Capitolo 10
Fuga dal forte

Natasha impiegò più del previsto a guarire. Secondo il dottor Frankson la sue lenta guarigione era dovuta al fatto che non riuscisse a rilassarsi. Natasha avrebbe anche potuto accogliere quest' ipotesi (dopo tutto ciò che aveva passato le riusciva assai difficile trovare pace) se non fosse che il dottor Frankson non le pareva un medico molto affidabile. In effetti Natasha aveva l'impressione che la cosa non dipendesse tutta da lui. Aveva incominciato a supporre addirittura che Tavington lo avesse minacciato di non fare una diagnosi che prevedeva la guarigione di Natasha solo dopo qualche mese. Ad ogni modo, nonostante il dottore continuase a ripeterle nelle sue visite giornaliere che ben presto sarebbe stato in grado di camminare, quel "ben presto" fu traducibile in "fine febbraio". Infatti pochi giorni prima dell'inizio di marzo, Natasha fu in grado di alzarsi, dopo quasi tre mesi trascorsi a letto, e di muovere qualche passo. La costola non doleva quasi più, grazie all'ausilio dei farmaci e degli antidolorifici forniti dal dottore, e l'umore di Natasha non potè che migliorare, anche se, come Tasha fece notare a sé stessa, "di certo non poteva peggiorare". Purtroppo, però, il lento recupero delle capacità fisiche di Natasha fu la causa della rovina del piano di fuga di Tom, anche se entrambi non perdevano le speranze. In effetti Tom aveva raccontato a Natasha, in occasione di uno dei loro incontri segreti, che aveva sentito dire che per la fine di marzo i colonnelli e i generali presenti a palazzo sarebbero stato chiamati ad una lunga campagna lungo il Santee che li avrebbe tenuti tutti occupati per due intere settimane. Questa notizia aveva rallegrato molto Natasha, che si era quindi prefissata un obiettivo: guarire e tornare in forma entro la fine di marzo. -Speriamo di farcela, stavolta- aveva detto Tom, seduto sul letto accanto a lei. Natasha non aveva risposto. Si sentiva stranamente superstiziosa, ultimamente, e contava di preservarsi più fortuna possibile per la fuga. Lei e Tom avevano ormai pianificato tutto nei minimi particolari, e Tasha, anche da un punto di vista obiettivo, doveva ammettere che erano riusciti ad elaborare un ottimo piano. Tom avrebbe distratto con una qualche ragione i soldati di turno all'esterno, magari con la scusa di un incendio, di una rapina, o qualcosa del genere. Natasha sarebbe corsa veloce fuori dal palazzo (ecco un altro motivo per cui doveva guarire alla svelta) e sarebbe andata nella stalla a prendere un cavallo qualsiasi. Poi via, sarebbe fuggita, cavalcando lontano da quel dannato forte. Sarebbe andata a rifugiarsi nel bosco vicino a casa sua, dove avrebbe trovato Rupert. Avrebbero passato insieme alcuni giorni, fino a che non fosse arrivato Tom con Willy, e a quel punto sarebbero partiti tutti quanti verso qualche stato ancora in mano ai coloni, come la Carolina del Nord. Natasha sorrideva tutte le volte che le veniva in mente questa bella prospettiva. Lei, Tom e il bambino. Come sarebbe potuta andare meglio? Il primo di marzo, Natasha fu svegliata da un bacio sulla fronte. -Io vado- disse Tavington, alzandosi e dirigendosi verso la porta. Tasha sbattè gli occhi nella luce che entrava a fiotti dalle finestre. -Passa da Willy prima di andare via- mormorò, la voce impastata dal sonno. Sentì Tavington sbuffare. -Non ho tempo, ci andrai tu- disse in tono che non ammetteva repliche -Sono in ritardo- Detto questo sbattè la porta dietro di sé. Natasha sbadigliò, infastidita. Ultimamente Tavington non sembrava aver tempo per nulla che non fosse la guerra, i Generali, o, ma proprio al limite, Sharon. Natasha in effetti vedeva suo marito solo alla sera, e non sempre. Tornava a notte tarda e si alzava poco dopo l'alba. Natasha aveva l'impressione che le cose, là fuori, si stavano avviando ad una fine. Che vincessero Inglesi o Americani, per lei non faceva differenza. Il suo destino sarebbe stato con Tavington comunque. Quello che temeva di più era la fine della guerra, quando Fort Carolina sarebbe stato abbandonato, perché -in caso di vincita o di perdita- un forte non serviva a nulla quando non c'era una guerra in corso. E l'abbandonare Fort Carolina avrebbe significato molto per Natasha. In caso di vittoria, lei, Tavington e Willy sarebbero andati a vivere in Ohio, dove un titolo di nobiltà li attendeva. Se gli Inglesi avessero vinto Natasha sarebbe diventata governatrice insieme a suo marito. Ma il peggio non era questo. Il peggio era che, finita la guerra, lei e Tom avrebbero dovuto dirsi addio per sempre. Lui sarebbe stato costretto a tornare in Inghilterra, dai suoi genitori. E se anche non lo avesse fatto, non avrebbe certo potuto continuare a tenersi in contatto con Natasha, non quando loro due non sarebbero più vissuti sotto lo stesso tetto. E anche in caso di vittoria degli Americani, le cose non sarebbero cambiate molto. Tavington aveva parlato a Natasha di una villa che possedeva nei dintorni di Liverpool: certamente, se la guerra fosse andata male per gli Inglesi, lei, Tavington e Willy si sarebbero stabiliti là. E anche se Tom li avesse seguiti, Natasha dubitava che potesse in qualche modo mettersi in contatto con lei. No, non c'era via di fuga: con la fine della guerra sarebbe giunta anche la fine delle loro possibilità di vivere una vita insieme. Per questo, con l'avvicinarsi della fine delle ostilità, era importante che il loro piano per fuggire dal forte funzionasse. Era la loro unica speranza. E non avevano intenzione di farla sfumare.

