Capitolo 8
Due occhi azzurro ghiaccio
-Inammissibile, inaudito... dev'essere molto imbarazzante per voi, colonnello, non è vero?- -Non capisco cosa vogliate dire, mr Trevors- -Oh, andiamo... una scena talmente vergognosa in pubblico...- -Mia moglie ha agito secondo i dettami della sua coscienza, immagino... quella Slaves l'aveva provocata- -Bè, permettetemi, colonnello, ma...- -Spiacente ma non vi permetto nulla. Se ora avreste la gentilezza di adarvene...- William Tavington spinse il signor Trevors fuori dalla porta, quindi la chiuse a chiave. Si voltò verso il letto matrimoniale sul quale giaceva, svenuta, la sua giovane moglie. Tavington le si avvicinò e s'inginocchiò al suo fianco, guardando il suo petto alzarsi e abbassarsi regolarmente con il ritmo del suo respiro. Lo sguardo di Tavington vagò su ogni particolare del corpo di lei. Tavington non l'aveva mai vista così bella. Dei ciuffi ramati le ricadevano sulle palpebre chiuse e l'elaborata acconciatura in cui erano legati i suoi capelli si stava lentamente sciogliendo. Il suo abito di velluto blu fasciava il suo corpo snello e sinuoso; le sue piccole mani dalle unghie a mandorla erano chiuse a pugno sul cuscino. Tavington ne prese una e la strinse tra le sue, poggiandovi le labbra e baciandola sul palmo. Ecco sua moglie. Tavington era orgoglioso di sé. Era riuscito ad amministrare tutte le situazioni che gli erano capitate e ne era uscito decisamente vincitore. Felton era lontano, Natasha ora era la signora Tavington... e la guerra sembrava aver raggiunto una svolta che segnasse la vittoria inglese. Appena la guerra finirà, io, Natasha e mio figlio andremo a vivere in Ohio... dove io sarò il governatore. Le labbra di Tavington si piegarono in un ghigno. Già. Se avesse vinto quella guerra, Lord Cornwallis gli avrebbe donato l'intero Ohio. Un ricco premio per anni e anni di sottomissione a quel vecchio bacucco. E la guerra ormai era già vinta. Li aveva in pugno, a quei dannati americani. Immerso nei suoi progetti per il futuro, William si tolse la giacca, la camicia e i pantaloni, e si mise sotto le coperte. Ripensandoci, non gli sembrava vero di essere riuscito a sposare Natasha nel giro di così poco tempo, senza che niente fosse andato storto, per di più. William si girò sul fianco destro, in modo da poter ammirare i riflessi della luna illuminare a barlumi il viso della sua ultima vittoria. Una vittoria della quale era particolarmente orgoglioso.
Natasha aprì gli occhi e si guardò intorno. Ormai aveva smesso di chiedersi dove fosse ogni qualvolta si svegliava: la realtà era penetrata in lei integramente. Era mattina e lei si trovava in un letto, con delle braccia maschili che la cingevano. Natasha voltò la testa e vide Tavington addormentato pacificamente di fianco a lei. Cercò di ricordare cos'era avvenuto il giorno prima, ma a parte il matrimonio non le suvvenne niente. Ah, sì. Quella ragazza, Sarah Slaves. E poi? Devo essere svenuta... Ma, se così era, perché? Perché aveva perso i sensi? Natasha cercò di pensare, ma era troppo stanca. Aveva voglia di dormire. Cercò di riprendere sonno, ma era difficile ignorare le forti braccia che la stringevano. Natasha sospirò e, con cautela, sgusciò fuori dall'abbraccio di lui. Tavington mormorò qualcosa e si voltò dall'altra parte. Tasha ringraziò il cielo ed appoggiò la guancia sul cuscino. Com'era bello morbido... Stava per chiudere gli occhi quando qualcosa attrasse la sua attenzione. Alcuni raggi del primo sole facevano brillare un oggetto di metallo sul comodino davanti al letto. Una pistola. La pistola di Tavington. Un'idea folle si fece strada nella sua mente. Lì c'era una pistola. E, addormentata vicino a Tasha, c'era la fonte di tutte le sue disgrazie. E se avesse...? Natasha cercò di abbandonare l'idea, ma era troppo difficile. Quella pistola incustodita era così invitante... Natasha scostò le lenzuola e, molto lentamente, scese dal letto cercando di non provocare alcun rumore. Si voltò verso Tavington per vedere la sua reazione. Se ne stava tranquillo, supino e dormiente. Per un attimo lo sguardo di Natasha si perse sul suo petto muscoloso, sul suo fisico asciutto e forte... tra i riccioli scuri che formavano i suoi capelli sparsi sul cuscino. Com'era possibile che da addormentato sembrasse così innocuo? Natasha provò lo strano impulso di tornare nel letto e baciarlo, ma poi scosse la testa. Cosa diavolo stava pensando? Ricorda cosa ti ha fatto... cosa ti sta ancora facendo... Se lo ricordava. Se lo ricordava troppo bene. D'un tratto i dubbi svanirono insieme alla voglia di tornare nel letto con lui. Lo sguardo di Natasha tornò sulla pistola. Era ancora lì. Certo che è ancora lì, dove vuoi che vada? La stava aspettando. La stava chiamando. Natasha... Tasha rabbrividì. Allungò la mano e lasciò correre un dito sul freddo metallo dell'arma. Quindi, con mano tremante, impugnò il manico e la sollevò. Non se l'era immaginata così pesante. La strinse anche con l'altra mano per evitare che cadesse. Ecco, così andava meglio. La osservò per qualche secondo, riflettendo. Era stata quella pistola a togliere la vita ai suoi genitori e ad Alan e a chissà quant'altra gente. Proprio quella pistola che teneva in mano. L'indice di Natasha sfiorò, con un tremito, il grilletto. Bastava premerlo. Se avesse premuto quella piccola linguetta di metallo e avesse puntato la canna verso Tavington, lo avrebbe ucciso. Era così semplice. E allora perché stava tremando? E allora perché stava piangendo? Natasha sollevò l'arma e la puntò su Tavington che, ignaro, stava ancora dormendo tranquillamente. La canna della pistola non voleva stare ferma... No, doveva smetterla di tremare. E anche di piangere. Con gli occhi accecati dalle lacrime e la mano malferma non sarebbe mai riuscita a prendere bene la mira per fare quello che doveva fare. Oh, se solo lui fosse stato sveglio come sarebbe stato semplice ucciderlo! Era su quella figura angelica e innocua che Natasha non voleva sparare. No, quello non era Tavington! E lei doveva uccidere Tavington, no? Allora non poteva ucciderlo. Non dire sciocchezze, stupida! Quando mai ti capiterà un'occasione del genere?? PREMI QUEL GRILLETTO! Natasha pianse più forte mentre rialzava la pistola. Udì un tintinnio di metallo contro metallo e si guardò il dito. I tremiti della mano facevano toccare la sua fede contro il manico della pistola. Questo rafforzò la sua drastica decisione. Prima che potesse rendersene conto, il suo dito aveva esercitato una pressione sul grilletto. Una pressione sufficiente affinchè il proiettile scattasse dalla pistola. Un clic echeggiò la stanza. Ma non ci fu altro. Natasha, che aveva chiuso gli occhi impaurita e terrificata, li riaprì appena. Guardò la pistola allibita, senza capire. Ad un tratto Tavington si girò sull'altro fianco borbottando: -I proiettili li trovi nel primo cassetto della scrivania- A Natasha saltò il cuore in gola. Una marea di sentimenti la travolse. Ad un tratto si sentì imbarazzata, triste e imbranata come non si era mai sentita prima. Cosa stava facendo con una pistola in mano? L'arma cadde a terra provocando una lieve rigatura sul legno del pavimento. Natasha si accasciò sulle ginocchia, piangendo. Si sedette con la schiena contro il mobile sul quale prima stava la pistola ed appoggiò le braccia sulle ginocchia seppellendovi il viso rigato di lacrime. Non voleva più muoversi da lì. Non voleva più vederlo. Non voleva più fare niente. Nemmeno vivere.
Tavington si alzò a sedere sul letto e guardò Natasha piangere per terra, la pistola a pochi pollici da lei. Si alzò e la raccolse, riappoggiandola sul mobile, senza staccare gli occhi dalla figuretta che giaceva rannicchiata ai suoi piedi. Si sedette vicino a lei e le cinse le spalle con un braccio, stringendola. Lei, con suo grande stupore, non gli oppose resistenza. -Natasha...- disse William piano, scuotendola leggermente. Lei non alzò la testa e continuò a piangere. -Natasha, guardami- gli disse lui in tono imperioso. La ragazza alzò il capo debolmente e lo fissò, parecchi capelli davanti agli occhi. -Vieni qui- le disse lui. Natasha abbandonò la testa sul suo petto nudo e lasciò che le mani di lui le accarezzassero i capelli. Passarono alcuni minuti. -William...- mormorò lei, rompendo il silenzio. -Mmm?- -Perché...- Tasha deglutì -Perché non mi lasciate andare?- Tavington sospirò e ad un tratto Natasha ebbe ancora paura di lui. -E' inutile che cerchi di cambiare quello che succede. Ora sei mia moglie, tra non molto sarai la madre del mio bambino. Questo ti carica di innummerevoli responsabilità. E poi...- la voce di Tavington si fece più soddisfatta, e ghignò -E' inutile negare che io sia felice che tu ora sia mia. Molto felice- aggiunse, mentre la sua mano dalla testa di Natasha scendeva verso il suo collo. Natasha singhiozzò. -Cosa... cosa vi ho fatto?- -Questa non è una punizione per te, Natasha- disse lui, mentre le sue dita calde si facevano strada nella scollatura del vestito da sposa che lei ancora indossava -Ma un premio per me- -Un premio per cosa?- -Basta domande- disse Tavington, scoprendo la spalla di lei e appoggiandovi le labbra -Lo sai...- mormorò, proseguendo a baciarle collo mentre lei rabbrividiva -Non mi piace l'idea che io debba aspettare nove mesi prima di poter consumare la mia luna di miele- Natasha sospirò: -Possibile che non pensiate ad altro?- Tavington rise: -Bè, sono un uomo- disse, alzando la testa e guardandola negli occhi. -Questo non significa nulla- ribattè Tasha. Tavington posò le labbra sulle sue e le diede un lungo bacio passionale che la lasciò senza fiato. -Ah, no?- disse, riprendendo a fissarla con quegli occhi impossibili. -Non mi starete dicendo che tutti gli uomini pensano solo al sesso?- disse Natasha, aggrottando la fronte. -Sì, te lo sto dicendo- riprese lui. Natasha scosse la testa, pensando a Tom: -Non credo che sia così- Tavington ridacchiò: -Tu speri che non sia così. Che delusione, Tasha non è vero? Perché allora cambierebbe tutto, no? E tu che pensavi che Tom ti amasse...- -Smettetela!- esclamò Natasha. Gli occhi di Tavington brillarono. -In ogni modo...- proseguì, tracciando una linea di baci che partiva dal suo collo verso la sua scollatura -Ora non ha più importanza- Natasha si ricordò d'un tratto della lettera. Dannazione! Se n'era completamente dimenticata. Doveva trovarsi dove l'aveva lasciata, nel cassetto della scrivania della camera di Tom. Natasha battè le palpebre confusa quando Tavington iniziò a baciarle il collo con più impeto. -Devo andare- disse, quasi senza accorgersene. Tavington si fermò e la guardò divertito: -Ah, sì?- Natasha si sentì avvampare -Io... devo andare in bagno- Tavington aggrottò le sopracciglia: -Adesso?- -Sì- rispose lei, arrossendo. Tavington alzò gli occhi al cielo e si alzò in piedi, seccato. -Vai allora- disse, aprendole la porta -Ma fai in fretta- Natasha si tirò in piedi ed uscì nel corridoio. S'incamminò verso camera sua, aspettandosi di sentire la porta della stanza di Tavington chiudersi, ma non udì nulla. Si voltò a guardare e vide che lui la stava fissando, appoggiato allo stipite della porta. -Il bagno è in fondo al corridoio- le disse, con occhi maliziosi -Vuoi che ti accompagni?- Natasha scosse la testa: -Prima volevo andare in camera mia a cambiarmi- Tavington alzò gli occhi al cielo e rientrò nella sua stanza borbottando qualcosa che suonava molto come: -... le donne- Natasha si sentì sollevata di non essere più spiata da lui ed entrò nella sua camera, dirigendosi immediatamente alla scrivania. Tirò fuori la lettera e la posò sullo scrittoio mentre si vestiva. Indossò un lungo abito azzurro acqua e si lasciò i capelli sciolti sulle spalle. Quindi prese la lettera ed uscì nel corridoio. Doveva assolutamente trovare un servo. A quanto pareva, la fortuna era dalla sua parte, perché proprio mentre si guardava intorno scorse Sally uscire da una stanza con una bracciata di lenzuola. -Sally!- chiamò sottovoce. La ragazza le venne immediatamente incontro e fece un breve inchino: -Ditemi, signora Tavington- Natasha sospirò nel sentirsi chiamare così, ma si riprese e disse: -Sally, devi farmi un favore. E' una cosa molto importante... una questione di vita o di morte- Sally spalancò gli occhi: -Dovreste parlarne a vostro marito- -E' proprio questo il punto. La cosa deve rimanere segreta. Sally, devi spedire questa lettera al più presto a Tom Felton, il nipote del Generale O'Hara- Natasha le porse la lettera e Sally la guardò allibita: -Signora, non capisco, davvero- -Non è importante che tu capisca- ribattè Natasha, guardandosi alle spalle nervosamente, temendo di vedere la porta della stanza di Tavington spalancarsi -La cosa importante è che tu segua minuziosamente le mie istruzioni. Spedisci al più presto questa lettera a Tom Felton. Hai capito tutto?- -Sì, signora- rispose Sally, anche se sembrava ancora piuttosto scombussolata. -E allora, vai, ti prego...- disse Natasha. Sally ripose la lettera in una delle tasche del suo grembiule e se ne andò nell'atrio. Natasha sospirò, sollevata. Ora non le restava che sperare che tutto andasse liscio. Se fosse andato tutto bene, Tom sarebbe stato di ritorno in una settimana o due. Natasha ritornò sui suoi passi e si ritrovò davanti alla porta della camera di Tavington. Com'era familiare quella porta. In un flash ricordò quando si era trovata lì per la prima volta. Sembravano passati secoli. Fece per bussare quando un conato di vomito la colse. Veloce, corse nella sua stanza e vomitò dalla solita finestra. Quando si voltò, trovò Tavington sulla porta che la guardava serio. Come diavolo faceva a muoversi senza provocare il minimo rumore? -Cos'è questa storia?- chiese. A Natasha saltò il cuore in gola. Ecco, l'aveva sentita mentre parlava con Sally. E ora cosa le avrebbe fatto? Cosa ne sarebbe stato di lei e di Tom? Tasha iniziò a tremare sotto il suo sguardo di ghiaccio. -Io... io...- -Tu, tu...- disse Tavington, un leggero sorriso sulle labbra -Mi stavo giusto chiedendo quanto diavolo ci mettevi ad andare in bagno- Natasha abbassò gli occhi a terra. -Natasha, tu devi capire una cosa- esordì lui minacciosamente, avanzando verso di lei -Non ha senso mentirmi. Credi davvero che mi faccia fregare da una ragazzina di quindici anni?- Natasha si sentì offesa. Ragazzina di quindici anni?! Non gli ho chiesto io di sposarmi! Parte dei suoi pensieri dovettero leggerseli in faccia, perché Tavington ridacchiò. -Non fare l'offesa- disse, appoggiandole le mani sulle spalle -E neanche la tragica. Non sono arrabbiato. E' che non riesco a capire perché non mi hai detto che ti veniva da vomitare- Natasha spalancò gli occhi dalla sorpresa. Era solo questo! Non l'aveva sentita parlare con Sally. Era così rilassata che scoppiò a ridere, cosa che non faceva da millenni. -Perché ridi?- chiese Tavington. -No, nulla- rispose lei -Sono solo sollevata che non siete arrabbiato con me- Tavington tornò serio: -Da quanto vai avanti così?- -Quasi un mese- disse Tasha -E' così che mi sono accorta di aspettare un bambino- -Chiedi un bicchiere d'acqua a Sally- disse Tavington -Vado a chiamarla- Il sorriso sparì dalle labbra di Natasha: -Oh, no!- Tavington la guardò aggrottando le sopracciglia: -Perché?- -Ehm... l'acqua ce l'ho già in camera- ribattè lei, indicando una brocca posata sulla toletta -E poi ho visto Sally andarsene via qualche minuto fa. Sembrava molto occupata- Tavington le versò da bere in un bicchiere e glielo porse. Natasha bevve d'un fiato. Tavington sospirò: -Bè, vorrei restare qui con te tutto il giorno, ma il dovere mi chiama- -Dove devi andare?- gli chiese Natasha. Tavington rimase in silenzio. Quindi la guardò alzando un sopracciglio: -Mi hai dato del tu- Natasha arrossì: -Scusate- William rise: -No, mi hai frainteso. E' che nessuno mi ha mai dato del tu a parte i miei genitori- Natasha lo guardò. Non lo aveva mai sentito prima parlare dei suoi genitori. -Dove sono?- -Chi?- chiese Tavington, evitando il suo sguardo. -I tuoi genitori- disse Natasha. -Sono morti- tagliò corto lui -Ora devo proprio andare- Natasha non insistè oltre, anche se le sembrava piuttosto ingiusto che lui si mostrasse così riservato sull'argomento dei suoi genitori quando era stato lui stesso ad ucciderle i suoi. -Dove devi andare?- ripetè Natasha. William la guardò con gli occhi che brillavano: -Devo andare a fare un interrogatorio molto simile a quello che mi stai facendo tu adesso- Natasha arrossì. -Posso andare ora?- le chiese lui divertito. Tasha annuì imbarazzata. Appena lui chiuse la porta alle sue spalle, Natasha si buttò sul letto, domandandosi perché mai aveva fatto tutte quelle domande al colonnello. Non trovando riposta, il suo pensiero tornò a Tom. Non sapeva perché, ma lo sentiva vicino, stando su quel letto. Forse perché quella stanza era intrinsa di ricordi. Quando aveva bevuto il brandy di nascosto da Tom, quando aveva fatto il bagno, quando aveva fatto l'amore con lui... Si diresse alla scrivania, prese in mano pigramente la penna e iniziò a fare scarabocchi sui fogli, distrattamente, pensando a Tom. Ricordò la sensazione che aveva provato correndo sotto la pioggia, verso di lui... se solo fosse potuta tornare indietro, non lo avrebbe mai lasciato andare via. Non doveva abbandonarla. Perché, perché lei, vedendo quella carrozza partire si era sentita come se non lo avrebbe più rivisto? Perché quello che era successo nel cortile assomigliava così orribilmente ad un addio? Natasha posò gli occhi sul foglio e guardò stupita quello che aveva scritto senza rendersene conto. Una lacrima cadde sulla frase Tom mi manchi.
