Capitolo 9
Paradiso e Inferno

Il giorno dopo, Natasha aprì gli occhi e la prima cosa che vide fu il soffitto della sua stanza. Gemette quando un dolore proveniente da in mezzo alle gambe la travolse. Con estrema difficoltà si tirò a sedere e si prese la testa tra le mani. Come ormai le era successo tante volte, si rese conto che erano successe troppe cose in troppo poco tempo ed ora aveva bisogno di riflettere, mettere ordine nella sua testa e soprattutto rendersi conto di cosa fosse accaduto realmente e cosa no. Si accorse che Tavington non era nella stanza con lei, il che poteva significare due cose: o aveva passato la notte con Sharon, o aveva dovuto svegliarsi prima di lei per esigenze di lavoro. Si accorse che non gliene importava granchè. Ora doveva stare sola per un po'. Si toccò la pancia e vide che non c'era più quasi nessuna sporgenza: il bambino era nato davvero. E non era morto. Era vivo ed era maschio. E aveva due occhi identici a quelli di Tavington... Già, pensò Natasha sospirando, Il padre è lui. In fondo lei non aveva nutrito molte speranze che il padre fosse risultato Tom. Non aveva più speranze per nulla. Ma anche il fatto che il padre del piccolo era William, era di secondaria importanza, in fondo. L'unica cosa che le importava era che il bambino fosse nato e stesse bene. No, un momento. C'era un'altra cosa che le importava. Tom. Lui era fisso nei suoi pensieri. L'ossessionava, soprattutto da quando era stata costretta a lasciare la sua stanza per trasferirsi in quella di Tavington. A Natasha non era mai mancata così tanto una persona, neanche -un po' si vergognava a pensarlo- suo padre quando era in guerra. Forse perché sapeva che suo padre era andato al fronte per una ragione: difendere la patria. Invece Tom l'aveva lasciata basandosi su una falsa lettera. La sua vita era a repentaglio, e senza un valido motivo. Ma Natasha era stanca di domandarsi dove lui fosse, quando sarebbe arrivato o se fosse ancora vivo. La speranza era una cosa antica e sconosciuta che Natasha non nutriva più per nessuno. E la verità a cui portava quel silenzio, quella sua lunga assenza, quei secolari mesi senza di lui era solo una e stava penetrando in lei lentamente, uccidendola con inesorabile agonia... Tom era morto.

William Tavington fu svegliato dal pianto di un bambino. Quando aprì gli occhi si rese conto di essersi assopito nella stanza in cui era stata messa la culla di suo figlio. Tavington si alzò dalla poltrona sulla quale aveva dormito e si diresse verso il piccolo. Prima di dormire, aveva deciso come lo avrebbe chiamato. A dire la verità la decisione non era stata molto difficile: William Tavington jr. Tavington lo guardò piangere. Alla felicità e alla soddisfazione di vederlo si aggiunse una sorta di disagio. Non aveva idea di come potesse fare per calmarlo. Lo prese in braccio, ma quello non smise. -Su, su...- tentò di dirgli, ma le sue grida sovrastavano la sua voce. Sospirando, Tavington aprì la porta e si diresse in corridoio, per vedere se Natasha poteva fare qualcosa. La stanza del bambino era stata posta a metà del corridoio, in quello che una volta era l'appartamento di Bordon. Purtroppo non c'era una camera più vicina alla loro stanza, e a Tavington non piaceva l'idea di tenere il bambino con loro: sarebbe stato troppo stressante. Anzi, Tavington sarebbe andato subito da Tasha a portarle William e poi se ne sarebbe occupata lei; lui aveva già una terribile emicrania e lo aspettava una giornata di duro lavoro. Entrò in camera e trovò Natasha stesa a letto. Non sembrava molto in forma. -Come stai?- le chiese Tavington. Senza aspettare una risposta, gli porse William. -Io devo andare, tienilo tu, oggi- -Certo- rispose Natasha. Appena lo prese in braccio William smise di piangere e Tavington aggrottò la fronte, confuso. Natasha parve non farci caso e lo accarezzò con un dito. -Come sei bello, tesoro mio- gli disse sorridendo -Come lo chiamiamo?- domandò distrattamente, senza guardare Tavington. Lui alzò le sopracciglia: -William- Natasha gli rivolse un'occhiata offesa: -Sei stato gentile ad aspettare me prima di dargli il nome- Tavington alzò gli occhi al cielo: -E come avresti voluto chiamarlo? Tom?- Natasha lo guardò stringendo gli occhi, senza più sorridere. Come poteva fare del sarcasmo su una cosa del genere? Non gli rispose, ma disse, dopo qualche secondo, tornando ad osservare il bambino: -William è un bel nome- Tavington sorrise ma non disse nulla. Le fece un breve cenno ed uscì dalla stanza. Natasha accarezzò suo figlio. Il piccolo aveva gli occhi aperti e la guardava. -Tesoro...- mormorò lei, sfiorandogli le guance -Willy... ciao. Io sono la tua mamma- Natasha rimase a chiaccherare con Willy tutta la mattinata. A mezzogiorno arrivò Sally e lo portò a fare una dormita. Prima di uscire chiese a Natasha se aveva bisogno di qualcosa, ma lei rispose di no. Ancora una volta, sentiva che l'unica cosa di cui aveva bisogno era starsene da sola. Si fece portare il pranzo in camera da alcuni servi e mangiò nella solitudine più totale. Non era una bella giornata: frequenti gocce di pioggia battevano sui vetri con impeto. Appena ebbe finito di pranzare, Natasha cercò di alzarsi in piedi e si diresse verso l'unica finestra della stanza. Guardò, aldilà della pioggia, il cortile. Peccato che piovesse, le sarebbe piaciuto fare una passeggiata di fuori. Come pioveva forte... quasi forte come la notte in cui... Smettila... togliti da quella finestra. Non servirà a niente... non tornerà. Si asciugò con il palmo della mano le lacrime che sgorgavano dai suoi occhi. Era inutile, tutta quell'acqua le ricordava terribilmente la notte in cui lui se n'era andato. No, basta, basta, non voleva più ricordare nulla... ... lei che correva veloce verso l'entrata del forte, con la pioggia che le scorreva gelida sul corpo (Non devo ricordare, basta... ) Tom, in lontananza, una figura confusa avvolta in un mantello nero, che si apprestava a partire... lui che si girava, e spiccava una corsa verso di lei... (Natasha smettila! Non pensare più! Non ricordare...) i suoi baci... le sue parole mormorate, sussurate dolcemente... i suoi occhi intensi e pieni di amore... le sue braccia che la stringevano forte... le sue mani che le sfioravano il viso... Natasha singhiozzò sonoramente, coprendosi la bocca con una mano e appoggiando la testa al vetro. Perché è successo tutto questo? Perché? Pérchè... Natasha si accasciò a terra, piangendo disperatamente. Si coprì la bocca con una mano per impedire a se stessa di gridare, di urlare al mondo la sua disperazione, la sua afflizione, la crudele realtà che la circondava e che la stringeva sempre più in una morsa dalla quale non sarebbe più uscita...

Quella sera, Tavington entrò in camera e trovò Natasha addormentata per terra, sotto la finestra. Per un attimo si chiese cosa ci stesse facendo lì, ma non trovando risposta la prese in braccio e la posò sul letto. La mise sotto le coperte, poi si svestì ed entrò nel letto con lei. Avvicinò il viso al collo di lei e vi posò un leggero bacio. Non aveva intenzione di svegliarla, soprattutto perché lei aveva proprio l'aria di una che aveva estremamente bisogno di una bella dormita. Sì, in effetti Natasha aveva un aspetto malaticcio da alcuni giorni. Probabilmente era stato il parto, riflettè William. Era appena stato a "far visita" a Sharon, e aveva scoperto una cosa interessante. William si rigirò nel letto ripensando al suo incontro con la ragazza. -Dunque, ora sei padre- gli aveva detto lei, sbottonandogli la giacca. -Sembrerebbe di sì- aveva risposto lui. -Ma ancora non mi hai detto chi è tua moglie. Sai, in quel posto dove mi tocca vivere non arrivano molte notizie, solo pettegolezzi senza fondamento, e ancora io non lo so. Sei sicuro di non volermelo dire?- -Se insisti tanto... ma non credo che tu la conosca- Sharon aveva riso: -Ad ogni modo è una ragazza molto fortunata. E chi è?- -Natasha Halliwell. Faceva la stall...- -COSA????????????- Lui aveva aggrottato la fronte: -Qualcosa non và?- Sharon pareva sconvolta e infuriata. Aveva persino smesso di sbottonargli la giacca. -Sharon... non dirmi che la conosci- -Io... io... bè, devi sapere che lei... io e lei siamo... siamo... ehm... sorelle- -Sorelle?- aveva chiesto lui sbalordito. -E' una lunga storia che non ho voglia di raccontarti. Ma è la verità- William aveva riso: -Non riesco a crederci. E' davvero strano- -A me sembra più strano che tu ti sia innamorato di una come lei- -Oh, andiamo...- aveva detto lui, prendendole le mani e riappoggiandosele sul petto -Diciamo che è anche questa una lunga storia che non ho voglia di raccontarti- Sharon gli aveva sorriso, ma era rimasta un'ombra di tristezza nei suoi occhi. Ad ogni modo, l'avevano fatto come non lo facevano da tempo e Tavington era tornato al suo appartamento di malavoglia. Ma perchè Natasha non glielo aveva mai detto? Sempre che lo sapesse, è chiaro... ma probabilmente lo sapeva. Quante volte, in quei dieci mesi, gli aveva detto: -Stai ancora andando da lei? Stai ancora andando da Sharon?- E lei, nella sua testa, con molta probabilità aveva sempre saputo che lui stava andando da sua sorella. Com'era strano il destino... Ma chi diavolo era colui che stava pensando queste assurdità? Eccolo lì, il Colonnello William Tavington, nel letto con una ragazza sedicenne (Natasha aveva compiuto gli anni alla fine di marzo) che era sua moglie e la madre del suo bambino, il piccolo William. Eccolo lì, nel letto con questa sconosciuta, a meditare sul destino. Il destino... Tavington non aveva mai pensato al destino prima. Non ne aveva avuto tempo, o bisogno. L'unica cosa che immaginava vagamente era che aveva bisogno di un figlio per sentirsi sicuro quando andava in battaglia. Ma lui prima non avrebbe mai pensato una cosa del genere. Lui era William Tavington, non poteva morire in battaglia. La semplice idea era assurda, pazzesca. Gli altri erano fatti per morire. Ma perché questa sua mentalità non lo convinceva più? Cosa avvertiva? C'era qualcosa nell'aria... qualcosa che non gli piaceva. Un presentimento? No, i presentimenti erano delle stronzate... allora cosa? Come si poteva chiamare quella sensazione sgradevole, che lo faceva sentire come se lui stesso fosse parte di un disegno, un disegno che lo avrebbe portato a una conclusione predefinita di cui lui non era a conoscenza ma verso la quale lui stava inevitabilmente correndo a gambe levate? Prima che il sonno si impadronisse di lui, un pensiero, un bagliore, invase la mente di Tavington, uno stralcio di riflessione del quale non si sarebbe ricordato la mattina successiva... La mia ultima battaglia è vicina.