Dopo essersi vestita, Natasha andò a prendere Willy e, una volta fatto colazione, si diresse in giardino per una passeggiata. Ultimamente trascorreva molto tempo all'aperto: fuori faceva ancora freddo, ma nel cielo cominciava già a brillare un bel sole splendente, che la metteva di buon umore. Mentre si sedeva sulla solita panchina, Natasha realizzò che le cose stavano finalmente andando un po' meglio. Tavington non passava molto tempo con lei, e anche se nelle rare occasioni in cui lo faceva pretendeva da lei del sesso sfrenato, Tasha sentiva il suo umore migliorare sempre più, forse perché non sentiva più il fiato di lui sul collo ogni santo giorno, come succedeva prima. -Guarda, Willy... mi vedi? Mi vedi bene? Io sono la mamma- disse al piccolo. Era cresciuto molto negli ultimi tempi e aveva cominciato ad emettere dei suoni, a giocare, così era da un po' che Tasha aveva preso l'abitudine di cercare di insegnargli a dire "mamma". -M-a-m-m-a- sillabò, gesticolando verso di sé -Io sono la M-A-M-M-A- Il piccolo spalancò gli occhioni azzurri e scoppiò in una risatina acuta. Natasha gli sorrise di rimando. -Se non altro lo fai divertire- disse una voce alle sue spalle. Natasha si voltò e vide Tom venire verso di lei, le mani in tasca. -Tom!- bisbigliò lei, contenta di vederlo e preoccupata allo stesso tempo -Non dovresti essere qui!- Tom si sedette accanto a lei e le sorrise. -Nah, Tavington se n'è andato mezz'ora fa- disse, mentre Willy gli lanciava un gridolino a mò di saluto -Vuoi cacciarmi via?- le disse, alzando le sopracciglia ironicamente. Dio, è troppo bello quando fa così..., pensò Natasha trasognata. -Certo che no- rispose. Una brezza leggera si levò intorno a loro. Tom rivolse la sua attenzione al piccolo. -Ehi Willy- gli disse. Il bambino rise mentre Tom lo faceva giocare con le sue dita. Natasha ebbe la fugace impressione che ormai Willy si fosse abituato a vedere più Tom che Tavington. Andiamo bene..., pensò, mentre guardava Tom continuare il suo gioco con Willy. -Ci sai fare con i bambini- osservò, sorridendo. -Bè, ho fatto pratica con mia sorella- disse Tom, sorridendo al bambino che ora rideva felice. Natasha lo guardò. -Non sapeva che avessi una sorella- mormorò. -Già, tu non sai molto di me- ribattè Tom, alzando lo sguardo. Tasha si rese conto che aveva ragione. Non sapeva nulla di lui, tranne il fatto che lo amava. In effetti non aveva bisogno di sapere altro, però, allo stesso tempo, si sentiva curiosa. -No, è vero- disse -Perché non mi racconti qualcosa?- Tom sorrise: -Non c'è tanto da sapere, in verità. I miei genitori vivono a Londra, proprio nel centro. Mi sono allontanato da loro perché desideravo un po' di libertà. Il Generale O'Hara è il fratello di mia madre, così... ho pensato che sarei potuto venire a vivere qui piuttosto che andarmene là. All'inizio ho detto ai miei che sarei tornato, ma ora non ne sono tanto sicuro. Devo dire che all'America preferisco di gran lunga la cara Inghilterra, ma c'è un motivo più che valido per cui io devo rimanere qui...- La guardò negli occhi con uno sguardo profondo. Natasha si sentì arrossire e sorrise: -Non riesco a credere che tu rimanga qui per me- -E chi stava parlando di te?- scherzò Tom -Io dicevo del panorama...- Natasha gli tirò una spinta che quasi lo fece cadere dalla panchina. Si rialzò, ridendo e, una volta seduto, avvicinò il viso a quello di lei. Natasha fu presa dall'irresistibile tentazione di baciarlo, di cedere alla voglia di sentire ancora una volta le sue labbra sulle sue, ma si scostò leggermente, fermandolo. -Tom...- mormorò, affranta.-Lo so- rispose lui, sospirando amaramente e allontanandosi da lei. Natasha gli appoggiò una mano sulla spalla: -Dài, non fare così- Tom si voltò verso di lei: -Ma nessuno ci sta guardando- sussurrò. -Come fai a sapere chi si nasconde dietro quelle tende?- mormorò lei, indicando con un dito le molte finestre dietro di loro, sul retro del palazzo. Tom sospirò di nuovo e sorrise amaramente: -D'accordo, d'accordo, hai ragione tu, come al solito- Tasha gli strinse la spalla. Passarono alcuni secondi in silenzio. Poi Natasha disse: -Mi dicevi che hai una sorella?- Tom impiegò qualche secondo a rispondere. -Ne avevo una, sì- mormorò, fissando gli occhi davanti a sé -Ma è morta- Natasha abbassò lo sguardo. -Mi dispiace- gli disse -So cosa significa perdere una sorella- Tom scosse la testa e tornò a guardarla: -No, non fraintendermi. E' vissuta solo pochi mesi, cinque o sei, credo, poi si è ammalata improvvisamente. Quel raffreddore l'ha uccisa nel giro di una settimana. Mia madre era sconvolta- -Posso immaginarmelo- mormorò Natasha -Dev'essere stato terribile- Tom sospirò: -Già. Ma sono cose che si superano- Furono interrotti da Willy, che per qualche motivo si era messo a piangere. -Shh, tesoro, shh. Cosa c'è?- gli disse Natasha, per placarlo. Lo prese in braccio e iniziò a cullarlo dolcemente. Tom sorrise vedendo con quanto amore la ragazza stava guardando il piccolo. -Sarà meglio che ci separiamo- le disse, alzandosi -O il nostro Willy attirerà un po' troppo l'attenzione e saranno guai se qualcuno ci vede insieme- Natasha annuì lentamente. -Allora ci vediamo- gli sorrise. Tom volse a entrambi un cenno di saluto e sparì dietro l'angolo, diretto all'entrata del forte.

