Capitolo 6
Prigioniera di un incubo
Un mese dopo.
Natasha Halliwell spalancò la porta della stalla e si diresse di corsa all'aperto. Sperando che le guardie non le prestassero attenzione, fece il giro del piccolo edificio e si diresse veloce sul retro. Era arrivato marzo, portando con sé sole e fiori che sbocciavano. Quella giornata, iniziata da meno d'un'ora, si prospettava soleggiata e serena, anche se il pallido sole primaverile non era sufficiente a riscaldare il terreno, che durante l'inverno aveva immagazzinato talmente tanto freddo che ancora Natasha doveva coprirsi con il mantello che le aveva regalato Tom, le poche volte che usciva. Ma quella mattina, come le tante altre precedenti a quella, Tasha non era assolutamente uscita per ammirare il paesaggio o per godere del sole appena sorto. Arrivata sul retro della stalla, dove nessuno poteva vederla, Natasha si lasciò andare e iniziò a vomitare, tenendosi una mano sullo stomaco.
Molti conati di vomito dopo, Natasha si alzò in piedi e respirò profondamente la pura aria primaverile. Ogni tanto la nausea la avvolgeva nuovamente ed era sempre preda di un fortissimo mal di pancia. Non stava bene.
Tasha ritornò furtivamente all'interno di quella che ormai, da tre mesi a quella parte, era diventata la sua casa. Iniziò il quotidiano lavoro di manutenzione, riflettendo intensamente. La prima domanda da porsi era: Perché da qualche giorno non faceva che vomitare tutte le mattine?
Natasha aveva una risposta, ma non voleva accettarla. No, non poteva essere. Era una stupida a pensarlo. No, un momento. La sua non era stupidità, era speranza. Che cosa diavolo sarebbe successo se quello che pensava si fosse rivelato vero?
Tasha scosse la testa per scacciare quei pensieri. In ogni caso, ve n'era una possibilità, e lei doveva parlarne con qualcuno. Anche perché la cosa coinvolgeva altre due persone, oltre a lei. Ma non poteva tenerlo nascosto. Doveva assolutamente dirlo a entrambi. Poi avrebbero discusso la cosa insieme. A questo punto le venne quasi da ridere, malgrado la pazzesca situazione in cui si trovava. Discutere la cosa insieme... certo, come no. Tavington senza dubbio si sarebbe messo a parlarne da persona ragionevole e tranquilla, l'avrebbe invitata a prendere magari un tè all'inglese e quindi ne avrebbero discusso pacificamente, inserendo il discorso tra un pettegolezzo e l'altro. Natasha forse era pazza, ma non fino al punto di credere che una cosa simile fosse possibile. Come si sarebbe comportato Tavington? Senza dubbio sarebbe rimasto sorpreso, ma a quello stupore si sarebbe ben presto sostituita una rabbia e una furia che, molto probabilmente, l'avrebbero portata alla tomba. Già, c'era anche questo rischio. Tavington poteva reagire talmente male che avrebbe potuto ucciderla così, senza riserve. Come quando...
IO NON CI STO PIU' PENSANDO.
Davvero, erano tre mesi che cercava di dimenticare la morte dei suoi cari. Erano avvenuti troppi shock in troppo poco tempo... Natasha era stata fin troppo brava nel superarli tutti. E grazie a me Rupert è ancora vivo.
Sì, Rupert stava bene. O, almeno, stando a quanto diceva Tavington, era così. E anche se la cosa era costata e costava ancora a Natasha tante soffrenze, la vita di suo fratello al momento era salva. Lo era, se non altro, fino a che lei e Tavington andavano avanti con il loro patto. Natasha sospirò profondamente, tornando con il pensiero al problema di prima. Doveva dirlo a entrambi. Perché la responsabilità sarebbe stata anche loro, non solo di Tasha. Dovevano aiutarla, in qualche modo, e anche se Tavington l'avrebbe uccisa, non importava. Almeno ciò avrebbe posto fine a tutte le sue soffrenze, anche se in modo drastico e doloroso. Poi però veniva un altro problema: dirlo avrebbe voluto dire svelare il patto a Tom. E lei non poteva farlo senza l'approvazione di Tavington. Ma in qualche modo, avrebbe dovuto rischiare. Non poteva dirlo soltanto a Tavington, perché comunque era una cosa che prima o poi sarebbe stata sotto gli occhi di tutti. Natasha doveva agire in fretta, prima che passasse troppo tempo.
Entro stasera sia Tom che Tavington dovranno esserne a conoscenza.
Tom entrò nella stalla portando il vassoio del pranzo.
-Buongiorno, tesoro- disse a Natasha, che era raggomitolata come al solito in un angolo del pagliaio sopraelevato.
-Ciao!- lo salutò lei, mentre lui saliva la scala e posava il vassoio ai piedi della ragazza.
-Ecco a voi, miss- le disse, prima di abbracciarla e baciarla profondamente.
-Grazie- rispose Natasha, iniziando a mangiare. Senza preamboli, Tasha iniziò il discorso:
-Senti, Tom, io ho qualcosa da dirti-
-Cosa?-
-Non posso dirtelo adesso. O meglio, potrei, ma credo che sia meglio dirtelo in presenza di un'altra persona perché... bè non penso di essere in grado di ripeterlo due volte, ecco-
Tom la guardò aggrottando la fronte: -Ha... ha qualcosa a che fare con... hai capito?-
Natasha annuì: -Sì. Tu avevi capito che c'era qualcosa che io... che io non ti avevo mai detto-
Lo sguardo di Tom si fece più intenso. Natasha non aveva mai affrontato quel discorso da sola, tanto meno era stata lei a introdurlo. Durante l'ultimo mese Tom non aveva fatto altro che indagare per cercare di capire cosa lei gli nascondesse: purtroppo non aveva avuto fortuna e la sua conoscenza era al punto di prima.
-Quindi?- disse Tom.
-Quindi... la conoscenza della cosa che ti dirò oggi pomeriggio è del tutto inerente con la cosa che ti... nascondevo-
Tom aggrottò la fronte.
Natasha sospirò: -E' difficile per me essere arrivata a questo punto. Questa... cosa... che non ti ho mai potuto dire è stata per me una vera tortura... è stato terribile, Tom, davvero. Io non so cosa succederà dopo questo pomeriggio, ma ti assicuro che se non te ne ho mai parlato è stato perché mi era stato impedito-
-Dal Colonnello Tavington?- disse Tom, ansioso di saperne di più.
Natasha annuì tristemente: -Già, da lui. Comunque, ti prego di venire, oggi pomeriggio alle quattro qui, nella stalla. Cerca di venire di nascosto, non voglio... non voglio che qualcuno di insospettisca. Lo farai, vero, Tom?-
Il Colonnello Tavington riordinava alcuni fogli sulla sua scrivania, sbuffando. Un lavoro così emozionante, il suo, ma con tante di quelle stupide scartoffie!
Tavington sbuffò ancora. Era annoiato da tutto. Il mondo intero lo stava soffocando. Dannato Lord Cornwallis.
-Oso presumere che il mio piccolo contributo in questa guerra verrà ricompensato, un giorno- aveva detto lui, Tavington.
-Forse presumete troppo- aveva risposto quel bastardo. E poi tutte quelle inutili ciance...
-Voi servite me e il modo in cui mi servite SI RIFLETTE su di me... Queste brutali tattiche debbono cessare... Avevo pensato che un gentiluomo di una famiglia stimata come la vostra potesse comprenderlo...-
-My Lord, posso progredire solo attraverso la vittoria-
-Colonnello, voi potete progredire solo attraverso le mie buone grazie-
Stupido idiota.
Non sembrava così arrabbiato quando lui, Tavington, aveva vinto la battaglia di Camden. Non avrebbero mai vinto senza il suo contributo, Tavington lo sapeva. E anche Cornwallis lo capiva. Il problema era che Cornwallis aveva sempre detestato Tavington ed ogni occasione era buona per fargli stupidi rimproveri. Maledettissimo bastardo.
William sospirò e si appoggiò allo schienale della poltrona, stiracchiandosi le braccia e le gambe. Chiuse gli occhi e tentò di rilassarsi, ma la sua momentanea pausa dal lavoro fu interrotta da un leggero bussare alla finestra. William aprì gli occhi seccato e si preparò a fare una sfuriata a chiunque fosse stato il visitatore. Con sua grande sorpresa, fuori dal vetro vide Natasha, i capelli illuminati dai raggi del sole del primo pomeriggio. A Tavington bastò un'occhiata per capire che la ragazza non stava molto bene: aveva un'aspetto pallido e gracile.
-Colonnello- bisbigliò lei nonappena William ebbe aperto la finestra.
-Che c'è?- rispose questi bruscamente.
-Io ho... bisogno di parlarvi. Potreste venire alle quattro nella stalla?-
Tavington aggrottò le sopracciglia: -Che diavolo c'è?-
-Ve lo spiegherò dopo. Vi prego, venite-
William le rivolse uno sguardo cupo, quindi annuì, di malavoglia: -Verrò-
-Grazie. E' molto importante-
Tavington alzò le sopracciglia con aria scettica, quindi chiuse la finestra e ritornò ai suoi fogli. Però, dentro si sé, era curioso di sapere cosa Natasha volesse dirgli. Non era da lei andare direttamente nella tana del leone.
Tavington ridacchiò, quindi tornò al lavoro.
Alle quattro del pomeriggio, Natasha se ne stava seduta sul pagliericcio e si stringeva il mantello che le aveva donato Tom per ripararsi dal freddo. Il sole era stato offuscato da un ammasso di nuvoloni grigi che le mettevano malinconia. Tra qualche minuto sarebbero arrivati Tom e Tavington e lei avrebbe dovuto riferire loro il pensiero che la tormentava. Sperava con tutto il cuore che fosse arrivato prima Tom. Non avrebbe sopportato di passare dell'altro tempo sola con Tavington. Ne trascorreva già troppo.
Come poteva dire quello che doveva dire? Natasha si tormentava la mente in cerca delle parole giuste, ma non le veniva nessun' idea. Avrebbe dovuto dirlo in maniera nuda e cruda, non c'era altra scelta. E poi cosa sarebbe successo? Come avrebbero reagito?
Le riflessioni di Natasha furono interrotte dall'aprirsi della porta della stalla. Con suo grande sollievo, Natasha vide Tom far capolino dall'entrata e volgere gli occhi verso di lei.
Le sorrise: -Ciao, tesoro. Come stai?-
-Sono un po' nervosa- ammise Tasha.
Tom annuì: -Anch'io. Non ho proprio idea di...-
In quel momento entrò Tavington e Natasha sentì il cuore saltarle in gola. Aveva paura. Non poteva farlo. No, ma doveva.
Tavington mosse qualche passo all'interno guardando Tom con la fronte aggrottata. Lo sguardo era reciproco. Natasha scese la scala a pioli e camminò davanti a loro.
-Colonnello, vorrebbe sbrigarsi a prendere il suo cavallo? Io e Miss Halliwell dobbiamo parlare di una cosa- fece Tom, squadrando Tavington.
Tavington gli rivolse uno sguardo freddo: -Spiacente, Felton- fece un cenno con il capo a Natasha e aggiunse: -E' stata Miss Halliwell a volermi qui-
-Ci dev'essere un errore- disse Tom.
-No, Tom, nessun errore- s'intromise Natasha. Un paio di occhi grigi e uno di occhi azzurri si posarono su di lei.
-Cioè?- volle sapere Tavington -Che diavolo sta succedendo?-
-Vi ho chiamati entrambi qui perché devo dirvi una cosa che riguarda tutti e due-
Tavington alzò un sopracciglio: -Io non ho niente a che fare con Felton-
-Nemmeno io ho niente a che vedere con il colonnello. Tasha, vuoi spiegarmi che succede?-
-Tasha?- ripetè Tavington in tono sgradevole. Tom gli rivolse uno sguardo truce.
-Vi prego, ascoltatemi. La cosa che vi devo dire è...-
Tom e Tavington guardarono Tasha in attesa che continuasse il discorso. L'unico rumore era il vento ululante all'esterno.