Natasha si svegliò la mattina dopo e trovò, ancora una volta, il letto deserto. Cominciava a domandarsi se per caso Tavington non avesse cominciato ad avere paura a rimanere nel letto con lei, perché c'era la possibilità che Tasha si svegliasse prima di lui e gli sparasse. Abbandonò subito quest'idea, appena realizzò che era impossibile credere che William Tavington avesse paura di qualcosa. Si alzò in piedi e si stiracchiò. Miracolosamente, non provava più alcun dolore fisico, il che era un grande progresso. Anche quel giorno la pioggia batteva instancabile sui vetri, ma Natasha non si soffermò ad osservarla. Invece si vestì, uscì dalla stanza e andò a fare una visitina a Willy. Il piccolo era davvero di buon umore, quel giorno, perché quando Tasha entrò nella stanza emise un gridolino di gioia. -Ehi, piccolino- gli disse, prendendolo in braccio -Come và oggi? Come siamo felici, eh? Adesso andiamo a vedere che fine ha fatto papà, d'accordo? Dai, vieni, andiamo a fare un bel giretto...- Con il bimbo in braccio, Natasha s' incamminò nel corridoio ed entrò nell'atrio, diretta alla sala da pranzo. Strada facendo incontrò O'Hara, che la salutò allegramente: -Buongiorno, signora Tavington. Congratulazioni- -Grazie, Generale. Sapete nulla di mio marito?- -E' partito cinque minuti fa. Abbiamo una battaglia a Wakefield, tra qualche ora dovremo partire anch'io e Lord Cornwallis. Ah, mi ha detto di dirvi che non sarà di ritorno fino a domani mattina- -D'accordo- rispose Natasha, dirigendosi verso la sala da pranzo -Buona fortuna, allora- -Grazie, signora Tavigton- disse il Generale, prima di inchinarsi brevemente e salire le scale dell'atrio. Natasha entrò nella sala attraverso le due pesanti porte d'entrata e si sedette, aspettando il servo con la colazione. Era mattino tardo e al tavolo non c'era nessuno a parte un paio di anziane signore vestite elegantemente che confabulavano tra di loro dall'altro capo della stanza. Non salutarono Natasha, nonostante lei avesse rivolto loro un sorriso e un cenno del capo. Al diavolo!, pensò Natasha, distogliendo lo sguardo da loro. Si rivolse al piccolo: -Willy... ehi. Come và, piccolo? Oh, il mio tesorino...- gli baciò la fronte e prese una delle sue piccole manine. Oh, era così tenero... -La vostra colazione, milady- disse il servo con voce nasale, posando il vassoio davanti a lei. -Grazie- lo congedò Natasha, prima di iniziare a mangiare le sue uova con scarso entusiasmo; il maltempo non le metteva mai molto appetito. Qualche minuto dopo, portò Willy a dormire e si ritirò in camera. Era senza dubbio la cosa peggiore da fare, rimanersene sola a pensare, riflettere e ricordare, ma non aveva altra scelta. In fondo, aveva ancora molte ore davanti a sé, prima che fosse tempo di pranzo, e dopo avrebbe avuto tutto il pomeriggio, quindi la sera. Qualcosa da fare doveva pur trovarlo. Decise di occupare il suo tempo cercando il mantello che le aveva regalato Tom. Era da un po' che non lo vedeva più e aveva intenzione di cercarlo: se lo avesse perso non sapeva come si sarebbe sentita. Andò nella camera che una volta apparteneva a Tom e iniziò a rovistare nell'armadio, evitando accuratamente di guardare la finestra, il letto e lo scrittoio, che già vedeva troppo spesso nei suoi sogni... Spalancò le ante e vide che l'armadio era stato riempito con pesanti coperte ripiegate, che evidentemente Sally o qualche altro servo non sapeva dove mettere. Fantastico, pensò Natasha, Questa stanza è diventata un ripostiglio. A quanto pare anche loro hanno perso le speranze che Tom ritorni... Cercando di evitare pensieri come quello che le era appena venuto, Natasha aprì i cassetti, uno dopo l'altro, e alla fine lo trovò. Eccolo lì, gettato in fondo a quello scomparto dell'armadio, senza riguardo, il mantello di Tom. L'oggetto al quale teneva di più. Natasha esitò prima di raccoglierlo. Voleva davvero rivederlo? Voleva davvero richiamare l'immagine perfetta e nitida di Tom? Sì. Natasha lo prese in mano, tremando leggermente, e lo tenne aperto davanti a sé, guardandolo. Non era cambiato molto dall'ultima volta che lo aveva visto, più di otto mesi prima. Era ancora nero inchiostro, con i lucenti e fini alamari argento che luccicavano alla debole luce grigiastra proveniente dalle finestre... era solo un po' impolverato. Natasha lo scosse per pulirlo, come aveva fatto più di un secolo prima con la paglia, quando l'aveva trovato. Tasha lo strinse forte a sé, respirando a fondo. Sì, era proprio quello. Il profumo di Tom le arrivò alle narici e fu come respirare l'aria fresca dopo essere stati troppo tempo sott'acqua. Natasha non riuscì a separarsene per ore, galleggiando in un mare di ricordi inevitabili. Quando tornò alla realtà, lo prese e lo portò in camera sua. Doveva trovare un posto sicuro per conservarlo, un posto nel quale Tavington non avrebbe mai guardato. Bè, non credo che venga a frugare tra i miei vestiti... Dopo qualche attimo d'incertezza, Natasha decise di nasconderlo nel suo guardaroba. Sì, quello doveva essere un posto sicuro. E adesso cosa avrebbe fatto? Natasha guardò l'orologio posato sulla scrivania. Mezzogiorno. Già ora di pranzo?, si chiese, sbalordita. Senza avere la minima voglia di mangiare, si diresse in corridoio, camminando a testa bassa. Era pazzesco. Era stata talmente tanto a respirare in quel mantello che il profumo di Tom le era rimasto nelle narici. Persino adesso lo sentiva. Era così immersa nei suoi pensieri che urtò qualcuno che camminava velocemente nella direzione opposta alla sua. -Scusate- disse, senza alzare la testa. Lo sconosciuto le sbarrò la strada. Natasha alzò lo sguardo, confusa: -Avete bisogno di...- Restò a bocca aperta. Gli occhi che ricambiarono il suo sguardo erano quelli grigi di Tom Felton.