I giorni trascorsero con una velocità impressionante, e prima che qualcuno potesse rendersene conto, erano già arrivati alla fine di marzo. Il giorno del suo diciassettesimo compleanno, Natasha si svegliò con una certa eccitazione nello stomaco. La fuga era prevista per il pomeriggio dopo. Si vestì ed uscì dalla stanza. Nel corridoio incrociò Tom, ma dal momento che un Dragone stava passando proprio in quel momento, lui si limitò a farle l'occhiolino e lei gli sorrise. Andò a fare una visitina a Willy, ma il bimbo stava dormendo e Tasha non ebbe il coraggio di svegliarlo, così si diresse a fare colazione da sola. Mangiò nella sala da pranzo quasi deserta come al solito (ultimamente si alzava molto tardi dal letto: aveva bisogno di raccogliere le energie e riposare finchè poteva), con poco appetito, nonostante fosse una giornata meravigliosa: dalle alte finestre penetrava una luce forte e decisa. Natasha sperò che il giorno dopo fosse stato altrettanto soleggiato. Dopo avere controllato che nessuno la stesse osservando, Natasha afferrò alcune pagnotte di pane e un vasetto di marmellata d'arance e se le infilò sotto il vestito; voleva raccogliere tutto il cibo che poteva per portarlo a Rupert, nel caso lui ne avesse avuto bisogno. Poco dopo tornò in camera, nascose tutto quello che aveva rubato dalla tavola nel guardaroba, sotto i vestiti, sistemandoli in modo che non si notasse niente di strano. Chiuse l'armadio e prese un libro da un cassetto della scrivania. Quindi uscì di fuori, nella luce del sole, e si sedette sulla sua panchina a leggere. Un forte vento le scompigliò i capelli, e dovette tenere ferme le pagine con tutte e due le mani perché non si sfogliassero. Impiegò qualche minuto prima di capire di essere osservata. Alzò il capo lentamente e strizzò gli occhi in direzione di Sharon, che la squadrava dall'angolo del palazzo. La ragazza quel giorno era vestita con un abito corto rosa e bianco, disgustosamente scollato. Natasha notò che aveva le braccia incrociate sul petto e un'espressione di totale furia sul viso scarno. -Ciao Sharon- disse distrattamente Natasha, tornando al suo libro. Non le andava di discutere ancora con lei. -Oh, buongiorno, signora Tavington- disse lei in tono sgradevole. Natasha le rivolse un'occhiata impassibile: -Vattene- Sharon le si avvicinò e Natasha vide che tremava di rabbia. -E' così che ti devo chiamare, adesso, vero? E mi dicevi...- sembrava che l'indignazione le rendesse difficile parlare -E mi dicevi cose del tipo "Sharon, non dovresti fargli da puttana"... a quanto pare non sono io la puttana, vero, Tasha? Sei una stronza!- Detto questo le diede una spinta che la fece cadere con la schiena sul terreno. Natasha si sentì mancare il respiro quando la costola appena guarita gemette per la botta. Guardò in alto fino alla sorella, incredula di quello che le aveva appena fatto. -Come... come hai potuto?- gridò Sharon, gli occhi fuori dalle orbite -Come hai potuto farmi questo? Brutta stronza! Figlia di puttana!- le diede un calcio, ma i mesi che Tasha aveva trascorso ad essere malmenata da Tavington le avevano insegnato qualcosa. Forse non riusciva ancora a difendersi da suo marito, ma da un'altra donna sì. Rotolò sul terreno, evitando il piede di Sharon che continuava a scalciare furibondo, e riuscì a rialzarsi in piedi. Si diresse verso Sharon con passo pesante, mossa da una rabbia che non provava da tempo. La prese per le spalle e la spinse contro il muro. Sentì il tonfo della testa di Sharon che batteva contro il muro, e per un attimo capì cosa ci trovava di tanto piacevole Tavington nel picchiare la gente: si sentiva potente, e invece di placarsi, la rabbia non faceva che aumentare e crescere di nuovo. Natasha afferrò Sharon ancora una volta e la sbattè più forte contro la parete di pietra, moltiplicando le grida di lei. -Adesso mi ascolterai- le disse, il petto che si alzava e si abbassava dolorosamente -Ascoltami bene, Sharon. Non azzardarti mai più a venire da me, hai capito? Non ti voglio più vedere e non ti vedrò più, chiaro?- Sharon la guardò come se non credesse alle sue orecchie, ma non disse altro. Natasha sentì la rabbia sbollire dentro di lei e la lasciò andare. Sharon corse via senza voltarsi indietro, e, una volta sola, Natasha scoppiò a ridere. In effetti non era molto esilarante vedere quanto sua sorella fosse impazzita sotto l'influenza di Tavington, ma era bello, per una volta, non essere la vittima. Sentendosi orgogliosa di sé stessa, Natasha riprese il suo libro dall'erba nel quale era caduto e riprese a leggere.