-Io... sono incinta-
Tom sgranò gli occhi. Tavington rimase immobile ed alzò un sopracciglio.
-E questo cosa c'entra con lui?- chiesero Tom e Tavington all'unisono.
Nella stalla cadde il silenzio più assoluto.
Improvvisamente ognuno si rese conto di quello che aveva detto l'altro e si guardarono. Natasha non sapeva cosa fare, nè cosa dire.
Poi Tavington scoppiò a ridere: -Non credevo che fossi andata così lontano con Felton, Natasha-
-Da quando le date del tu??- volle sapere Tom, tra il confuso e il furioso.
Tavington guardò Natasha e non rispose. Anche Tom rivolse lo sguardo su Tasha. Natasha evitò i suoi occhi.
Dopo qualche minuto, Tom domandò, molto piano: -Sei andata a letto con lui, vero?-
Natasha si voltò ed asciugò le lacrime che le sgorgavano dagli occhi.
Alle sue spalle, udì Tom sospirare e mormorare, una profonda delusione nella voce: -Me ne vado-
Natasha corse verso di lui e gli afferrò il braccio: -No, Tom! Non andartene, tu non capisci!-
-Non mi toccare!- gridò Tom, liberandosi con uno strattone dalla sua presa -Capisco benissimo-
-No, non è vero! Ti prego, Tom ascoltami! Come potrei andare a letto con lui?? Come puoi pensare una cosa simile?-
-Come puoi andare a letto con lui?? Sai, Natasha, me lo chiedo anch'io!-
-Ascoltami- disse Tasha -Io non volevo! Sono stata costretta!-
Tom smise di scappare e la guardò: -Costretta?-
Natasha abbassò la testa. Tom fece un cenno verso Tavington, che se ne stava in disparte, apparentemente annoiato.
Tom sospirò: -E' stato lui?-
Natasha annuì lentamente, come se avesse paura di farsi vedere da Tavington.
Lo sguardò di Tom si trasformò. Da deluso che era, divenne furioso. Si voltò di scatto e raggiunse Tavington.
-VOI!- gridò, gettandoglisi contro.
Tavington lo ricacciò indietro, guardandolo con superiorità.
-Come avete osato farle questo?? Voi, porco, bastardo!- gridò Tom.
-Tom, per favore...- mormorò Natasha.
-Figlio di puttana!- esclamò Tom, guardando Tavington con odio.
Il volto di Tavingto si irrigidì. Tirò fuori la pistola e la puntò su Tom, gli occhi improvvisamente duri: -Ripetilo-
Natasha sapeva che Tom si era spinto troppo avanti.
-Tom, ti prego...- gli disse, cercando di toglierlo dalla traiettoria della pistola. Ma Tom non si mosse.
Natasha quindi si rivolse a Tavington con le guance rigate di lacrime: -Colonnello... per favore... abbassate la pistola. Vi supplico!-
Con gran sorpresa di Natasha, Tavington abbassò la pistola. Lui e Tom continuarono a guardarsi con odio reciproco.
Dopo qualche secondo, Natasha mormorò: -Vi ho dovuto dire questo perché... perché c'è un problema. Io... non so chi sia il padre-
Tavington voltò la testa di scatto dicendo a denti stretti: -... assurdo-
Per la prima volta in tre mesi Natasha vide che nei suoi occhi non c'era alcuna espressione di superiorità. Sembrava seccato, ma allo stesso tempo preso in contropiede. Per la prima volta William Tavington non aveva il controllo della situazione.
-Cosa possiamo fare, allora?- chiese Tom.
-Io un'idea ce l'avrei- disse Tavington, sfiorando la pistola con un dito guantato.
Tom si parò davanti a Natasha.
-Per ucciderla dovrete prima passare sul mio cadavere- disse Tom minacciosamente.
Tavington sogghignò: -Anche questa è un'idea-
Natasha sospirò. Era tutto inutile. Di quel passo non sarebbero arrivati da nessuna parte.
-Abbiamo poco tempo- disse, spostando lo sguardo dall'uno all'altro -Entro nove mesi il bambino nascerà e allora saranno guai-
-Saranno guai per te- ribattè Tavington secco -Io non corro nessun rischio-
-Vi sbagliate, Colonnello- disse Tom -Perché appena uscirò da questa stalla andrò a riferire tutta la faccenda a mio zio-
Tavington scoppiò a ridere: -Non lo farai-
-Ah no? Vedremo- disse Tom con aria di sfida.
-Non lo farai perché in caso contrario la tua fidanzatina morirà- disse Tavington minacciosamente.
-Lei verrà con me da mio zio. Non avrete tempo per ucciderla- disse Tom.
-Ma avrò tutto il tempo che voglio per andare ad uccidere il fratellino a cui lei tiene tanto- disse Tavington, gli occhi che brillavano di soddisfazione.
Natasha si sentì come se qualcuno le avesse dato un pugno nello stomaco. Rupert. Si era completamente dimenticata di lui. Con un sospiro strozzato, si prese la testa tra le mani.
-Di chi state parlando?- chiese Tom confuso, guardando ora Tavington ora Natasha.
Tasha alzò gli occhi e disse, molto piano: -Rupert. Quello che riuscì a scappare. Il colonnello Tavington sa dove si nasconde e per questo che io... sono costretta a... è... per salvargli la vita-
Tom rivolse uno sguardo di disgusto a Tavington. Scosse la testa e disse, la voce tremante di rabbia: -Mi fate schifo-
Tavington alzò gli occhi al cielo, seccato.
-Non costringermi a ritirare fuori la pistola-
-Ma se io vado a riferire tutto al generale...- disse Tom, gli occhi che gli si illuminavano -lui non vi permetterà di andare ad uccidere il fratello di Natasha-
Le labbra di Tavington si incresparono in un ghigno malvagio: -Non sarebbe la prima volta che disubbidisco agli ordini di uno dei Generali. Non capisci, Felton? Non avete altra scelta che far decidere a me la questione-
Regnò qualche secondo di silenzio.
Tasha disse, quando vide che Tom stava per aprire bocca di nuovo: -No, Tom. Ha ragione lui- sospirò profondamente, poi guardò Tavington negli occhi con uno sguardo supplichevole -Cosa ne sarà di me, colonnello?-
Tavington ghignò vedendo che la ragazza si era arresa a lui.
-E' da molto che voglio un erede- cominciò Tavington.
-Un erede??- domandò Tom sconvolto -Cosa diavolo state dicendo?-
Tavington gli rivolse uno sguardo intimidatorio al quale neanche Tom riuscì a rispondere. Abbassò gli occhi e borbottò: -Continuate-
-Ed ora che l'occasione di averne uno si è presentata davanti a me...- Tavington rivolse uno sguardo di superiorità a Natasha, che ascoltava piegata in due dai singhiozzi, avendo già capito come sarebbe andata a finire -Non vedo perché dovrei rifiutarla-
Tom circondò le spalle di Tasha con un braccio, continuando a guardare Tavington: -Cosa intendete dire?-
-Mi sembra ovvio...- disse Tavington, un leggero ghigno ancora sulle labbra -Natasha dovrà sposarmi-
Tom si alzò in piedi e Natasha iniziò a piangere più precipitosamente. No, non era possibile.
Qualcuno mi dica che non è vero... No, Tavington non poteva farle questo. Dopo tutto quello che le aveva già fatto, dopo averla violentata, dopo aver sterminato la sua famiglia... ora questo. No, non doveva essere vero, no...
-Vi prego, no!- singhiozzò Natasha, strisciando verso gli stivali di Tavington e inginocchiandosi ai suoi piedi -Vi scongiuro!-
Tavington la guardò con un misto di arroganza e supremazia.
Tom scosse la testa incredulo: -Non potete farle questo!-
Tavington ghignò, gli occhi più freddi e brillanti che mai: -Dovreste ringraziarmi che non vada ad ammazzare quel bastardo subito-
Tom non riuscì a trovare risposta, quindi si limitò a fissare Tavington con odio allo stato puro.
Dopo qualche secondo mormorò, con voce tremante dall'ira: -Come spiegherete che lei sia incinta prima del matrimonio?-
Tavington alzò le spalle: -Non lo spiegherò. Il matrimonio avverrà entro la fine di marzo; nessuno si accorgerà che lei è incinta prima di qualche mese. E a quel punto, sembrerà perfettamente naturale e pure ovvio che lei abbia un bambino. Dopotutto, sarà mia moglie-
Alla parola "moglie", Natasha appoggiò la testa a terra, le lacrime che le scendevano inarrestabili dagli occhi.
-Ma come farete a far credere a tutti che lei sia innamorata di voi?? Insomma, come avete fatto a decidere di sposarvi? Tutti a palazzo sanno che lei è la stalliera- insistè Tom, evidentemente speranzoso che qualcosa nello sporco piano di Tavington andasse storto.
Ma il colonnello parve più soddisfatto che mai: -Sì, questo è un punto ancora più interessante. Vedi, Felton, tutti a palazzo sono convinti che io sia un carnefice ecc. Ma il fatto di sposarmi con una stalliera getterà la polvere negli occhi di tutti. Mi riabiliterà. Forse non agli occhi dei nobili, ma se non altro tutti dovranno credere che io sia davvero innamorato di lei se l'ho sposata anche se era una stalliera. Capisci? Qualcuno potrà credere al limite che Natasha mi abbia sposato solo per acquistare importanza, che non sia innamorata di me. Ma nessuno penserà che io non sono innamorato di lei; in fondo, cosa ci guadagno io a sposarmi con una schiava?-
Tom abbassò lo sguardo e mormorò, in un tono pieno di tristezza: -E se il padre fossi io?-
Tavington alzò le spalle: -Ne saremmo a conoscenza solo noi tre. E non ti preoccupare...- le labbra di Tavington si incresparono in un sorriso crudele -lo alleverei come se fosse figlio mio-
-Sembra proprio che abbiate pensato a tutto- disse Tom sconfitto, stringendo i denti.
Natasha si seppellì il viso nelle mani e ricominciò a piangere.
Tom Felton tornò in camera sua in uno stato di totale incoscienza. La sua vita era finita. Finita. Natasha avrebbe sposato il Colonnello Tavington. E lui non poteva fare nulla per impedirlo. Tavington aveva vinto. Lui, Tom, non era che un perdente. Aveva perso la donna della sua vita. Aveva perso tutto. Non ci sarebbero stati più baci, niente più abbracci. Natasha se ne sarebbe andata così, lasciando il nulla, il vuoto dentro di lui.
Un vuoto che, Tom lo sapeva, mai sarebbe riuscito a colmare.
Era inutile pensare, riflettere sulla situazione in cerca di una soluzione che non esisteva.
Era perduto.
Natasha lo amava e lui amava lei alla follia. Si sarebbe ucciso per lei. Sarebbero stati benissimo insieme. Era molto tempo che Tom meditava di sposarla, ma non glielo aveva mai chiesto, nè ne aveva mai parlato con lei. Ormai non aveva più importanza.
Tavington aveva preceduto le sue mosse, come al solito, e lo aveva battuto senza problemi.
Avendo Rupert in ostaggio, la partita era nelle sue mani. Tom aveva sperato che il fatto che lui fosse il nipote del Generale O'Hara avrebbe potuto avere ripercussioni sulla situazione. Ma si era sbagliato di grosso. Ora Natasha apparteneva a Tavington.
Natasha Halliwell se ne stava stesa sul pagliericcio, una mano sulla pancia, all'interno della quale una vita stava nascendo. Come voleva quel bambino. Sì, lo voleva anche se era condannato ad una vita intera insieme a Tavington. Lo voleva anche se Tavington lo avrebbe istruito a diventare come lui. Lo voleva, perché nutriva la segreta, flebile speranza che il padre fosse Tom. Anche se il bambino sarebbe stato ugualmente cresciuto da Tavington, Natasha avrebbe allevato un piccolo Tom. E, qualunque cosa le sarebbe successo, avrebbe avuto il costante ricordo di lui vicino a sé. Una lacrima rotolò sulla sua guancia. No, perché? Perché?? Non doveva andare così. Dopo tante disgrazie, gli sarebbe stata sottratta anche la sola fonte di luce che avesse. La vita senza Tom sarebbe stata un inferno. Natasha lo amava...