Tre settimane dopo.
Natasha Halliwell era seduta sulla panchina nel retro del palazzo. Si stava spazzolando i capelli, godendo del suono degli uccellini e dello splendido sole primaverile che ormai volgeva al tramonto. Purtroppo quel grande sole arancione nell'atto di sparire dietro le colline non rispecchiava affatto il suo umore. Tasha si sentiva triste e sola. Si posò una mano sulla pancia, dove era già visibile una consistente protuberanza e accarezzò il suo bambino. Erano passate tre settimane da quando aveva spedito, tramite Sally, la lettera a Tom. Lui non era tornato. Natasha iniziava a perdere le speranze. Ogni giorno era uguale a quello prima. Non succedeva mai niente di nuovo. Per quanto riguardava suo marito, egli non trascorreva molto tempo a Fort Carolina. A quanto diceva, la guerra era ad una svolta e quindi spesso doveva stare via per tre o quattro giorni interi; quando tornava era sempre molto stanco e alla compagnia di Natasha sembrava preferire quella di Sharon, con la quale "poteva fare certe cose". Natasha sospirò profondamente. Non sapeva spiegarsi perché, ma la cosa la infastidiva. Lei non era neppure autorizzata a nominare Tom in presenza di William e lui invece le diceva chiaro e tondo che avrebbe passato la notte con Sharon. -Gelosa?- aveva detto Tavington con una certa soddisfazione, quando lei gli aveva esposto la questione. No, non era gelosa. Certo che no. Il punto era che a palazzo non facevano che sparlare di lei per questo. Mentre passava nei corridoi, quelle stupide signore vecchie e pettegole bisbigliavano: Già, ho sentito che suo marito la tradisce in continuazione. Per forza! E' chiaro come il sole che lei lo ha sposato solo per il denaro! Natasha non sapeva cosa la trattenesse a schiaffeggiare anche loro come aveva fatto con Sarah Slaves. Un sorriso si posò sulle labbra di Tasha. Da quel giorno Lady Slaves non si era più vista a Fort Carolina. I pettegolezzi dicevano che aveve troppa paura della signora Tavington per rimetterci piede. Bè, se l'era meritato. Annoiata degli interi pomeriggi passati in camera a scarabocchiare sui fogli, a pensare a Tom, a fare mille ipotesi su cosa gli fosse successo e a origliare le conversazioni di ogni singolo soldato che passava per il corridoio per carpirne qualche informazione sulla situazione di Boston, Natasha aveva preso l'abitudine di fare lunghe passegiate per il cortile del Forte, guardandosi intorno e cercando di tenersi alla larga da tutta la popolazione femminile del palazzo. Si sentiva nella solitudine più totale. Non riusciva a trovare una singola persona con cui parlare o almeno chiaccherare. Questo perché si sentiva diversa da tutte le persone che incontrava. Chi di loro era di origine americana? Chi era stato costretto a sposare un uomo crudele come il Colonnello Tavington? Chi era incinta di un figlio che sarebbe stato cresciuto da quell'uomo? Chi aveva l'amore della propria vita lontano e in pericolo? Chi aveva un fratello tenuto ostaggio dal proprio marito? Chi era prigioniero a Fort Carolina? Solo lei. Oh, come rimpiangeva la vita passata. Starsene seduta sulla sua poltrona preferita a leggere uno dei libri di suo padre, correre nel campo insieme ai suoi fratelli, chiaccherare con Sharon fino a notte fonda, aiutare sua madre ad apparecchiare la tavola canticchiando vecchie canzoni stonate. E poi la messa a Pembroke la domenica, i pomeriggi passati con Melyiss e Fiammargento nella stalla... Natasha avrebbe dovuto immaginare che tanta spensieratezza non poteva durare a lungo. La guerra le aveva cambiato la vita piano piano, non di colpo, il che era stato molto più terribile. Prima la sparizione di Sharon. Poi suo padre che veniva chiamato alla guerra. E alla fine il Colonnello Tavington... No, era inutile, tutti i suoi pensieri conducevano a lui. Persino pensando a Tom cresceva in lei un odio per Tavington, perché era stato lui a mandarlo lontano da lei. Ma adesso dov'era? Il rumore di zoccoli di cavallo che si avvicinavano al cancello scosse Natasha dalle sue riflessioni. Si alzò e mosse qualche passo verso l'entrata del forte. Stringendo gli occhi vide i Dragoni entrare dai cancelli, immediatamente circondati dall'orda di ragazze ridacchianti. Natasha ne vide un gruppetto, che comprendeva anche Sharon, accerchiare il Colonnello Tavington. S'incammino verso di lui, lanciando occhiate di fuoco alle prostitute. -Ehy Willy! Che ne dici di stasera?- chiese una. Tavington sorrise: -Ragazze, credo che mia moglie mi abbia colto in flagrante- La folla di donne si voltò verso Natasha, che arrossì nonappena venne raggiunta da tutte quelle occhiate truci. Le donne non osarono ribattere in presenza di Tavington, ma si diressero verso gli altri Dragoni con aria offesa, confabulando tra di loro. Tavington sorrise a Natasha mentre un servo, il nuovo stalliere, gli prendeva il cavallo. Le si avvicinò e la prese sottobraccio, conducendola al palazzo. -Non capisco perché le hai rifiutate, William- fece lei freddamente -Alcune avevano dei vestiti davvero mozzafiato- Tavington alzò le sopracciglia mentre entravano nell'atrio e ribattè: -Credi davvero che non me ne sia accorto?- Percorsero il familiare corridoio ed entrarono nella loro camera. Natasha si sedette sul letto ed incrociò le braccia. -Oh, non fare così- disse Tavington, chiudendo la porta e sciogliendosi i capelli -Lo sai, sei davvero possessiva- Natasha arrossì. -No, è che pensavo... che genere di padre avrà il nostro bambino?- -Non credo che tu abbia capito, Tasha- disse lui, sbottonandosi la giubba -Vado con loro finchè non potrò andare a letto con te. Quindi finchè non nascerà il bambino- -E ti sembra normale?- disse Natasha arrabbiata. Lui si voltò e Natasha tremò sotto il suo sguardo. -Scusa- mormorò, abbassando la testa. Lui si sedette accanto a lei e la spinse all'indietro con una mano, facendola stendere. Le prese il viso e lo voltò verso di lui. Tra i suoi occhi e quelli di lei non c'era che un pollice, tanto che Tasha riusciva a sentire il suo respiro sulle guance. -Ti voglio, Natasha- sussurrò, mentre una mano si infiltrava sotto il suo vestito e le accarezzava la schiena. Con l'altra mano le prese la testa e la spinse verso la sua, baciandola profondamente. Natasha rabbrividì mentre la mano di lui le sfiorava la schiena lentamente, dolcemente. Tavington separò le labbra dalle sue e abbassò gli occhi sulla pancia di lei. -Il bambino sta crescendo bene- disse, con un tono improvvisamente dolce. -Sì- rispose Natasha, abbozzando un sorriso. -Quando nascerà...- mormorò William -Io sarò l'uomo più felice della Terra- Natasha scrutò attentamente quell'espressione piena di amore e di dolcezza che non aveva mai visto in lui prima. -Chi sei, William?- domandò. Tavington rise: -Devo supporre che sbalzi di memoria di questo genere facciano parte della gravidanza?- -No- rispose Natasha -E' che a volte ho l'impressione che in te esistano due persone diverse. Quando...- Natasha deglutì, perché quel ricordo le faceva male -Quando mi portasti a letto eri il Colonnello Tavington. Quell'uomo astuto, calcolatore, crudele... che non mi dà tregua. Adesso sei William. Un uomo dolce e sensibile... un uomo che vuole bene a suo figlio e... e anche a sua moglie- Tavington le sfiorò il viso con una mano: -Ciò che dici non ha senso- -Forse- replicò Natasha -Ma non riesco a capire chi tu sia. Cioè... quale delle due parti ha il sopravvento sull'altra- -Credo che esista una parte chiamata William Tavington- rispose lui -E quello sono io- -Se è così non riuscirò mai a capirti- ribattè lei. -Chi dice che mi devi capire?- disse William, slacciandole i lacci del vestito. -No, William, per favore- mormorò lei, raggiungendo le sue mani per fermarlo. -Shh- disse lui, baciandole il collo. -Ti prego, William...- Tavington alzò gli occhi e la guardò duramente: -Natasha, vuoi sapere come ho passato la mia giornata? Per prima cosa mi sono svegliato alle sei del mattino, mentre tu ancora dormivi beata, poi sono stato convocato nell'ufficio di Lord Cornwallis, che invece di spiegarmi le missioni del giorno ha colto l'occasione per fottermi e ribadire che schifo di colonnello sono, quindi sono andato via da Fort Carolina e ho girovagato per tutta la Carolina del Sud in cerca di dei fottutissimi ribelli (senza tralaltro trovarli) e al tramonto ho sterminato un'intera popolazione chiudendoli in una chiesa e dando fuoco. Ora torno nella mia stanza e mia moglie mi dice stronzate del tipo "Non adesso, William". Natasha, te lo dirò per l'ultima volta: stai zitta o ti faccio talmente male che il bambino andrà al diavolo e dovremo impegnarci per averne un altro. Sono stato abbastanza chiaro?- Natasha annuì, tremante. William le aprì il vestito ed iniziò a leccare con impeto e voracità il suo seno scoperto. Natasha gemette debolmente e chiuse gli occhi, desiderando ardentemente che tutto finisse. Tavington si stava eccitando febbrilmente. Fece scivolare senza riguardo il vestito dalle spalle di lei e ricoprì il suo corpo di baci bollenti. Quindi risalì e la baciò sulle labbra, facendo entrare a forza la lingua tra le sue labbra semiaperte. Natasha annaspò per riprendere fiato, ma ogni tentativo era inutile. Non sarebbe mai riuscita a staccarlo da lei. Tavington salì a cavalcioni sul suo bacino e lei gemette. -William...- esclamò con voce soffocata, gli occhi offuscati dalle lacrime -Non... riesco... a respirare...- Tavington la ignorò e fece aderire il corpo a quello di lei, baciandola con violenza. -William... oh mio Dio... mi sento male, William...- Tavington si fermò e la guardò: -Cosa diavolo c'è adesso?- -Scendi...- sussurò Natasha, allo stremo delle forze. Tavington si lasciò scivolare accanto a lei ma continuò a guardarla. -William...- ansimò lei, stringendo gli occhi -Ti prego, non farlo più, io...- -Shh basta parlare- disse lui, con gli occhi più freddi che Tasha avesse mai visto -Stai zitta- Natasha non ebbe difficoltà ad obbedire e riprese fiato mentre lui proseguiva a baciarle il collo, stavolta più lentamente e dolcemente. Natasha cercò di rilassarsi sotto i suoi baci ma era difficile se non impossibile. Basta, basta... Dopo qualche minuto di pura agonia, Tavington riappoggiò la testa sul copriletto e chiuse gli occhi. Natasha rimase immobile e lo guardò respirare. Ad un tratto Tavington si alzò e si avvicinò alla porta. Natasha si rivestì e domandò: -Dove vai?- Tavington voltò la testa e la fissò freddamente: -Indovina- Natasha scosse la testa, incredula: -Da Sharon, è così?- -Già- -Cosa ci provi ad andare con lei?- domandò Natasha. Tavington la guardò con una strana espressione. Camminò verso di lei e abbassò la testa per guardarla dritta negli occhi. A Natasha iniziarono a battere i denti e dovette irrigidire la mandibola per non farsi sentire da lui. -Cosa ci provo? Tanto per cominciare lei non si lamenta quando le salgo sopra. Non cerca di cacciarmi quando la bacio. E non trema sotto il mio sguardo...- -Io non tremo sotto il tuo sguardo!- ribattè Natasha. -Certo che no- disse lui, prendendole pigramente una ciocca di capelli -Ma non credere che questo non mi piaccia- -Cosa?- disse Natasha. -Mi piace pensare di avere il totale controllo su di te. Mi piace l'idea di farti paura...- -Non ho paura di te- mentì Natasha. -Strano, sai? E' curioso che uomini adulti e anziani il doppio di te mi temano e tu no- disse lui astutamente. -D'accordo, hai vinto- si arrese Natasha -Vai pure- -Non aspettavo certo il tuo permesso- ribattè lui -Sono rimasto solo per darti un'idea di chi sarà il capo nella nostra futura famiglia- -D'accordo, colonnello- -Credevo di averti convinto a chiamarmi William- disse lui ghignando. -A volte mi viene spontaneo chiamarti colonnello- disse lei -Sei o non sei il mio capo?- aggiunse pesantemente. Tavington la tirò in piedi e la imprigionò nelle sue braccia. Le sfiorò il viso con una mano e le sussurrò: -Hai paura di me, adesso?- Natasha non riusciva a staccare gli occhi da quelli gelidi di lui. -N...- fu tutto quello che riuscì a mormorare. Lo sguardo di lui si fissò sulle sue labbra. Natasha represse un brivido a fatica. Le labbra di Tavington si avvicinarono a quelle di lei e le toccarono. Natasha sentì la mano di lui posarsi dietro la sua testa e spingerle il viso contro il suo. Tasha respirò a fondo l'essenza di lui e lasciò che le labbra del colonnello, così calde, morbide e lisce, si posassero sulle sue e le accarezzassero profondamente. Tavington continuò a baciarla appassionatamente, stringendola sempre più a sé, dimezzando sempre più i suoi respiri. Separatosi da lei, la guardò negli occhi: -Non posso aspettare- Natasha distolse lo sguardo con difficoltà e sospirò. -William...- mormorò timidamente -E' una scelta tua. Portarmi a letto adesso potrebbe causare molte cose. Lo sforzo e il dolore potrebbero uccidermi..., potrebbero uccidere il bambino... potrebbero uccidere entrambi. Ma se tu reputi il sesso più importante, prendimi adesso. Io non avrei la forza di respingerti- William la guardò intensamente: -No, hai ragione. L'attesa sarà dura...- disse, appoggiando le labbra sulla sua fronte -Ma quando il bambino nascerà, ne sarà valsa la pena- Natasha sorrise, sollevata: -Già- Tavington le accarezzò le guance delicatamente, sfiorando ogni tratto del suo viso. Quindi sospirò. -Ho cambiato idea- disse, separandosi da lei -Resterò- Natasha si stese sul letto e lo guardò svestirsi ed entrare nel letto con lei. Tasha si voltò dall'altro lato. -Ehi tu, dove credi di andare?- le disse lui, prendendola e costringendola a girarsi dalla sua parte -Se ho deciso di rimanere non è stato per guardarti la schiena- Natasha non replicò e Tavington sbuffò. -Perché sei sempre così triste?- A Natasha vennero in mente almeno un milione di risposte diverse, ma si limitò a dire: -La mia vita non è come la vorrei- sospirò profondamente -Non è neppure lontanamente come la vorrei- Tavington sorrise amaramente: -Allora abbiamo qualcosa in comune- Natasha lo guardò, ma alla pallida luce della luna appena sorta il suo volto non rivelava nulla. -Buonanotte, Tasha- -Buonanotte, William- Prima che il sonno li cogliesse, ognuno aveva fatto mille supposizioni su quello di cui parlava l'altra.