Dopo pranzo, Natasha si ritirò in camera con l'idea di farsi una bella dormita. Si stese sul letto e, rannichiatasi su un fianco, si mise a pensare al giorno dopo. Il piano di fuga era stato organizzato per essere messo in atto alle quattro e mezza del pomeriggio successivo quando, per certo, al forte non ci sarebbe stato quasi nessuno. Natasha non stava più nella pelle di andarsene da lì, anche se Willy le sarebbe mancato molto. Inoltre, non poteva fare a meno di provare una morsa di paura ogni volta che pensava ai rischi che lei e Tom avrebbero dovuto correre. Si stava per addormentare quando la porta della stanza si spalancò e Tavington fece il suo ingresso nella camera. Natasha si tirò su a sedere. Il colonnello appariva stanco e depresso. Dopo essersi sciolto i capelli e tolto gli stivali e la giacca, si buttò sulla poltroncina della scrivania e si versò del brandy. Lo sorseggiò in silenzio, con gli occhi chiusi, mentre con una mano si massaggiava le tempie. -Tutto bene?- gli chiese Natasha, incerta. Tavington non aprì gli occhi, ma disse con voce roca: -Siamo invitati a Middleton Place, stasera- In risposta allo sguardo interrogativo di Natasha, Tavington borbottò: -Un ballo- -Oh- disse Natasha. L'ultima cosa che aveva voglia di fare era partecipare ad un ballo. Cioè, non che da piccola non lo avesse mai desiderato, ma ora come ora Tasha non esultava all'idea di trovarsi per ore in mezzo a gente che non conosceva, e che, ci avrebbe scommesso, le avrebbero puntato gli occhi addosso per tutto il tempo. E poi Tasha detestava ballare. Ad un tratto, immaginando di volteggiare in mezzo a un salone da ballo con Tavington, le scappò da ridere, ma preferì trattenersi visto che lui appariva così stressato. Tavington aprì gli occhi e la guardò. -Lo trovi divertente, eh?- Natasha si sentì sollevata quando colse una nota divertita nella sua voce e nel suo sguardo. -Bè- ammise, arrossendo -Non riesco a immaginarmi te che balli- Le labbra di Tavington si piegarono in un sorriso. Per un attimo Tasha rimase come folgorata dal suo fascino. Tavington si stese sul letto e le fece appoggiare la testa sul suo petto, mentre lui le passava una mano tra i capelli, distrattamente, guardando il soffitto. -Sono stanco- disse dopo qualche secondo. Natasha non rispose, mentre la sua testa si alzava e si abbassava al tempo del respiro di lui. -Non andiamo, allora- suggerì timidamente dopo qualche secondo. Tavington sospirò: -Dobbiamo- -Perché?- -Perché ho rifiutato gli ultimi nove inviti- rispose Tavington. Natasha rise: -Bè, allora credo che dovremmo, sì- Tavington grugnì: -Non ne ho voglia- -Nemmeno io- sospirò Natasha. Ma la sua mente già si domandava come sarebbe stato ballare con il Colonnello Tavington.

Qualche ora prima del ballo, Natasha decise di recarsi da Rowena per farsi consigliare un vestito. Non che ci tenesse particolarmente a fare bella figura, ma Tavington le aveva detto di mettersi qualcosa di elegante. Natasha attraversò i corridoi velocemente, senza lanciare neppure uno sguardo dalle finestre che oltrepassava: ogni volta che vedeva il cortile le veniva una stretta allo stomaco, pensando che il giorno dopo sarebbe dovuta fuggire da lì. Arrivata nell'atrio, udì delle voci femminili provenienti dalla sala da pranzo, ma non ci fece caso finchè non udì il suo nome. -Eh, sì, quella Halliwell è davvero una ragazza fortunata. Ma care, ci pensate?! Se non si fosse sposata con il colonnello, questa sera al ballo io avrei potuto fare colpo su di lui, no? Sono sicuramente più affascinante di quella bambina!- -Devo ricordarti, cara, che ti accompagno io al ballo? Credi davvero che, vicino ad una bellezza mozzafiato come me, lui ti avrebbe rivolto anche un solo sguardo?- -Oh, non parlarmi del suo sguardo, per favore!- la voce sospirò, sognante -Ha degli occhi meravigliosi...- -Occhi che, tralaltro, sono rivolti sempre verso di me- rimbeccò una terza voce. -Sì, certo, Mary, certo. Tutti a palazzo sanno che lui muore per me!- -Ma non dire sciocchezze!- esclamò una quarta -Io provengo da una nobile famiglia inglese, senza dubbio lui fra noi tutte scieglierebbe me!- -Come no!- -Continua a sognare, cara!- -Sogno sì! E chi non sogna il Colonnello Tavington??- Le voci si misero a ridacchiare. Natasha salì le scale di corsa, sperando che le quattro ragazze non si accorgessero che lei aveva sentito tutto. Arrivata sul primo pianerottolo, si voltò e rivolse uno sguardo verso l'atrio. Non avrebbe saputo dire come si sentiva. Da una parte arrabbiata, dall'altra divertita, e da un'altra ancora... orgogliosa. Che se lo tengano pure, pensò irritata, decidendo di non indagare più a fondo sulla natura di quei sentimenti contrastanti, Se hanno voglia di essere picchiate un giorno sì e uno no... se hanno voglia di essere comandate a bacchetta... se hanno voglia di vedere la loro vita andare in fumo... Tasha dovette concentrarsi per trattenere le lacrime. Alla fine, percorse più velocemente possibile il pezzo di corridoio che la separava dalla stanza di Rowena e bussò alla porta. Si udirono dei movimenti dall'interno e poco dopo la porta di spalancò e Rowena comparve sulla porta. Indossava un lungo abito rosa salmone e si stava aggiustando uno scialle di perline al collo. Spalancò i piccoli occhi scuri nel vederla. -Oh, Natasha!!!!!! Cara!!!!!!! Che bello rivederti!!!! A cosa devo questa bella visita, carina??- esclamò mentre la faceva entrare -Charles! E' la signora Tavington!- Natasha entrò e vide il Generale O'Hara in piedi al centro della stanza. I suoi occhi azzurro cielo spiccavano sul viso rosso pomodoro. Natasha non potè fare a meno di notare che era un po' spettinato. -Piacere di vedervi, signora Tavington- le disse gentilmente. Avevano fatto pace qualche mese prima, e ora lui e suo nipote si parlavano di nuovo. Natasha era felice che avesse dimenticato l'accaduto, però non potè fare a meno di sentirsi imbarazzata. -Buongiorno, generale- disse timidamente, mentre cominciava a domandarsi cosa ci faceva nella stanza di Rowena. -Scusatemi signore, ma temo proprio che per me sia ora di andare- si congedò il generale, inchinandosi ad entrambe e precipitandosi fuori dalla stanza. Rowena alzò gli occhi al cielo mentre chiudeva la porta. -Eh, gli uomini!- sospirò, sorridendo -Sempre così riservati!- Natasha non sapeva cosa dire, così rimase zitta. -Allora, tesoro, perché sei venuta a farmi visita? Qualcosa non và?- Natasha avrebbe dato qualunque cosa perché lei non le facesse quella domanda. Improvvisamente, mentre fissava gli occhi sereni di Rowena, le venne l'irresistibile impulso di raccontarle tutto. Probabilmente l'avrebbe aiutata, scaricare un po' del peso che la opprimeva su qualcun altro... -No- disse, quasi senza rendersene conto -No, sono solo... venuta... perché stasera c'è... un ballo... e devo vestirmi bene, William ha detto...- -Oh, certo, figliola! Adesso troverò un bel vestito perfetto per te!!- esclamò Rowena al settimo cielo. Si mise a rovistare nel suo inesauribile armadio e poco dopo ne emerse con un abito di velluto nero. Lo stese davanti a sé e lo osservò con occhio critico. -No, santo cielo, non devi andare a un funerale- borbottò, gettandolo da parte. Poco dopo tirò fuori un abito bordeux con soffici ricami floreali. -Carino questo, vero? Ma non credo che sia della tua taglia... no, andrebbe probabilmente bene a me...- Riprese a cercare. Quando ormai Natasha iniziava a perdere le speranze, Rowena emise un verso trionfante e tirò fuori un lussuoso e sontuoso vestito color crema, con un ampia scollatura e un'allacciatura incrociata sulla schiena. -Questo!!!- esclamò, precipitandosi verso Tasha. Lei lo guardò e sorrise: -E' meraviglioso- disse, sfiorando la stoffa. -Ed è anche in ottime condizioni!- osservò Rowena -Perché non lo provi, cara?- Natasha gettò un'occhiata alla pendola vicino alla porta. Erano già le sette e mezzo. -Credo che sia ora che mi prepari- mormorò. -Lascia che ti dia una mano!- disse Rowena, trascinandola alla toletta. Natasha acconsentì e mezz'ora dopo usciva dalla stanza della vedova vestita e pronta per il ballo.