Le cose non dovevano andare così. Il bambino sarebbe dovuto nascere, e lei e Tom dovevano prendersi cura insieme di lui o di lei. Poi si sarebbero sposati. Dopo le tragedie passate, Natasha aveva avuto la speranza che da quel momento in poi la sua vita sarebbe stata meravigliosa o almeno sopportabile. Ma non era che l'ennesima illusione da aggiungere alla lista delle speranze che Tavington aveva distrutto con la sua crudeltà.
Natasha si strinse più forte che potè al mantello di Tom, respirando a fondo. Ricordò, con un sorriso tra le lacrime, il loro primo incontro, a Pembroke... il momento in cui Tom l'aveva salvata dal colonnello... il loro primo bacio, in cortile... e quella sera, quando lei gli aveva chiesto di farla sua e lui le aveva rivolto quello sguardo così intenso, così profondo... e infine quello stesso pomeriggio, quando lui si era messo davanti a lei per proteggerla dalla pistola di Tavington.
Ma adesso era tutto finito.
William Tavington guardava fuori dalla sua finestra. Aveva iniziato a piovere e pesanti gocce martellavano sui vetri, mentre lui, osservando il suo riflesso nel vetro, rifletteva.
Sarebbe stato strano prendere in moglie Natasha. Sì, tutta la faccenda aveva un aspetto molto strano. Non riusciva ad immaginarsi come marito, nè come padre. Ma quando lui sarebbe arrivato alla sua ultima battaglia, cosa sarebbe successo?
Non ci sarebbe stato più nessun William Tavington sulla Terra. E lui non voleva questo. Voleva lasciare qualcuno al mondo. William Tavington non sarebbe finito in una tomba e basta. No, non si sarebbero liberati così facilmente di lui. Ci sarebbe stato suo figlio, William Tavington jr., a ricordarlo. Già, ricordarlo. Chi mai avrebbe pianto per la sua morte? Chi mai si sarebbe dispiaciuto? Non aveva amici, non aveva parenti. Non aveva nessuno. Ma presto ci sarebbe stato qualcuno. Suo figlio. Suo figlio. Suo figlio. E sarebbe stato suo figlio anche se alla fine si fosse scoperto che il padre era Tom.
Chi se ne importava. Lui lo avrebbe cresciuto, e il bambino non sarebbe mai venuto a conoscenza di tutta quella storia.
Di lì ad un mese, si sarebbe sposato con Natasha. La futura Natasha Tavington. William non vedeva neppure lei come moglie. In effetti, sposarsi a quindici anni non era una cosa molto comune. Chissà se la questione avrebbe suscitato degli scandali al palazzo? Sicuramente sì.
Già sentiva le voci di quelle stupide vecchiacce bisbigliare: -Sì, proprio così. Ho sentito che un tempo la signora Tavington faceva la stalliera, ed era americana. Pare che il colonnello abbia ucciso la sua famiglia e poi, dopo qualche mese, la ragazza si sia innamorata perdutamente di lui!-
-Ma non esiste più ritegno!-
-Infatti, cara, infatti. Ma, effettivamente, chi può credere una cosa simile?-
-Che vuoi dire?-
-Voglio dire che è lampante, no? La ragazza sta solo cercando di diventare ricca! Ha ammaliato il Colonnello Tavington per fare in modo che, quando morirà, le lascerà una grossa eredità!-
-Bè, non credo che sia così. Non lo sai che il Colonnello Tavington, nonostante provenga da una famigli agiata, ora non ha più un soldo?-
-Bè, in ogni caso sembra proprio che il colonnello si sia finalmente arreso a Cupido. E' incredibile che un uomo del genere si sia potuto innamorare di una ragazza come Natasha Halliwell, ma le cose stanno veramente così-
Tavington sorrise tra sé. Il suo era un piano perfetto. Voleva proprio vedere chi sarebbe mai riuscito a rovinarglielo.
-Come avete detto?- domandò Lord Cornwallis, i piccoli occhi scuri spalancati.
Tavington sorrise, il sorriso meno viscido che gli riuscì: -E' proprio così, My Lord. Capisco la vostra sorpresa, ma è tutto vero-
Lord Cornwallis continuò a guardarlo con un'espressione talmente ebete che Tavington non potè evitare di associare la sua faccia a quello di un grasso rospo.
Lord Cornwallis si riprese e disse, un leggero sorriso paterno sulle labbra: -Sapevo che prima o poi l'amore avrebbe colpito anche voi-
Tavington sospirò, gli occhi azzurri scintillanti: -A quanto pare sì, My Lord-
-E chi avete detto che è la... ehm... fortunata?-
Tavington provò l'irresistibile impulso di sguainare la spada e infilzare quello supido parrucchino che portava il Generale.
-Natasha Halliwell- disse, trattenendo con difficoltà i suoi istinti.
-Halliwell... ho già sentito questo nome...- fece Lord Cornwallis vagamente.
Tavington gli risparmiò l'immane fatica di ragionare e disse: -Sì, la figlia del Colonnello Halliwell, dei volontari americani-
Gli occhietti di Cornwallis si spalancarono.
-La figlia del Colonnello Halliwell??-
-Sì, My Lord-
-E come mai proprio lei?-
-Al cuor non si comanda- disse Tavington, ghignando tra sé e sé.
Lord Cornwallis sembrò molto soddisfatto della risposta di Tavington e disse, congiungendo le punte delle dita: -Provvederò io stesso ad organizzare questo matrimonio-
-Grazie, My Lord. Dovrei chiedervi anche un altro piccolo favore-
L'espressione di Lord Cornwallis si rabbuiò.
Vecchio taccagno, pensò William.
-Sarebbe?-
-Mmm... bè, vorrei che Miss Halliwell venisse a vivere a palazzo. Si tratterà di poco tempo, tre settimane circa, giusto in attesa del matrimonio, dopo il quale, ovviamente, vivrà nei miei alloggi-
-Dove vive attualmente?-
-Nella stalla- rispose Tavington.
Lord Cornwallis aggrottò la fronte e parve confuso: -Nella stalla?-
-Sì, My Lord- disse William pazientemente -E' la stalliera-
Lord Cornwallis sospirò: -Ancora non riesco proprio a capire cose ci possiate trovare in una stalliera, ma, come dite voi, al cuor non si comanda. Bene, allora, Miss Halliwell verrà a vivere a palazzo. C'è altro?-
-No, My Lord- rispose Tavington.
-Potete andare, allora- lo congedò il Generale.
Tavington si inchinò ed uscì dalla stanza.
Era il tramonto quando Natasha ricevette visite. Non era Tom, come invece aveva sperato. Tom non la veniva più a trovare e Natasha credeva di capire il perché. In effetti, neanche lei era sicura di volerlo rivedere. Dirsi addio sarebbe stato troppo doloroso. Scambiarsi l'ultimo bacio, l'ultimo sguardo... era più di quanto entrambi potessero sopportare.
No, il visitatore non era Tom. Erano due Dragoni: Bordon e Wilkins.
-Signori- disse Natasha, inchinandosi -Il numero della stalla dei vostri cavalli?-
Bordon scosse la testa: -No, miss. Siamo venuti a portarvi a palazzo-
-Cosa?- chiese Natasha, sbalordita.
-Il Colonnello Tavington ci ha dato l'ordine di portarvi in una stanza del palazzo-
-E perché?- domandò ancora Natasha, sempre più confusa.
-Vivrete là fino alle nozze, miss- spiegò Bordon -Il colonnello non vuole che la sua futura sposa continui a vivere in una stalla-
Natasha abbassò gli occhi. Quindi disse: -D'accordo. Vado a prendere una cosa e sono subito da voi-
Natasha salì la scala a pioli, afferrò il mantello di Tom e tornò giù da Bordon e Wilkins.
I due la scortarono fino all'entrata del palazzo. Imboccarono il primo corridoio a destra e, con grande sorpresa di Natasha, Bordon le aprì la porta della stanza di Tom e la condusse dentro.
Natasha entrò e si guardò intorno confusa. La stanza era vuota: i mobili erano gli stessi dell'ultima volta che Tasha li aveva visti, ma non c'erano fogli sulla scrivania, e tutti gli oggetti che appartenevano a Tom erano spariti. Lo sguardo di Natasha vagò sul letto, e improvvisamente le tornarono alla mente dolci ricordi. Ma Tom dov'era?
-Tutto bene, Miss Halliwell?- chiese Bordon.
-No- rispose Natasha. Si volse verso Bordon: -Dov'è il nipote del Generale O'Hara?-
Bordon sospirò: -Brutta storia, signorina-
-Cosa?- chise Natasha, allarmata -Cos'è successo?-
-A quanto ne so, Felton è ancora a palazzo, ma è negli appartamenti del Generale O'Hara, e sta facendo i bagagli-
-Cosa?!?- esclamò Natasha.
-Gli è arrivata una lettera da Boston. Pare che suo padre alla fine abbia deciso di tornare in America e sia arrivato al porto. Ma ultimamente c'è stata una scorribanda di ribelli, laggiù. Non si hanno sue notizie, e Felton ha intenzione di andare a Charlestown e partire per Boston appena possibile-
Natasha si portò una mano alla bocca: -Ma può essere pericoloso!-
Bordon annuì gravemente: -Lo è-
-Sapete quando se ne andrà di qui?- chiese Natasha con ansia.
-Credo che lasci il palazzo stanotte, nonappena arriverà il carro da Charlestown-
-Oh mio Dio- disse Natasha sottovoce.
Bordon le lanciò un'occhiata significativa, quindi le disse di chiamarlo se avesse avuto bisogno di qualcosa e la lasciò sola. Natasha si ritrovò a contemplare quella che un tempo era la stanza di Tom.
Si sedette sul letto e si prese la testa tra le mani. Tom se ne andava.
E se venisse ucciso? E se non farà mai più ritorno?
Nuovi dubbi e nuove ansie la invasero. Si sentiva distrutta.
Si stese sul letto e cercò di dormire, immaginando che Tom fosse lì vicino a lei.
Tom chiuse il pesante borsone da viaggio con le cinghie e sospirò. Non se ne sarebbe andato, se non ci fosse stata una buona ragione. La vita di suo padre era in pericolo. Perché, perché diavolo non aveva mandato una lettera alla sua partenza dall'Inghilterra?
Non sapeva che Boston era ormai in mano agli Americani?
Con ansia, rilesse il foglietto di carta che gli era stato recapitato poco tempo prima da un servo:
Egregio signor Felton,
sono un caro amico di vostro padre. Lui mi ha pregato di scrivervi questa lettera due giorni fa, quando partì per l'America. Mi disse che era impaziente di rivedervi. Attraccherà al porto di Boston i primi di marzo.
Mandandovi i miei più cari saluti,
Walter Lee
Walter Lee. Chi diamine era? Sicuramente un amico che suo padre si era fatto durante il suo ritorno in patria. Però era comunque strano. La lettera, a quanto pareva, era arrivata davvero in ritardo, troppo in ritardo. E poi, perché suo padre aveva affidato il compito di scrivere la lettera ad un suo amico? Non poteva scriverla lui stesso?
Se solo quel messaggio fosse arrivato prima! Tom avrebbe avuto il tempo di dire a suo zio di mandare un'unità di soldati a Boston per assicurare l'incolumità di suo padre. Ma, a quanto pareva, suo padre era già attraccato.
Dannazione! Attraccare in un paese colmo di ribelli! A Boston le rivoluzioni erano all'ordine del giorno. Suo padre avrebbe corso un rischio inimmaginabile, forse lo stava già correndo. O forse...
Forse è morto.
No, non doveva neanche pensarci. Tutto quello che doveva fare era partire alla svelta per salvarlo. Avrebbe lasciato Fort Carolina quella notte stessa.
Un bussare alla porta interruppe il flusso dei suoi pensieri.
-Avanti- disse Tom distrattamente.
Il Generale O'Hara comparve sulla soglia.
-La cena è servita- disse, guardando il nipote con i limpidi occhi azzurri.