-Oh mio Dio!- gridò Natasha, posandosi le mani sulla bocca -TOM!- disse, prima di abbracciarlo. Tom la strinse forte: -Natasha...- -Oh, Tom!- pianse lei -Sei veramente tu?- -Sì, tesoro- rispose lui, accarezzandole la testa -Mi sei mancata tanto...- -Anche tu, anche tu...- disse Natasha, piangendo disperatamente sulla sua spalla -Cominciavo a pensare che fossi morto...- -C'è mancato poco- disse lui, continuando a stringerla. Natasha non si era mai sentita così felice in vita sua. Non era possibile! Dio ti prego, ti scongiuro, fa che questo non sia un sogno... Natasha lo guardò negli occhi, asciugandosi le lacrime: -Oh, Tom, non riesco a crederci... è... è fantastico... è la cosa più bella che... oh Dio, grazie! Tom...- lo strinse di nuovo, continuando a guardarlo. Non era cambiato affatto, era esattamente come lei se lo ricordava, con l'unica differenza che i capelli non era pettinati all'indietro, ma spettinati e bagnati: alcuni ciuffi biondi gli ricadevano davanti agli occhi. Tom sorrise mentre le accarezzava una guancia con una mano: -Sei più bella di come ti ricordavo...- Natasha sorrise tra le lacrime: -Vieni- gli disse, conducendolo nella stanza che lui aveva lasciato i primi di marzo. Entrarono e chiusero la porta. Tom non riuscì a trattenersi oltre. La prese e la baciò, quasi violentemente. Natasha si sentì rinascere, mentre passava le dita tra i capelli bagnati di lui. Quando si separarono, lui le sollevò il mento con due dita e la guardò negli occhi. -Quando ero là...- mormorò, fissandola con una dolcezza che Natasha non credeva possibile -In mezzo a quell'inferno... non ho fatto altro che aspettare questo momento. Non ho fatto altro che pensarti...- Tom la baciò di nuovo e Natasha provò un brivido di piacere lungo la sua spina dorsale. Tasha gli sfiorò il viso con una mano: -Cosa ti è successo dopo che partisti da qui, a marzo?- Tom sospirò profondamente e si guardò intorno. Il suo sguardo si fermò sulla bottiglia di brandy posata sullo scrittoio. -Ti và un po' di brandy?- -Perché no?- acconsentì Natasha sorridendo. Tom versò il liquore nei bicchieri. -E' la nostra bottiglia, questa?- -Credo proprio di sì- rispose Tasha, sedendosi insieme a lui sul letto, il bicchiere in mano. -Allora... racconta. Perché ci hai messo tanto?- Tom sospirò nuovamente. Si portò il bicchiere alle labbra e mandò giù un lungo sorso. -Dunque... quando partii era il due o il tre di marzo, non ricordo. Comunque era notte. Bè, in un giorno arrivai a Charlestown. Da lì dovetti cercare il primo carro che andava a Boston, a meno che non volessi fare la strada a piedi. Purtroppo il carro più vicino tardò di tre settimane a causa della pioggia e quando partii per Boston era ormai la fine di marzo. Il viaggio fu lento, le soste lunghe e frequenti. Riuscimmo a giungere in città alla fine del mese. I mesi di maggio, giugno e luglio li trascorsi a cercare mio padre. Le ricerche furono rallentate dalle rivolte e dalle scorribande dei ribelli. All'inizio riuscivo a muovermi in incognito, ma ero solo, e dopo tre mesi passati là la popolazione iniziò ad avere i suoi sospetti. Ad agosto tutti i bostoniani erano già venuti a sapere che io ero nipote di un generale inglese, e divenni immediatamente un ricercato. Credo che abbiano messo anche una taglia sulla mia testa, non saprei...- Tom bevve un altro sorso di brandy -Comunque, con l'inizio di agosto arrivò anche la tua lettera- -Ad agosto??- esclamò Natasha indignata -Io te l'avevo scritta poco dopo che tu partisti!- -Probabilmente la posta fa fatica ad arrivare in un posto così- disse Tom, pensieroso -Comunque, appena seppi che era stato Tavington a mandarmi la lettera che diceva di mio padre, mi sono sentito un idiota- Natasha lo abbracciò: -L'importante è che tu stia bene e che sia tornato- Tom chiuse gli occhi mentre la stringeva: -Tasha... ti amo così tanto. Il mio primo pensiero, in tutte le occasioni che ho rischiato di morire, era rivolto a te. Non facevo che domandarmi se stessi bene o...- la sua voce si spezzò -O cosa ti stesse facendo Tavington...- Natasha si separò da lui ed abbassò la testa. -Natasha...- mormorò Tom, prendendole le mani -So che non potrai mai perdonarmi per averti lasciata sola. Mi dispiace così tanto, è stata tutta colpa mia...- Lei scosse la testa: -No, Tom. Non è stata colpa tua... ti perdono, certo che ti perdono... ma promettimi che... che non mi lascerai mai più... ti prego- Tom le baciò le mani: -Certo tesoro. Non riuscirei più a stare neanche un attimo lontano da te...- Lo sguardò di Tom cadde sull'anello del suo anulare sinistro. Natasha abbassò di nuovo la testa e sospirò profondamente: -Già, forse... forse è ora che anche io ti racconti la mia storia- Tom annuì, mentre un velo di tristezza passava sui suoi occhi: -Già- Natasha cominciò: -Mi sposai con lui circa una settimana dopo la tua partenza. E... bè, diciamo che non successe niente di particolare fino a due giorni fa, quando...- Natasha so fermò e lo guardò incerta. -Quando...?- Natasha esitò e gli prese la mano: -Vieni... devo farti vedere una cosa- Tom seguì Natasha nel corridoio. La ragazza lo condusse in una stanza, parecchie porte più in là. Aprì la porta con cautela e sussurrò: -Entra, ma fai piano- Tom obbedì ed entrò in punta di piedi nella camera. Natasha lo portò verso una culla, dove un bambino stava dormendo pacificamente. -Lui è Willy- spiegò, guardando il bimbo -Mio figlio- Tom si sentì strano guardando il piccolo. Era un bambino piccino e tenero, bellissimo nella sua delicatezza, ma Tom sentiva una sorta di disagio nell'osservarlo. Alzò lo sguardo verso Natasha, che aveva assunto anche lei un'aria imbarazzata. -E'...- Natasha parlò prima che lui potesse continuare la frase: -No, Tom. Mi dispiace... io... io ci sono rimasta malissimo quando... quando mi sono accorta che lui... insomma, suo... il padre è Tavington- Tom abbassò gli occhi e tornò a guardare il bambino: -Come... come fai ad esserne così sicura?- chiese dopo un po'. -Ha gli occhi uguali a quelli di Tavington...- disse Natasha con delicatezza. Gli posò una mano sul braccio -Tom... mi dispiace, anch'io avevo sperato che...-

Tom sospirò e disse, con un sorriso amaro: -Non importa. E' un bambino stupendo- -Sì- annuì Natasha, guardando anche lei verso il bimbo. Trascorsero alcuni minuti di silenzio. -Dov'è lui?- domandò Tom, alzando gli occhi per guardarla. Natasha impiegò qualche secondo prima di capire di chi stesse parlando Tom. -Oh... Tavington è in battaglia. Non tornerà fino a domani mattina. E' via insieme a tuo zio- Tom annuì lentamente, quindi disse, con una nota d'amarezza: -Immagino che non ci rimarrà molto bene quando mi rivedrà- Natasha rise: -No, direi proprio di no- gli circondò il collo con le braccia e disse, sorridendo: -Sei riuscito a mandargli a monte tutti i suoi piani- L'ombra di un sorriso apparve sulle labbra di Tom: -Già- Chiaccherarono un po' mentre tornavano nella camera di lui, e una volta dentro i loro occhi s'incontrarono spontaneamente. -Tom...- cominciò Natasha. Lui le posò un dito sulle labbra: -Lo so- Natasha lo guardò intensamente e lo cinse con le braccia, appoggiando la testa sul suo petto. Lui le accarezzò i capelli, quindi le baciò la testa. -Se lo sai, ti prego non aspettare oltre- mormorò Natasha. -Tasha, guardami- le disse lui. Natasha alzò gli occhi e li fissò in quelli di lui. -Sai che ti voglio- disse Tom, la voce niente più che un dolce sussurro -Ma ne dovremmo pagare le conseguenze. Se Tavington dovesse venire a saperlo...- -Non mi importa- ribattè Natasha, determinata -Non mi importa niente di lui. Non lo sto tradendo, sto solo facendo quello che mi dice il mio cuore. E il mio cuore non mi ha portato all'altare con Tavington. Il mio cuore è sempre stato con te, nonostante nemmeno io sapessi dov'eri- Tom la guardò con dolcezza: -Lui non capirebbe- disse, accarezzandole il viso. Natasha chiuse gli occhi e si lasciò cullare dalla carezza di lui, un sollievo da tutto il male che c'era in lei. -Lo so- disse con voce tremante, ancora con gli occhi chiusi -Ma ho passato nove mesi a fare quello che voleva lui. Ora ti prego... dammi almeno un pomeriggio di tregua. Solo tu puoi aiutarmi. Solo tu puoi farmi dimenticare cosa sono, dove sono... solo tu puoi sollevarmi dal peso che grava sulle mie spalle. Ti prego, Tom- Tasha aprì gli occhi e lo guardò. Tom sospirò profondamente e ricambiò il suo sguardo: -Ci potrebbe portare alla morte, lo sai, questo, vero? Se ci scoprisse qualcuno...- Natasha sorrise: -Benedetta la morte se arriva dopo un pomeriggio che ho passato con te! Non capisci? Se non mi fai tua, qui e ora, morirò comunque... non riuscirei più a sopportare il domani, quando Tavington tornerà... E prima di morire voglio fare l'amore con te, ancora una volta... ti prego...- Un sorriso apparve sulle labbra di Tom: -Non sei cambiata affatto- le disse, avvicinando le labbra alle sue -E io ti desidero sempre di più...- -E allora cosa aspetti?- sussurrò lei. Tom la baciò. Le loro labbra si incontrarono, si aprirono, si accarezzarono in un lungo, profondo e passionale bacio durante il quale le loro anime si incontrarono, si mischiarono... quando il baciò finì ognuno aveva ancora qualcosa dell'anima dell'altro in sé... Tom la prese per mano e la condusse verso il letto. Si stesero insieme e per un lungo attimo non fecero che guardarsi. D'un tratto i loro corpi si avvicinarono di nuovo; Natasha prese la mano di Tom e la fece correre su tutta se stessa. Tasha vide Tom tremare mentre lei gli appoggiava la testa sul petto, ansiosa di sentire il suo respiro, impaziente di avvertire le dita di lui, lisce e vellutate, correre sulla sua pelle... Tom le slacciò il vestito, quasi con violenza, come se la stoffa non fosse che una barriera tra lui e l'oggetto del suo desiderio; una barriera che voleva abbattere, e al più presto. Tom fece scivolare il vestito di lei giù dalle sue spalle e poi le alzò gentilmente il mento, costringendola a guardarlo negli occhi. -Natasha...- le sussurrò, il respiro che cominciava a diventargli affannoso. -Tom...- mormorò lei, distrutta dal desiderio -Tom, ti amo... ti amo da impazzire. Morirei per te, lo giuro davanti a Dio- Tom sorrise: -Anch'io ti amo... mi sei mancata, tesoro. Mi sei mancata tanto...-