Tavington si passò una mano sui capelli senza che ce ne fosse la necessità: non ve n'era uno fuori posto. Soddisfatto di come appariva nello specchio, si tirò le maniche della giacca e iniziò a battere impercettibilmente la punta dello stivale sul pavimento. Che fine aveva fatto Natasha? Proprio mentre iniziava a pensare a una ramanzina da farle, la porta si spalancò ed entrò Tasha. -Credo che dovremmo andare- gli disse distrattamente -Direi che possiamo passare da Willy a dargli un'occhiata prima di uscire, non credi? Sono secoli che non lo vedi...- Tavington rimase a guardarla, folgorato. Indossava un lungo vestito color crema, ampiamente scollato, che aderiva perfettamente al suo corpo sinuoso e giovane; i suoi capelli rosso rame erano legati in un elaboratissima crocchia circolare sulla nuca, con diverse ciocche che le ricadevano sulle spalle nude. I suoi occhi risaltavano sulla pelle liscia e chiara del suo viso, mandando bagliori ambrati; due chiazze rosse sulle guance indicavano ingenua eccitazione, il che gli ricordò che era il primo ballo per lei. Una figura così delicata e dolce gli parve improvvisamente proibita, lontana. Fu solo quando l'anello che lei portava al dito luccicò nella sua direzione che lui si ricordò, con orgoglio, che quella ragazza era sua. Completamente, interamente sua. -William?- disse lei. -Sì, andiamo- le rispose, uscendo nel corridoio e prendendola automaticamente sottobraccio. Si incamminarono verso la porta che conduceva all'atrio e Natasha lo fermò nonappena oltrepassarono la porta di Willy. -Ehi, William...- mormorò -Non vuoi...? Non credi che dovresti a dare un salutino a Willy, prima di...- -Passeremo da lui al ritorno, o rischiamo di arrivare in ritardo- disse lui in tono fermo. Dopo aver rivolto un'altra occhiata a Tasha, pensò che quella notte, dopo il ballo, non avrebbe avuto assolutamente voglia di andare a dormire...

L'atrio era pieno di coppie vestite elegantemente che si avviavano verso il portone. Natasha vide Wilkins rivolgere a Tavington un segno di saluto e distolse lo sguardo, pregando che Tavington non si fermasse a parlare. Ma Tavington non era il tipo da queste cose, infatti lui si limitò a fargli un leggero cenno con il capo e poco dopo lui e Tasha uscirono nell'aria pungente di fine marzo. Nonostante di giorno la temperatura fosse piacevole e il paesaggio attorno al forte addirittura incantevole, di sera era molto freddo e i boschi che fiancheggiavano l'alta palizzata di legno apparivano oscuri e inquietanti; non c'era vento, e le cime dei pini e degli abeti se ne stavano fermi e diritti, rivolti verso l'alto in quella che pareva una bizzarra imitazione dell'appuntito cancello sottostante. Fuori dalla barriera che chiudeva il cortile attendeva una fila di eleganti carrozze color blu polvere, che partivano nonappena le coppie vi salivano a bordo. Natasha si stupì nel vedere quanti Dragoni ci fossero, al forte: era abituata a vederne solo alcuni, ma improvvisamente si rese conto che entrambe le due unità di Fort Carolina (quella di Tavington e quella di Tarleton) erano molto numerose. Non ci aveva mai fatto caso prima. Cominciò a sentire freddo e guardandosi intorno pregò che il ballo non si svolgesse all'aperto. Finalmente lei e Tavington, insieme al Colonnello Tarleton e sua moglie Molly, occuparono una carrozza e partirono alla volta di Middleton Place. Durante il viaggio Tarleton e Tavington parlarono depressi del ballo. Neanche Tarleton sembrava ansioso di parteciparvi. -E' così terribile?- chiese Natasha timidamente. -Vedrete, signora Tavington- sospirò lui. Era proprio un bell'uomo: capelli lunghi quasi quanto quelli di Tavington, ma più chiari, e occhi color nocciola. Sua moglie era giovane e grassottella, con capelli ricci e neri, due grandi occhi scuri e l'aria un po' seccata. Non aveva ancora detto una parola. Neppure Tavington era molto loquace, ma del resto, pensò Natasha mentre lo guardava, quella era la sua natura. Dopo un quarto d'ora giunsero a Middleton Place. Tavington porse la mano a Natasha per aiutarla a scendere e lei abbandonò la carrozza guardandosi intorno meravigliata. Il giardino più grande che avesse mai visto si stendeva davanti ai suoi occhi: un sentiero di ghiaia diritto e perfetto si snodava per tutto il suo perimetro, fiancheggiato da siepi ben potate; lo sguardo di Tasha lo percorse fino a giungere ad un palazzo, vasto almeno il doppio di quello di Fort Carolina, le cui finestre illuminate gettavano luci di superiorità sull'esterno. Dragoni, nobili, ricchi aristocratici con le loro signore, gruppi di signorotti elegantemente vestiti, tutti passeggiavano per il giardino, diretti verso il palazzo. Natasha rabbrividì quando un vento leggero le mosse i capelli; sentì il profumo inconfondibile del mare, che le ricordò Charlestown, e si voltò. Il giardino si stendeva per miglia e miglia, oltre la stradina attraverso il quale giungevano altre carrozze, fino a scendere dolcemente su una baia alla quale era attraccata un'unica nave. Natasha vide la luna piena specchiata sulla superficie del mare, in lontananza... Non c'è che dire, pensò, continuando a guardarsi intorno ammirata, E' proprio un bel posto. -Avanti, su, vediamo di farla finita- sospirò Tavington rassegnato, iniziando a camminare senza degnare di uno sguardo la luna, o le stelle, o il giardino, con l'aria di uno che cose come quelle le vede tutti i giorni. Natasha lo prese sottobraccio e si affrettò a stare al passo con lui. Tarleton e sua moglie li seguivano, chiaccherando con una coppia di nobili dall'aria molto snob. Seguirono le varie coppie e i gruppi che si dirigevano verso il palazzo, superando sempre più gente. Tavington camminava molto velocemente. -Puoi andare un po' più piano?