-Non ho fame- ribattè Tom -A che ora passa il carro?-
-Mezzanotte- rispose O'Hara.
-Mezzanotte...- ripetè Tom, seppellendosi il viso nelle mani.
-Non devi preoccuparti, Tom- disse il Generale.
-Boston è una città pericolosa- ribattè Tom -Piena di ribelli...-
O'Hara annuì elegantemente: -E' vero. Ma la speranza è l'ultima a morire-
-Può darsi- disse Tom, poco convinto -Ad ogni modo, devo partire al più presto-
Natasha si svegliò di soprassalto. Sfiorandosi le guance con le dita, si accorse di avere il viso umido. Tentò di riprendere fiato. Aveva sognato il suo matrimonio con Tavington. Non si ricordava i particolari, ma nel complesso era stato orrendo.
-Calmati- si disse.
Battè le palpebre nella penombra. Era notte. Pesanti gocce di pioggia picchiettavano sulle finestre, dalle quali provenivano fiotti di luce lunare. Non sarebbe mai riuscita a prendere sonno con tutta quella luce che le batteva sugli occhi. Si alzò per andare a chiudere le tende e lo sguardo le cadde sul cortile. Attraverso la fitta cortina di pioggia, vide, lontana e stranamente familiare, la stalla... sospirò e stava per tornare a letto quando qualcosa attrasse la sua attenzione... stringendo gli occhi, individuò un carro fermo appena fuori l'entrata del forte. Una figura con un lungo mantello nero si stava recando velocemente in quella direzione...
Tom.
Come aveva potuto dimenticarsene? Tom stava partendo!
Natasha sentì il cuore iniziare a batterle violentemente contro le costole. Doveva andargli incontro. Doveva dirgli di non andare, che poteva essere pericoloso. Doveva dirgli troppe cose. Non poteva lasciarlo partire così. In preda al panico, cercò disperatamente qualcosa da indossare, ma non trovò nulla. Corse alla porta della camera, la spalancò e si catapultò nel corridoio. Corse come non aveva mai corso in vita sua. Giunse alla fine del corridoio, entrò nell'atrio. Annaspò per raggiungere la maniglia del portone principale e l'abbassò. Il portone non si aprì.
-Andiamo, apriti!- gridò furiosa, impiegando tutta la forza che potè. Dopo qualche tentativo, la porta si aprì con uno scricchiolio e lei corse fuori nella pioggia.
Stringendo gli occhi vide Tom avvicinarsi al cancello del forte.
-TOM!!- gridò, andandogli incontro.
I suoi piedi nudi corsero sul fango che andava formandosi, i suoi capelli furono ben presto gocciolanti e la sua camicia da notte fradicia. Ma non le importava. Tutto quello che contava era raggiungere Tom prima che partisse.
Lui si voltò e quando la vide spiccò una corsa verso di lei.
-Natasha!- gridò quando l'ebbe raggiunta, abbracciandola.
-Oh Tom!- pianse lei, sulla sua spalla -Ti prego non andare! Non andare, Tom!-
-Devo andare- le disse Tom, accarezzandole i capelli -Si tratta di mio padre-
-Ma ti uccideranno! Tom, è troppo pericoloso!- continuò Tasha -Ti scongiuro, non lasciarmi sola-
Tom le prese il viso tra le mani e la guardò intensamente: -Tornerò, Tasha. Te lo prometto- Detto questo la baciò appassionatamente.
-Tornerai?- ripetè Natasha.
Lui annuì: -Tornerò, piccola. Non ti lascerò mai sola-
-Oh, Tom!- singhiozzò lei, stringendolo forte -Ti amo, ti amo...-
-Anch'io ti amo, tesoro- disse lui, mettendole una mano dietro la testa -Ma devi essere forte. Sii forte per me. Lui non ti porterà mai via da me, capito? Mai-
-Tom, io... ti amerò per sempre... anche se...- la voce di Natasha si spezzò mentre lo guardava negli occhi -Anche se diventerò sua moglie-
-Lo so, piccola- disse Tom, stringendola stretta.
-Ehi Felton!- chiamò un uomo da dentro il carro -Muoviti! E' ora!-
-Devo andare- disse Tom, sciogliendo l'abbraccio.
Natasha lo baciò profondamente, sperando di ricordare quella splendida sensazione nei giorni successivi, quando lui non ci sarebbe stato più.
-Ricordati quello che ti ho detto. Devi essere forte. Lui può portare via tutto, ma non porterà mai via la mia piccola Natasha. Nel mio cuore, tu sarai sempre mia moglie-
La dolcezza di quelle parole era tale che Natasha abbassò il capo e singhiozzò.
Lui le posò un bacio sulla fronte, quindi raccolse la sua tracolla e se la issò sulle spalle.
-Tom...- disse Natasha lentamente -Vai, e... ti prego... non voltarti indietro-
Tom annuì e, lanciatole un ultimo sguardo, si avviò verso il carro che lo aspettava. Natasha rimase lì, con la pioggia che le batteva sul viso mescolandosi con le lacrime, a guardare l'amore della sua vita allontanarsi nella tempesta.
Il giorno dopo la pioggia era finita, lasciando posto a un sole luminoso e caldo, i cui raggi svegliarono Natasha le prime ore del mattino. La ragazza si stiracchiò e esitò, indecisa se chiudere le tende definitavemente e rimettersi a dormire o alzarsi. Era in uno stato pietoso. Il sole appena sorto, nonostante la sua luminosità, non la rallegrava affatto, anzi. Non riusciva ad immaginare Tom che ritornava in una giornata di sole come quella.
Tom... chissà dov'era. Chissà cosa stava facendo. Chissà se era riuscito a trovare suo padre. Ma no, Boston era molto lontana da lì. Ci sarebbe voluto un giorno solo per arrivare a Charlestown, probabilmente. E da lì, quasi certamente Tom sarebbe partito con una carovana fino a Boston. Quello sarebbe stato un viaggio molto più lungo. Forse cinque giorni, o anche di più se il tempo era brutto. Il fango rallentava i cavalli. Una volta arrivato a Boston, Tom avrebbe impiegato almeno una settimana per trovare suo padre in mezzo alle guerriglie. E, anche se lo avesse trovato, sarebbe trascorso almeno un mese prima che facesse ritorno a Fort Carolina.
Sempre che avesse fatto ritorno.
Tornerà.
Certo che tornerà.
Doveva essere forte, come le aveva detto Tom. Natasha ricordò la sensazione provata quando lo aveva visto salire sul carro e allontanarsi da lei piano piano. No, non voleva ricordare.
Decise di alzarsi. Sarebbe stato troppo facile pensare a Tom, se tentava di riaddormentarsi. Improvvisamente un forte senso di nausea le colpì lo stomaco. Veloce, premendosi una mano sullo stomaco, corse alla finestra, la spalancò e vomitò violentemente.
Fortuna che non c'è nessuno sotto la finestra, si disse cupamente. Si voltò e si sedette sul letto cercando di riprendersi. Ogni santo giorno era sempre peggio. Ed ora si sentiva male.
Si sedette alla scrivania, cercando qualcosa che appartenesse a Tom e che potesse aiutarla a stare meglio. Aprì uno ad uno i piccoli cassetti, ma li trovò vuoti.
Sul tavolo c'erano un calamaio, una penna d'aquila e alcuni fogli bianchi. Con un sorriso amaro ricordò che quelli erano proprio gli oggetti che, quando era nella stalla, avrebbe tanto voluto avere. Ora le sembravano del tutto inutili. Che motivo aveva di scrivere un diario o delle memorie? Perché avrebbe dovuto fare un disegno o inventare una poesia? La sua creatività si era estinta, insieme con la sua voglia di vivere. Le difficoltà che doveva superare erano troppe e troppo pesanti per lei.
Avrebbe dovuto sposarsi con Tavington, non avrebbe potuto vedere Tom per più di un mese, avrebbe dovuto partorire un bambino e vederlo crescere dall'uomo peggiore della Terra, che lo avrebbe reso un suo simile. Natasha appoggiò la testa sulla scrivania.
E adesso?
Cosa avrebbe fatto? Come avrebbe passato la giornata?
Qualcuno bussò alla porta.
-Miss Halliwell? Siete sveglia?-
Natasha riconobbe la voce di Bordon. Si alzò dalla sedia e andò ad aprire la porta.
-Sì, eccomi. Cosa c'è?-
Bordon le sorrise: -Buongiorno, miss-
-Buongiorno, Bordon-
-Signorina, il Colonnello Tavington vuole vedervi nel suo appartamento-
Natasha sospirò stancamente: -Veramente avevo intenzione di tornare a dormire. Mi sento molto stanca-
-Ovvio, dopo essere stata fuori tutta la notte- disse una voce gelida alla sinistra di Bordon. Il Colonnello Tavington se ne stava lì, pettinato e vestito. Si rivolse a Bordon: -Voi potete andare-
-Signore,- disse Bordon rispettosamente, inchinandosi e sparendo alla fine del corridoio.
-Tu invece no- proseguì Tavington prendendo Natasha per un braccio e strattonandola nella sua camera. Tavington le diede una spinta e Natasha cadde a terra. Vide Tavington chiudere la porta a chiave e voltarsi verso di lei.
-Allora...- disse lui con fare sussiegoso, guardandola dall'alto -Abbiamo fatto una bella gitarella notturna, non è vero?-
Detto questo le tirò un calcio nelle costole e Natasha emise un verso strozzato.
In quel momento bussarono alla porta.
-Chi diavolo è?- sbottò Tavington furibondo, andando ad aprire . -Signore, deve venire immediatamente con me- rispose la voce di Bordon.
-Sono occupato. Mandate il Colonnello Tarleton-
-No, signore, il Generale Cornwallis ha chiesto espressamente di voi- rispose Bordon, intimorito -E' per il matrimonio, credo, signore-
Tavington lanciò uno sguardo a Natasha, che se ne stava ferma sul pavimento, piegata su un fianco per il dolore. Dopodichè uscì dalla stanza, senza dire una parola.
Bordon attese che Tavington si fosse allontanato, quindi si precipitò vicino a Natasha.
-Miss Halliwell, state bene?- le chiese, aiutandola ad alzarsi.
Natasha prese la mano che Bordon le porgeva: -Sì...- disse, contorcendo la bocca in una smorfia di dolore -Ma non credo di riuscire ad alzarmi-
-Vi aiuto io- disse Bordon, issandola in piedi per le spalle. Natasha si piegò in avanti, coprendo con una mano la costola colpita da Tavington.
-Venite, andate in camera vostra- le disse Bordon gentilmente, prendendo il braccio di Tasha e mettendoselo intorno al collo -Riuscite a camminare?-
Natasha mosse qualche passo incerto fuori dalla stanza di Tavington e, sempre sostenuta da Bordon, entrò nella sua nuova camera. Si stese sul letto lentamente, anche se questa operazione le costò una fitta tremenda che la fece gemere lievemente.
-Volete che vi porti qualcosa? Un tè? Del brandy? Una tinozza di acqua calda?-
Per un attimo Natasha fu tentata di dirgli di portarle una bella bottiglia di brandy, ma alla fine rinunciò, ricordandosi dell'emicrania che le aveva provocato l'ultima volta.
-No, grazie, Bordon, niente. Solo che... vi conviene andarvene, prima che il colonnello scopra cosa avete fatto-
-Avete ragione, Miss Halliwell. Chiamatemi, qualunque esigenza abbiate- detto questo Bordon uscì e chiuse la porta.
Natasha ringraziò il cielo che la resa dei conti con Tavington le fosse stata rimandata. Essere malmenata così, di prima mattina... e pensare che avrebbe dovuto passare il resto della sua vita con quell'uomo!
Come avrebbe fatto?
Non ce la farò, infatti.
Sarebbe stato impossibile. Per quanto potesse essere forte dentro di sé, Natasha rimaneva ugualmente una debole. Non riusciva. Non riusciva a sopportare il dolore, tutta quella sofferenza... e Tom già le mancava. Le mancava terribilmente. Quando lo avrebbe rivisto?
La domanda non è quando lo rivedrò... si disse Natasha malinconicamente, La domanda è se lo rivedrò...