Il mattino seguente Natasha aprì gli occhi e si voltò automaticamente verso destra. Si accorse di essere sola nel letto. Tavington doveva essersene già andato. Sospirando, Natasha si vestì (era ormai da un paio di settimane che i suoi nuovi vestiti erano stati portati nell'appartamento di Tavington) ed aprì la porta del corridoio, con la mezza idea di recarsi in giardino per fare una passeggiata. Scorse Bordon affrettarsi verso l'atrio. -Buongiorno, Bordon- lo salutò. Bordon si voltò e le sorrise: -Buongiorno, signora Tavington. Tutto bene?- -Sì, grazie. E voi?- -Tutto bene, anche se purtroppo sono stato chiamato in servizio proprio oggi, che dovevo essere in vacanza. Pazienza. Ma purtroppo il Maggiore Higgs è malato e io devo sostituirlo- -Oh, mi dispiace- disse Natasha -Dev'essere una bella seccatura. Avete notizie di mio marito?- -Oh, sì. Mi sta aspettando in cortile con gli altri. Meglio che mi sbrighi, non perdona i ritardi- Natasha sorrise: -Già. Scusate se vi ho fermato- Bordon scosse la tesa: -Mi avete frainteso, signorina. E' sempre un piacere parlare con voi- sorrise -Anzi, se avete bisogno di me, chiamatemi quando volete- Natasha annuì: -Lo farò, Bordon- Bordon si inchinò ed entrò nell'atrio, sparendo dalla sua vista. Natasha rimase con il sorriso sulle labbra. Sempre così gentile e disponibile, Bordon. Natasha provava una grande simpatia per lui. Era ancora sorridente quando entrò in giardino e si sedette sulla solita panchina. Era una giornata molto soleggiata: era la fine di marzo, e la primavera era appena nata. Il suo sguardo si posò sul posto alla sua destra. Tom stava seduto lì, quella gelida notte di gennaio, quando si erano baciati per la prima volta. Natasha lo ricordava benissimo. Lei, impaurita e indifesa, catapultata in un mondo ostile che non conosceva affatto, così diverso da quello in cui era abituata a vivere... e Tom, Tom che l'amava, Tom che era la sua unica consolazione in quell'inferno... Dio, quanto era cresciuta. Non sapeva perché, ma si sentiva molto più grande. Quell'esperienza l'aveva cambiata. Forse era il fatto di essere sposata, o di essere incinta, oppure il fatto di doversela cavare da sola, di essere in mezzo alle difficoltà e alle paure... non era più la ragazzina che bussava tremante alla porta di Tavington... non era più la piccola Tasha, rannicchiata per terra a piangere in un angolino della stalla... lei ora era Natasha Tavington. Non c'era nessuno che la difendeva, e lei non sapeva difendersi. Aveva ancora paura di tutto e di tutti. Ma la differenza era che, nonostante prima si sentisse speranzosa, ora la speranza non c'era più. La fioca luce della speranza aveva lasciato il posto al buio profondo e nero della rassegnazione. Tom non sarebbe tornato. La sua vita non sarebbe cambiata. Non avrebbe mai più rivisto Rupert. Era tutto finito. Nel suo cuore non sarebbero rimasti che i ricordi di quella vita passata. E lei avrebbe trascorso il resto dei suoi giorni ad affogarsi in essi e a rimpiangerli.
Quella sera Natasha si avviò sola al palazzo. Entrò nell'atrio e si diresse verso la sala da pranzo. Si sedette ad un'estremità del lungo tavolo di legno scuro e un servo apparì con un vassoio dal fondo della stanza. Natasha mangiò in silenzio. Il tintinnio delle posate e il ticchettio di un maestoso orologio a pendolo posto accanto alla parete erano gli unici rumori nella stanza. Fuori dalle finestre, una sera magnifica stava scendendo. L'orizzonte era sfumato di colori meravigliosi come il lilla e l'azzurro, ed osservare il tramonto era un vero e proprio spettacolo. Natasha aveva appena posato la forchetta nel piatto che improvvisamente udì il rumore della porta dell'atrio che si apriva e un gran frastuono di voci preoccupate. Tasha si alzò e si diresse verso l'atrio, chiedendosi in cuor suo cosa diavolo fosse successo. Appena arrivata, vide il Colonnello Tavington al centro di un gruppo di soldati, tra cui il generale O'Hara. Stringendo gli occhi, Natasha vide che la sua camicia era sporca di sangue... -Cos'è successo?- domandò, facendosi avanti. O'Hara la vide e disse ad un soldato: -Mewitt, sareste così gentile da accompagnare la signora Tavington nei suoi alloggi...- -Io non vado da nessuna parte!- ribattè Natasha -Cos'è successo?- ripetè. O'Hara la ignorò: -Colonnello Tavington, mi sembra opportuno che la vostra ferita venga immediatamente medicata- -No- disse Tavington -Ho bisogno di indire un consiglio di guerra. Immediatamente- O'Hara parve contrariato: -Ma Colonnello...- -Immediatamente- ribattè William con voce ferma. O'Hara sospirò: -Andiamo in sala da pranzo, allora- Il gruppo si mosse verso la sala da pranzo, e Natasha li seguì. Un soldato le bloccò la strada: -Signora, un consiglio di guerra non è cosa da donne- -Al diavolo!- disse lei -Devo sapere cos'è successo. Quello è mio marito!- -Lasciatela entrare, lasciatela entrare- disse O'Hara -Che qualcuno vada immediatamente a chiamare il Generale Cornwallis. Ne deve essere informato- Il gruppo entrò in sala da pranzo e prese posto a sedere. Natasha raggiunse William. -William, cos'è successo?- Tavington incontrò i suoi occhi: -Vattene, Tasha. Torna in camera- Natasha lo guardò stupita. Tra tutte le risposte che si era immaginata, quella era la meno probabile. Lui la stava deliberatamente comandando. Credeva che non fosse all'altezza della situazione. -Non tornerò in camera finchè non mi dirai cos'è successo- disse Natasha con voce ferma. L'espressione di Tavington divenne furiosa. -Ho detto: vai in camera- Dal brusio concitato intorno a loro era scaturito un silenzio di tomba. Tutti gli occhi erano rivolti verso William e Natasha. -Voglio sapere cos'è successo!- ripetè Tasha per l'ennesima volta. Tavington si alzò in piedi e prima che Tasha potesse fare qualcosa, lui la colpì. Le tirò uno schiaffo che le girò la testa e la fece cadere per terra. -COLONNELLO!- Un grido era giunto dall'ingresso della sala da pranzo. Natasha vide confusamente il Generale Cornwallis ritto sulla soglia. Guardava con occhi spalancati verso di lei. -Cosa...- -Generale, col vostro permesso vorrei portare mia moglie in camera- -Prima discuteremo della vostra condotta!- Tavington rise. Una risata fredda e canzonatrice. -La mia condotta? Spiacente, Generale, ma pare proprio che Natasha sia mia moglie, e che io abbia piena autorità su di lei- Il Generale aprì la bocca, ma non trovò nulla da dire. Quindi, guardando quasi con compassione la figura di Natasha sul pavimento, borbottò: -Che qualcuno porti la signora Tavington ai suoi alloggi- -La porterò io- si fece avanti Tavington. -No, voi rimarrete qui a spiegarmi cosa vi è successo- -Lo farò, my Lord, solo quando avrò portato mia moglie in camera- -Colonnello, state disubbidendo ai miei ordini, come è già successo innummerevoli volte. Per l'amor di Dio, fatela portare in camera da qualcun altro!- Tavington non replicò. Tornò a sedere sulla sua sedia e scoccò a Cornwallis uno sguardo arrogante. Natasha, che si aspettava di vedere avanzare Bordon in suo aiuto, si accorse per la prima volta che lui non era presente nel gruppo di uomini. Un soldato che Tasha non aveva mai visto prima, la aiutò ad alzarsi e la condusse verso la porta d'ingresso, sorreggendola goffamente. Prima di lasciare la stanza, Natasha chiese debolmente: -Dov'è il Maggiore Bordon?- Gli occhi di tutti i presenti si voltarono verso Tavington, che non aveva abbandonato quell'espressione arrogante e ostile. -Il Maggiore Bordon?- domandò Cornwallis a O'Hara. O'Hara gli rispose sottovoce: -E' il Maggiore dell'unità di Dragoni partiti questa mattina, my Lord- -Ah sì, credo di ricordare... ebbene, colonnello? Siete tornato da solo. Dove sono finiti gli altri che erano con voi, tra cui il Maggiore Bordon?- Tavington attese qualche secondo prima di rispondere. Quindi, senza mutare espressione, disse: -Il Maggiore Bordon è morto- Natasha sentì il cuore farsi pesante. No. Bordon no. I soldati tutt'intorno al tavolo sembravano affranti quanto lei. Avevano abbassato la testa e mormoravano tra di loro. Solo Tavington non sembrava partecipe al loro dispiacere. -E' stato ucciso da Gabriel Martin- riprese Tavington. Le sue labbra si piegarono in un ghigno sgradevole -Che è stato poi ucciso da me- -Dove eravate, colonnello, mentre il Maggiore veniva ucciso?- chiese il Generale, con l'aria di uno che ha trovato il nocciolo della questione. Tavington guardò Cornwallis con malcelata antipatia, quindi disse, in tono freddo: -A pochi piedi da lui. Combattevo contro una mezza dozzina di ribelli- Tavington sospirò -Era pomeriggio. Forse le quindici, o le sedici. Io e la mia unità ci eravamo accampati a poca distanza da Pembroke per riposarci dopo una lunga cavalcata. Eravamo nei pressi di un fiume. Io ho colto l'occasione per lavarmi e per farmi la barba. A quel punto il Maggiore Bordon ha annunciato che dei soldati erano in avvicinamento. Volontari americani, una decina, e a cavallo. Tra di loro ho riconosciuto solo il reverendo Oliver e Gabriel Martin. Siamo precipitati alle armi. Nonostante ci avessero colti di sorpresa, in poco tempo siamo riusciti a raggiungere una situazione di parità. Eravamo rimasti solo io e il Maggiore Bordon contro Gabriel Martin e il reverendo. Ho sparato al reverendo, ma nel frattempo Martin aveva ucciso Bordon con una pugnalata allo stomaco- Natasha si portò le mani alla bocca. Tavington proseguì il racconto con voce piatta: -Non fui abbastanza veloce a ricaricare la mia pistola. Gabriel Martin mi sparò- Tavington si sfiorò la ferita sul fianco -Ma ebbe una pessima mira. Mi prese solo di striscio. Io finsi di essere morto e caddi a terra. Non nutrivo molte speranze che Martin jr. cadesse nel mio tranello, invece così fu. Invece che andarsene o spararmi da lontano, mi si avvicinò e sollevò il pugnale per darmi il colpo di grazia. Questa volta io fui più svelto di lui. Afferrai la mia spada e lo uccisi- Il silenzio cadde sulla sala. Quindi Lord Cornwallis sospirò e disse: -Bene, ora passiamo alle tattiche future. Quest'imboscata...- Natasha non riuscì a sentire altro. Il soldato l'accompagnò in camera sua e se ne tornò al consiglio. Una volta sola, Natasha si sedette sul letto. Bordon. Ancora non riusciva a credere che fosse morto. In un lampo, con orrore, ricordò che lui le aveva parlato proprio quella mattina, prima di partire verso quella spedizione che l'avrebbe portato alla morte. Natasha si sentiva affranta e triste come non lo era da tempo. Proprio quella mattina lei aveva pensato a quanto confortante fosse la presenza di Bordon ed ora se n'era andato anche lui. Non c'era niente da fare. Tutte le persone che l'aiutavano sembravano destinate a svanire nel nulla, aumentando il vuoto che c'era in lei.