- gli chiese Natasha -Sto inciampando nel vestito- Tavington alzò gli occhi al cielo. -Allora facciamo che io vado avanti e ti raggiungo dopo?- propose lui, un ghigno sulle labbra. Natasha lo guardò sconvolta: -Cosa?! No, no, d'accordo, aumenterò il passo- -Come mai così nervosa?- chise lui, gli occhi che brillavano -E' solo uno stupido ballo- -Lo so- disse Natasha ansimando, la costola che iniziava a darle fitte d'avvertimento -Ma non mi và di rimanere in mezzo a tutta questa gente che non conosco- Tavington rise: -Pensa io che ci devo venire quasi tutte le volte che mi invitano- -Scommetto che una volta dentro non è così male- disse Natasha. Si sbagliava di grosso. Appena entrarono, Natasha ebbe giusto il tempo di catturare una fugace occhiata di un ingresso enorme, con pareti bianche e oro e tappeti rossi, che vide qualcuno che avrebbe preferito non vedere. Sarah Slaves se ne stava lì, in piedi vicino all'entrata, con un bicchiere di brandy in mano. Natasha dovette ammetterlo: era proprio bella. Indossava un lungo abito rosso, anche lei con le spalle scoperte, e i capelli sciolti le ricadevano sulla schiena in lunghi riccioli lucenti. Si diresse subito, senza il minimo imbarazzo, verso lei e Tavington. -William... che piacere vederti- disse con un sorriso accattivante, porgendogli la mano. Natasha si strinse al braccio di Tavington in un gesto istintivo. Tavington le sorrise: -Milady...- -Che peccato non poter dire lo stesso per voi, Natasha- disse Sarah con uno sguardo di superiorità. Natasha si sentì avvampare. -Per voi sono la signora Tavington, milady, chiamatemi pure così- ribattè -Mi chiamano per nome solo le persone con cui sono particolarmente in confidenza- Detto questo sorrise a Tavington. Tasha, che CAVOLO stai facendo?? -Certo- disse Sarah, il sorriso gelato sulle labbra -E ancora io sono qui a chiedermi perché mai proprio tu, Will, sia così entrato in confidenza con questa bimba- Gli occhi di Tavington brillarono: -Già, chissà se un giorno lo scoprirete, milady- disse con un ghigno. -Sai, William, credo che comunque questa sarà una cosa passeggera- proseguì Sarah -Quando sarai tornato in te... vieni pure da me. Sai benissimo dov'è la mia casa...- sorrise con aria sognante -Non credo che nessuno lo sappia meglio di te- Mentre Sarah le scoccava un altro sguardo di disgusto, Natasha si grattò sul naso con aria indifferente, sventolando l'anello di fidanzamento davanti a sé. -Andiamo a prendere da bere?- propose Tasha a Tavington -Sento l'irrefrenabile desiderio di allontanarmi da qui- Sembrava che Tavington fosse sul punto di fare uno dei suoi soliti ghigni, ma si trattenne e dopo un cenno di saluto a Sarah seguì Natasha attraverso la folla. -Sembrate molto amiche- commentò, prendendo il bicchiere che un servo gli porgeva. Natasha sbuffò: -Avevi ragione su quanto dicevi dei balli- rivolse un'occhiata intorno, dove l'orchestra stava suonando un valzer e molte coppie ballavano, facendo brillare i gioielli alla luce dei lampadari di cristallo -Sono terribili- Tavington alzò le sopracciglia. -Non ci resta che ballare- mormorò distrattamente, buttando giù in un sorso l'intero contenuto del bicchiere. -Cosa?!- gli chiese Natasha -Come, ballar...- Fu interrotta da un infrangersi di cristallo sul pavimento. Tavington aveva lasciato cadere il bicchiere, ma nessuno a parte Tasha lo aveva sentito, perché proprio in quel momento il valzer era finito e tutti stavano applaudendo i musicisti. -Perché l'hai fatto?- gli chiese, aggrottando le sopracciglia. -Perché volevo farlo- rispose Tavington, alzando le spalle -Allora, andiamo a ballare o no?- -Io... io...- disse Natasha, arrossendo -Veramente...- -Oh, andiamo- disse lui, tirandola verso il centro della pista da ballo -Non fare la timida- Natasha divenne completamente rossa mentre lui le metteva un braccio attorno alla vita e la stringeva a sé. -William, io... non sono... non so ball...- -Shh- le disse lui -Smettila di preoccuparti- L'orchestra attaccò con un pezzo lento e dolce, di clavicembalo accompagnato da tre o quattro archi. Era una musica molto piacevole, ma Natasha non era precisamente in vena di godersela. Era concentrata sul muovere i piedi avanti e indietro, cercando di non pestare quelli di lui. Si sentiva goffa come non si era mai sentita in vita sua. Tavington la teneva stretta, il suo mento che sfiorava la testa di lei, gli occhi che la guardavano. Le sue labbra si piegarono in un sorriso. -Te l'avevo detto che non sapevo ballare!