Prigioniera di un incubo
Un mese dopo.
Natasha Halliwell spalancò la porta della stalla e si diresse di corsa all'aperto. Sperando che le guardie non le prestassero attenzione, fece il giro del piccolo edificio e si diresse veloce sul retro. Era arrivato marzo, portando con sé sole e fiori che sbocciavano. Quella giornata, iniziata da meno d'un'ora, si prospettava soleggiata e serena, anche se il pallido sole primaverile non era sufficiente a riscaldare il terreno, che durante l'inverno aveva immagazzinato talmente tanto freddo che ancora Natasha doveva coprirsi con il mantello che le aveva regalato Tom, le poche volte che usciva. Ma quella mattina, come le tante altre precedenti a quella, Tasha non era assolutamente uscita per ammirare il paesaggio o per godere del sole appena sorto. Arrivata sul retro della stalla, dove nessuno poteva vederla, Natasha si lasciò andare e iniziò a vomitare, tenendosi una mano sullo stomaco.
Molti conati di vomito dopo, Natasha si alzò in piedi e respirò profondamente la pura aria primaverile. Ogni tanto la nausea la avvolgeva nuovamente ed era sempre preda di un fortissimo mal di pancia. Non stava bene.
Tasha ritornò furtivamente all'interno di quella che ormai, da tre mesi a quella parte, era diventata la sua casa. Iniziò il quotidiano lavoro di manutenzione, riflettendo intensamente. La prima domanda da porsi era: Perché da qualche giorno non faceva che vomitare tutte le mattine?
Natasha aveva una risposta, ma non voleva accettarla. No, non poteva essere. Era una stupida a pensarlo. No, un momento. La sua non era stupidità, era speranza. Che cosa diavolo sarebbe successo se quello che pensava si fosse rivelato vero?
Tasha scosse la testa per scacciare quei pensieri. In ogni caso, ve n'era una possibilità, e lei doveva parlarne con qualcuno. Anche perché la cosa coinvolgeva altre due persone, oltre a lei. Ma non poteva tenerlo nascosto. Doveva assolutamente dirlo a entrambi. Poi avrebbero discusso la cosa insieme. A questo punto le venne quasi da ridere, malgrado la pazzesca situazione in cui si trovava. Discutere la cosa insieme... certo, come no. Tavington senza dubbio si sarebbe messo a parlarne da persona ragionevole e tranquilla, l'avrebbe invitata a prendere magari un tè all'inglese e quindi ne avrebbero discusso pacificamente, inserendo il discorso tra un pettegolezzo e l'altro. Natasha forse era pazza, ma non fino al punto di credere che una cosa simile fosse possibile. Come si sarebbe comportato Tavington? Senza dubbio sarebbe rimasto sorpreso, ma a quello stupore si sarebbe ben presto sostituita una rabbia e una furia che, molto probabilmente, l'avrebbero portata alla tomba. Già, c'era anche questo rischio. Tavington poteva reagire talmente male che avrebbe potuto ucciderla così, senza riserve. Come quando...
IO NON CI STO PIU' PENSANDO.
Davvero, erano tre mesi che cercava di dimenticare la morte dei suoi cari. Erano avvenuti troppi shock in troppo poco tempo... Natasha era stata fin troppo brava nel superarli tutti. E grazie a me Rupert è ancora vivo.
Sì, Rupert stava bene. O, almeno, stando a quanto diceva Tavington, era così. E anche se la cosa era costata e costava ancora a Natasha tante soffrenze, la vita di suo fratello al momento era salva. Lo era, se non altro, fino a che lei e Tavington andavano avanti con il loro patto. Natasha sospirò profondamente, tornando con il pensiero al problema di prima. Doveva dirlo a entrambi. Perché la responsabilità sarebbe stata anche loro, non solo di Tasha. Dovevano aiutarla, in qualche modo, e anche se Tavington l'avrebbe uccisa, non importava. Almeno ciò avrebbe posto fine a tutte le sue soffrenze, anche se in modo drastico e doloroso. Poi però veniva un altro problema: dirlo avrebbe voluto dire svelare il patto a Tom. E lei non poteva farlo senza l'approvazione di Tavington. Ma in qualche modo, avrebbe dovuto rischiare. Non poteva dirlo soltanto a Tavington, perché comunque era una cosa che prima o poi sarebbe stata sotto gli occhi di tutti. Natasha doveva agire in fretta, prima che passasse troppo tempo.
Entro stasera sia Tom che Tavington dovranno esserne a conoscenza.
Tom entrò nella stalla portando il vassoio del pranzo.
-Buongiorno, tesoro- disse a Natasha, che era raggomitolata come al solito in un angolo del pagliaio sopraelevato.
-Ciao!- lo salutò lei, mentre lui saliva la scala e posava il vassoio ai piedi della ragazza.
-Ecco a voi, miss- le disse, prima di abbracciarla e baciarla profondamente.
-Grazie- rispose Natasha, iniziando a mangiare. Senza preamboli, Tasha iniziò il discorso:
-Senti, Tom, io ho qualcosa da dirti-
-Cosa?-
-Non posso dirtelo adesso. O meglio, potrei, ma credo che sia meglio dirtelo in presenza di un'altra persona perché... bè non penso di essere in grado di ripeterlo due volte, ecco-
Tom la guardò aggrottando la fronte: -Ha... ha qualcosa a che fare con... hai capito?-
Natasha annuì: -Sì. Tu avevi capito che c'era qualcosa che io... che io non ti avevo mai detto-
Lo sguardo di Tom si fece più intenso. Natasha non aveva mai affrontato quel discorso da sola, tanto meno era stata lei a introdurlo. Durante l'ultimo mese Tom non aveva fatto altro che indagare per cercare di capire cosa lei gli nascondesse: purtroppo non aveva avuto fortuna e la sua conoscenza era al punto di prima.
-Quindi?- disse Tom.
-Quindi... la conoscenza della cosa che ti dirò oggi pomeriggio è del tutto inerente con la cosa che ti... nascondevo-
Tom aggrottò la fronte.
Natasha sospirò: -E' difficile per me essere arrivata a questo punto. Questa... cosa... che non ti ho mai potuto dire è stata per me una vera tortura... è stato terribile, Tom, davvero. Io non so cosa succederà dopo questo pomeriggio, ma ti assicuro che se non te ne ho mai parlato è stato perché mi era stato impedito-
-Dal Colonnello Tavington?- disse Tom, ansioso di saperne di più.
Natasha annuì tristemente: -Già, da lui. Comunque, ti prego di venire, oggi pomeriggio alle quattro qui, nella stalla. Cerca di venire di nascosto, non voglio... non voglio che qualcuno di insospettisca. Lo farai, vero, Tom?-
Il Colonnello Tavington riordinava alcuni fogli sulla sua scrivania, sbuffando. Un lavoro così emozionante, il suo, ma con tante di quelle stupide scartoffie!
Tavington sbuffò ancora. Era annoiato da tutto. Il mondo intero lo stava soffocando. Dannato Lord Cornwallis.
-Oso presumere che il mio piccolo contributo in questa guerra verrà ricompensato, un giorno- aveva detto lui, Tavington.
-Forse presumete troppo- aveva risposto quel bastardo. E poi tutte quelle inutili ciance...
-Voi servite me e il modo in cui mi servite SI RIFLETTE su di me... Queste brutali tattiche debbono cessare... Avevo pensato che un gentiluomo di una famiglia stimata come la vostra potesse comprenderlo...-
-My Lord, posso progredire solo attraverso la vittoria-
-Colonnello, voi potete progredire solo attraverso le mie buone grazie-
Stupido idiota.
Non sembrava così arrabbiato quando lui, Tavington, aveva vinto la battaglia di Camden. Non avrebbero mai vinto senza il suo contributo, Tavington lo sapeva. E anche Cornwallis lo capiva. Il problema era che Cornwallis aveva sempre detestato Tavington ed ogni occasione era buona per fargli stupidi rimproveri. Maledettissimo bastardo.
William sospirò e si appoggiò allo schienale della poltrona, stiracchiandosi le braccia e le gambe. Chiuse gli occhi e tentò di rilassarsi, ma la sua momentanea pausa dal lavoro fu interrotta da un leggero bussare alla finestra. William aprì gli occhi seccato e si preparò a fare una sfuriata a chiunque fosse stato il visitatore. Con sua grande sorpresa, fuori dal vetro vide Natasha, i capelli illuminati dai raggi del sole del primo pomeriggio. A Tavington bastò un'occhiata per capire che la ragazza non stava molto bene: aveva un'aspetto pallido e gracile.
-Colonnello- bisbigliò lei nonappena William ebbe aperto la finestra.
-Che c'è?- rispose questi bruscamente.
-Io ho... bisogno di parlarvi. Potreste venire alle quattro nella stalla?-
Tavington aggrottò le sopracciglia: -Che diavolo c'è?-
-Ve lo spiegherò dopo. Vi prego, venite-
William le rivolse uno sguardo cupo, quindi annuì, di malavoglia: -Verrò-
-Grazie. E' molto importante-
Tavington alzò le sopracciglia con aria scettica, quindi chiuse la finestra e ritornò ai suoi fogli. Però, dentro si sé, era curioso di sapere cosa Natasha volesse dirgli. Non era da lei andare direttamente nella tana del leone.
Tavington ridacchiò, quindi tornò al lavoro.
Alle quattro del pomeriggio, Natasha se ne stava seduta sul pagliericcio e si stringeva il mantello che le aveva donato Tom per ripararsi dal freddo. Il sole era stato offuscato da un ammasso di nuvoloni grigi che le mettevano malinconia. Tra qualche minuto sarebbero arrivati Tom e Tavington e lei avrebbe dovuto riferire loro il pensiero che la tormentava. Sperava con tutto il cuore che fosse arrivato prima Tom. Non avrebbe sopportato di passare dell'altro tempo sola con Tavington. Ne trascorreva già troppo.
Come poteva dire quello che doveva dire? Natasha si tormentava la mente in cerca delle parole giuste, ma non le veniva nessun' idea. Avrebbe dovuto dirlo in maniera nuda e cruda, non c'era altra scelta. E poi cosa sarebbe successo? Come avrebbero reagito?
Le riflessioni di Natasha furono interrotte dall'aprirsi della porta della stalla. Con suo grande sollievo, Natasha vide Tom far capolino dall'entrata e volgere gli occhi verso di lei.
Le sorrise: -Ciao, tesoro. Come stai?-
-Sono un po' nervosa- ammise Tasha.
Tom annuì: -Anch'io. Non ho proprio idea di...-
In quel momento entrò Tavington e Natasha sentì il cuore saltarle in gola. Aveva paura. Non poteva farlo. No, ma doveva.
Tavington mosse qualche passo all'interno guardando Tom con la fronte aggrottata. Lo sguardo era reciproco. Natasha scese la scala a pioli e camminò davanti a loro.
-Colonnello, vorrebbe sbrigarsi a prendere il suo cavallo? Io e Miss Halliwell dobbiamo parlare di una cosa- fece Tom, squadrando Tavington.
Tavington gli rivolse uno sguardo freddo: -Spiacente, Felton- fece un cenno con il capo a Natasha e aggiunse: -E' stata Miss Halliwell a volermi qui-
-Ci dev'essere un errore- disse Tom.
-No, Tom, nessun errore- s'intromise Natasha. Un paio di occhi grigi e uno di occhi azzurri si posarono su di lei.
-Cioè?- volle sapere Tavington -Che diavolo sta succedendo?-
-Vi ho chiamati entrambi qui perché devo dirvi una cosa che riguarda tutti e due-
Tavington alzò un sopracciglio: -Io non ho niente a che fare con Felton-
-Nemmeno io ho niente a che vedere con il colonnello. Tasha, vuoi spiegarmi che succede?-
-Tasha?- ripetè Tavington in tono sgradevole. Tom gli rivolse uno sguardo truce.
-Vi prego, ascoltatemi. La cosa che vi devo dire è...-
Tom e Tavington guardarono Tasha in attesa che continuasse il discorso. L'unico rumore era il vento ululante all'esterno.