Detto questo le diede un ultimo, lunghissimo bacio sulle labbra, prima di iniziare a scendere verso il collo di lei. Natasha inarcò la schiena quando sentì le sue labbra bollenti posarsi sulla sua pelle nuda. Tom baciò ogni centimetro del suo collo e, quando arrivò al seno, era già eccitato come non lo era mai stato in vita sua. La lingua di Tom le toccò il seno sinistro, sfiorandolo, e lei gemette. -Oh mio Dio- Tom proseguì a baciarle il petto, ed ogni bacio era per Tasha una scossa di piacere. Ben presto Tom sentì le dita di lei passargli tra i capelli, concitatamente, senza tregua, e questo lo eccitò ancora di più. Prese qualche secondo per togliersi la camicia e i pantaloni, mentre Natasha nel frattempo di era sfilata i vestiti del tutto. Tom la condusse sotto le lenzuola, quindi montò su di lei e si fermò un attimo a guardarla. Era la cosa più bella che lui avesse mai visto. Lì, con quelle perle ambrate che erano i suoi occhi, con quei dolci ciuffi color del rame sparsi sul cuscino e quello sguardo dolce, che lo pregava di continuare. Tom non provava neppure ad immaginare quanto la amava, perché sapeva che sarebbe stato impossibile pensare una cosa del genere. Era impensabile. Tom si sarebbe fatto torturare, uccidere, si sarebbe fatto gettare in fondo all'oceano per lei, lo capiva tutte le volte che incontrava i suoi occhi, quei magici pozzi di amore, e dolcezza, e tutte le cose belle che potevano esserci in questo mondo... Era inconcepibile fare del male ad una creatura così delicata, fragile, e indifesa... eppure... Eppure c'è chi riesce a farle del male... No, in questo momento non importava. Tutto quello che voleva era farla sua, baciarla, rassicurarla, farle capire che era tutto finito, che era al sicuro lì, con lui... che nessuno l'avrebbe mai più ferita... Natasha guardò Tom negli occhi e fu come stabilire un contatto con la mente di lui... mai una persona era stata così nitida e trasparente come era lui adesso. Natasha, in quel vortice di disgrazie che era diventato la sua vita, non aveva più sicurezze. Ma ora ne aveva una, anzi due. La sicurezza di amare Tom. E la sicurezza che lui amasse lei. Tom abbassò la testa su quella di lei e la coinvolse in un lunghissimo bacio, durante il quale le loro lingue si incontrarono, in conteporanea con le loro anime, ansiose di riversarsi ancora nel corpo del'altro, ansiose di un contatto più ravvicinato, e più intenso di quello di un semplice bacio... La mano di Tom viaggiò, sfiorò il corpo di lei, dal suo seno al suo ombelico, e più giù... Natasha chiuse gli occhi e si concentrò per non urlare. Tom fece aderire il suo corpo a quello di lei e le baciò il collo con impeto. Alcuni suoi ciuffi biondi sfiorarono la fronte di lei e Tasha non potè fare a meno di rabbrividire. Natasha gli accarezzò la schiena, gli mise le mani tra i capelli, lo baciò sulle labbra. A quel punto Tom incrociò le dita della sua mano con quelle della sua, e la baciò sul palmo. Quindi la penetrò. Come la prima volta che erano andati a letto insieme, Natasha provò un improvviso dolore che la fece stringere gli occhi. Ma prima che potesse rendersene conto, il dolore si era tramutato in piacere, un'ondata di piacere travolgente, alla quale Natasha non riuscì a resistere. Tom iniziò ad ansimare, mentre prendeva a spingere in lei, con un ritmo fisso, costante ma trattenuto... non voleva farle male, non si sarebbe mai permesso di farle una cosa simile... Natasha provò l'irresistibile impulso di gridare, ma cercò di trattenersi. D'un tratto desiderò che lui le mettesse una mano davanti alla bocca, così avrebbe soffocato ogni suo grido, ma non ebbe la forza di esprimere le sue volontà... la sua mente rifiutava di distrarsi dal ritmo con cui lui spingeva sempre più dentro di lei... anche il suo cuore aveva iniziato a battere seguendo quel ritmo... Natasha aveva il fiatone, ma respirare non importava nulla, in quel momento... nel momento in cui amore e attrazione carnale si fondevano, nel momento in cui la disperazione, l'angoscia ed ogni stupida questione del mondo terreno sparivano veloci dietro le loro spalle, risucchiate da quell'ondata travolgente e inevitabile di emozioni che l'amore, l'unica cosa che contava, aveva riversato su di loro, conducendoli su un' isola sperduta e inesplorata nella quale avrebbero vissuto la vita insieme, senza mai staccarsi l'uno dall'altra... Natasha guardò negli occhi di Tom e capì che quell'immensità la stava provando anche lui. Non erano più due persone distinte, ma una sola creatura bisognosa di affetto, un affetto che solo l'altra metà era capace di donargli... Tom era incapace di dire qualcosa, persino di pensare. L'unica cosa che capiva era che parole o pensieri in quel momento non servivano, non quando la sua mente e quella di Natasha danzavano allo stesso ritmo, non quando gli occhi ambrati in cui stava guardando erano la sua unica ragione di vita. Quando lui si separò da lei, dopo quello che a Natasha parve un attimo, ricordi, memorie e preoccupazioni tornarono ad invadere le loro menti. La tregua era finita. L'intera stanza sembrava essere diversa, ora che quel contatto di pura magia era svanito. Tom collassò, ansante, di fianco a lei e l'abbracciò, mentre riprendeva fiato. Natasha aveva ancora la mente invasa dal ritmo del respiro di lui, e non riusciva a sentire altro. Anche lei, con il fiatone, lo abbracciò, ed entrambi restarono lì, confusi e appagati, a rivivere nella loro memoria le sensazioni provate e a cercare di conservarle per il futuro. Tom la guardò e le scostò un ciuffo di capelli dal viso. Quindi la baciò, assaporando le labbra di lei con dolcezza e devozione. -Ti ho fatto male?- le chiese con delicatezza. -No- rispose lei senza esitare, guardandolo negli occhi. Lui le sorrise e le posò un bacio sulla fronte. Fu in quel momento che tutto cambiò. Improvvisamente la porta della stanza si spalancò violentemente e Tom e Tasha si voltarono di scatto, quasi con dolore. Quello che videro gelò il sangue nelle loro vene. Tavington se ne stava sulla soglia, il volto livido di rabbia. I suoi occhi azzurri guardavano con furia repressa Natasha e Tom, ancora abbracciati nel letto. -Vedete, Generale?- disse a denti stretti. Solo allora Tasha si accorse che Tavington non era solo. Il generale O'Hara entrò nella stanza e guardò con occhi stupefatti suo nipote. -Tom! Cosa...? Cosa significa tutto...? Come è...?- -Natasha, in camera- ordinò Tavington in tono fermo. Natasha si avvolse un lenzuolo attorno al corpo per coprirsi. Le tremavano le mani. Cosa ci faceva lì? Perché non era in battaglia? Come mai era tornato? -Colonnello!- disse Tom, fermando con una mano Natasha, che stava per alzarsi dal letto. -Come potete...- -Natasha, lo ripeterò solo una volta- disse Tavington, guardando Tasha con occhi che non promettevano niente di buono. Natasha abbassò lo sguardo sulla mano di Tom posata sul suo braccio, quindi lo guardò negli occhi. -Tom, io devo...- -No, Tasha, tu non devi niente! Non puoi andartene con lui! Tu non lo ami!- gridò Tom ostinato. Tavington avanzò e separò bruscamente il braccio di Natasha dalla presa di Tom. -Felton, non azzardarti a comandare mia moglie, non azzardarti neppure a guardarla!- disse Tavington, strattonando Natasha ma continuando a fissare Tom. -Cosa avete intenzione di farle, Tavington? Non vi basta quello che avete già...- -Tom, non dire un'altra singola parola- Tutti si voltarono verso il Generale O'Hara. Natasha non lo aveva mai visto così: era serio più che mai ed aveva un'aria profondamente grave in volto. -Tu vieni con me, cara, abbiamo un paio di cosette da discutere insieme- sussurrò Tavington all'orecchio di Tasha, spingendola verso la porta. -No, ti prego...- esclamò Natasha, cercando di opporre resistenza -Ti prego, lasciami... mi fai male...- -Colonnello, lasciatela!- gridò Tom, alzandosi dal letto con un lenzuolo legato in vita e iniziando a inseguire Tavington, che intanto trascinava senza difficoltà Natasha per il corridoio. -No, Tom, tu rimarrai qui. Mi devi delle spiegazioni!- disse O'Hara in tono fermo, ostacolando Tom. -Zio, lasciatemi passare... non capite? La sta portando a... le farà del male! Non potete trattenermi qui!- -Non posso?- disse O'Hara iniziando ad alzare la voce -Ti dirò io quello che non puoi fare tu, ragazzo... il Colonnello Tavington è il marito di Natasha... ha pieno diritto su di lei! Anche se in questo momento la stesse uccidendo, tu non potresti fare niente- Tom lo guardò stringendo gli occhi, come se non credesse a quello che aveva appena sentito. Ad un tratto la rabbia prevalse in lui. Dal corridoio provenivano le grida di aiuto di Natasha... -SPOSTATEVI!- gridò Tom, e spinse O'Hara da parte con una tale forza che il generale cadde a terra. Tom uscì nel corridoio di corsa e vide il Colonnello Tavington strattonare Natasha verso la porta della loro camera. -Natasha!- gridò, correndole incontro. -Tom!- pianse lei, cercando di liberarsi dalla presa di Tavington. Ma il colonnello aveva già raggiunto la porta e senza esitazioni la aprì e gettò Natasha dentro. Natasha cadde a terra su un fianco, colpendo pesantemente il duro legno del pavimento con la tempia destra. Gridò di dolore e strinse gli occhi, mentre Tavington chiudeva la porta, soffocando le urla di Tom provenienti dall'esterno. Tavington si sciolse i capelli e si sbottonò la giacca, senza staccare un attimo gli occhi da Natasha, che non lo vedeva ma avvertiva il suo sguardo. Tasha non si mosse. Rimase ferma per terra, ad ascoltare Tom battere alla porta, a prestare attenzione a ogni minimo movimento di Tavington, temendo il momento in cui lui sarebbe avanzato verso di lei. Il corpo di Natasha era scosso da incontrollabili brividi... non riusciva a smettere di tremare... Tra una silenziosa preghiera e l'altra, Natasha udì i passi di Tavington avvicinarsi a lei. Il pavimento vibrava sotto i suoi pesanti stivali... -Allora...