- ribattè Natasha, guardandolo negli occhi con aria offesa. Gli occhi di Tavington brillarono: -Sei bellissima stasera- disse in un mormorio roco. Se Tasha non era abbastanza rossa, lo diventò. Le sue guance iniziarono a bollire. Quella era l'ultima cosa che si aspettava che lui le dicesse. Improvvisamente si accorse di quanto fosse diverso, in quel momento, da come era stato qualche mese prima, quando... insomma, quella sera lì, la sera del ritorno di Tom. -Oh...- disse cercando di prendere tempo -Oh...- ripetè. -Dai delle risposte molto interessanti, Tasha- disse lui, ironico -Molto eloquenti, oserei dire- Natasha sorrise. -Volevo solo dire... che... insomma, anche tu sei molto... molto...- sospirò -D'accordo, anche tu sei molto bello stasera- Era vero. Non che apparisse molto diverso da com'era gli altri giorni, ma in lui c'era qualcosa di... di strano. La stava guardando con la sua solita espressione, sì, ma per la prima volta Natasha si rese conto che c'era del buono in lui. Non era il sanguinario Colonnello Tavington. Non in quel momento, almeno. Improvvisamente Natasha provò l'impulso di abbracciarlo più di quanto non stesse già facendo, di stringerlo, ma una qualche parte di lei non voleva farlo; così rimase lì, a fissare quei misteriosi occhi azzurri che mai le erano sembrati più profondi e più pieni di segreti. Prima che se ne rendesse conto, il pezzo suonato dall'orchestra terminò e tutti batterono le mani. Natasha e Tavington si separarono lentamente. Tavington la riaccompagnò al tavolo delle bevande. Natasha prese un bicchiere di brandy e se lo avvicinò alle labbra. Bevve un lungo sorso, assaporandolo con l'aria dell'intenditrice. Tavington sorrise: -Vacci piano- Natasha sospirò: -Senti chi parla- Rimasero per un po' fermi al tavolo, a mangiare stuzzichini, bere brandy e guardare gli altri invitati. Ad un certo punto, quando il ballo ormai si avviava al termine, Tavington disse: -Andiamo fuori- Era appena apparso sulla soglia il Generale Cornwallis accopagnato dal fido O'Hara. Evidentemente Tavington voleva evitare di parlare con lui. -William, se non vuoi parlare con il Generali, non potremo uscire da lì- disse Natasha saggiamente indicando con un cenno del capo il portone principale. -Usciamo di qua- disse Tavington, prendendola per un braccio e conducendola verso una porticina dietro il buffet. Una volta fuori si ritrovarono in una sorta di giardino posteriore: era molto più piccolo, con un laghetto poco distante, contornato da salici piangenti. Era deserto. Tavington chiuse la porta dietro di sé, prese Tasha sottobraccio e si incamminò con lei verso il laghetto. Raggiunsero la cima della pozza d'acqua e si fermarono a guardare il cielo. -E' meraviglioso, qui- disse Natasha dopo qualche secondo, accennando al lago. Il cielo notturno si stendeva su di loro come un manto. Una brezza leggere accarezzava i loro volti, muovendo le fronde dei salici, increspando la superficie del lago e la sua versione del cielo sovrastante. Alcuni grilli cantavano in lontananza. -Già- rispose Tavington distrattamente. Mosse qualche passo verso il lago e sospirò profondamente, volgendo lo sguardo al cielo. D' un tratto Natasha si ricordò di una cosa che gli voleva chiedere da diverso tempo, ma che non aveva mai avuto il coraggio di chiedergli. Chissà se era il momento giusto? -William... posso farti una domanda?- Tavington assentì, lo sguardo fisso e immobile davanti a sé. Pareva molto pensieroso. -Cosa... cosa è successo ai tuoi genitori?- disse Tasha molto piano. Tavington abbassò lo sguardo e fissò il terreno. Sembrava determinato a non guardarla in faccia. Passarono alcuni secondi di silenzio e Natasha sospirò, pensando che lui non volesse più parlarle. Invece poco dopo Tavington cominciò: -Mia madre era nata in America- disse con una voce piatta che segnalava anche troppo chiaramente la profonda ferita che quel racconto stava per riaprire -Ma i suoi genitori erano inglesi. Un giorno incontrò mio padre, che si trovava per caso in America. Lui... era un mercante, veniva da Liverpool. Si innamorarono e mio padre decise di non lasciare più le colonie. Mia madre mi partorì a diciotto anni e mio padre aveva solo qualche anno in più di lei quando nacqui. Le cose andarono bene fino a quando io non compii tredici anni. In quel periodo mio padre... aveva preso una brutta abitudine- sospirò, e Natasha capì che, qualunque cosa fosse successa, raccontarla era molto doloroso -Aveva incominciato a bere. Mia madre gli diceva che non... gli diceva di non farlo, ma lui non la ascoltava. Col passare del tempo, iniziò a picchiarla- Natasha abbassò lo sguardo a terra. -Una sera- Tavington deglutì -Una sera tornò a casa ubriaco come non lo era mai stato. Si diresse verso mia madre... io cercai di fermarlo, ma fu inutile. Lui mi buttò a terra e non riuscii più ad alzarmi. Non potevo scappare, sarei dovuto restare lì a guardare mentre... mentre lui...- Tavington sbattè le ciglia ripetutamente e abbassò lo sguardo -Tirò fuori la pistola e le sparò- Natasha si portò le mani alla bocca, inorridita. -Poi si uccise- concluse Tavington, rialzando lo sguardo e fissandolo su di lei. -O mio Dio- mormorò Natasha. Non avrebbe mai potuto immaginare una storia del genere. Come era possibile che dietro ad un uomo freddo e crudele come il Colonnello Tavington si celasse un passato tanto orribile? Anche lei lo guardò. La sua espressione era imperscrutabile, nei suoi occhi non si leggeva nulla tranne che rabbia repressa. Gli posò una mano sul braccio. -William... io... mi dispiace- sussurrò, ancora scioccata -Non avrei mai immaginato che...