-Io... sono incinta-
Tom sgranò gli occhi. Tavington rimase immobile ed alzò un sopracciglio.
-E questo cosa c'entra con lui?- chiesero Tom e Tavington all'unisono.
Nella stalla cadde il silenzio più assoluto.
Improvvisamente ognuno si rese conto di quello che aveva detto l'altro e si guardarono. Natasha non sapeva cosa fare, nè cosa dire.
Poi Tavington scoppiò a ridere: -Non credevo che fossi andata così lontano con Felton, Natasha-
-Da quando le date del tu??- volle sapere Tom, tra il confuso e il furioso.
Tavington guardò Natasha e non rispose. Anche Tom rivolse lo sguardo su Tasha. Natasha evitò i suoi occhi.
Dopo qualche minuto, Tom domandò, molto piano: -Sei andata a letto con lui, vero?-
Natasha si voltò ed asciugò le lacrime che le sgorgavano dagli occhi.
Alle sue spalle, udì Tom sospirare e mormorare, una profonda delusione nella voce: -Me ne vado-
Natasha corse verso di lui e gli afferrò il braccio: -No, Tom! Non andartene, tu non capisci!-
-Non mi toccare!- gridò Tom, liberandosi con uno strattone dalla sua presa -Capisco benissimo-
-No, non è vero! Ti prego, Tom ascoltami! Come potrei andare a letto con lui?? Come puoi pensare una cosa simile?-
-Come puoi andare a letto con lui?? Sai, Natasha, me lo chiedo anch'io!-
-Ascoltami- disse Tasha -Io non volevo! Sono stata costretta!-
Tom smise di scappare e la guardò: -Costretta?-
Natasha abbassò la testa. Tom fece un cenno verso Tavington, che se ne stava in disparte, apparentemente annoiato.
Tom sospirò: -E' stato lui?-
Natasha annuì lentamente, come se avesse paura di farsi vedere da Tavington.
Lo sguardò di Tom si trasformò. Da deluso che era, divenne furioso. Si voltò di scatto e raggiunse Tavington.
-VOI!- gridò, gettandoglisi contro.
Tavington lo ricacciò indietro, guardandolo con superiorità.
-Come avete osato farle questo?? Voi, porco, bastardo!- gridò Tom.
-Tom, per favore...- mormorò Natasha.
-Figlio di puttana!- esclamò Tom, guardando Tavington con odio.
Il volto di Tavingto si irrigidì. Tirò fuori la pistola e la puntò su Tom, gli occhi improvvisamente duri: -Ripetilo-
Natasha sapeva che Tom si era spinto troppo avanti.
-Tom, ti prego...- gli disse, cercando di toglierlo dalla traiettoria della pistola. Ma Tom non si mosse.
Natasha quindi si rivolse a Tavington con le guance rigate di lacrime: -Colonnello... per favore... abbassate la pistola. Vi supplico!-
Con gran sorpresa di Natasha, Tavington abbassò la pistola. Lui e Tom continuarono a guardarsi con odio reciproco.
Dopo qualche secondo, Natasha mormorò: -Vi ho dovuto dire questo perché... perché c'è un problema. Io... non so chi sia il padre-
Tavington voltò la testa di scatto dicendo a denti stretti: -... assurdo-
Per la prima volta in tre mesi Natasha vide che nei suoi occhi non c'era alcuna espressione di superiorità. Sembrava seccato, ma allo stesso tempo preso in contropiede. Per la prima volta William Tavington non aveva il controllo della situazione.
-Cosa possiamo fare, allora?- chiese Tom.
-Io un'idea ce l'avrei- disse Tavington, sfiorando la pistola con un dito guantato.
Tom si parò davanti a Natasha.
-Per ucciderla dovrete prima passare sul mio cadavere- disse Tom minacciosamente.
Tavington sogghignò: -Anche questa è un'idea-
Natasha sospirò. Era tutto inutile. Di quel passo non sarebbero arrivati da nessuna parte.
-Abbiamo poco tempo- disse, spostando lo sguardo dall'uno all'altro -Entro nove mesi il bambino nascerà e allora saranno guai-
-Saranno guai per te- ribattè Tavington secco -Io non corro nessun rischio-
-Vi sbagliate, Colonnello- disse Tom -Perché appena uscirò da questa stalla andrò a riferire tutta la faccenda a mio zio-
Tavington scoppiò a ridere: -Non lo farai-
-Ah no? Vedremo- disse Tom con aria di sfida.
-Non lo farai perché in caso contrario la tua fidanzatina morirà- disse Tavington minacciosamente.
-Lei verrà con me da mio zio. Non avrete tempo per ucciderla- disse Tom.
-Ma avrò tutto il tempo che voglio per andare ad uccidere il fratellino a cui lei tiene tanto- disse Tavington, gli occhi che brillavano di soddisfazione.
Natasha si sentì come se qualcuno le avesse dato un pugno nello stomaco. Rupert. Si era completamente dimenticata di lui. Con un sospiro strozzato, si prese la testa tra le mani.
-Di chi state parlando?- chiese Tom confuso, guardando ora Tavington ora Natasha.
Tasha alzò gli occhi e disse, molto piano: -Rupert. Quello che riuscì a scappare. Il colonnello Tavington sa dove si nasconde e per questo che io... sono costretta a... è... per salvargli la vita-
Tom rivolse uno sguardo di disgusto a Tavington. Scosse la testa e disse, la voce tremante di rabbia: -Mi fate schifo-
Tavington alzò gli occhi al cielo, seccato.
-Non costringermi a ritirare fuori la pistola-
-Ma se io vado a riferire tutto al generale...- disse Tom, gli occhi che gli si illuminavano -lui non vi permetterà di andare ad uccidere il fratello di Natasha-
Le labbra di Tavington si incresparono in un ghigno malvagio: -Non sarebbe la prima volta che disubbidisco agli ordini di uno dei Generali. Non capisci, Felton? Non avete altra scelta che far decidere a me la questione-
Regnò qualche secondo di silenzio.
Tasha disse, quando vide che Tom stava per aprire bocca di nuovo: -No, Tom. Ha ragione lui- sospirò profondamente, poi guardò Tavington negli occhi con uno sguardo supplichevole -Cosa ne sarà di me, colonnello?-
Tavington ghignò vedendo che la ragazza si era arresa a lui.
-E' da molto che voglio un erede- cominciò Tavington.
-Un erede??- domandò Tom sconvolto -Cosa diavolo state dicendo?-
Tavington gli rivolse uno sguardo intimidatorio al quale neanche Tom riuscì a rispondere. Abbassò gli occhi e borbottò: -Continuate-
-Ed ora che l'occasione di averne uno si è presentata davanti a me...- Tavington rivolse uno sguardo di superiorità a Natasha, che ascoltava piegata in due dai singhiozzi, avendo già capito come sarebbe andata a finire -Non vedo perché dovrei rifiutarla-
Tom circondò le spalle di Tasha con un braccio, continuando a guardare Tavington: -Cosa intendete dire?-
-Mi sembra ovvio...- disse Tavington, un leggero ghigno ancora sulle labbra -Natasha dovrà sposarmi-
Tom si alzò in piedi e Natasha iniziò a piangere più precipitosamente. No, non era possibile.
Qualcuno mi dica che non è vero... No, Tavington non poteva farle questo. Dopo tutto quello che le aveva già fatto, dopo averla violentata, dopo aver sterminato la sua famiglia... ora questo. No, non doveva essere vero, no...
-Vi prego, no!- singhiozzò Natasha, strisciando verso gli stivali di Tavington e inginocchiandosi ai suoi piedi -Vi scongiuro!-
Tavington la guardò con un misto di arroganza e supremazia.
Tom scosse la testa incredulo: -Non potete farle questo!-
Tavington ghignò, gli occhi più freddi e brillanti che mai: -Dovreste ringraziarmi che non vada ad ammazzare quel bastardo subito-
Tom non riuscì a trovare risposta, quindi si limitò a fissare Tavington con odio allo stato puro.
Dopo qualche secondo mormorò, con voce tremante dall'ira: -Come spiegherete che lei sia incinta prima del matrimonio?-
Tavington alzò le spalle: -Non lo spiegherò. Il matrimonio avverrà entro la fine di marzo; nessuno si accorgerà che lei è incinta prima di qualche mese. E a quel punto, sembrerà perfettamente naturale e pure ovvio che lei abbia un bambino. Dopotutto, sarà mia moglie-
Alla parola "moglie", Natasha appoggiò la testa a terra, le lacrime che le scendevano inarrestabili dagli occhi.
-Ma come farete a far credere a tutti che lei sia innamorata di voi?? Insomma, come avete fatto a decidere di sposarvi? Tutti a palazzo sanno che lei è la stalliera- insistè Tom, evidentemente speranzoso che qualcosa nello sporco piano di Tavington andasse storto.
Ma il colonnello parve più soddisfatto che mai: -Sì, questo è un punto ancora più interessante. Vedi, Felton, tutti a palazzo sono convinti che io sia un carnefice ecc. Ma il fatto di sposarmi con una stalliera getterà la polvere negli occhi di tutti. Mi riabiliterà. Forse non agli occhi dei nobili, ma se non altro tutti dovranno credere che io sia davvero innamorato di lei se l'ho sposata anche se era una stalliera. Capisci? Qualcuno potrà credere al limite che Natasha mi abbia sposato solo per acquistare importanza, che non sia innamorata di me. Ma nessuno penserà che io non sono innamorato di lei; in fondo, cosa ci guadagno io a sposarmi con una schiava?-
Tom abbassò lo sguardo e mormorò, in un tono pieno di tristezza: -E se il padre fossi io?-
Tavington alzò le spalle: -Ne saremmo a conoscenza solo noi tre. E non ti preoccupare...- le labbra di Tavington si incresparono in un sorriso crudele -lo alleverei come se fosse figlio mio-
-Sembra proprio che abbiate pensato a tutto- disse Tom sconfitto, stringendo i denti.
Natasha si seppellì il viso nelle mani e ricominciò a piangere.
Tom Felton tornò in camera sua in uno stato di totale incoscienza. La sua vita era finita. Finita. Natasha avrebbe sposato il Colonnello Tavington. E lui non poteva fare nulla per impedirlo. Tavington aveva vinto. Lui, Tom, non era che un perdente. Aveva perso la donna della sua vita. Aveva perso tutto. Non ci sarebbero stati più baci, niente più abbracci. Natasha se ne sarebbe andata così, lasciando il nulla, il vuoto dentro di lui.
Un vuoto che, Tom lo sapeva, mai sarebbe riuscito a colmare.
Era inutile pensare, riflettere sulla situazione in cerca di una soluzione che non esisteva.
Era perduto.
Natasha lo amava e lui amava lei alla follia. Si sarebbe ucciso per lei. Sarebbero stati benissimo insieme. Era molto tempo che Tom meditava di sposarla, ma non glielo aveva mai chiesto, nè ne aveva mai parlato con lei. Ormai non aveva più importanza.
Tavington aveva preceduto le sue mosse, come al solito, e lo aveva battuto senza problemi.
Avendo Rupert in ostaggio, la partita era nelle sue mani. Tom aveva sperato che il fatto che lui fosse il nipote del Generale O'Hara avrebbe potuto avere ripercussioni sulla situazione. Ma si era sbagliato di grosso. Ora Natasha apparteneva a Tavington.
Natasha Halliwell se ne stava stesa sul pagliericcio, una mano sulla pancia, all'interno della quale una vita stava nascendo. Come voleva quel bambino. Sì, lo voleva anche se era condannato ad una vita intera insieme a Tavington. Lo voleva anche se Tavington lo avrebbe istruito a diventare come lui. Lo voleva, perché nutriva la segreta, flebile speranza che il padre fosse Tom. Anche se il bambino sarebbe stato ugualmente cresciuto da Tavington, Natasha avrebbe allevato un piccolo Tom. E, qualunque cosa le sarebbe successo, avrebbe avuto il costante ricordo di lui vicino a sé. Una lacrima rotolò sulla sua guancia. No, perché? Perché?? Non doveva andare così. Dopo tante disgrazie, gli sarebbe stata sottratta anche la sola fonte di luce che avesse. La vita senza Tom sarebbe stata un inferno. Natasha lo amava...
