perché rifiutarla?
****
Il dolore nel corpo di Natasha, il prezzo della brutalità del colonnello, si era leggermente placato. Natasha si domandava cos'altro sarebbe venuto. Tavington l'aveva guardata per un'eternità, e nonostante tutto i suoi occhi erano persi, la sua espressione vuota. Sembrava stesse riflettendo molto intensamente su qualcosa. Era stato torturante attendere che lui facesse qualcosa, che la lasciasse andare, o che almeno si spostasse. Il corpo di Tavington era molto pesante, per una ragazza esile come lei. Dopo qualche minuto, comunque, Tavington tornò in sé e le parve arrabbiato. Evidentemente aveva ricordato o pensato cose poco felici. Natasha iniziò a tremare mentre lo sguardo malvagio di Tavington riprendeva vita e la contemplava. Tavington si avvicinò alle sue labbra e prese a baciarla violentemente, spingendo sempre più il corpo su quello di lei, schiacciandola, togliendole il respiro, facendola gemere di dolore. Natasha potè riprendere fiato solo quando lui si rialzò e scese dal letto con inaspettata velocità. Mosse alcuni passi lontano dal letto. Dopo qualche minuto, Natasha afferrò incerta il vestito, ormai arrivatole alla vita, e si coprì i seni, risistemandosi le spallucce. Quindi si abbassò la gonna, sempre con mano tremante. Si sedette sulla sponda del letto, puntellando i gomiti sulle ginocchia e appoggiandosi la testa sulle mani. Si asciugò con il palmo della mano le lacrime che le rigavano le guance. Le doleva la testa. Le dolevano le gambe e il bacino, per il costante peso del corpo di un uomo massiccio il triplo di lei. Da in mezzo le gambe le partiva un bruciore acuto e costante. In bocca aveva il sapore della saliva di lui. Tavington si era seduto alla sua scrivania, dandole le spalle. Era ancora a torso nudo e non pareva provare il minimo brivido di freddo. La stava ignorando. Natasha raccolse tutte le forze che le rimanevano per alzarsi in piedi e avvicinarsi alla porta. -Posso... posso andare?- domandò con voce fioca e arrochita. Tavington alzò gli occhi dalla lettera che stava leggendo. Dalla sua espressione sembrava si fosse completamente dimenticato della sua presenza. -Andate, Miss Halliwell. Ci rivedremo domani- aggiunse con una nota di minaccia, tornando al suo foglio. Ma questo Natasha a malapena lo udì. Aveva aperto la porta avventatamente, l'aveva richiusa una volta uscita e si era messa a correre nel corridoio. Doveva uscire di lì, doveva allontanarsi da lui, da quel mostro... Attraverso l'atrio, fuori nell'aria gelida, giù per la scalinata, e... era di nuovo nella buia stalla. Salì la scala a pioli incespicando, quindi si stese sul pagliericcio. Cominciò a piangere. Disperatamente, senza interruzione. Tavington l'aveva violentata. Era successo. Ed era stato peggio di quanto lei avesse mai potuto immaginare. Sulle mani, sulle braccia, le era rimasto il profumo di lui, quella sue essenza maschile... Dio, quanto si sentiva... si sentiva... sporca. Sporca e piena di vergogna. Doveva lavarsi, doveva pulirsi in qualche modo... Fitte di acuto bruciore le provenivano ancora da in mezzo alle gambe. Strappò un piccolo lembo del suo vestito, scese con difficoltà la scaletta e andò fino all'abbeveratoio dei cavalli. Immerse il lembo di stoffa nell'acqua gelida, quindi si sedette, la schiena contro una colonna della stalla e si portò il fazzolettino in mezzo alle gambe. Chiuse gli occhi, assaporando quel momentaneo sollievo. La luce della luna ormai morente entrava a barlumi tra le fessure della stalla, gettando luce su alcuni dei cavalli addormentati. Natasha tirò fuori il fazzolettino per immergerlo di nuovo, ma si fermò di stucco dopo avergli lanciato un'occhiata. Il pezzo di stoffa era sporco di sangue. Natasha lo fissò confusa. Non erano quelli i giorni del suo ciclo mestruale, lo sapeva bene. E allora cosa...? Forse è normale perdere sangue dopo il primo rapporto, si disse. In ogni caso, immerse nuovamente il fazzolettino per acquietare le fitte di dolore. Di sangue, non ne usciva più, anche se faceva ancora piuttosto male. Oh, Natasha era piena di vergogna per quello che era successo. Se ci pensava... il solo ricordarlo era una tremenda agonia. Appoggiò la testa sulle ginocchia e pianse di nuovo.