Tavington tornò solo qualche ora dopo, quando Natasha stava per assopirsi. Aprì gli occhi quando sentì la porta della camera aprirsi bruscamente e sbattere. Si alzò a sedere sul letto e guardò Tavington sedersi sulla sedia della scrivania e fissarla. -Io e te dobbiamo parlare- disse in tono freddo. Natasha abbassò la testa e non replicò. Si passò un dito sulla guancia, sulla quale le si stava formando un pesto violaceo nel punto in cui lui l'aveva schiaffeggiata. -Che non succeda più...- disse Tavington lentamente, scandendo bene ogni parola -Che tu mi disubbidisca davanti ai miei uomini- Natasha respirò a fondo: -William, io...- -No, non dire niente che non sia "D'accordo"- Natasha lo guardò sottomessa: -D'accordo- -Devi capire una cosa, tesoro- disse lui duramente -Non puoi farmi fare delle figure del genere davanti ai miei subordinati. Non riesci a capire? Se non riesco a comandare mia moglie, loro e soprattutto i miei superiori penseranno che non riesca neppure a comandare i miei uomini, non credi? Ho una dignità da difendere, Natasha- -E alla mia dignità non pensi?- disse Natasha senza riflettere. Gli occhi di Tavington divennero più gelidi che mai. -Come hai detto?- Natasha abbassò gli occhi, come se si fosse pentita di aver parlato. -E' che non riesco a capire perchè per te sia una vergogna se tua moglie ti disubbidisce e per me non dev'essere una vergogna se mio marito mi picchia in pubblico- mormorò. -Natasha, quando ti dò un ordine, in pubblico o no, tu mi devi ubbidire senza riserve- Natasha annuì, senza osare alzare gli occhi. Non voleva farlo arrabbiare. -Era solo che... volevo sapere cosa ti fosse successo, tutto qui- azzardò titubante. -Io non mi sono arrabbiato per questo- ribattè lui -Quello che mi ha fatto infuriare è stato che tu mi hai deliberatamente disobbedito in presenza del mio generale e di alcuni dei miei uomini. Hai ancora da obiettare?- Natasha scosse la testa. -Bene- disse Tavington -In questo caso posso finalmente andare a dormire- Si alzò dalla sedia e Natasha lo vide strizzare gli occhi. -William!- disse, alzandosi dal letto e avvicinandosi a lui -Non ti sei fatto fasciare la ferita!- -Sto bene- disse lui, allontanandola con una mano. -No, aspetta...- ribattè lei -Fammi dare almeno un'occhiata- -Sicura che non ti impressionerai?- disse lui con un ghigno. -Non mi impressionerò. Ma domani non puoi tornare in battaglia così- Tavington alzò le sopracciglia: -Se lo dici tu- Natasha iniziò a sbottonargli la camicia. Non sapeva perché, ma improvvisamente le sue guance divennero rosse e iniziò a sentire caldo. Tavington rise: -Come siamo imbarazzate- Natasha alzò lo sguardo e lo fissò negli occhi, ma non replicò. Alla luce debole luce delle candele che illuminavano la stanza, il volto di lui appariva in qualche modo mistico; quella luce arancione creava ombre scure e riflessi sui suoi capelli sciolti. Tasha proseguì a sbottonargli la camicia e la sfilò dalle sue braccia. Il suo sguardo si posò sulla ferita. Era coperta di sangue, ma era superficiale. Natasha per un attimo pensò a cosa sarebbe successo se quella pallottola fosse passata solo un pollice più a sinistra... -L'hai scampata bella- mormorò. Tavington ridacchiò: -Non dire idiozie- -Perché?- esclamò lei -Sto dicendo la verità. Se il proiettile ti avesse colpito un po' più in là ora saresti stato morto- -Per tua immensa sfortuna non lo sono- replicò lui. Natasha sospirò. -In quell'armadio dovrei trovare delle fasce- disse, voltandosi e raggiungendo l'anta dell'armadio. Dopo qualche secondo tornò da lui con un rotolo di fasce. -Ora stai fermo- gli disse, aprendo una fascia e appoggiandola delicatamente sulla ferita -Devi tenere un dito qui- Tavington posò un dito dove lei gli indicava e la guardò lavorare con un lieve ghigno sulle labbra. Natasha avvolse il bacino di lui con della garza e alla fine fece un piccolo nodo. -Ecco, così dovrebbe andare- disse, terminato il suo lavoro. Tavington abbassò lo sguardo sulla fasciatura. Quindi la guardò e disse, con uno sguardo ironico: -Mai pensato di fare l'infermiera?- Natasha alzò gli occhi al cielo: -Non ho mai pensato a nessun lavoro- -Dovresti, sai?- disse lui, prendendole il viso con una mano -Mi sento già meglio- -Molto divertente- ribattè lei -Volevo solo aiutarti- -E mi hai aiutato- rispose lui, baciandola sulle labbra. Natasha si lasciò coinvolgere dal lungo brivido che le diede quel bacio e aprì gli occhi quando lui si separò da lei. -Ora andiamo a dormire- disse lui, prima di dirigersi verso il letto. Natasha lo seguì e qualche minuto dopo erano addormentati entrambi, l'uno di fianco all'altra.
South Carolina, ottobre 1779. Otto mesi dopo.
-Aiuto! Oh mio Dio! Chiamate un dottore, chiamate il Colonnello Tavington, chiamate qualcuno!!- urlò Sally a squarciagola nel corridoio. Natasha Halliwell gemette, aggrappandosi con tutte le sue forze al lenzuolo del letto della sua stanza. Ci fu un'altra contrazione, più forte questa volta, e Tasha gridò. Udì qualcuno affrettarsi nel corridoio e ben presto un uomo apparve sulla soglia e corse verso di lei. -Signora Tavington, sono il dottor Frankson. Si rilassi e respiri profondamente. Sta per avere un bambino- Natasha seguì i consigli del dottore e tentò di respirare. La sua fronte imperlata di sudore si contrasse in una smorfia di dolore. Il dottore le fece aprire le gambe e valutò la situazione. Si voltò e si rivolse a Sally, in rispettosa attesa sulla soglia: -Correte a chiamare il Colonnello Tavington-
William Tavington passeggiava per il cortile del forte, riflettendo intensamente. Gli Americani avevano fatto un'altra imboscata, nei pressi del Santee questa volta, e ne erano usciti davvero malmessi. Non c'era che dire, non erano proprio capaci a combattere. Il punto era che fino a quel momento lui, William, era stato fortunato. Era riuscito a prevedere ogni loro attacco lavorando sodo. Ma per quanto sarebbe durata questa fortuna? Tavington sospirò e il suo respiro si condensò in una nuvoletta a causa della fredda temperatura di fine ottobre. Si diresse verso la stalla per prendere il suo cavallo, con la mezza idea di andare a fare una cavalcata prima di cena, quando si sentì chiamare. -Colonnello Tavington! Colonnello Tavington!- Tavington si voltò e vide Sally correre a perdifiato verso di lui. Una volta che lo ebbe raggiunto, la serva si fermò e si premette una mano sul petto, tentando di riprendere fiato. -Sì?- disse Tavington freddamente. -Vostra... moglie...- L'espressione di Tavington divenne allarmata: -Cosa le è successo?- -Sta... par... tor... en...do...- -COSA ?- esclamò il colonnello. Spiccò una corsa verso il palazzo, salì i gradini quattro alla volta e spalancò il portone principale senza preoccuparsi di chiuderlo.
-Avanti, signora Tavington, respiri- Natasha strinse gli occhi per il dolore ed emise un grido. -Non... ce la faccio!- -Sì che ce la fate, spingete, coraggio- continuò il dottore. La porta della camera si spalancò e William Tavington entrò nella stanza. Era stravolto in viso e sembrava avesse corso. Il dottore si voltò: -Colonnello... finalmente- -C'è...- Tavington stava riprendendo fiato -C'è qualcosa che non và?- Il dottore scosse la testa con un sorriso: -Per adesso no, colonnello. Ma le contrazioni sono appena iniziate- In quel momento Natasha urlò di nuovo e strinse più forte che potè le lenzuola. Tavington si voltò verso di lei: -Coraggio, Natasha- le si avvicinò e le prese la mano -Andrà tutto bene- Natasha lo guardò e scorse apprensione nei suoi occhi solitamente impenetrabili. Delle teste curiose spuntarono dai lati della porta. -Cosa sta succedendo?- -Sta avendo un bambino?- -Come lo chiamerete?- -Come state, signora Tavington?- -Maschio o femmina?- Mentre Tavington chiudeva la porta in faccia a tutta quella gente, Natasha maledì tutti quanti dentro la sua testa. Un dolore acuto le invadeva l'intero corpo. Ogni contrazione era un violento afflusso di sofferenza che la costringeva ad urlare. D'un tratto pensò a Tom, che era lontano. Lontano? Non credi forse che sia morto? Non si vede più da otto mesi... Possibile che quella voce nella sua mente non volesse stare zitta neanche in quel momento di agonia? Dannazione, perché? Perché non c'era Tom a tenerle la mano invece del Colonnello Tavington? Perché lei aveva la terribile sensazione di essere a poca distanza dalla risposta che aveva atteso per tutti quei mesi? Perché avrebbe dovuto scoprirlo proprio quel giorno chi fosse il padre del bambino? Natasha urlò ancora una volta. Il dolore era tale che le venne da vomitare, ma il conato non portò nulla. E quello che le dava più il nervoso era il dottore, che se ne stava lì con quel sorriso indulgente sulle labbra, come se sapesse esattamente come si sentiva. -Dottore...- gemette -Quanto ci vorrà ancora?- Il dottore sospirò: -Dipende. Se tutto và bene, almeno altre tre ore. Se invece fosse una cosa lunga, potrebbero volercene altre cinque- -Oh mio Diooo!- urlò Natasha, presa da un'altra contrazione. A quel punto bussarono alla porta. -Chi DIAVOLO è??- disse Tavington con furia. Aprì la porta e si ritrovò davanti a Wilkins che lo guardava, pallido in viso. -Signore... il Generale O'Hara mi ha detto di consegnarvi questi fogli, riportano dati riguardo a...- -CRISTO! Mia moglie sta partorendo! Sparisci di qui nel giro di cinque secondi o ti faccio fucilare!- Wilkins indietreggiò e balbettò: -Certo, signore... oh... auguri signore- Dopodichè fuggì nel corridoio. Il dottore si rivolse a Tavington: -Colonnello, calmatevi- Tavington gli rivolse un'occhiata di ghiaccio alla quale il dottore non osò rispondere. Natasha pensava a Tom, ai suoi genitori, pensava a tutte quelle cose che nei mesi precedenti l'avevano ossessionata. Anche se il suo pensiero fisso era Tom. Tom, ti prego, vieni qui! Vieni da me! So che sei ancora vivo, DEVI essere ancora vivo... ti prego aiutami! Vieni! Tavington ritornò a sedersi accanto a lei e le prese la mano tra le sue.
Molte ore dopo, Tavington se ne stava in corridoio, passeggiando nervosamente avanti e indietro. Il dottore gli aveva consigliato di uscire a prendere una boccata d'aria, ma lui non se la sentiva. Alzò la testa verso la vetrata alla fine del corridoio. La notte era scesa. Erano passate circa quattro ore da quando sua moglie aveva iniziato ad avere le contrazioni. Tavington quel giorno aveva provato delle emozioni che non provava da tanto tempo. Una, in particolare, sovrastava su tutte le altre. Era un'emozione che non provava da quando sentiva i passi irregolari di suo padre trascinarsi lentamente fino alla porta di casa e sua madre che iniziava a piangere. Paura. Tavington aveva dimenticato cosa si sentisse quando si aveva paura. Ora invece se lo ricordava benissimo, perché proprio in quel momento lo stava provando. Temeva che qualcosa andasse storto. Aveva paura che il bambino non sarebbe nato. Aveva paura che gli accadesse qualcosa. Molta paura.
Natasha gemette un'ultima volta e il bambino uscì, con meno dolore di quanto si aspettasse. Il dottore lo prese e lo tenne in braccio. -Dottore- disse Natasha, le lacrime agli occhi -Fatemelo vedere- -E' proprio sicura di volerlo vedere, signora Tavington?- -Certo! E' il mio bambino!- Il dottore le porse suo figlio e Natasha, vedendolo, gridò di orrore. La pelle del bimbo era bluastra, gli occhi erano bianchi, rivolti all'indietro. -E' morto, signora Tavington- Natasha gridò ancora con tutta la forza che aveva in corpo. Ad un tratto il bambino che teneva tra le braccia le si appese al collo e iniziò a strangolarla... Natasha cercò di respirare, ma non ci riuscì. Come poteva una creatura così piccola avere una tale forza? Oh no, stava morendo... stava cadendo in un vortice nero... già riusciva a vedere dall'altra parte... C'erano delle persone sul fondo... Sua madre, suo padre, Alan... e Tom. No, cosa ci faceva lì, Tom? Lui era vivo... -Signora Tavington! Signora Tavington!- Qualcuno la stava schiaffeggiando. -Eh?- esclamò confusa nonappena tornò alla realtà. -Siete svenuta, per il dolore, immagino- le disse il dottore -Ma non preoccupatevi... ho quasi finito. Il bambino è quasi fuori del tutto- -Ah...- fu tutto quello che Natasha riuscì a rispondere. Appoggiò la testa sul cuscino umido di pianto e di sudore, mentre nuove scosse di intenso bruciore la invadevano. Dopo l'incubo che aveva fatto, le girava la testa vorticosamente. Le sembrava che la stanza ballasse intorno a lei, non riusciva a trovare un punto fermo. Sally, che era giunta qualche ora prima, le stava appoggiando sulla fronte qualcosa di bagnato che Tasha a malapena avvertiva. Quando diavolo sarebbe finito tutto? La porta si aprì per quella che parve la centesima volta ed entrò Tavington. -Allora?- chiese a bruciapelo. Natasha avvertì con piacere che c'era dell'ansia nella sua voce. Sembrò notarlo anche il dottore, che sorrise con soddisfazione e disse: -Ah, non si preoccupi, colonnello. E' quasi uscito del tutto- -Non sono preoccupato- disse Tavington in tono omicida. Ma era pallido in volto. -Ecco, ecco ci siamo!- esclamò ad un tratto il dottore. Proprio in quel momento Natasha avvertì uno strappo tremendo e gridò talmente forte che la gola le si irritò. Tavington corse vicino al dottore e guardò Natasha: -Natasha, stai calma- Stai calma?? Natasha era troppo presa dal dolore per mettersi a detestare Tavington. Ad un tratto diede un ultima spinta, e con un urlo riuscì ad espellere il bambino. A Natasha le si rivoltarono gli occhi per un istante, ma quando riuscì a recuperare la vista vide il dottore con in braccio una piccola creatura coperta di sangue. -Sally, puliscilo- ordinò il dottore alla serva, che lo prese in braccio e lo pulì accuratamente con un pezzo di stoffa. Natasha udì il bimbo piangere e questo la fece piangere anche a lei, ma di gioia. Ce l'aveva fatta. Aveva avuto un bambino. -E' maschio o femmina?- chiese Tavington immediatamente. -Maschio, colonnello- rispose il dottore, prendendolo dalle mani della serva e porgendolo a Tavington -Tenetelo-
Tavington prese tra le braccia il piccolo fagotto che il dottor Frankson gli porgeva. Per la prima volta, guardò il suo bambino. Era piccolissimo e indifeso... Lo sguardo di Tavington vagò sulle sue manine strette a pugno che agitava nell'aria. Piangeva, e il suo pianto era tutto quello che riusciva a udire. La sua pelle, il suo corpicino, erano tutto quello che riusciva a vedere. Tavington si sentiva come non si era mai sentito in vita sua. Aveva paura di toccarlo, persino di parlargli, perché sembrava così fragile... L'unica cosa che poteva fare era starsene lì a guardarlo. Perché William non aveva mai visto una cosa più bella. A poco a poco la piena consapevolezza di quello che significava quel piccolo lo travolse. William Tavington era padre.
-Ti prego, William... fammelo vedere- Le parole di Natasha sembrarono risvegliare Tavington da una profonda trance. Senza staccare gli occhi dal neonato, Tavington avanzò verso Tasha e le porse, con tutta la delicatezza di cui era capace, il fagottino di coperte tra cui stava loro figlio. Natasha lo prese tra le braccia e lo guardò, con le lacrime agli occhi. Se solo i suoi genitori fossero stati lì con lei... Natasha gli avrebbe mostrato con orgoglio suo figlio. Era madre. Natasha osservò piangendo il suo corpicino. Gli diede un piccolo e leggero bacio sulla fronte e il bambino si placò un poco. Tasha alzò gli occhi verso Tavington, che guardava il bambino. Quindi riabbassò lo sguardo verso il neonato. -Guardate, sta aprendo gli occhi- esclamò Sally, anche lei commossa. Natasha vide il bambino aprire gli occhi. Due occhi azzurro ghiaccio.