Le cose non dovevano andare così. Il bambino sarebbe dovuto nascere, e lei e Tom dovevano prendersi cura insieme di lui o di lei. Poi si sarebbero sposati. Dopo le tragedie passate, Natasha aveva avuto la speranza che da quel momento in poi la sua vita sarebbe stata meravigliosa o almeno sopportabile. Ma non era che l'ennesima illusione da aggiungere alla lista delle speranze che Tavington aveva distrutto con la sua crudeltà.
Natasha si strinse più forte che potè al mantello di Tom, respirando a fondo. Ricordò, con un sorriso tra le lacrime, il loro primo incontro, a Pembroke... il momento in cui Tom l'aveva salvata dal colonnello... il loro primo bacio, in cortile... e quella sera, quando lei gli aveva chiesto di farla sua e lui le aveva rivolto quello sguardo così intenso, così profondo... e infine quello stesso pomeriggio, quando lui si era messo davanti a lei per proteggerla dalla pistola di Tavington.
Ma adesso era tutto finito.
William Tavington guardava fuori dalla sua finestra. Aveva iniziato a piovere e pesanti gocce martellavano sui vetri, mentre lui, osservando il suo riflesso nel vetro, rifletteva.
Sarebbe stato strano prendere in moglie Natasha. Sì, tutta la faccenda aveva un aspetto molto strano. Non riusciva ad immaginarsi come marito, nè come padre. Ma quando lui sarebbe arrivato alla sua ultima battaglia, cosa sarebbe successo?
Non ci sarebbe stato più nessun William Tavington sulla Terra. E lui non voleva questo. Voleva lasciare qualcuno al mondo. William Tavington non sarebbe finito in una tomba e basta. No, non si sarebbero liberati così facilmente di lui. Ci sarebbe stato suo figlio, William Tavington jr., a ricordarlo. Già, ricordarlo. Chi mai avrebbe pianto per la sua morte? Chi mai si sarebbe dispiaciuto? Non aveva amici, non aveva parenti. Non aveva nessuno. Ma presto ci sarebbe stato qualcuno. Suo figlio. Suo figlio. Suo figlio. E sarebbe stato suo figlio anche se alla fine si fosse scoperto che il padre era Tom.
Chi se ne importava. Lui lo avrebbe cresciuto, e il bambino non sarebbe mai venuto a conoscenza di tutta quella storia.
Di lì ad un mese, si sarebbe sposato con Natasha. La futura Natasha Tavington. William non vedeva neppure lei come moglie. In effetti, sposarsi a quindici anni non era una cosa molto comune. Chissà se la questione avrebbe suscitato degli scandali al palazzo? Sicuramente sì.
Già sentiva le voci di quelle stupide vecchiacce bisbigliare: -Sì, proprio così. Ho sentito che un tempo la signora Tavington faceva la stalliera, ed era americana. Pare che il colonnello abbia ucciso la sua famiglia e poi, dopo qualche mese, la ragazza si sia innamorata perdutamente di lui!-
-Ma non esiste più ritegno!-
-Infatti, cara, infatti. Ma, effettivamente, chi può credere una cosa simile?-
-Che vuoi dire?-
-Voglio dire che è lampante, no? La ragazza sta solo cercando di diventare ricca! Ha ammaliato il Colonnello Tavington per fare in modo che, quando morirà, le lascerà una grossa eredità!-
-Bè, non credo che sia così. Non lo sai che il Colonnello Tavington, nonostante provenga da una famigli agiata, ora non ha più un soldo?-
-Bè, in ogni caso sembra proprio che il colonnello si sia finalmente arreso a Cupido. E' incredibile che un uomo del genere si sia potuto innamorare di una ragazza come Natasha Halliwell, ma le cose stanno veramente così-
Tavington sorrise tra sé. Il suo era un piano perfetto. Voleva proprio vedere chi sarebbe mai riuscito a rovinarglielo.
-Come avete detto?- domandò Lord Cornwallis, i piccoli occhi scuri spalancati.
Tavington sorrise, il sorriso meno viscido che gli riuscì: -E' proprio così, My Lord. Capisco la vostra sorpresa, ma è tutto vero-
Lord Cornwallis continuò a guardarlo con un'espressione talmente ebete che Tavington non potè evitare di associare la sua faccia a quello di un grasso rospo.
Lord Cornwallis si riprese e disse, un leggero sorriso paterno sulle labbra: -Sapevo che prima o poi l'amore avrebbe colpito anche voi-
Tavington sospirò, gli occhi azzurri scintillanti: -A quanto pare sì, My Lord-
-E chi avete detto che è la... ehm... fortunata?-
Tavington provò l'irresistibile impulso di sguainare la spada e infilzare quello supido parrucchino che portava il Generale.
-Natasha Halliwell- disse, trattenendo con difficoltà i suoi istinti.
-Halliwell... ho già sentito questo nome...- fece Lord Cornwallis vagamente.
Tavington gli risparmiò l'immane fatica di ragionare e disse: -Sì, la figlia del Colonnello Halliwell, dei volontari americani-
Gli occhietti di Cornwallis si spalancarono.
-La figlia del Colonnello Halliwell??-
-Sì, My Lord-
-E come mai proprio lei?-
-Al cuor non si comanda- disse Tavington, ghignando tra sé e sé.
Lord Cornwallis sembrò molto soddisfatto della risposta di Tavington e disse, congiungendo le punte delle dita: -Provvederò io stesso ad organizzare questo matrimonio-
-Grazie, My Lord. Dovrei chiedervi anche un altro piccolo favore-
L'espressione di Lord Cornwallis si rabbuiò.
Vecchio taccagno, pensò William.
-Sarebbe?-
-Mmm... bè, vorrei che Miss Halliwell venisse a vivere a palazzo. Si tratterà di poco tempo, tre settimane circa, giusto in attesa del matrimonio, dopo il quale, ovviamente, vivrà nei miei alloggi-
-Dove vive attualmente?-
-Nella stalla- rispose Tavington.
Lord Cornwallis aggrottò la fronte e parve confuso: -Nella stalla?-
-Sì, My Lord- disse William pazientemente -E' la stalliera-
Lord Cornwallis sospirò: -Ancora non riesco proprio a capire cose ci possiate trovare in una stalliera, ma, come dite voi, al cuor non si comanda. Bene, allora, Miss Halliwell verrà a vivere a palazzo. C'è altro?-
-No, My Lord- rispose Tavington.
-Potete andare, allora- lo congedò il Generale.
Tavington si inchinò ed uscì dalla stanza.
Era il tramonto quando Natasha ricevette visite. Non era Tom, come invece aveva sperato. Tom non la veniva più a trovare e Natasha credeva di capire il perché. In effetti, neanche lei era sicura di volerlo rivedere. Dirsi addio sarebbe stato troppo doloroso. Scambiarsi l'ultimo bacio, l'ultimo sguardo... era più di quanto entrambi potessero sopportare.
No, il visitatore non era Tom. Erano due Dragoni: Bordon e Wilkins.
-Signori- disse Natasha, inchinandosi -Il numero della stalla dei vostri cavalli?-
Bordon scosse la testa: -No, miss. Siamo venuti a portarvi a palazzo-
-Cosa?- chiese Natasha, sbalordita.
-Il Colonnello Tavington ci ha dato l'ordine di portarvi in una stanza del palazzo-
-E perché?- domandò ancora Natasha, sempre più confusa.
-Vivrete là fino alle nozze, miss- spiegò Bordon -Il colonnello non vuole che la sua futura sposa continui a vivere in una stalla-
Natasha abbassò gli occhi. Quindi disse: -D'accordo. Vado a prendere una cosa e sono subito da voi-
Natasha salì la scala a pioli, afferrò il mantello di Tom e tornò giù da Bordon e Wilkins.
I due la scortarono fino all'entrata del palazzo. Imboccarono il primo corridoio a destra e, con grande sorpresa di Natasha, Bordon le aprì la porta della stanza di Tom e la condusse dentro.
Natasha entrò e si guardò intorno confusa. La stanza era vuota: i mobili erano gli stessi dell'ultima volta che Tasha li aveva visti, ma non c'erano fogli sulla scrivania, e tutti gli oggetti che appartenevano a Tom erano spariti. Lo sguardo di Natasha vagò sul letto, e improvvisamente le tornarono alla mente dolci ricordi. Ma Tom dov'era?
-Tutto bene, Miss Halliwell?- chiese Bordon.
-No- rispose Natasha. Si volse verso Bordon: -Dov'è il nipote del Generale O'Hara?-
Bordon sospirò: -Brutta storia, signorina-
-Cosa?- chise Natasha, allarmata -Cos'è successo?-
-A quanto ne so, Felton è ancora a palazzo, ma è negli appartamenti del Generale O'Hara, e sta facendo i bagagli-
-Cosa?!?- esclamò Natasha.
-Gli è arrivata una lettera da Boston. Pare che suo padre alla fine abbia deciso di tornare in America e sia arrivato al porto. Ma ultimamente c'è stata una scorribanda di ribelli, laggiù. Non si hanno sue notizie, e Felton ha intenzione di andare a Charlestown e partire per Boston appena possibile-
Natasha si portò una mano alla bocca: -Ma può essere pericoloso!-
Bordon annuì gravemente: -Lo è-
-Sapete quando se ne andrà di qui?- chiese Natasha con ansia.
-Credo che lasci il palazzo stanotte, nonappena arriverà il carro da Charlestown-
-Oh mio Dio- disse Natasha sottovoce.
Bordon le lanciò un'occhiata significativa, quindi le disse di chiamarlo se avesse avuto bisogno di qualcosa e la lasciò sola. Natasha si ritrovò a contemplare quella che un tempo era la stanza di Tom.
Si sedette sul letto e si prese la testa tra le mani. Tom se ne andava.
E se venisse ucciso? E se non farà mai più ritorno?
Nuovi dubbi e nuove ansie la invasero. Si sentiva distrutta.
Si stese sul letto e cercò di dormire, immaginando che Tom fosse lì vicino a lei.
Tom chiuse il pesante borsone da viaggio con le cinghie e sospirò. Non se ne sarebbe andato, se non ci fosse stata una buona ragione. La vita di suo padre era in pericolo. Perché, perché diavolo non aveva mandato una lettera alla sua partenza dall'Inghilterra?
Non sapeva che Boston era ormai in mano agli Americani?
Con ansia, rilesse il foglietto di carta che gli era stato recapitato poco tempo prima da un servo:
Egregio signor Felton,
sono un caro amico di vostro padre. Lui mi ha pregato di scrivervi questa lettera due giorni fa, quando partì per l'America. Mi disse che era impaziente di rivedervi. Attraccherà al porto di Boston i primi di marzo.
Mandandovi i miei più cari saluti,
Walter Lee
Walter Lee. Chi diamine era? Sicuramente un amico che suo padre si era fatto durante il suo ritorno in patria. Però era comunque strano. La lettera, a quanto pareva, era arrivata davvero in ritardo, troppo in ritardo. E poi, perché suo padre aveva affidato il compito di scrivere la lettera ad un suo amico? Non poteva scriverla lui stesso?
Se solo quel messaggio fosse arrivato prima! Tom avrebbe avuto il tempo di dire a suo zio di mandare un'unità di soldati a Boston per assicurare l'incolumità di suo padre. Ma, a quanto pareva, suo padre era già attraccato.
Dannazione! Attraccare in un paese colmo di ribelli! A Boston le rivoluzioni erano all'ordine del giorno. Suo padre avrebbe corso un rischio inimmaginabile, forse lo stava già correndo. O forse...
Forse è morto.
No, non doveva neanche pensarci. Tutto quello che doveva fare era partire alla svelta per salvarlo. Avrebbe lasciato Fort Carolina quella notte stessa.
Un bussare alla porta interruppe il flusso dei suoi pensieri.
-Avanti- disse Tom distrattamente.
Il Generale O'Hara comparve sulla soglia.
-La cena è servita- disse, guardando il nipote con i limpidi occhi azzurri.