- cominciò Tavington, prendendola per i capelli cosicchè lei fu costretta a tirare la testa indietro -Abbiamo ben deciso di intraprendere la carriera di puttana, non è così?- Natasha strizzò gli occhi mentre lui tirava un violento scossone ai suoi capelli. Cercò di non urlare. Non voleva dargli questa soddisfazione, nè preoccupare ulteriormente Tom, che, lo sapeva, era in ascolto appena fuori dalla porta. Tavington la sollevò in piedi senza alcuna difficoltà e la spinse contro il muro. Natasha non riuscì a trattenere un gemito quando la sua schiena colpì violentemente la parete. Tavington le immobilizzò le braccia sopra la testa con una sola mano. Natasha tentò inutilmente di liberarsi, ma la sua presa era di ferro. -Dunque...- disse Tavington a denti stretti, avvicinando il suo corpo a quello di lei -Sai cosa hai fatto, Natasha? Hai idea di ciò che significhi quello che tu hai avuto il CORAGGIO DI FARE???- Natasha tremò sotto il suo sguardo infuriato, e rispose, tra le lacrime: -William, io...- -NON MI IMPORTA DELLE TUE RIDICOLE SCUSE E SPIEGAZIONI!!!- gridò, il suo viso a pochi centimetri da quello terrorizzato di lei -Voglio che tu ti penta di aver fatto ciò che hai fatto...- Natasha singhiozzò: -Ti prego, William... ti prego! Lasciami andare, ti supplico, io...- Tavington le tirò uno schiaffo talmente forte che Natasha sbattè l'altra guancia sul muro, schiacciandosi un occhio. Battè le palpebre nel tentativo di riacquistare la vista, cercando per prima cosa di sopportare il dolore. Ma il dolore era troppo... -Mi chiedi di lasciarti andare...- disse lui freddamente -Dopo essere appena andata a letto con un imbecille risorto dalla tomba- Tavington rise, la risata più inquietante e crudele che Natasha avesse mai sentito -E credi davvero che io mi faccia intenerire da una puttana come te, Natasha? E' questo che credi, eh?- Natasha chiuse gli occhi per non fargli vedere le lacrime che, inarrestabili, minacciavano di rigarle le guance. Tavington la scosse rabbiosamente, e Natasha battè più volte la nuca e la schiena contro il duro e freddo muro contro il quale era imprigionata. Alcune lacrime le sgusciarono dagli occhi chiusi. Natasha le avvertì scorrere lentamente sulla guancia che lui le aveva appena fatto battere brutalmente contro la parete. -Oh, piangi...- disse lui in un sussurro pericoloso, avvicinando le sue labbra all'orecchio di lei, procurandole lunghi brividi gelidi -Sei convinta di impietosirmi, vero?- Natasha rimase immobile quando sentì la lingua di lui, calda e viscosa, percorrere lentamente il tragitto della sua lacrima e leccarle la guancia. Tasha voleva urlare, voleva che qualcuno la aiutasse, ma non ebbe la forza, o il coraggio per chiamare aiuto, per emmettere un suono che non fosse i respiri strozzati e i deboli gemiti che davano voce alla sua paura. Il respiro di Tavington divenne irregolare, sempre più serrato, mentre tornava a fissarla negli occhi. Non c'era traccia di pietà nel suo sguardo. Natasha lesse in quegli occhi ciò che lui aveva intenzione di farle, ciò per cui lui aveva aspettato più di otto mesi... le sue ginocchia iniziarono a cedere. Lui la sorresse per le spalle, inizialmente, poi si allontanò impercettibilmente da lei, che si accasciò ai suoi piedi. La testa di Natasha girava. Non si sentiva così da quando aveva bevuto il brandy nella stanza di Tom, tanto tempo prima. Ma stavolta non era ubriaca di brandy. Era ubriaca di paura. Tavington le teneva ancora i polsi in una morsa meno stretta ma ugualmente salda, e lei sentì le ossa delle braccia scricchiolarle mentre si inginocchiava, scossa dai brividi, vicino agli stivali di lui. Natasha notò che il lenzuolo nel quale teneva avvolto il suo corpo altrimenti nudo non sembrava destinato a resistere a lungo: se Tavington l'avesse scossa un'altra volta, sarebbe scivolato giù dalle sue spalle, scoprendola. E Tavington non vuole altro... Tavington le lasciò andare le braccia, che Natasha si mise lentamente in grembo. Se ne stava lì, a testa china, aspettando che lui iniziasse a spogliarla. Ma il colonnello sembrava esitare, come se stesse decidendo mentalmente quale punizione infliggerle per prima. Natasha vide le mani di lui tremare di rabbia. Ad un tratto, senza preavviso, uno degli stivali sul quale si era posato infine il suo guardo si alzò e la colpì con violenza in pieno viso. Natasha emise un verso strozzato quando battè a terra con tanta forza che tutto diventò nero per un istante. L'istante dopo Natasha se ne stava a guardare il suo stesso sangue colare sul pavimento in luccicanti fiotti. Non ebbe neppure il tempo di posarsi una mano sul naso per arginare il flusso, che un altro calcio la colpì, stavolta dritto nelle costole. Natasha gridò senza pietà quando sentì una strana sensazione al petto, seguita da un tric agghiacciante. La costola... Natasha si accorse di sputare sangue anche dalla bocca, ora. Il suo petto sembrava essersi ristretto: ogni volta che i polmoni si espandevano per farla respirare andavano a sbattere contro qualcosa... Natasha divenne paonazza per la mancanza d'aria. Riusciva a prendere fiato, anche se a malapena, ma ogni boccata d'aria le costava un'immensa mole di dolore. Rimase ferma per terra, inerte, cercando di chiudere gli occhi e morire prima che lui le sferzasse un altro colpo. Il suo sguardo storto e confuso si posò sul legno, un tempo lucido, sul quale ora continuavano a scendere goccioline di sangue sempre più frequenti. Le grida di Tom si facevano strada nella sua mente e pensò, sconvolta, che c'era solo una porta a dividerli... Mentre Natasha arrancava per prendere fiato, Tavington l'afferrò nuovamente per i capelli e la tirò su. Tasha ebbe l'impressione che il cuoio capelluto non sarebbe resistito a una tale pressione... si aspettava di vedere Tavington con in mano i suoi capelli strappati, tutti con un'estremità gocciolante sangue... Invece la capigliatura resistette e Natasha emise un gemito soffocato e sconnesso, provocatole dalla pressione dolorosa e grottesca dei polmoni contro la costola che Tavington aveva colpito. Tavington la rimise in piedi, sorreggendola senza troppo impegno. Natasha si lasciò guidare mollemente, incapace di reagire, la sua mente concentrata sul forte dolore al petto che seguiva ogni passo che lui, con il totale controllo su di lei, le faceva fare. Si avvicinavano alla porta. La mente confusa di Natasha, straziata dalla sofferenza, riuscì a stento a capire dove si stavano dirigendo, ed una riflessione sul perché Tavington la stava portando verso la porta dietro la quale Tom urlava disperato era oltre ogni sua capacità, al momento. Si limitò ad osservare quello che le stava facendo fare. Tavington le avvolse un braccio attorno al collo ed aprì la porta.

Tom sobbalzò di sorpresa quando vide la porta aprirsi davanti a lui. Un dolore consistente gli proveniva dalle mani ormai rosse, strette a pugno, che così assiduamente avevano battuto su quel duro legno impenetrabile, mosse dalla disperazione e dall'afflizione più nera. Tavington apparve sulla soglia, il braccio destro attorno al collo di Natasha. Tom si sentì morire quando la vide: aveva il viso coperto di sangue; gli occhi, di solito così dolci e pieni d'amore ora erano semichiusi, morenti; il lenzuolo che teneva attorno al corpo era ancora miracolosamente avvolto intorno a lei, ma sembrava in condizioni precarie; il suo colorito era paonazzo, e Tom vide chiaramente il sangue che aveva sulle guance mischiarsi con le lacrime abbondanti sgorgate dai suoi occhi. Il petto di Tom iniziò ad alzarsi ed abbassarsi febbrilmente, animato da una rabbia che non aveva mai provato prima, una rabbia peggiorata dall'odio, dalla disperazione, e da un colossale senso di colpa. -BASTARDO!!!!!!!!!- gridò, prima di scagliarsi con tutte le sue forze su Tavington. Al colonnello bastò un calcio ben assestato per rispedire Tom contro il muro. Ma il ragazzo non si arrese e si gettò nuovamente in avanti, ansioso di cancellare quel ghigno dalla faccia di Tavington, ansioso di distruggerlo, di stringergli le mani al collo e soffocarlo come lui stava facendo a Natasha proprio in quel momento... -Dimmi che cosa vuoi, Felton- disse tranquillamente Tavington, scagliandolo ancora una volta contro il muro. Questa volta Tom colpì la parete con forza, troppa forza. Gli sembrò che la schiena gli si spezzasse, e scivolò a terra, seduto contro il muro del corridoio, ad ansimare. -Tom...- Un debole gemito era uscito dalla bocca di Natasha, ancora stretta da Tavington, il quale serrò la presa. Tom vide Natasha stringere gli occhi, mentre il rossore del suo viso diventava più intenso. -Lasciala... Tavington- gridò Tom, da terra. Tavington rise, beffardo: -Non credo- -Non... azzardarti... a farle... del male...- -Ah, no?- ribattè Tavington -Peccato che lei sia mia moglie ora, e la decisione di cosa farle e cosa non farle spetti a me- Tavington voltò il capo verso Natasha e le posò un bacio fra i capelli, con fare possessivo. Tom si sentì come se qualcuno lo avesse accoltellato alla milza. -Bè, se non hai nient'altro da dirmi...- disse Tavington, muovendosi per chiudere la porta. Natasha emise un debole verso di protesta. -Non... lasciala... non...- mormorò Tom confusamente. Ma Tavington non gli prestò la minima attenzione e, rivoltogli un ultimo ghigno beffardo, chiuse la porta definitivamente. Tom udì distintamente un grido di dolore provenire dalla stanza, e questo lo fece sentire, se possibile, ancora peggio.