Due occhi azzurro ghiaccio
-Inammissibile, inaudito... dev'essere molto imbarazzante per voi, colonnello, non è vero?- -Non capisco cosa vogliate dire, mr Trevors- -Oh, andiamo... una scena talmente vergognosa in pubblico...- -Mia moglie ha agito secondo i dettami della sua coscienza, immagino... quella Slaves l'aveva provocata- -Bè, permettetemi, colonnello, ma...- -Spiacente ma non vi permetto nulla. Se ora avreste la gentilezza di adarvene...- William Tavington spinse il signor Trevors fuori dalla porta, quindi la chiuse a chiave. Si voltò verso il letto matrimoniale sul quale giaceva, svenuta, la sua giovane moglie. Tavington le si avvicinò e s'inginocchiò al suo fianco, guardando il suo petto alzarsi e abbassarsi regolarmente con il ritmo del suo respiro. Lo sguardo di Tavington vagò su ogni particolare del corpo di lei. Tavington non l'aveva mai vista così bella. Dei ciuffi ramati le ricadevano sulle palpebre chiuse e l'elaborata acconciatura in cui erano legati i suoi capelli si stava lentamente sciogliendo. Il suo abito di velluto blu fasciava il suo corpo snello e sinuoso; le sue piccole mani dalle unghie a mandorla erano chiuse a pugno sul cuscino. Tavington ne prese una e la strinse tra le sue, poggiandovi le labbra e baciandola sul palmo. Ecco sua moglie. Tavington era orgoglioso di sé. Era riuscito ad amministrare tutte le situazioni che gli erano capitate e ne era uscito decisamente vincitore. Felton era lontano, Natasha ora era la signora Tavington... e la guerra sembrava aver raggiunto una svolta che segnasse la vittoria inglese. Appena la guerra finirà, io, Natasha e mio figlio andremo a vivere in Ohio... dove io sarò il governatore. Le labbra di Tavington si piegarono in un ghigno. Già. Se avesse vinto quella guerra, Lord Cornwallis gli avrebbe donato l'intero Ohio. Un ricco premio per anni e anni di sottomissione a quel vecchio bacucco. E la guerra ormai era già vinta. Li aveva in pugno, a quei dannati americani. Immerso nei suoi progetti per il futuro, William si tolse la giacca, la camicia e i pantaloni, e si mise sotto le coperte. Ripensandoci, non gli sembrava vero di essere riuscito a sposare Natasha nel giro di così poco tempo, senza che niente fosse andato storto, per di più. William si girò sul fianco destro, in modo da poter ammirare i riflessi della luna illuminare a barlumi il viso della sua ultima vittoria. Una vittoria della quale era particolarmente orgoglioso.
Natasha aprì gli occhi e si guardò intorno. Ormai aveva smesso di chiedersi dove fosse ogni qualvolta si svegliava: la realtà era penetrata in lei integramente. Era mattina e lei si trovava in un letto, con delle braccia maschili che la cingevano. Natasha voltò la testa e vide Tavington addormentato pacificamente di fianco a lei. Cercò di ricordare cos'era avvenuto il giorno prima, ma a parte il matrimonio non le suvvenne niente. Ah, sì. Quella ragazza, Sarah Slaves. E poi? Devo essere svenuta... Ma, se così era, perché? Perché aveva perso i sensi? Natasha cercò di pensare, ma era troppo stanca. Aveva voglia di dormire. Cercò di riprendere sonno, ma era difficile ignorare le forti braccia che la stringevano. Natasha sospirò e, con cautela, sgusciò fuori dall'abbraccio di lui. Tavington mormorò qualcosa e si voltò dall'altra parte. Tasha ringraziò il cielo ed appoggiò la guancia sul cuscino. Com'era bello morbido... Stava per chiudere gli occhi quando qualcosa attrasse la sua attenzione. Alcuni raggi del primo sole facevano brillare un oggetto di metallo sul comodino davanti al letto. Una pistola. La pistola di Tavington. Un'idea folle si fece strada nella sua mente. Lì c'era una pistola. E, addormentata vicino a Tasha, c'era la fonte di tutte le sue disgrazie. E se avesse...? Natasha cercò di abbandonare l'idea, ma era troppo difficile. Quella pistola incustodita era così invitante... Natasha scostò le lenzuola e, molto lentamente, scese dal letto cercando di non provocare alcun rumore. Si voltò verso Tavington per vedere la sua reazione. Se ne stava tranquillo, supino e dormiente. Per un attimo lo sguardo di Natasha si perse sul suo petto muscoloso, sul suo fisico asciutto e forte... tra i riccioli scuri che formavano i suoi capelli sparsi sul cuscino. Com'era possibile che da addormentato sembrasse così innocuo? Natasha provò lo strano impulso di tornare nel letto e baciarlo, ma poi scosse la testa. Cosa diavolo stava pensando? Ricorda cosa ti ha fatto... cosa ti sta ancora facendo... Se lo ricordava. Se lo ricordava troppo bene. D'un tratto i dubbi svanirono insieme alla voglia di tornare nel letto con lui. Lo sguardo di Natasha tornò sulla pistola. Era ancora lì. Certo che è ancora lì, dove vuoi che vada? La stava aspettando. La stava chiamando. Natasha... Tasha rabbrividì. Allungò la mano e lasciò correre un dito sul freddo metallo dell'arma. Quindi, con mano tremante, impugnò il manico e la sollevò. Non se l'era immaginata così pesante. La strinse anche con l'altra mano per evitare che cadesse. Ecco, così andava meglio. La osservò per qualche secondo, riflettendo. Era stata quella pistola a togliere la vita ai suoi genitori e ad Alan e a chissà quant'altra gente. Proprio quella pistola che teneva in mano. L'indice di Natasha sfiorò, con un tremito, il grilletto. Bastava premerlo. Se avesse premuto quella piccola linguetta di metallo e avesse puntato la canna verso Tavington, lo avrebbe ucciso. Era così semplice. E allora perché stava tremando? E allora perché stava piangendo? Natasha sollevò l'arma e la puntò su Tavington che, ignaro, stava ancora dormendo tranquillamente. La canna della pistola non voleva stare ferma... No, doveva smetterla di tremare. E anche di piangere. Con gli occhi accecati dalle lacrime e la mano malferma non sarebbe mai riuscita a prendere bene la mira per fare quello che doveva fare. Oh, se solo lui fosse stato sveglio come sarebbe stato semplice ucciderlo! Era su quella figura angelica e innocua che Natasha non voleva sparare. No, quello non era Tavington! E lei doveva uccidere Tavington, no? Allora non poteva ucciderlo. Non dire sciocchezze, stupida! Quando mai ti capiterà un'occasione del genere?? PREMI QUEL GRILLETTO! Natasha pianse più forte mentre rialzava la pistola. Udì un tintinnio di metallo contro metallo e si guardò il dito. I tremiti della mano facevano toccare la sua fede contro il manico della pistola. Questo rafforzò la sua drastica decisione. Prima che potesse rendersene conto, il suo dito aveva esercitato una pressione sul grilletto. Una pressione sufficiente affinchè il proiettile scattasse dalla pistola. Un clic echeggiò la stanza. Ma non ci fu altro. Natasha, che aveva chiuso gli occhi impaurita e terrificata, li riaprì appena. Guardò la pistola allibita, senza capire. Ad un tratto Tavington si girò sull'altro fianco borbottando: -I proiettili li trovi nel primo cassetto della scrivania- A Natasha saltò il cuore in gola. Una marea di sentimenti la travolse. Ad un tratto si sentì imbarazzata, triste e imbranata come non si era mai sentita prima. Cosa stava facendo con una pistola in mano? L'arma cadde a terra provocando una lieve rigatura sul legno del pavimento. Natasha si accasciò sulle ginocchia, piangendo. Si sedette con la schiena contro il mobile sul quale prima stava la pistola ed appoggiò le braccia sulle ginocchia seppellendovi il viso rigato di lacrime. Non voleva più muoversi da lì. Non voleva più vederlo. Non voleva più fare niente. Nemmeno vivere.
Tavington si alzò a sedere sul letto e guardò Natasha piangere per terra, la pistola a pochi pollici da lei. Si alzò e la raccolse, riappoggiandola sul mobile, senza staccare gli occhi dalla figuretta che giaceva rannicchiata ai suoi piedi. Si sedette vicino a lei e le cinse le spalle con un braccio, stringendola. Lei, con suo grande stupore, non gli oppose resistenza. -Natasha...- disse William piano, scuotendola leggermente. Lei non alzò la testa e continuò a piangere. -Natasha, guardami- gli disse lui in tono imperioso. La ragazza alzò il capo debolmente e lo fissò, parecchi capelli davanti agli occhi. -Vieni qui- le disse lui. Natasha abbandonò la testa sul suo petto nudo e lasciò che le mani di lui le accarezzassero i capelli. Passarono alcuni minuti. -William...- mormorò lei, rompendo il silenzio. -Mmm?- -Perché...- Tasha deglutì -Perché non mi lasciate andare?- Tavington sospirò e ad un tratto Natasha ebbe ancora paura di lui. -E' inutile che cerchi di cambiare quello che succede. Ora sei mia moglie, tra non molto sarai la madre del mio bambino. Questo ti carica di innummerevoli responsabilità. E poi...- la voce di Tavington si fece più soddisfatta, e ghignò -E' inutile negare che io sia felice che tu ora sia mia. Molto felice- aggiunse, mentre la sua mano dalla testa di Natasha scendeva verso il suo collo. Natasha singhiozzò. -Cosa... cosa vi ho fatto?- -Questa non è una punizione per te, Natasha- disse lui, mentre le sue dita calde si facevano strada nella scollatura del vestito da sposa che lei ancora indossava -Ma un premio per me- -Un premio per cosa?- -Basta domande- disse Tavington, scoprendo la spalla di lei e appoggiandovi le labbra -Lo sai...- mormorò, proseguendo a baciarle collo mentre lei rabbrividiva -Non mi piace l'idea che io debba aspettare nove mesi prima di poter consumare la mia luna di miele- Natasha sospirò: -Possibile che non pensiate ad altro?- Tavington rise: -Bè, sono un uomo- disse, alzando la testa e guardandola negli occhi. -Questo non significa nulla- ribattè Tasha. Tavington posò le labbra sulle sue e le diede un lungo bacio passionale che la lasciò senza fiato. -Ah, no?- disse, riprendendo a fissarla con quegli occhi impossibili. -Non mi starete dicendo che tutti gli uomini pensano solo al sesso?- disse Natasha, aggrottando la fronte. -Sì, te lo sto dicendo- riprese lui. Natasha scosse la testa, pensando a Tom: -Non credo che sia così- Tavington ridacchiò: -Tu speri che non sia così. Che delusione, Tasha non è vero? Perché allora cambierebbe tutto, no? E tu che pensavi che Tom ti amasse...- -Smettetela!- esclamò Natasha. Gli occhi di Tavington brillarono. -In ogni modo...- proseguì, tracciando una linea di baci che partiva dal suo collo verso la sua scollatura -Ora non ha più importanza- Natasha si ricordò d'un tratto della lettera. Dannazione! Se n'era completamente dimenticata. Doveva trovarsi dove l'aveva lasciata, nel cassetto della scrivania della camera di Tom. Natasha battè le palpebre confusa quando Tavington iniziò a baciarle il collo con più impeto. -Devo andare- disse, quasi senza accorgersene. Tavington si fermò e la guardò divertito: -Ah, sì?- Natasha si sentì avvampare -Io... devo andare in bagno- Tavington aggrottò le sopracciglia: -Adesso?- -Sì- rispose lei, arrossendo. Tavington alzò gli occhi al cielo e si alzò in piedi, seccato. -Vai allora- disse, aprendole la porta -Ma fai in fretta- Natasha si tirò in piedi ed uscì nel corridoio. S'incamminò verso camera sua, aspettandosi di sentire la porta della stanza di Tavington chiudersi, ma non udì nulla. Si voltò a guardare e vide che lui la stava fissando, appoggiato allo stipite della porta. -Il bagno è in fondo al corridoio- le disse, con occhi maliziosi -Vuoi che ti accompagni?- Natasha scosse la testa: -Prima volevo andare in camera mia a cambiarmi- Tavington alzò gli occhi al cielo e rientrò nella sua stanza borbottando qualcosa che suonava molto come: -... le donne- Natasha si sentì sollevata di non essere più spiata da lui ed entrò nella sua camera, dirigendosi immediatamente alla scrivania. Tirò fuori la lettera e la posò sullo scrittoio mentre si vestiva. Indossò un lungo abito azzurro acqua e si lasciò i capelli sciolti sulle spalle. Quindi prese la lettera ed uscì nel corridoio. Doveva assolutamente trovare un servo. A quanto pareva, la fortuna era dalla sua parte, perché proprio mentre si guardava intorno scorse Sally uscire da una stanza con una bracciata di lenzuola. -Sally!- chiamò sottovoce. La ragazza le venne immediatamente incontro e fece un breve inchino: -Ditemi, signora Tavington- Natasha sospirò nel sentirsi chiamare così, ma si riprese e disse: -Sally, devi farmi un favore. E' una cosa molto importante... una questione di vita o di morte- Sally spalancò gli occhi: -Dovreste parlarne a vostro marito- -E' proprio questo il punto. La cosa deve rimanere segreta. Sally, devi spedire questa lettera al più presto a Tom Felton, il nipote del Generale O'Hara- Natasha le porse la lettera e Sally la guardò allibita: -Signora, non capisco, davvero- -Non è importante che tu capisca- ribattè Natasha, guardandosi alle spalle nervosamente, temendo di vedere la porta della stanza di Tavington spalancarsi -La cosa importante è che tu segua minuziosamente le mie istruzioni. Spedisci al più presto questa lettera a Tom Felton. Hai capito tutto?- -Sì, signora- rispose Sally, anche se sembrava ancora piuttosto scombussolata. -E allora, vai, ti prego...- disse Natasha. Sally ripose la lettera in una delle tasche del suo grembiule e se ne andò nell'atrio. Natasha sospirò, sollevata. Ora non le restava che sperare che tutto andasse liscio. Se fosse andato tutto bene, Tom sarebbe stato di ritorno in una settimana o due. Natasha ritornò sui suoi passi e si ritrovò davanti alla porta della camera di Tavington. Com'era familiare quella porta. In un flash ricordò quando si era trovata lì per la prima volta. Sembravano passati secoli. Fece per bussare quando un conato di vomito la colse. Veloce, corse nella sua stanza e vomitò dalla solita finestra. Quando si voltò, trovò Tavington sulla porta che la guardava serio. Come diavolo faceva a muoversi senza provocare il minimo rumore? -Cos'è questa storia?- chiese. A Natasha saltò il cuore in gola. Ecco, l'aveva sentita mentre parlava con Sally. E ora cosa le avrebbe fatto? Cosa ne sarebbe stato di lei e di Tom? Tasha iniziò a tremare sotto il suo sguardo di ghiaccio. -Io... io...- -Tu, tu...- disse Tavington, un leggero sorriso sulle labbra -Mi stavo giusto chiedendo quanto diavolo ci mettevi ad andare in bagno- Natasha abbassò gli occhi a terra. -Natasha, tu devi capire una cosa- esordì lui minacciosamente, avanzando verso di lei -Non ha senso mentirmi. Credi davvero che mi faccia fregare da una ragazzina di quindici anni?- Natasha si sentì offesa. Ragazzina di quindici anni?! Non gli ho chiesto io di sposarmi! Parte dei suoi pensieri dovettero leggerseli in faccia, perché Tavington ridacchiò. -Non fare l'offesa- disse, appoggiandole le mani sulle spalle -E neanche la tragica. Non sono arrabbiato. E' che non riesco a capire perché non mi hai detto che ti veniva da vomitare- Natasha spalancò gli occhi dalla sorpresa. Era solo questo! Non l'aveva sentita parlare con Sally. Era così rilassata che scoppiò a ridere, cosa che non faceva da millenni. -Perché ridi?- chiese Tavington. -No, nulla- rispose lei -Sono solo sollevata che non siete arrabbiato con me- Tavington tornò serio: -Da quanto vai avanti così?- -Quasi un mese- disse Tasha -E' così che mi sono accorta di aspettare un bambino- -Chiedi un bicchiere d'acqua a Sally- disse Tavington -Vado a chiamarla- Il sorriso sparì dalle labbra di Natasha: -Oh, no!- Tavington la guardò aggrottando le sopracciglia: -Perché?- -Ehm... l'acqua ce l'ho già in camera- ribattè lei, indicando una brocca posata sulla toletta -E poi ho visto Sally andarsene via qualche minuto fa. Sembrava molto occupata- Tavington le versò da bere in un bicchiere e glielo porse. Natasha bevve d'un fiato. Tavington sospirò: -Bè, vorrei restare qui con te tutto il giorno, ma il dovere mi chiama- -Dove devi andare?- gli chiese Natasha. Tavington rimase in silenzio. Quindi la guardò alzando un sopracciglio: -Mi hai dato del tu- Natasha arrossì: -Scusate- William rise: -No, mi hai frainteso. E' che nessuno mi ha mai dato del tu a parte i miei genitori- Natasha lo guardò. Non lo aveva mai sentito prima parlare dei suoi genitori. -Dove sono?- -Chi?- chiese Tavington, evitando il suo sguardo. -I tuoi genitori- disse Natasha. -Sono morti- tagliò corto lui -Ora devo proprio andare- Natasha non insistè oltre, anche se le sembrava piuttosto ingiusto che lui si mostrasse così riservato sull'argomento dei suoi genitori quando era stato lui stesso ad ucciderle i suoi. -Dove devi andare?- ripetè Natasha. William la guardò con gli occhi che brillavano: -Devo andare a fare un interrogatorio molto simile a quello che mi stai facendo tu adesso- Natasha arrossì. -Posso andare ora?- le chiese lui divertito. Tasha annuì imbarazzata. Appena lui chiuse la porta alle sue spalle, Natasha si buttò sul letto, domandandosi perché mai aveva fatto tutte quelle domande al colonnello. Non trovando riposta, il suo pensiero tornò a Tom. Non sapeva perché, ma lo sentiva vicino, stando su quel letto. Forse perché quella stanza era intrinsa di ricordi. Quando aveva bevuto il brandy di nascosto da Tom, quando aveva fatto il bagno, quando aveva fatto l'amore con lui... Si diresse alla scrivania, prese in mano pigramente la penna e iniziò a fare scarabocchi sui fogli, distrattamente, pensando a Tom. Ricordò la sensazione che aveva provato correndo sotto la pioggia, verso di lui... se solo fosse potuta tornare indietro, non lo avrebbe mai lasciato andare via. Non doveva abbandonarla. Perché, perché lei, vedendo quella carrozza partire si era sentita come se non lo avrebbe più rivisto? Perché quello che era successo nel cortile assomigliava così orribilmente ad un addio? Natasha posò gli occhi sul foglio e guardò stupita quello che aveva scritto senza rendersene conto. Una lacrima cadde sulla frase Tom mi manchi.