-Non ho fame- ribattè Tom -A che ora passa il carro?-
-Mezzanotte- rispose O'Hara.
-Mezzanotte...- ripetè Tom, seppellendosi il viso nelle mani.
-Non devi preoccuparti, Tom- disse il Generale.
-Boston è una città pericolosa- ribattè Tom -Piena di ribelli...-
O'Hara annuì elegantemente: -E' vero. Ma la speranza è l'ultima a morire-
-Può darsi- disse Tom, poco convinto -Ad ogni modo, devo partire al più presto-
Natasha si svegliò di soprassalto. Sfiorandosi le guance con le dita, si accorse di avere il viso umido. Tentò di riprendere fiato. Aveva sognato il suo matrimonio con Tavington. Non si ricordava i particolari, ma nel complesso era stato orrendo.
-Calmati- si disse.
Battè le palpebre nella penombra. Era notte. Pesanti gocce di pioggia picchiettavano sulle finestre, dalle quali provenivano fiotti di luce lunare. Non sarebbe mai riuscita a prendere sonno con tutta quella luce che le batteva sugli occhi. Si alzò per andare a chiudere le tende e lo sguardo le cadde sul cortile. Attraverso la fitta cortina di pioggia, vide, lontana e stranamente familiare, la stalla... sospirò e stava per tornare a letto quando qualcosa attrasse la sua attenzione... stringendo gli occhi, individuò un carro fermo appena fuori l'entrata del forte. Una figura con un lungo mantello nero si stava recando velocemente in quella direzione...
Tom.
Come aveva potuto dimenticarsene? Tom stava partendo!
Natasha sentì il cuore iniziare a batterle violentemente contro le costole. Doveva andargli incontro. Doveva dirgli di non andare, che poteva essere pericoloso. Doveva dirgli troppe cose. Non poteva lasciarlo partire così. In preda al panico, cercò disperatamente qualcosa da indossare, ma non trovò nulla. Corse alla porta della camera, la spalancò e si catapultò nel corridoio. Corse come non aveva mai corso in vita sua. Giunse alla fine del corridoio, entrò nell'atrio. Annaspò per raggiungere la maniglia del portone principale e l'abbassò. Il portone non si aprì.
-Andiamo, apriti!- gridò furiosa, impiegando tutta la forza che potè. Dopo qualche tentativo, la porta si aprì con uno scricchiolio e lei corse fuori nella pioggia.
Stringendo gli occhi vide Tom avvicinarsi al cancello del forte.
-TOM!!- gridò, andandogli incontro.
I suoi piedi nudi corsero sul fango che andava formandosi, i suoi capelli furono ben presto gocciolanti e la sua camicia da notte fradicia. Ma non le importava. Tutto quello che contava era raggiungere Tom prima che partisse.
Lui si voltò e quando la vide spiccò una corsa verso di lei.
-Natasha!- gridò quando l'ebbe raggiunta, abbracciandola.
-Oh Tom!- pianse lei, sulla sua spalla -Ti prego non andare! Non andare, Tom!-
-Devo andare- le disse Tom, accarezzandole i capelli -Si tratta di mio padre-
-Ma ti uccideranno! Tom, è troppo pericoloso!- continuò Tasha -Ti scongiuro, non lasciarmi sola-
Tom le prese il viso tra le mani e la guardò intensamente: -Tornerò, Tasha. Te lo prometto- Detto questo la baciò appassionatamente.
-Tornerai?- ripetè Natasha.
Lui annuì: -Tornerò, piccola. Non ti lascerò mai sola-
-Oh, Tom!- singhiozzò lei, stringendolo forte -Ti amo, ti amo...-
-Anch'io ti amo, tesoro- disse lui, mettendole una mano dietro la testa -Ma devi essere forte. Sii forte per me. Lui non ti porterà mai via da me, capito? Mai-
-Tom, io... ti amerò per sempre... anche se...- la voce di Natasha si spezzò mentre lo guardava negli occhi -Anche se diventerò sua moglie-
-Lo so, piccola- disse Tom, stringendola stretta.
-Ehi Felton!- chiamò un uomo da dentro il carro -Muoviti! E' ora!-
-Devo andare- disse Tom, sciogliendo l'abbraccio.
Natasha lo baciò profondamente, sperando di ricordare quella splendida sensazione nei giorni successivi, quando lui non ci sarebbe stato più.
-Ricordati quello che ti ho detto. Devi essere forte. Lui può portare via tutto, ma non porterà mai via la mia piccola Natasha. Nel mio cuore, tu sarai sempre mia moglie-
La dolcezza di quelle parole era tale che Natasha abbassò il capo e singhiozzò.
Lui le posò un bacio sulla fronte, quindi raccolse la sua tracolla e se la issò sulle spalle.
-Tom...- disse Natasha lentamente -Vai, e... ti prego... non voltarti indietro-
Tom annuì e, lanciatole un ultimo sguardo, si avviò verso il carro che lo aspettava. Natasha rimase lì, con la pioggia che le batteva sul viso mescolandosi con le lacrime, a guardare l'amore della sua vita allontanarsi nella tempesta.
Il giorno dopo la pioggia era finita, lasciando posto a un sole luminoso e caldo, i cui raggi svegliarono Natasha le prime ore del mattino. La ragazza si stiracchiò e esitò, indecisa se chiudere le tende definitavemente e rimettersi a dormire o alzarsi. Era in uno stato pietoso. Il sole appena sorto, nonostante la sua luminosità, non la rallegrava affatto, anzi. Non riusciva ad immaginare Tom che ritornava in una giornata di sole come quella.
Tom... chissà dov'era. Chissà cosa stava facendo. Chissà se era riuscito a trovare suo padre. Ma no, Boston era molto lontana da lì. Ci sarebbe voluto un giorno solo per arrivare a Charlestown, probabilmente. E da lì, quasi certamente Tom sarebbe partito con una carovana fino a Boston. Quello sarebbe stato un viaggio molto più lungo. Forse cinque giorni, o anche di più se il tempo era brutto. Il fango rallentava i cavalli. Una volta arrivato a Boston, Tom avrebbe impiegato almeno una settimana per trovare suo padre in mezzo alle guerriglie. E, anche se lo avesse trovato, sarebbe trascorso almeno un mese prima che facesse ritorno a Fort Carolina.
Sempre che avesse fatto ritorno.
Tornerà.
Certo che tornerà.
Doveva essere forte, come le aveva detto Tom. Natasha ricordò la sensazione provata quando lo aveva visto salire sul carro e allontanarsi da lei piano piano. No, non voleva ricordare.
Decise di alzarsi. Sarebbe stato troppo facile pensare a Tom, se tentava di riaddormentarsi. Improvvisamente un forte senso di nausea le colpì lo stomaco. Veloce, premendosi una mano sullo stomaco, corse alla finestra, la spalancò e vomitò violentemente.
Fortuna che non c'è nessuno sotto la finestra, si disse cupamente. Si voltò e si sedette sul letto cercando di riprendersi. Ogni santo giorno era sempre peggio. Ed ora si sentiva male.
Si sedette alla scrivania, cercando qualcosa che appartenesse a Tom e che potesse aiutarla a stare meglio. Aprì uno ad uno i piccoli cassetti, ma li trovò vuoti.
Sul tavolo c'erano un calamaio, una penna d'aquila e alcuni fogli bianchi. Con un sorriso amaro ricordò che quelli erano proprio gli oggetti che, quando era nella stalla, avrebbe tanto voluto avere. Ora le sembravano del tutto inutili. Che motivo aveva di scrivere un diario o delle memorie? Perché avrebbe dovuto fare un disegno o inventare una poesia? La sua creatività si era estinta, insieme con la sua voglia di vivere. Le difficoltà che doveva superare erano troppe e troppo pesanti per lei.
Avrebbe dovuto sposarsi con Tavington, non avrebbe potuto vedere Tom per più di un mese, avrebbe dovuto partorire un bambino e vederlo crescere dall'uomo peggiore della Terra, che lo avrebbe reso un suo simile. Natasha appoggiò la testa sulla scrivania.
E adesso?
Cosa avrebbe fatto? Come avrebbe passato la giornata?
Qualcuno bussò alla porta.
-Miss Halliwell? Siete sveglia?-
Natasha riconobbe la voce di Bordon. Si alzò dalla sedia e andò ad aprire la porta.
-Sì, eccomi. Cosa c'è?-
Bordon le sorrise: -Buongiorno, miss-
-Buongiorno, Bordon-
-Signorina, il Colonnello Tavington vuole vedervi nel suo appartamento-
Natasha sospirò stancamente: -Veramente avevo intenzione di tornare a dormire. Mi sento molto stanca-
-Ovvio, dopo essere stata fuori tutta la notte- disse una voce gelida alla sinistra di Bordon. Il Colonnello Tavington se ne stava lì, pettinato e vestito. Si rivolse a Bordon: -Voi potete andare-
-Signore,- disse Bordon rispettosamente, inchinandosi e sparendo alla fine del corridoio.
-Tu invece no- proseguì Tavington prendendo Natasha per un braccio e strattonandola nella sua camera. Tavington le diede una spinta e Natasha cadde a terra. Vide Tavington chiudere la porta a chiave e voltarsi verso di lei.
-Allora...- disse lui con fare sussiegoso, guardandola dall'alto -Abbiamo fatto una bella gitarella notturna, non è vero?-
Detto questo le tirò un calcio nelle costole e Natasha emise un verso strozzato.
In quel momento bussarono alla porta.
-Chi diavolo è?- sbottò Tavington furibondo, andando ad aprire . -Signore, deve venire immediatamente con me- rispose la voce di Bordon.
-Sono occupato. Mandate il Colonnello Tarleton-
-No, signore, il Generale Cornwallis ha chiesto espressamente di voi- rispose Bordon, intimorito -E' per il matrimonio, credo, signore-
Tavington lanciò uno sguardo a Natasha, che se ne stava ferma sul pavimento, piegata su un fianco per il dolore. Dopodichè uscì dalla stanza, senza dire una parola.
Bordon attese che Tavington si fosse allontanato, quindi si precipitò vicino a Natasha.
-Miss Halliwell, state bene?- le chiese, aiutandola ad alzarsi.
Natasha prese la mano che Bordon le porgeva: -Sì...- disse, contorcendo la bocca in una smorfia di dolore -Ma non credo di riuscire ad alzarmi-
-Vi aiuto io- disse Bordon, issandola in piedi per le spalle. Natasha si piegò in avanti, coprendo con una mano la costola colpita da Tavington.
-Venite, andate in camera vostra- le disse Bordon gentilmente, prendendo il braccio di Tasha e mettendoselo intorno al collo -Riuscite a camminare?-
Natasha mosse qualche passo incerto fuori dalla stanza di Tavington e, sempre sostenuta da Bordon, entrò nella sua nuova camera. Si stese sul letto lentamente, anche se questa operazione le costò una fitta tremenda che la fece gemere lievemente.
-Volete che vi porti qualcosa? Un tè? Del brandy? Una tinozza di acqua calda?-
Per un attimo Natasha fu tentata di dirgli di portarle una bella bottiglia di brandy, ma alla fine rinunciò, ricordandosi dell'emicrania che le aveva provocato l'ultima volta.
-No, grazie, Bordon, niente. Solo che... vi conviene andarvene, prima che il colonnello scopra cosa avete fatto-
-Avete ragione, Miss Halliwell. Chiamatemi, qualunque esigenza abbiate- detto questo Bordon uscì e chiuse la porta.
Natasha ringraziò il cielo che la resa dei conti con Tavington le fosse stata rimandata. Essere malmenata così, di prima mattina... e pensare che avrebbe dovuto passare il resto della sua vita con quell'uomo!
Come avrebbe fatto?
Non ce la farò, infatti.
Sarebbe stato impossibile. Per quanto potesse essere forte dentro di sé, Natasha rimaneva ugualmente una debole. Non riusciva. Non riusciva a sopportare il dolore, tutta quella sofferenza... e Tom già le mancava. Le mancava terribilmente. Quando lo avrebbe rivisto?
La domanda non è quando lo rivedrò... si disse Natasha malinconicamente, La domanda è se lo rivedrò...