Natasha gridò con la poca aria che le era rimasta nei polmoni quando lui la buttò sul letto e montò a cavalcioni su di lei. Se avesse avuto la capacità, la forza per pregarlo a voce alta di non farle altro male, Natasha l'avrebbe fatto. Supplicarlo avrebbe dato tregua, per un attimo, alla sofferenza, anche se probabilmente poi sarebbe tornata integra o maggiore, dal momento che sicuramente lui non le avrebbe dato ascolto, anzi, le avrebbe tirato uno schiaffo, le avrebbe intimato di stare zitta, le avrebbe urlato contro. Ma stavolta Tasha stava male davvero. A meno che non si sbagliasse di grosso, stava morendo. Il dolore che le proveniva dalla costola colpita era lancinante, Natasha si chiedeva cosa ci facesse ancora tra i vivi, visto che aveva l'impressione che il suo torace si fosse squartato. E Tom... come stava? Lo schianto con il quale la sua schiena aveva colpito la parete era stato agghiacciante. Natasha lo immaginò là, nel corridoio, seduto per terra, impotente. Perché Tavington lo aveva colpito? Perché O'Hara non era lì a rimproverarlo, a dire indignato che non si aspettava un comportamento simile contro suo nipote, e cose del genere? Era tutta colpa sua, di Natasha. Era colpa sua se ora Tom era ferito. Era colpa sua se aveva litigato con suo zio... Natasha li aveva sentiti gridare mentre veniva trascinata in camera da Tavington. Il Generale O'Hara era arrabbiatissimo. Si sentiva terribilmente in colpa. In un lampo, ricordò quello che era successo pochi minuti prima nella camera di Tom, e il suo cuore si rasserenò un poco, dandole la forza di aprire gli occhi. Il Colonnello Tavington si stava togliendo la camicia, facendo scivolare via i bottoni dalle asole con gesti furiosi e colmi di minaccia. La camicia fu gettata a terra, e prima che Natasha potesse realizzarlo, lui aveva aderito il corpo a quello di lei e le aveva iniziato a baciarle il collo lasciandole dei piccoli segni rossi sulla pelle. Le labbra del colonnello, bollenti e bramose, scesero più giù e Natasha, suo malgrado, inarcò la schiena quando lui le strappò il lenzuolo dal corpo, scoprendola completamente. Le lacrime accecavano la vista a Natasha, che comunque non voleva vedere quello che già sentiva. Tavington le immobilizzò le braccia sulla testa, senza che ne avesse davvero bisogno. Anche se ne avesse avuto la forza, infatti, Tasha non avrebbe combattuto contro di lui. Ormai sapeva che era impossibile vincere. Tavington tracciò una linea di baci bollenti fino al suo seno, prima di iniziare e leccarle il primo capezzolo. Natasha emise un debole gemito quando sentì i denti di lui stringersi intorno a quest'ultimo, provocandole un dolore atroce. Tavington non se ne curò, ma anzi si occupò dell'altro seno e strinse ancora più dolorosamente il capezzolo tra i suoi denti. Ti prego, fallo smettere..., pregò Natasha silenziosamente, Ti prego... La lingua di Tavington scese fino al suo ombelico, che leccò tutt'attorno, provocandole degli inspiegabili brividi di eccitazione. Natasha rimase immobile, talvolta presa da una convulsione, ad aspettare che lui proseguisse. Sapeva di stare per provare un grande dolore, e cercava di prepararsi psicologicamente. Tavington impiegò solo qualche secondo per slacciarsi i pantaloni, poi, ancora tremante di rabbia, spinse il lei con tanta forza che Natasha ebbe l'impressione che il suo corpo si stesse spaccando in due. Urlò, trovando l'ossigeno chissà dove. Anche se Tasha fosse stata muta avrebbe urlato, lo sapeva. Il dolore era troppo. Le lacrime raddoppiarono, il dolore al petto sparì sostituito da un male cento volte peggiore. L'erezione del colonnello era penetrata in lei con tanta violenza che si sentì come se un coltello dalla lama affilata stesse squartando senza pietà la sua carne più intima. Quasi senza accorgersene, le sue dita si aggrapparono al copriletto e lo strinsero, mentre lui iniziava a spingere più a fondo. La cosa terribile era che Natasha non riusciva a immaginare che si potesse andare più a fondo di così. Continuando a spingere senza pietà, il Colonnello Tavington si stese completamente su di lei e sul suo corpo straziato. Affondò il viso nei suoi capelli, ansimando. Natasha fu quasi soffocata dal suo petto e alcuni stralci di capelli castano scuro le ricaddero sul viso, invadendola con il suo profumo. Ora ansimava anche lei, e la presa delle sue dita sul copriletto stava diventando sempre più intensa, mentre, senza grande successo, cercava di distogliere la mente da quello che lui le stava facendo. Quale pensiero era così felice da distrarla da tanta soffrenza? Tentò di evocare nella mente immagini di Tom, ma erano tutte legate ad un senso di colpa profondo che non la faceva affatto stare meglio. Allora pensò a Willy, ma il semplice fatto che si chiamasse come l'uomo che in quel momento la stava stuprando non aiutò le cose. Pensò, inorridita, a quando Willy avrebbe scoperto com'era nato. Non da un atto d'amore, ma da una brutalità che sua padre aveva compiuto su sua madre. Natasha non lo avrebbe sopportato, e sarebbe stata costretta a mentire ancora una volta ad una persona che amava, come era successo tanto tempo prima con Tom. Non c'era niente da fare, pensò tremante mentre il dolore in lei raggiungeva nuove vette, la vita non le riservava altro che miseria. Inevitabilmente, il suo pensiero tornò al colonnello. Quanto ancora l'avrebbe torturata? Quanto ancora sarebbe durata la sua punizione per essere andata a letto con Tom? E, soprattutto, cosa sarebbe venuto dopo? Tavington non sembrava avere la minima intenzione di fermarsi, o di rallentare la sua andatura. Anzi, l'accellerò, intensificando la disperazione della sua giovane moglie. Dove Natasha trovò la forza di parlare, non se lo spiegarono mai, nè lui, nè lei stessa. -William...- sussurrò, ma poiché il suo mento era appoggiato sulla spalla di lui, Tavington riuscì a sentirla. -No, non dire una parola, puttana- ansimò lui malevolmente al suo orecchio -Non dire una sola parola o giurò che ti ammazzo- La prospettiva di essere uccisa si presentò meno inquietante del solito nella mente di Natasha. No, la morte non era peggio di questo. Natasha era sicura che morire sarebbe stato molto meno doloroso che continuare a vivere. Ripensò a quando, quel mattino di fine marzo, aveva tentato di uccidere Tavington. Se avesse avuto una pistola, in quel momento, non l'avrebbe puntata sul colonnello, ma su sé stessa. Sì, era certamente la cosa che adesso desiderava di più. E, pensò mentre nuove lacrime calde le solcavano le guance, Tom avrebbe capito. Tom avrebbe capito perché lei aveva deciso di farla finita. Le sarebbe dispiaciuto lasciarlo solo, e lasciare Willy con il suo sanguinario padre, e abbandonare Rupert al suo destino, qualunque esso sarebbe essere, ma sapeva che tutti, anche suo figlio, una volta che avrebbe saputo la verità, avrebbero capito la sua disperazione. No, Natasha non aveva più vincoli che la trattenessero in vita. Un tempo avrebbe potuto temere di spezzare il cuore a sua madre, a suo padre, a tutta la sua famiglia, ma ora l'unica cosa che voleva era rivederli. Rivederli?, disse una voce maligna e insopportabile dentro di lei, E pensi davvero che sarebbero orgogliosi di te? Come potresti mai raccontare loro tutti i peccati che hai commesso? Non ti vergogni nemmeno un po'? Sì che mi vergogno, pensò Natasha disperata, Allora pregherò il Signore perché, una volta morta, mi mandi all'Inferno. Lì non incontrerò di certo i miei genitori. E l'Inferno non può essere peggio di qui, Satana non può essere peggio di Tavington... Natasha chiuse gli occhi dal dolore quando il ritmo del colonnello accellerò. Lo udì ansimare e gemere. Non voglio più vedere nessuno, non voglio più parlare con nessuno... voglio solo che mi lascino morire in pace. Voglio morire, voglio raggiungere l'Inferno e vivere per sempre nella dannazione che mi merito... voglio annegare nella mia vergogna, voglio portarla alla mia tomba e dormire con lei in eterno... non voglio che nessun altro la veda... voglio morire. Un raggio di luna illuminò la pistola di Tavington sul comodino, esattamente dov'era quel mattino primaverile, quando lei aveva ceduto alla tentazione di ucciderlo. Nonostante fosse così vicina a lei, Tasha la vedeva lontana chilometri. Era ancora più invitante e stuzzicante del solito... Ti