Tre settimane dopo.
Natasha Halliwell era seduta sulla panchina nel retro del palazzo. Si stava spazzolando i capelli, godendo del suono degli uccellini e dello splendido sole primaverile che ormai volgeva al tramonto. Purtroppo quel grande sole arancione nell'atto di sparire dietro le colline non rispecchiava affatto il suo umore. Tasha si sentiva triste e sola. Si posò una mano sulla pancia, dove era già visibile una consistente protuberanza e accarezzò il suo bambino. Erano passate tre settimane da quando aveva spedito, tramite Sally, la lettera a Tom. Lui non era tornato. Natasha iniziava a perdere le speranze. Ogni giorno era uguale a quello prima. Non succedeva mai niente di nuovo. Per quanto riguardava suo marito, egli non trascorreva molto tempo a Fort Carolina. A quanto diceva, la guerra era ad una svolta e quindi spesso doveva stare via per tre o quattro giorni interi; quando tornava era sempre molto stanco e alla compagnia di Natasha sembrava preferire quella di Sharon, con la quale "poteva fare certe cose". Natasha sospirò profondamente. Non sapeva spiegarsi perché, ma la cosa la infastidiva. Lei non era neppure autorizzata a nominare Tom in presenza di William e lui invece le diceva chiaro e tondo che avrebbe passato la notte con Sharon. -Gelosa?- aveva detto Tavington con una certa soddisfazione, quando lei gli aveva esposto la questione. No, non era gelosa. Certo che no. Il punto era che a palazzo non facevano che sparlare di lei per questo. Mentre passava nei corridoi, quelle stupide signore vecchie e pettegole bisbigliavano: Già, ho sentito che suo marito la tradisce in continuazione. Per forza! E' chiaro come il sole che lei lo ha sposato solo per il denaro! Natasha non sapeva cosa la trattenesse a schiaffeggiare anche loro come aveva fatto con Sarah Slaves. Un sorriso si posò sulle labbra di Tasha. Da quel giorno Lady Slaves non si era più vista a Fort Carolina. I pettegolezzi dicevano che aveve troppa paura della signora Tavington per rimetterci piede. Bè, se l'era meritato. Annoiata degli interi pomeriggi passati in camera a scarabocchiare sui fogli, a pensare a Tom, a fare mille ipotesi su cosa gli fosse successo e a origliare le conversazioni di ogni singolo soldato che passava per il corridoio per carpirne qualche informazione sulla situazione di Boston, Natasha aveva preso l'abitudine di fare lunghe passegiate per il cortile del Forte, guardandosi intorno e cercando di tenersi alla larga da tutta la popolazione femminile del palazzo. Si sentiva nella solitudine più totale. Non riusciva a trovare una singola persona con cui parlare o almeno chiaccherare. Questo perché si sentiva diversa da tutte le persone che incontrava. Chi di loro era di origine americana? Chi era stato costretto a sposare un uomo crudele come il Colonnello Tavington? Chi era incinta di un figlio che sarebbe stato cresciuto da quell'uomo? Chi aveva l'amore della propria vita lontano e in pericolo? Chi aveva un fratello tenuto ostaggio dal proprio marito? Chi era prigioniero a Fort Carolina? Solo lei. Oh, come rimpiangeva la vita passata. Starsene seduta sulla sua poltrona preferita a leggere uno dei libri di suo padre, correre nel campo insieme ai suoi fratelli, chiaccherare con Sharon fino a notte fonda, aiutare sua madre ad apparecchiare la tavola canticchiando vecchie canzoni stonate. E poi la messa a Pembroke la domenica, i pomeriggi passati con Melyiss e Fiammargento nella stalla... Natasha avrebbe dovuto immaginare che tanta spensieratezza non poteva durare a lungo. La guerra le aveva cambiato la vita piano piano, non di colpo, il che era stato molto più terribile. Prima la sparizione di Sharon. Poi suo padre che veniva chiamato alla guerra. E alla fine il Colonnello Tavington... No, era inutile, tutti i suoi pensieri conducevano a lui. Persino pensando a Tom cresceva in lei un odio per Tavington, perché era stato lui a mandarlo lontano da lei. Ma adesso dov'era? Il rumore di zoccoli di cavallo che si avvicinavano al cancello scosse Natasha dalle sue riflessioni. Si alzò e mosse qualche passo verso l'entrata del forte. Stringendo gli occhi vide i Dragoni entrare dai cancelli, immediatamente circondati dall'orda di ragazze ridacchianti. Natasha ne vide un gruppetto, che comprendeva anche Sharon, accerchiare il Colonnello Tavington. S'incammino verso di lui, lanciando occhiate di fuoco alle prostitute. -Ehy Willy! Che ne dici di stasera?- chiese una. Tavington sorrise: -Ragazze, credo che mia moglie mi abbia colto in flagrante- La folla di donne si voltò verso Natasha, che arrossì nonappena venne raggiunta da tutte quelle occhiate truci. Le donne non osarono ribattere in presenza di Tavington, ma si diressero verso gli altri Dragoni con aria offesa, confabulando tra di loro. Tavington sorrise a Natasha mentre un servo, il nuovo stalliere, gli prendeva il cavallo. Le si avvicinò e la prese sottobraccio, conducendola al palazzo. -Non capisco perché le hai rifiutate, William- fece lei freddamente -Alcune avevano dei vestiti davvero mozzafiato- Tavington alzò le sopracciglia mentre entravano nell'atrio e ribattè: -Credi davvero che non me ne sia accorto?- Percorsero il familiare corridoio ed entrarono nella loro camera. Natasha si sedette sul letto ed incrociò le braccia. -Oh, non fare così- disse Tavington, chiudendo la porta e sciogliendosi i capelli -Lo sai, sei davvero possessiva- Natasha arrossì. -No, è che pensavo... che genere di padre avrà il nostro bambino?- -Non credo che tu abbia capito, Tasha- disse lui, sbottonandosi la giubba -Vado con loro finchè non potrò andare a letto con te. Quindi finchè non nascerà il bambino- -E ti sembra normale?- disse Natasha arrabbiata. Lui si voltò e Natasha tremò sotto il suo sguardo. -Scusa- mormorò, abbassando la testa. Lui si sedette accanto a lei e la spinse all'indietro con una mano, facendola stendere. Le prese il viso e lo voltò verso di lui. Tra i suoi occhi e quelli di lei non c'era che un pollice, tanto che Tasha riusciva a sentire il suo respiro sulle guance. -Ti voglio, Natasha- sussurrò, mentre una mano si infiltrava sotto il suo vestito e le accarezzava la schiena. Con l'altra mano le prese la testa e la spinse verso la sua, baciandola profondamente. Natasha rabbrividì mentre la mano di lui le sfiorava la schiena lentamente, dolcemente. Tavington separò le labbra dalle sue e abbassò gli occhi sulla pancia di lei. -Il bambino sta crescendo bene- disse, con un tono improvvisamente dolce. -Sì- rispose Natasha, abbozzando un sorriso. -Quando nascerà...- mormorò William -Io sarò l'uomo più felice della Terra- Natasha scrutò attentamente quell'espressione piena di amore e di dolcezza che non aveva mai visto in lui prima. -Chi sei, William?- domandò. Tavington rise: -Devo supporre che sbalzi di memoria di questo genere facciano parte della gravidanza?- -No- rispose Natasha -E' che a volte ho l'impressione che in te esistano due persone diverse. Quando...- Natasha deglutì, perché quel ricordo le faceva male -Quando mi portasti a letto eri il Colonnello Tavington. Quell'uomo astuto, calcolatore, crudele... che non mi dà tregua. Adesso sei William. Un uomo dolce e sensibile... un uomo che vuole bene a suo figlio e... e anche a sua moglie- Tavington le sfiorò il viso con una mano: -Ciò che dici non ha senso- -Forse- replicò Natasha -Ma non riesco a capire chi tu sia. Cioè... quale delle due parti ha il sopravvento sull'altra- -Credo che esista una parte chiamata William Tavington- rispose lui -E quello sono io- -Se è così non riuscirò mai a capirti- ribattè lei. -Chi dice che mi devi capire?- disse William, slacciandole i lacci del vestito. -No, William, per favore- mormorò lei, raggiungendo le sue mani per fermarlo. -Shh- disse lui, baciandole il collo. -Ti prego, William...- Tavington alzò gli occhi e la guardò duramente: -Natasha, vuoi sapere come ho passato la mia giornata? Per prima cosa mi sono svegliato alle sei del mattino, mentre tu ancora dormivi beata, poi sono stato convocato nell'ufficio di Lord Cornwallis, che invece di spiegarmi le missioni del giorno ha colto l'occasione per fottermi e ribadire che schifo di colonnello sono, quindi sono andato via da Fort Carolina e ho girovagato per tutta la Carolina del Sud in cerca di dei fottutissimi ribelli (senza tralaltro trovarli) e al tramonto ho sterminato un'intera popolazione chiudendoli in una chiesa e dando fuoco. Ora torno nella mia stanza e mia moglie mi dice stronzate del tipo "Non adesso, William". Natasha, te lo dirò per l'ultima volta: stai zitta o ti faccio talmente male che il bambino andrà al diavolo e dovremo impegnarci per averne un altro. Sono stato abbastanza chiaro?- Natasha annuì, tremante. William le aprì il vestito ed iniziò a leccare con impeto e voracità il suo seno scoperto. Natasha gemette debolmente e chiuse gli occhi, desiderando ardentemente che tutto finisse. Tavington si stava eccitando febbrilmente. Fece scivolare senza riguardo il vestito dalle spalle di lei e ricoprì il suo corpo di baci bollenti. Quindi risalì e la baciò sulle labbra, facendo entrare a forza la lingua tra le sue labbra semiaperte. Natasha annaspò per riprendere fiato, ma ogni tentativo era inutile. Non sarebbe mai riuscita a staccarlo da lei. Tavington salì a cavalcioni sul suo bacino e lei gemette. -William...- esclamò con voce soffocata, gli occhi offuscati dalle lacrime -Non... riesco... a respirare...- Tavington la ignorò e fece aderire il corpo a quello di lei, baciandola con violenza. -William... oh mio Dio... mi sento male, William...- Tavington si fermò e la guardò: -Cosa diavolo c'è adesso?- -Scendi...- sussurò Natasha, allo stremo delle forze. Tavington si lasciò scivolare accanto a lei ma continuò a guardarla. -William...- ansimò lei, stringendo gli occhi -Ti prego, non farlo più, io...- -Shh basta parlare- disse lui, con gli occhi più freddi che Tasha avesse mai visto -Stai zitta- Natasha non ebbe difficoltà ad obbedire e riprese fiato mentre lui proseguiva a baciarle il collo, stavolta più lentamente e dolcemente. Natasha cercò di rilassarsi sotto i suoi baci ma era difficile se non impossibile. Basta, basta... Dopo qualche minuto di pura agonia, Tavington riappoggiò la testa sul copriletto e chiuse gli occhi. Natasha rimase immobile e lo guardò respirare. Ad un tratto Tavington si alzò e si avvicinò alla porta. Natasha si rivestì e domandò: -Dove vai?- Tavington voltò la testa e la fissò freddamente: -Indovina- Natasha scosse la testa, incredula: -Da Sharon, è così?- -Già- -Cosa ci provi ad andare con lei?- domandò Natasha. Tavington la guardò con una strana espressione. Camminò verso di lei e abbassò la testa per guardarla dritta negli occhi. A Natasha iniziarono a battere i denti e dovette irrigidire la mandibola per non farsi sentire da lui. -Cosa ci provo? Tanto per cominciare lei non si lamenta quando le salgo sopra. Non cerca di cacciarmi quando la bacio. E non trema sotto il mio sguardo...- -Io non tremo sotto il tuo sguardo!- ribattè Natasha. -Certo che no- disse lui, prendendole pigramente una ciocca di capelli -Ma non credere che questo non mi piaccia- -Cosa?- disse Natasha. -Mi piace pensare di avere il totale controllo su di te. Mi piace l'idea di farti paura...- -Non ho paura di te- mentì Natasha. -Strano, sai? E' curioso che uomini adulti e anziani il doppio di te mi temano e tu no- disse lui astutamente. -D'accordo, hai vinto- si arrese Natasha -Vai pure- -Non aspettavo certo il tuo permesso- ribattè lui -Sono rimasto solo per darti un'idea di chi sarà il capo nella nostra futura famiglia- -D'accordo, colonnello- -Credevo di averti convinto a chiamarmi William- disse lui ghignando. -A volte mi viene spontaneo chiamarti colonnello- disse lei -Sei o non sei il mio capo?- aggiunse pesantemente. Tavington la tirò in piedi e la imprigionò nelle sue braccia. Le sfiorò il viso con una mano e le sussurrò: -Hai paura di me, adesso?- Natasha non riusciva a staccare gli occhi da quelli gelidi di lui. -N...- fu tutto quello che riuscì a mormorare. Lo sguardo di lui si fissò sulle sue labbra. Natasha represse un brivido a fatica. Le labbra di Tavington si avvicinarono a quelle di lei e le toccarono. Natasha sentì la mano di lui posarsi dietro la sua testa e spingerle il viso contro il suo. Tasha respirò a fondo l'essenza di lui e lasciò che le labbra del colonnello, così calde, morbide e lisce, si posassero sulle sue e le accarezzassero profondamente. Tavington continuò a baciarla appassionatamente, stringendola sempre più a sé, dimezzando sempre più i suoi respiri. Separatosi da lei, la guardò negli occhi: -Non posso aspettare- Natasha distolse lo sguardo con difficoltà e sospirò. -William...- mormorò timidamente -E' una scelta tua. Portarmi a letto adesso potrebbe causare molte cose. Lo sforzo e il dolore potrebbero uccidermi..., potrebbero uccidere il bambino... potrebbero uccidere entrambi. Ma se tu reputi il sesso più importante, prendimi adesso. Io non avrei la forza di respingerti- William la guardò intensamente: -No, hai ragione. L'attesa sarà dura...- disse, appoggiando le labbra sulla sua fronte -Ma quando il bambino nascerà, ne sarà valsa la pena- Natasha sorrise, sollevata: -Già- Tavington le accarezzò le guance delicatamente, sfiorando ogni tratto del suo viso. Quindi sospirò. -Ho cambiato idea- disse, separandosi da lei -Resterò- Natasha si stese sul letto e lo guardò svestirsi ed entrare nel letto con lei. Tasha si voltò dall'altro lato. -Ehi tu, dove credi di andare?- le disse lui, prendendola e costringendola a girarsi dalla sua parte -Se ho deciso di rimanere non è stato per guardarti la schiena- Natasha non replicò e Tavington sbuffò. -Perché sei sempre così triste?- A Natasha vennero in mente almeno un milione di risposte diverse, ma si limitò a dire: -La mia vita non è come la vorrei- sospirò profondamente -Non è neppure lontanamente come la vorrei- Tavington sorrise amaramente: -Allora abbiamo qualcosa in comune- Natasha lo guardò, ma alla pallida luce della luna appena sorta il suo volto non rivelava nulla. -Buonanotte, Tasha- -Buonanotte, William- Prima che il sonno li cogliesse, ognuno aveva fatto mille supposizioni su quello di cui parlava l'altra.