prego, ti prego... fa che io possa prenderla, dammi la forza di porre fine a tutto questo... La testa di Natasha prese a girare vorticosamente per il dolore. Era inconcepibile, una tale agonia... era inconcepibile che Tavington stesse ancora spingendo in lei, con velocità e forza sempre maggiori... non era possibile che lei fosse ancora viva... La costola ferita iniziava a scricchiolare sotto il peso di lui, così come il suo bacino. Dio, aveva dimenticato quanto fosse pesante quel petto così muscoloso e duro... Tavington la guardò negli occhi e Natasha provò una fitta al cuore. A lui piaceva, si vedeva benissimo... gli piaceva farla soffrire, farla star male, farla piangere... Natasha chiuse gli occhi davanti alla sua espressione malefica e riprese a pregare che lui provasse pena per lei e la lasciasse andare. Ma il dolore continuò a tormentarla, e solo dopo quelli che parvero millenni, lui uscì dal corpo di lei e si stese al suo fianco, ansimando profondamente. Natasha rimase immobile, arrancando per riprendere fiato. La sua costola gemette più che mai e Tasha ebbe ancora una volta l'impressione di essere sul letto di morte. Tavington chiuse gli occhi, il suo petto robusto che si alzava e si abbassava febbrilmente, ed appoggiò la testa sul cuscino, passandosi una mano tra i capelli. Natasha lo guardò girando appena la testa ed aspettò in silenzio la sua prossima mossa, sperando che questa volta l'avrebbe uccisa. Dopo molti minuti il respiro di Tavington ritornò costante, e Tasha ebbe l'impressione che si fosse addormentato. Forse non ci sarebbero state altre punizioni, dopotutto. Stava per voltare nuovamente la testa, magari per cercare di prendere sonno, quando gli occhi di lui si aprirono di scatto, facendola sobbalzare dolorosamente. Tavington si stese su un fianco e la guardò, gli occhi brillanti nella luce della luna e i lienamenti del viso duri e furiosi. Le prese il mento con una mano e la costrinse a fissarlo negli occhi. -Non provare mai più a disobbedirmi- scandì, la presa sul suo mento che diventava via via più salda. Natasha rabbrividì mentre nuove lacrime scendevano dai suoi occhi. Si sentiva fragile più che mai, ed era tornata a desiderare che lui non le facesse altro male. La mano di Tavington vagò sul seno di lei, sfiorandolo, e giunse proprio sulla pelle sopra la costola dolorante. -Ti ho fatto questo- le disse in un sussurro -Per fare in modo che tu non possa più andare a fare la puttana di quell'idiota di Tom. In effetti- disse, mentre un ghigno cattivo gli piegava le labbra -Non credo che potrai andare molto in giro nei prossimi giorni- Natasha per un attimo temette che lui iniziasse a premere le dita sulla costola, ma lui non lo fece. Si limitò a lanciarle un'occhiata prima di lasciarle andare il mento e infilarsi sotto le coperte. Non la aiutò a fare lo stesso, così Natasha se ne rimase, nuda, sul copriletto. In pochi minuti, il gelo di novembre la travolse. Con grande sforzo, riuscì a recuperare il lenzuolo che lui aveva gettato poco più in là mentre la spogliava, e sì coprì con quello. Natasha sentì che era umido in più punti e si accorse che era sporco di sangue, il sangue che le era uscito dalla bocca e dal naso dopo che lui l'aveva colpita. Si chiese quanto grave fosse ciò che lui le aveva provocato. Non ne sapeva niente di medicina, però si rendeva conto che tanto dolore doveva avere una fonte. Non sapeva neppure se sperare che fosse grave o no. Non sapeva più nulla, era solo conscia della sofferenza nel suo corpo, delle sue paure, del freddo che la sua pelle scoperta stava provando. Chiuse gli occhi e cercò di prendere sonno, ma nonappena le sue palpebre furono abbassate, immagini le giunsero spontanee. Eccole lì, le vedeva tutte le crudeltà che Tavington le aveva inflitto... Vide una ragazza con i capelli color rame essere malmenata brutalmente da un Dragone in una fredda notte invernale, appena fuori da una locanda... vide la stessa ragazza urlare davanti al cadavere della madre e del fratello... vide il Dragone tentare di stragolarla... baciarla quando lei era debole e ferita... violentarla... vide un ragazzo biondo correre via nella pioggia... vide l'uomo che era la causa di tutto ciò fermo sull'altare, che la aspettava... lo vide spingere il ragazzo biondo contro il muro... lo vide portarla a letto nuovamente... Le lacrime giunsero senza che lei riuscisse a fermarle. Era inutile impedire a quei ricordi di tornare, freschi e nitidi, nella sua mente, perché Natasha sapeva che non sarebbe mai riuscita a buttarseli alle spalle e dimenticarli. Le avevano segnato la vita e sarebbero rimasti, indelebili, crudelmente realistici, fermi ed immobili nella sua mente. E l'avrebbero tormentata in eterno.

Tavington aprì gli occhi nel cuore della notte. Doveva essere molto tardi, forse un paio di ore prima dell'alba. Tavington sbuffò e si rigirò dall'altra parte, chiedendosi cosa diamine lo avesse svegliato. Poi dopo qualche secondo l'udì di nuovo. Era un pianto, dolce e attutito, che aveva infranto il suo sonno leggero. Tavington sbattè le palpebre ripetutamente, cercando di rischiararsi la vista. Corrugando la fronte, vide una figuretta stesa poco più in là, mezzo coperta in un lenzuolo bianco sporco di sangue. L'espressione di Tavington da confusa divenne gelida. Si azzardava anche a piangere, quella puttana maledetta. La cosa che lo fece infuriare ancora di più fu che il suo primo pensiero era stato quello di prenderla e aiutarla a stendersi sotto le coperte, per proteggerla dal freddo. No, Tasha, stavolta non mi convincerai..., pensò furibondo, Stavolta non farò la figura dell'idiota... Perché era così che si era comportato durante quegli ultimi mesi. Da idiota. Un idiota totale. Lei, in un modo che lui ancora ignorava totalmente, era riuscita a stregarlo, a metterlo a cuccia come se fosse stato un cane. No, quel periodo era finito. Era giunto il momento che il vecchio Colonnello Tavington tornasse alla carica e mettesse in riga quella stupida. Tale padre tale figlia, pensò. Ricordando la morte di George Halliwell, la sua mente rivisse bagliori dell'antico orgoglio. Sì, pensò mentre si rigirava sull'altro fianco voltando le spalle a Natasha, William Tavington è tornato.

Fu una lunga notte per molti degli abitanti del palazzo. Il Generale O'Hara era stato chiamato da Lord Cornwallis per discutere alcune tattiche che si erano prolungate per diverse ore. Mentre se ne stava ad ascoltare distrattamente i commenti del Lord Generale, la mente ancora fissa sul litigio avuto con il nipote, nella sua camera Natasha Halliwell si era finalmente addormentata, le guance ancora umide di pianto. Purtroppo il sonno non era riuscito a cogliere Tom Felton, che non si era mosso da dove Tavington lo aveva lasciato. Tom si sentiva confuso. Il dolore alla schiena -aveva preso una bella botta- era l'ultimo dei suoi pensieri. Natasha il primo. Tavington il secondo. Tom aveva pensato che con il suo ritorno le cose sarebbero cambiate. Si aspettava che, dal momento che Tavington aveva sposato Natasha solo per il bambino, lui non le avrebbe impedito di amarlo. Non pensava che avrebbe impedito a Tom di vederla. Lui non la ama... perché diavolo le sta facendo questo? Ha tutte le prostitute del Forte ai suoi piedi, anche quella Sharon... se vuole andare a letto con qualcuno perché non và con loro? Cosa vuole da Tasha? Lei è la mia Tasha, e mia soltanto... è per lei che ho stretto i denti e sono andato avanti, quand'ero a Boston, invece di abbandonarmi alla disperazione... è per lei che sono tornato... solo per lei. Tavington non ha fatto tutto questo per averla. Tavington non la ama, non la merita... e non ha il diritto di farle quello che le sta facendo! Tom si prese la testa tra le mani. Perché, perché diavolo le cose stavano andando così? Perché stava succedendo tutto ciò? Perché Tavington non la lasciava andare? Dio, chissà in che condizioni era Natasha... Tom non aveva sentito molti altri rumori dopo che la porta gli era stata chiusa in faccia. Delle urla di Natasha, una replica infuriata di Tavington, diversi movimenti e poi silenzio. Come stava Natasha? Cosa diavolo le aveva fatto? La prima cosa che farò domattina sarà andare a controllare..., si disse. Quindi girò la testa verso la finestra ed attese che le luci del mattino apparissero all'orizzonte.

Quando Natasha aprì debolmente gli occhi, la prima cosa che notò fu la luce giallastra che invadeva la stanza. Doveva essere appena passata l'alba. Dei movimenti di stivali sul legno le dissero che Tavington si era già alzato. -Sono stato chiamato a un consiglio di guerra a Camden, sarò di ritorno domani- le disse, nonappena vide che lei era sveglia -Ma questo- disse, avvicinandosi al letto e guardandola negli occhi -Non vuol dire che tu sia autorizzata ad andare a letto con il primo che incontri, chiaro?- Natasha voltò la testa dall'altra parte e annuì debolmente. -Bene, speriamo che questa volta tu sia capace di fare la moglie fedele. A quanto pare questo ruolo non ti si addice molto- Natasha non rispose. Non era adatta a fare la moglie fedele? -In ogni caso- proseguì lui, pettinandosi i capelli davanti allo specchio -Chiuderò la porta a chiave- Natasha rimase zitta ancora una volta. Cercava di raccogliere le energie necessarie per parlare. -Potrò... potrò chiamare un dottore, almeno?- mormorò, mentre un dolore lancinante al petto la faceva sperare che la risposta fosse sì. Tavington si legò i capelli senza rispondere, quindi si allacciò la giacca rossa e verde continuando a guardarsi allo specchio con nonchalance. Natasha odiava quel suo modo di fare. Lui si voltò e la guardò dall'alto della sua statura. -Un dottore?- disse in tono scettico -E perché dovresti?- Natasha sentì al rabbia montarle dentro, e il fatto di non potere urlare per sfogarla la fece irritare ancora di più. -La mia costola...- fu tutto quello che riuscì a sussurrare, allo stremo delle forze. Le sopracciglia di Tavington si alzarono. -D'accordo- disse, con l'aria di fare un grande concessione -Ma sei caduta da cavallo- -Come?- disse Natasha. -Ho detto- ripetè lui in tono quasi stizzito -Che sei caduta da cavallo. Non vorrai mica far sapere a tutti che ti ho punita perché sei andata a letto con un poco di buono come Felton, non è vero?- Natasha rimase pensierosa. In effetti, non gliene importava nulla di quello che avrebbero detto gli abitanti del palazzo se avessero scoperto che Tavington la picchiava, però non era neanche tanto stupida da disobbedirgli dopo quello che le era successo l'ultima volta che l'aveva fatto. -Và bene- mormorò. Tutto quello che voleva era passare una mattinata tranquilla ed essere visitata da un medico. -Brava la mia ragazza- disse Tavington ironicamente, posandole un bacio sulla fronte. Si incamminò verso la porta che dava sul corridoio. -Manderò a chiamare il dottore- le disse, prima di uscire. Natasha rimase sola ad aspettare che arrivasse qualcuno. Si chiese dove fosse finito Tom, e perché ancora lui non fosse arrivato. Non essere stupida, si disse, Dovrà pure aspettare che Tavington se ne vada... Pochi minuti dopo bussarono discretamente alla porta. -Avanti- disse Natasha con un filo di voce, sperando di vedere comparire Tom, magari con il vassoio della colazione come ai vecchi tempi. Invece era solo il dottor Frankson, che avanzò portando una valigetta con sé. -Buongiorno, signora Tavington- le disse cordialmente, appoggiando la valigetta sul comodino e voltandosi verso di lei -Come sta il bambino?- Natasha lo maledì mentalmente per costringerla a dare queste risposte inutili. Se Willy stava male, non avrebbe subito chiamato qualcuno? -Be... ne- riuscì a dire, il dolore alla costola sempre più acuto. Il dottore rispose con un sorriso. -Ne sono felice- disse, sedendosi in una sedia vicino al letto sul quale Tasha giaceva -Ora, il Colonnello Tavington mi ha spiegato le circostanze del vostro tragico incidente- Natasha ringraziò il cielo che lui fosse arrivato al punto. -Signora Tavington, così non và- disse lui con aria di rimprovero, scuotendo la testa a destra e sinistra -Come potete pensare di andare a cavallo il giorno dopo del parto?- Natasha gemette. Il dolore era diventato insopportabile. -Dovevate essere giudiziosa e aspettare che passassero alcuni giorni. Era così ovvio che sareste caduta- Natasha gemette ancora. Il dottore parve prendere quei gemiti per impecazioni di rimorso, invece che di rabbia, quindi andò avanti con la sua predica. -I cavalli, poi... sono bestie feroci, indomabili. Già è difficile controllarli in perfette condizioni di salute! Ma, immagino che voi e vostro marito abbiate voluto festeggiare la nascita del vostro bimbo con una bella cavalcata lontano dal mondo, vero? Eh, sì posso capire... la gioventù- -Dottore- gemette Natasha -Potreste... dare un'occhiata... alla mia... costola?- Il dottore sorrise: -Certo, certo, sono qui per questo- Appunto, pensò Natasha. Il mattino terminò senza grandi avvenimenti. Il dottor Frankson somministrò a Tasha alcuni antidolorifici che, dovette ammetterlo anche lei, la fecero stare molto meglio. Poi Natasha fu spostata con cautela nell'ex appartamento di Bordon, per dare il tempo a Sally di cambiare le lenzuola e dare una pulita al pavimento. Mentre passava in corridoio in braccio al dottore, Natasha lanciò un'occhiata alla porta della stanza di Tom, ma la trovò chiusa. Nessun rumore proveniva dall'interno e Natasha si chiese, terrificata, se lui se ne fosse andato di nuovo. Nella stanza di Bordon, trovò un inquieto Willy ad aspettarla. Non era in grado di prenderlo in braccio (in effetti non riusciva neppure a stare seduta sul letto), così si limitò a dargli un dito per farlo giocare. Natasha si sentiva in colpa perché non riusciva a passare più tempo con il suo piccolo, ma d'altro canto non poteva farci niente. In fondo era Tavington a decidere tutto, sempre, e lei non aveva altra scelta se non ubbidire in silenzio ai suoi ordini e sopportare, sempre in silenzio, le sue assurde punizioni. La trattava come se avesse chiesto lei di sposarlo. Come se volesse farla sentire in colpa per quello che aveva fatto. Ma lei non poteva sentirsi meno colpevole di così; aveva solo dato ascolto a quello che le diceva il suo cuore, e questa non poteva considerarsi una colpa, anche se l'aveva portata ad una notte di sofferenze. Il dottor Frankson, dopo averla riaccompagnata in camera, le diede alcune istruzioni: -Allora, signora Tavington- disse con fare sussiegoso -La vostra non è una costola rotta, ma semplicemente incrinata. Le costole incrinate hanno solo bisogno di riposo. Vedrete, in un paio di settimane avrete netti miglioramenti e nel giro di un mese sarete a posto. Se doveste sentire ancora dolore, lascio gli antidolorifici a vostro marito, quando lo incontro. Bè, credo di aver finito, qui. Arrivederci, e ricordate... la prossima volta che andrete a cavallo pensateci due volte!- Uscì con un gran sorriso. Una volta che fu sola, Natasha alzò le sopracciglia, esasperata. Esisteva della gente veramente stupida. Si mosse leggermente tentando di trovare una posizione comoda. Il dolore al petto era svanito, e lei aveva intenzione di godersi il temporaneo effetto dei farmaci. Mentre stava per assopirsi, la porta si aprì di nuovo. Natasha aprì gli occhi in tempo per vedere Tom chiudere di scatto la porta alle sue spalle. -Tom!- soffiò Natasha. Tom le si avvicinò e le prese una mano, baciandola. -Tesoro- mormorò, scostandole un ciuffo dalla fronte. Natasha notò che un velo di tristezza oscurava i suoi occhi. -Non stai bene- disse lui, inginocchiandosi vicino a lei -Ed è tutta colpa mia...- -Oh, no Tom- gli disse lei, guardandolo negli occhi -Non dire stupidaggini- Tom chinò il capo sulla sua mano. -Mi dispiace- disse a voce molto bassa -Mi dispiace tanto- -Tom- disse lei in tono fermo -Guardami- Tom alzò la testa, diversi ciuffi biondi davanti agli occhi. -Ehi...- mormorò lei, sfiorandogli il viso con una mano -L'ho voluto io, ricordi? Tu mi avevi detto che ci sarebbero stati dei gravi rischi... tu avevi previsto che qualcosa del genere potesse succedere... ma io ti ho pregato di andare avanti- lo sguardo di lei si fece più intenso mentre un sorriso le incurvava le labbra -E ne è valsa la pena- Lui sorrise debolmente. -E' che...- disse, tornando ad abbassare lo sguardo -Io... insomma...- i suoi occhi tornarono a fissarsi in quelli di lei -Io non ce la faccio più ad andare avanti così. Quand'ero a Boston... non ti vedevo, non ricevevo i tuoi baci, non riuscivo ad esprimerti il mio amore... ma almeno non ti vedevo nemmeno soffrire. Natasha... io non riesco più a sopportare tutto questo. Io ti amo, ti amo troppo...- continuò dolcemente, accarezzandole una guancia -E vorrei proteggerti da ogni male, ma come vedi non sono in grado di farlo. Io... sono inutile- Natasha lo guardò senza capire. Tom abbassò il capo e Natasha lo sentì singhiozzare. -Tom...- disse lei. Voleva più di ogni cosa alzarsi da quel maledetto letto e baciarlo, dirgli che era tutto a posto. Come aveva potuto pensare, la notte prima, di suicidarsi? Come aveva potuto pensare di fargli questo? Natasha si sentì ancora una volta in colpa. Cercò di avvicinarsi il più possibile a lui e gli sussurrò: -Tom, se potessi tornare indietro... ti giuro che farei esattamente quello che ho fatto. Ieri...- sospirò profondamente -Ieri mi hai fatto passare dei momenti meravigliosi. Come puoi pensare che io rimpianga ciò che è successo, che ti dia addirittura la colpa? E' colpa di Tavington... e sua soltanto- Tom alzò lentamente il capo. Natasha vide che le sue guance erano rigate di lacrime, e questo la fece stare male. -Oh, Natasha...- mormorò -Tesoro...- Si alzò in piedi e la baciò. Natasha si sentì come se un fiotto di vita le attraversasse il corpo. -Ti amo, Tasha- mormorò lui -Non mi stancherò mai di dirtelo- Natasha sorrise: -E io non mi stancherò mai di sentirmelo dire- Tom le prese le mani e regnò il silenzio per qualche minuto. Poi lui sospirò profondamente: -Senti, Tasha...- cominciò -Stavo pensando una cosa. Quando tu sarai guarita, dici che... insomma...- abbassò la voce e la guardò negli occhi -Credi che potrei aiutarti a... fuggire?- Natasha impiegò qualche secondo ad afferrare le parole che lui aveva pronunciato. -Fuggire?- bisbigliò, confusa. Tom la guardò intensamente: -Il mio più grande desiderio è che tu ti allontani da lui. Vorrei che lui non potesse farti altro male. Voglio che tu sia felice, e potrai esserlo solo in un luogo molto, molto lontano da qui- -Ma...- balbettò Natasha -Come faremo ad andarcene?- Le parole di Natasha sembrarono incupire ancora maggiormente Tom. Esplose in una brave risata amara: -No, Tasha. Come farai ad andartene è la domanda giusta- Tasha lo guardò incredula: -Tom, è già difficile che io riesca ad andarmene, figuriamoci se riesco a fuggire da sola!- -L'unico modo in cui tu puoi uscire da questo maledetto forte è con una copertura dall'interno- disse Tom -La mia- Natasha battè ripetutamente le palpebre, confusa. Non riusciva a capire cosa intendesse dire Tom. Ma intanto, piano piano, l'idea di lasciare Fort Carolina si faceva strada nella sua mente... lasciare Tavington, lasciare quelle maledette mura... Poi il ricordo di Tavington la riportò bruscamente alla realtà. -Lui mi troverà- mormorò Natasha. Tom abbassò lo sguardo: -Senti, io avevo pensato una cosa. Nel prossimo mese Tavington e i Generali saranno occupatissimi. La guardia ai confini del forte sarà più labile, renderà la fuga più semplice. Per me non sarà difficile distrarre i soldati quel tanto che basta per darti via libera. Ma...- l'entusiasmo di Tom parve svanire -Già, dimenticavo... tu non hai dove andare- A Natasha le si illuminarono gli occhi: -No, aspetta!- esclamò -C'è mio fratello! So anche dove si trova! Potrei andare da lui!- Un sorriso illuminò il bel viso di Tom: -Giusto! Senti, ti nascondi da lui per un po' e poi... e poi appena posso ti raggiungo! E porterò Willy con me, cosa dici?- Natasha rise. Non si sentiva così felice da secoli. -Sì, sì, Tom!- disse, contenta -E' perfetto!- Entusiasti, si abbracciarono, stringendosi forte l'uno all'altra. L'idea di lasciarsi alle spalle Fort Carolina era fantastica per entrambi; sembrava anche troppo bello per essere vero. Infatti...