Il mattino seguente Natasha aprì gli occhi e si voltò automaticamente verso destra. Si accorse di essere sola nel letto. Tavington doveva essersene già andato. Sospirando, Natasha si vestì (era ormai da un paio di settimane che i suoi nuovi vestiti erano stati portati nell'appartamento di Tavington) ed aprì la porta del corridoio, con la mezza idea di recarsi in giardino per fare una passeggiata. Scorse Bordon affrettarsi verso l'atrio. -Buongiorno, Bordon- lo salutò. Bordon si voltò e le sorrise: -Buongiorno, signora Tavington. Tutto bene?- -Sì, grazie. E voi?- -Tutto bene, anche se purtroppo sono stato chiamato in servizio proprio oggi, che dovevo essere in vacanza. Pazienza. Ma purtroppo il Maggiore Higgs è malato e io devo sostituirlo- -Oh, mi dispiace- disse Natasha -Dev'essere una bella seccatura. Avete notizie di mio marito?- -Oh, sì. Mi sta aspettando in cortile con gli altri. Meglio che mi sbrighi, non perdona i ritardi- Natasha sorrise: -Già. Scusate se vi ho fermato- Bordon scosse la tesa: -Mi avete frainteso, signorina. E' sempre un piacere parlare con voi- sorrise -Anzi, se avete bisogno di me, chiamatemi quando volete- Natasha annuì: -Lo farò, Bordon- Bordon si inchinò ed entrò nell'atrio, sparendo dalla sua vista. Natasha rimase con il sorriso sulle labbra. Sempre così gentile e disponibile, Bordon. Natasha provava una grande simpatia per lui. Era ancora sorridente quando entrò in giardino e si sedette sulla solita panchina. Era una giornata molto soleggiata: era la fine di marzo, e la primavera era appena nata. Il suo sguardo si posò sul posto alla sua destra. Tom stava seduto lì, quella gelida notte di gennaio, quando si erano baciati per la prima volta. Natasha lo ricordava benissimo. Lei, impaurita e indifesa, catapultata in un mondo ostile che non conosceva affatto, così diverso da quello in cui era abituata a vivere... e Tom, Tom che l'amava, Tom che era la sua unica consolazione in quell'inferno... Dio, quanto era cresciuta. Non sapeva perché, ma si sentiva molto più grande. Quell'esperienza l'aveva cambiata. Forse era il fatto di essere sposata, o di essere incinta, oppure il fatto di doversela cavare da sola, di essere in mezzo alle difficoltà e alle paure... non era più la ragazzina che bussava tremante alla porta di Tavington... non era più la piccola Tasha, rannicchiata per terra a piangere in un angolino della stalla... lei ora era Natasha Tavington. Non c'era nessuno che la difendeva, e lei non sapeva difendersi. Aveva ancora paura di tutto e di tutti. Ma la differenza era che, nonostante prima si sentisse speranzosa, ora la speranza non c'era più. La fioca luce della speranza aveva lasciato il posto al buio profondo e nero della rassegnazione. Tom non sarebbe tornato. La sua vita non sarebbe cambiata. Non avrebbe mai più rivisto Rupert. Era tutto finito. Nel suo cuore non sarebbero rimasti che i ricordi di quella vita passata. E lei avrebbe trascorso il resto dei suoi giorni ad affogarsi in essi e a rimpiangerli.
Quella sera Natasha si avviò sola al palazzo. Entrò nell'atrio e si diresse verso la sala da pranzo. Si sedette ad un'estremità del lungo tavolo di legno scuro e un servo apparì con un vassoio dal fondo della stanza. Natasha mangiò in silenzio. Il tintinnio delle posate e il ticchettio di un maestoso orologio a pendolo posto accanto alla parete erano gli unici rumori nella stanza. Fuori dalle finestre, una sera magnifica stava scendendo. L'orizzonte era sfumato di colori meravigliosi come il lilla e l'azzurro, ed osservare il tramonto era un vero e proprio spettacolo. Natasha aveva appena posato la forchetta nel piatto che improvvisamente udì il rumore della porta dell'atrio che si apriva e un gran frastuono di voci preoccupate. Tasha si alzò e si diresse verso l'atrio, chiedendosi in cuor suo cosa diavolo fosse successo. Appena arrivata, vide il Colonnello Tavington al centro di un gruppo di soldati, tra cui il generale O'Hara. Stringendo gli occhi, Natasha vide che la sua camicia era sporca di sangue... -Cos'è successo?- domandò, facendosi avanti. O'Hara la vide e disse ad un soldato: -Mewitt, sareste così gentile da accompagnare la signora Tavington nei suoi alloggi...- -Io non vado da nessuna parte!- ribattè Natasha -Cos'è successo?- ripetè. O'Hara la ignorò: -Colonnello Tavington, mi sembra opportuno che la vostra ferita venga immediatamente medicata- -No- disse Tavington -Ho bisogno di indire un consiglio di guerra. Immediatamente- O'Hara parve contrariato: -Ma Colonnello...- -Immediatamente- ribattè William con voce ferma. O'Hara sospirò: -Andiamo in sala da pranzo, allora- Il gruppo si mosse verso la sala da pranzo, e Natasha li seguì. Un soldato le bloccò la strada: -Signora, un consiglio di guerra non è cosa da donne- -Al diavolo!- disse lei -Devo sapere cos'è successo. Quello è mio marito!- -Lasciatela entrare, lasciatela entrare- disse O'Hara -Che qualcuno vada immediatamente a chiamare il Generale Cornwallis. Ne deve essere informato- Il gruppo entrò in sala da pranzo e prese posto a sedere. Natasha raggiunse William. -William, cos'è successo?- Tavington incontrò i suoi occhi: -Vattene, Tasha. Torna in camera- Natasha lo guardò stupita. Tra tutte le risposte che si era immaginata, quella era la meno probabile. Lui la stava deliberatamente comandando. Credeva che non fosse all'altezza della situazione. -Non tornerò in camera finchè non mi dirai cos'è successo- disse Natasha con voce ferma. L'espressione di Tavington divenne furiosa. -Ho detto: vai in camera- Dal brusio concitato intorno a loro era scaturito un silenzio di tomba. Tutti gli occhi erano rivolti verso William e Natasha. -Voglio sapere cos'è successo!- ripetè Tasha per l'ennesima volta. Tavington si alzò in piedi e prima che Tasha potesse fare qualcosa, lui la colpì. Le tirò uno schiaffo che le girò la testa e la fece cadere per terra. -COLONNELLO!- Un grido era giunto dall'ingresso della sala da pranzo. Natasha vide confusamente il Generale Cornwallis ritto sulla soglia. Guardava con occhi spalancati verso di lei. -Cosa...- -Generale, col vostro permesso vorrei portare mia moglie in camera- -Prima discuteremo della vostra condotta!- Tavington rise. Una risata fredda e canzonatrice. -La mia condotta? Spiacente, Generale, ma pare proprio che Natasha sia mia moglie, e che io abbia piena autorità su di lei- Il Generale aprì la bocca, ma non trovò nulla da dire. Quindi, guardando quasi con compassione la figura di Natasha sul pavimento, borbottò: -Che qualcuno porti la signora Tavington ai suoi alloggi- -La porterò io- si fece avanti Tavington. -No, voi rimarrete qui a spiegarmi cosa vi è successo- -Lo farò, my Lord, solo quando avrò portato mia moglie in camera- -Colonnello, state disubbidendo ai miei ordini, come è già successo innummerevoli volte. Per l'amor di Dio, fatela portare in camera da qualcun altro!- Tavington non replicò. Tornò a sedere sulla sua sedia e scoccò a Cornwallis uno sguardo arrogante. Natasha, che si aspettava di vedere avanzare Bordon in suo aiuto, si accorse per la prima volta che lui non era presente nel gruppo di uomini. Un soldato che Tasha non aveva mai visto prima, la aiutò ad alzarsi e la condusse verso la porta d'ingresso, sorreggendola goffamente. Prima di lasciare la stanza, Natasha chiese debolmente: -Dov'è il Maggiore Bordon?- Gli occhi di tutti i presenti si voltarono verso Tavington, che non aveva abbandonato quell'espressione arrogante e ostile. -Il Maggiore Bordon?- domandò Cornwallis a O'Hara. O'Hara gli rispose sottovoce: -E' il Maggiore dell'unità di Dragoni partiti questa mattina, my Lord- -Ah sì, credo di ricordare... ebbene, colonnello? Siete tornato da solo. Dove sono finiti gli altri che erano con voi, tra cui il Maggiore Bordon?- Tavington attese qualche secondo prima di rispondere. Quindi, senza mutare espressione, disse: -Il Maggiore Bordon è morto- Natasha sentì il cuore farsi pesante. No. Bordon no. I soldati tutt'intorno al tavolo sembravano affranti quanto lei. Avevano abbassato la testa e mormoravano tra di loro. Solo Tavington non sembrava partecipe al loro dispiacere. -E' stato ucciso da Gabriel Martin- riprese Tavington. Le sue labbra si piegarono in un ghigno sgradevole -Che è stato poi ucciso da me- -Dove eravate, colonnello, mentre il Maggiore veniva ucciso?- chiese il Generale, con l'aria di uno che ha trovato il nocciolo della questione. Tavington guardò Cornwallis con malcelata antipatia, quindi disse, in tono freddo: -A pochi piedi da lui. Combattevo contro una mezza dozzina di ribelli- Tavington sospirò -Era pomeriggio. Forse le quindici, o le sedici. Io e la mia unità ci eravamo accampati a poca distanza da Pembroke per riposarci dopo una lunga cavalcata. Eravamo nei pressi di un fiume. Io ho colto l'occasione per lavarmi e per farmi la barba. A quel punto il Maggiore Bordon ha annunciato che dei soldati erano in avvicinamento. Volontari americani, una decina, e a cavallo. Tra di loro ho riconosciuto solo il reverendo Oliver e Gabriel Martin. Siamo precipitati alle armi. Nonostante ci avessero colti di sorpresa, in poco tempo siamo riusciti a raggiungere una situazione di parità. Eravamo rimasti solo io e il Maggiore Bordon contro Gabriel Martin e il reverendo. Ho sparato al reverendo, ma nel frattempo Martin aveva ucciso Bordon con una pugnalata allo stomaco- Natasha si portò le mani alla bocca. Tavington proseguì il racconto con voce piatta: -Non fui abbastanza veloce a ricaricare la mia pistola. Gabriel Martin mi sparò- Tavington si sfiorò la ferita sul fianco -Ma ebbe una pessima mira. Mi prese solo di striscio. Io finsi di essere morto e caddi a terra. Non nutrivo molte speranze che Martin jr. cadesse nel mio tranello, invece così fu. Invece che andarsene o spararmi da lontano, mi si avvicinò e sollevò il pugnale per darmi il colpo di grazia. Questa volta io fui più svelto di lui. Afferrai la mia spada e lo uccisi- Il silenzio cadde sulla sala. Quindi Lord Cornwallis sospirò e disse: -Bene, ora passiamo alle tattiche future. Quest'imboscata...- Natasha non riuscì a sentire altro. Il soldato l'accompagnò in camera sua e se ne tornò al consiglio. Una volta sola, Natasha si sedette sul letto. Bordon. Ancora non riusciva a credere che fosse morto. In un lampo, con orrore, ricordò che lui le aveva parlato proprio quella mattina, prima di partire verso quella spedizione che l'avrebbe portato alla morte. Natasha si sentiva affranta e triste come non lo era da tempo. Proprio quella mattina lei aveva pensato a quanto confortante fosse la presenza di Bordon ed ora se n'era andato anche lui. Non c'era niente da fare. Tutte le persone che l'aiutavano sembravano destinate a svanire nel nulla, aumentando il vuoto che c'era in lei.
Tavington tornò solo qualche ora dopo, quando Natasha stava per assopirsi. Aprì gli occhi quando sentì la porta della camera aprirsi bruscamente e sbattere. Si alzò a sedere sul letto e guardò Tavington sedersi sulla sedia della scrivania e fissarla. -Io e te dobbiamo parlare- disse in tono freddo. Natasha abbassò la testa e non replicò. Si passò un dito sulla guancia, sulla quale le si stava formando un pesto violaceo nel punto in cui lui l'aveva schiaffeggiata. -Che non succeda più...- disse Tavington lentamente, scandendo bene ogni parola -Che tu mi disubbidisca davanti ai miei uomini- Natasha respirò a fondo: -William, io...- -No, non dire niente che non sia "D'accordo"- Natasha lo guardò sottomessa: -D'accordo- -Devi capire una cosa, tesoro- disse lui duramente -Non puoi farmi fare delle figure del genere davanti ai miei subordinati. Non riesci a capire? Se non riesco a comandare mia moglie, loro e soprattutto i miei superiori penseranno che non riesca neppure a comandare i miei uomini, non credi? Ho una dignità da difendere, Natasha- -E alla mia dignità non pensi?- disse Natasha senza riflettere. Gli occhi di Tavington divennero più gelidi che mai. -Come hai detto?- Natasha abbassò gli occhi, come se si fosse pentita di aver parlato. -E' che non riesco a capire perchè per te sia una vergogna se tua moglie ti disubbidisce e per me non dev'essere una vergogna se mio marito mi picchia in pubblico- mormorò. -Natasha, quando ti dò un ordine, in pubblico o no, tu mi devi ubbidire senza riserve- Natasha annuì, senza osare alzare gli occhi. Non voleva farlo arrabbiare. -Era solo che... volevo sapere cosa ti fosse successo, tutto qui- azzardò titubante. -Io non mi sono arrabbiato per questo- ribattè lui -Quello che mi ha fatto infuriare è stato che tu mi hai deliberatamente disobbedito in presenza del mio generale e di alcuni dei miei uomini. Hai ancora da obiettare?- Natasha scosse la testa. -Bene- disse Tavington -In questo caso posso finalmente andare a dormire- Si alzò dalla sedia e Natasha lo vide strizzare gli occhi. -William!- disse, alzandosi dal letto e avvicinandosi a lui -Non ti sei fatto fasciare la ferita!- -Sto bene- disse lui, allontanandola con una mano. -No, aspetta...- ribattè lei -Fammi dare almeno un'occhiata- -Sicura che non ti impressionerai?- disse lui con un ghigno. -Non mi impressionerò. Ma domani non puoi tornare in battaglia così- Tavington alzò le sopracciglia: -Se lo dici tu- Natasha iniziò a sbottonargli la camicia. Non sapeva perché, ma improvvisamente le sue guance divennero rosse e iniziò a sentire caldo. Tavington rise: -Come siamo imbarazzate- Natasha alzò lo sguardo e lo fissò negli occhi, ma non replicò. Alla luce debole luce delle candele che illuminavano la stanza, il volto di lui appariva in qualche modo mistico; quella luce arancione creava ombre scure e riflessi sui suoi capelli sciolti. Tasha proseguì a sbottonargli la camicia e la sfilò dalle sue braccia. Il suo sguardo si posò sulla ferita. Era coperta di sangue, ma era superficiale. Natasha per un attimo pensò a cosa sarebbe successo se quella pallottola fosse passata solo un pollice più a sinistra... -L'hai scampata bella- mormorò. Tavington ridacchiò: -Non dire idiozie- -Perché?- esclamò lei -Sto dicendo la verità. Se il proiettile ti avesse colpito un po' più in là ora saresti stato morto- -Per tua immensa sfortuna non lo sono- replicò lui. Natasha sospirò. -In quell'armadio dovrei trovare delle fasce- disse, voltandosi e raggiungendo l'anta dell'armadio. Dopo qualche secondo tornò da lui con un rotolo di fasce. -Ora stai fermo- gli disse, aprendo una fascia e appoggiandola delicatamente sulla ferita -Devi tenere un dito qui- Tavington posò un dito dove lei gli indicava e la guardò lavorare con un lieve ghigno sulle labbra. Natasha avvolse il bacino di lui con della garza e alla fine fece un piccolo nodo. -Ecco, così dovrebbe andare- disse, terminato il suo lavoro. Tavington abbassò lo sguardo sulla fasciatura. Quindi la guardò e disse, con uno sguardo ironico: -Mai pensato di fare l'infermiera?- Natasha alzò gli occhi al cielo: -Non ho mai pensato a nessun lavoro- -Dovresti, sai?- disse lui, prendendole il viso con una mano -Mi sento già meglio- -Molto divertente- ribattè lei -Volevo solo aiutarti- -E mi hai aiutato- rispose lui, baciandola sulle labbra. Natasha si lasciò coinvolgere dal lungo brivido che le diede quel bacio e aprì gli occhi quando lui si separò da lei. -Ora andiamo a dormire- disse lui, prima di dirigersi verso il letto. Natasha lo seguì e qualche minuto dopo erano addormentati entrambi, l'uno di fianco all'altra.
South Carolina, ottobre 1779. Otto mesi dopo.
-Aiuto! Oh mio Dio! Chiamate un dottore, chiamate il Colonnello Tavington, chiamate qualcuno!!- urlò Sally a squarciagola nel corridoio. Natasha Halliwell gemette, aggrappandosi con tutte le sue forze al lenzuolo del letto della sua stanza. Ci fu un'altra contrazione, più forte questa volta, e Tasha gridò. Udì qualcuno affrettarsi nel corridoio e ben presto un uomo apparve sulla soglia e corse verso di lei. -Signora Tavington, sono il dottor Frankson. Si rilassi e respiri profondamente. Sta per avere un bambino- Natasha seguì i consigli del dottore e tentò di respirare. La sua fronte imperlata di sudore si contrasse in una smorfia di dolore. Il dottore le fece aprire le gambe e valutò la situazione. Si voltò e si rivolse a Sally, in rispettosa attesa sulla soglia: -Correte a chiamare il Colonnello Tavington-
William Tavington passeggiava per il cortile del forte, riflettendo intensamente. Gli Americani avevano fatto un'altra imboscata, nei pressi del Santee questa volta, e ne erano usciti davvero malmessi. Non c'era che dire, non erano proprio capaci a combattere. Il punto era che fino a quel momento lui, William, era stato fortunato. Era riuscito a prevedere ogni loro attacco lavorando sodo. Ma per quanto sarebbe durata questa fortuna? Tavington sospirò e il suo respiro si condensò in una nuvoletta a causa della fredda temperatura di fine ottobre. Si diresse verso la stalla per prendere il suo cavallo, con la mezza idea di andare a fare una cavalcata prima di cena, quando si sentì chiamare. -Colonnello Tavington! Colonnello Tavington!- Tavington si voltò e vide Sally correre a perdifiato verso di lui. Una volta che lo ebbe raggiunto, la serva si fermò e si premette una mano sul petto, tentando di riprendere fiato. -Sì?- disse Tavington freddamente. -Vostra... moglie...- L'espressione di Tavington divenne allarmata: -Cosa le è successo?- -Sta... par... tor... en...do...- -COSA ?- esclamò il colonnello. Spiccò una corsa verso il palazzo, salì i gradini quattro alla volta e spalancò il portone principale senza preoccuparsi di chiuderlo.
-Avanti, signora Tavington, respiri- Natasha strinse gli occhi per il dolore ed emise un grido. -Non... ce la faccio!- -Sì che ce la fate, spingete, coraggio- continuò il dottore. La porta della camera si spalancò e William Tavington entrò nella stanza. Era stravolto in viso e sembrava avesse corso. Il dottore si voltò: -Colonnello... finalmente- -C'è...- Tavington stava riprendendo fiato -C'è qualcosa che non và?- Il dottore scosse la testa con un sorriso: -Per adesso no, colonnello. Ma le contrazioni sono appena iniziate- In quel momento Natasha urlò di nuovo e strinse più forte che potè le lenzuola. Tavington si voltò verso di lei: -Coraggio, Natasha- le si avvicinò e le prese la mano -Andrà tutto bene- Natasha lo guardò e scorse apprensione nei suoi occhi solitamente impenetrabili. Delle teste curiose spuntarono dai lati della porta. -Cosa sta succedendo?- -Sta avendo un bambino?- -Come lo chiamerete?- -Come state, signora Tavington?- -Maschio o femmina?- Mentre Tavington chiudeva la porta in faccia a tutta quella gente, Natasha maledì tutti quanti dentro la sua testa. Un dolore acuto le invadeva l'intero corpo. Ogni contrazione era un violento afflusso di sofferenza che la costringeva ad urlare. D'un tratto pensò a Tom, che era lontano. Lontano? Non credi forse che sia morto? Non si vede più da otto mesi... Possibile che quella voce nella sua mente non volesse stare zitta neanche in quel momento di agonia? Dannazione, perché? Perché non c'era Tom a tenerle la mano invece del Colonnello Tavington? Perché lei aveva la terribile sensazione di essere a poca distanza dalla risposta che aveva atteso per tutti quei mesi? Perché avrebbe dovuto scoprirlo proprio quel giorno chi fosse il padre del bambino? Natasha urlò ancora una volta. Il dolore era tale che le venne da vomitare, ma il conato non portò nulla. E quello che le dava più il nervoso era il dottore, che se ne stava lì con quel sorriso indulgente sulle labbra, come se sapesse esattamente come si sentiva. -Dottore...- gemette -Quanto ci vorrà ancora?- Il dottore sospirò: -Dipende. Se tutto và bene, almeno altre tre ore. Se invece fosse una cosa lunga, potrebbero volercene altre cinque- -Oh mio Diooo!- urlò Natasha, presa da un'altra contrazione. A quel punto bussarono alla porta. -Chi DIAVOLO è??- disse Tavington con furia. Aprì la porta e si ritrovò davanti a Wilkins che lo guardava, pallido in viso. -Signore... il Generale O'Hara mi ha detto di consegnarvi questi fogli, riportano dati riguardo a...- -CRISTO! Mia moglie sta partorendo! Sparisci di qui nel giro di cinque secondi o ti faccio fucilare!- Wilkins indietreggiò e balbettò: -Certo, signore... oh... auguri signore- Dopodichè fuggì nel corridoio. Il dottore si rivolse a Tavington: -Colonnello, calmatevi- Tavington gli rivolse un'occhiata di ghiaccio alla quale il dottore non osò rispondere. Natasha pensava a Tom, ai suoi genitori, pensava a tutte quelle cose che nei mesi precedenti l'avevano ossessionata. Anche se il suo pensiero fisso era Tom. Tom, ti prego, vieni qui! Vieni da me! So che sei ancora vivo, DEVI essere ancora vivo... ti prego aiutami! Vieni! Tavington ritornò a sedersi accanto a lei e le prese la mano tra le sue.
Molte ore dopo, Tavington se ne stava in corridoio, passeggiando nervosamente avanti e indietro. Il dottore gli aveva consigliato di uscire a prendere una boccata d'aria, ma lui non se la sentiva. Alzò la testa verso la vetrata alla fine del corridoio. La notte era scesa. Erano passate circa quattro ore da quando sua moglie aveva iniziato ad avere le contrazioni. Tavington quel giorno aveva provato delle emozioni che non provava da tanto tempo. Una, in particolare, sovrastava su tutte le altre. Era un'emozione che non provava da quando sentiva i passi irregolari di suo padre trascinarsi lentamente fino alla porta di casa e sua madre che iniziava a piangere. Paura. Tavington aveva dimenticato cosa si sentisse quando si aveva paura. Ora invece se lo ricordava benissimo, perché proprio in quel momento lo stava provando. Temeva che qualcosa andasse storto. Aveva paura che il bambino non sarebbe nato. Aveva paura che gli accadesse qualcosa. Molta paura.
Natasha gemette un'ultima volta e il bambino uscì, con meno dolore di quanto si aspettasse. Il dottore lo prese e lo tenne in braccio. -Dottore- disse Natasha, le lacrime agli occhi -Fatemelo vedere- -E' proprio sicura di volerlo vedere, signora Tavington?- -Certo! E' il mio bambino!- Il dottore le porse suo figlio e Natasha, vedendolo, gridò di orrore. La pelle del bimbo era bluastra, gli occhi erano bianchi, rivolti all'indietro. -E' morto, signora Tavington- Natasha gridò ancora con tutta la forza che aveva in corpo. Ad un tratto il bambino che teneva tra le braccia le si appese al collo e iniziò a strangolarla... Natasha cercò di respirare, ma non ci riuscì. Come poteva una creatura così piccola avere una tale forza? Oh no, stava morendo... stava cadendo in un vortice nero... già riusciva a vedere dall'altra parte... C'erano delle persone sul fondo... Sua madre, suo padre, Alan... e Tom. No, cosa ci faceva lì, Tom? Lui era vivo... -Signora Tavington! Signora Tavington!- Qualcuno la stava schiaffeggiando. -Eh?- esclamò confusa nonappena tornò alla realtà. -Siete svenuta, per il dolore, immagino- le disse il dottore -Ma non preoccupatevi... ho quasi finito. Il bambino è quasi fuori del tutto- -Ah...- fu tutto quello che Natasha riuscì a rispondere. Appoggiò la testa sul cuscino umido di pianto e di sudore, mentre nuove scosse di intenso bruciore la invadevano. Dopo l'incubo che aveva fatto, le girava la testa vorticosamente. Le sembrava che la stanza ballasse intorno a lei, non riusciva a trovare un punto fermo. Sally, che era giunta qualche ora prima, le stava appoggiando sulla fronte qualcosa di bagnato che Tasha a malapena avvertiva. Quando diavolo sarebbe finito tutto? La porta si aprì per quella che parve la centesima volta ed entrò Tavington. -Allora?- chiese a bruciapelo. Natasha avvertì con piacere che c'era dell'ansia nella sua voce. Sembrò notarlo anche il dottore, che sorrise con soddisfazione e disse: -Ah, non si preoccupi, colonnello. E' quasi uscito del tutto- -Non sono preoccupato- disse Tavington in tono omicida. Ma era pallido in volto. -Ecco, ecco ci siamo!- esclamò ad un tratto il dottore. Proprio in quel momento Natasha avvertì uno strappo tremendo e gridò talmente forte che la gola le si irritò. Tavington corse vicino al dottore e guardò Natasha: -Natasha, stai calma- Stai calma?? Natasha era troppo presa dal dolore per mettersi a detestare Tavington. Ad un tratto diede un ultima spinta, e con un urlo riuscì ad espellere il bambino. A Natasha le si rivoltarono gli occhi per un istante, ma quando riuscì a recuperare la vista vide il dottore con in braccio una piccola creatura coperta di sangue. -Sally, puliscilo- ordinò il dottore alla serva, che lo prese in braccio e lo pulì accuratamente con un pezzo di stoffa. Natasha udì il bimbo piangere e questo la fece piangere anche a lei, ma di gioia. Ce l'aveva fatta. Aveva avuto un bambino. -E' maschio o femmina?- chiese Tavington immediatamente. -Maschio, colonnello- rispose il dottore, prendendolo dalle mani della serva e porgendolo a Tavington -Tenetelo-
Tavington prese tra le braccia il piccolo fagotto che il dottor Frankson gli porgeva. Per la prima volta, guardò il suo bambino. Era piccolissimo e indifeso... Lo sguardo di Tavington vagò sulle sue manine strette a pugno che agitava nell'aria. Piangeva, e il suo pianto era tutto quello che riusciva a udire. La sua pelle, il suo corpicino, erano tutto quello che riusciva a vedere. Tavington si sentiva come non si era mai sentito in vita sua. Aveva paura di toccarlo, persino di parlargli, perché sembrava così fragile... L'unica cosa che poteva fare era starsene lì a guardarlo. Perché William non aveva mai visto una cosa più bella. A poco a poco la piena consapevolezza di quello che significava quel piccolo lo travolse. William Tavington era padre.
-Ti prego, William... fammelo vedere- Le parole di Natasha sembrarono risvegliare Tavington da una profonda trance. Senza staccare gli occhi dal neonato, Tavington avanzò verso Tasha e le porse, con tutta la delicatezza di cui era capace, il fagottino di coperte tra cui stava loro figlio. Natasha lo prese tra le braccia e lo guardò, con le lacrime agli occhi. Se solo i suoi genitori fossero stati lì con lei... Natasha gli avrebbe mostrato con orgoglio suo figlio. Era madre. Natasha osservò piangendo il suo corpicino. Gli diede un piccolo e leggero bacio sulla fronte e il bambino si placò un poco. Tasha alzò gli occhi verso Tavington, che guardava il bambino. Quindi riabbassò lo sguardo verso il neonato. -Guardate, sta aprendo gli occhi- esclamò Sally, anche lei commossa. Natasha vide il bambino aprire gli occhi. Due occhi azzurro ghiaccio.