- Tavington scosse la testa: -No, lo so. Non ti saresti mai immaginata che io potessi avere dei sentimenti, non ti saresti mai immaginata che io possa soffrire come gli altri, vero? Perché è questo che tutti pensano di me- Natasha scosse la testa vigorosamente: -Non mi sarei mai immaginata che avessi avuto un passato così...- -E' passato- tagliò corto Tavington -Non mi fa nè caldo nè freddo, ora- Quella era una bugia, Natasha lo capì benissimo. Ma preferì non discutere. -Mi dispiace- ripetè, stringendogli il braccio. Tavington la guardò negli occhi con una strana espressione. -Cosa c'è?- chiese Natasha. -E' che non riesco a capire- disse lui -Perché, fra tutte le persone, io l'abbia raccontato proprio a te- Natasha rimase sorpresa. -Non... non lo hai mai raccontato a nessun altro?- chiese con voce incerta. Ma dentro di lei cominciava ad aprirsi una breccia di comprensione. Ecco perché lui era sempre così riservato, così freddo con tutti, così violento... si era tenuto tutto questo dentro per anni e anni, e quei ricordi dovevano averlo torturato da un'eternità, rodendogli l'anima e forgiandola in quella che era diventata. Un'anima senza pietà per nessuno, perché nessuno aveva mai avuto pietà per lui. La vita non gli aveva dato niente, solo dolore e ricordi che avrebbe preferito non avere. Era più che ovvio che scaricasse la sua sofferenza sugli altri. In un lampo, Natasha provò per lui un profondo dispiacere. Dimenticò tutto ciò che lui le aveva fatto... ora sembrava avere un senso, anche se orribile e ingiusto. -No, non l'ho mai raccontato a nessuno prima- disse Tavington, continuando a studiarla -Nonostante alcuni, come Bordon, me lo avessero chiesto molte volte- Natasha strinse le labbra. Provava una profonda pena per lui, e non riusciva a smettere di pensare a ciò che le aveva appena raccontato. -Torniamo dentro, comincia a fare freddo- osservò Tavington, prendendola per mano e conducendola verso l'entrata secondaria del palazzo. Natasha annuì e lo seguì.

La mattina dopo, Natasha si svegliò con un sobbalzo. Aveva fatto un brutto sogno, anche se non ricordava esattamente su che cosa fosse. Sospirando, riappoggiò la testa sul cuscino. Tavington era lì che dormiva accanto a lei. La battaglia alla quale doveva partecipare quel giorno sarebbe iniziata al pomeriggio, quindi poteva tranquillamente trascorrere il mattino dormendo. Natasha si rigirò nel letto, pensando a quello che lui le aveva raccontato la notte prima. Che storia orribile. Natasha provava una sorta di senso di colpa quando si rendeva conto che stava per tradire la fiducia che lui le aveva dimostrato raccontandole quella vicenda del suo passato. Lei stava per andarsene. Nel giro di qualche ora, con un po' di fortuna, avrebbe lasciato Fort Carolina. Ma era pronta per compiere un passo del genere? Ricordò quella strana luce che brillava negli occhi di Tavington mentre ballavano, a Middleton Place. Lui le era sembrato così sincero in quel momento, così... Natasha si era sentita al sicuro con lui. Come poteva tradire la parte buona che c'era in lui scappando via? No, adesso non farti venire queste stupide idee in testa, disse una voce dentro di lei, Vuoi davvero passare il resto della tua vita a vivere nella sua ombra, a fare ciò che lui vuole che tu faccia? Ultimamente non è così male, disse una voce diversa dalla prima, Ultimamente lui ha posto della fiducia in te. Non sembra più intenzionato a farti del male. Ma ti rendi conto che la storia della morte dei suoi genitori non l'ha mai raccontata a nessuno, a parte te? Questo cosa diamine c'entra?, ribattè la prima voce, Chi ti dice che non sia una balla? I suoi occhi me lo dicono, disse la seconda, Potrei giurare che in quel momento era sincero. AL DIAVOLO! E Tom?? Appunto, Tom... non posso lasciarlo qui. Non posso lasciare Fort Carolina. E se Tavington uccidesse Willy mentre sono via? Ha degli scatti di rabbia spaventosi... Natasha si prese la testa tra le mani. Era terribilmente confusa. Solo il giorno prima la prospettiva di lasciare tutto e andarsene le era sembrata magnifica, ma ora non ne era più tanto convinta. Avrebbe significato lasciare Tom per chissà quanto tempo, abbandonare Willy in mano a Tavington, tradire la fiducia che suo marito le aveva appena dimostrato e cacciarsi in Dio solo sapeva quanti guai. E se poi Tavington l'avesse ritrovata? Cosa le avrebbe fatto? Cosa avrebbe fatto a Rupert, se avesse trovato anche lui? Piano piano però, l'immagine di Rupert si fece strada nella sua mente. Quanto voleva rivederlo... era un anno! Un anno che non aveva più sue notizie... sentiva così tanto la sua mancanza... E se Rupert non si fosse trovato più nella vecchia capanna del bosco? Sarà meglio che inizi a pregare che sia ancora lì, si disse, Sicuramente servirà molto di più che stare qui ad arrovellarsi su problemi inesistenti... Si girò sull'altro lato, tentando di riaddormentarsi.

Alle tre di quel pomeriggio, Natasha andò a fare visita a Willy. Lo prese in braccio e lo cullò, posandogli un bacio sulla fronte. Quanto le sarebbe mancato, quel piccolo fagottino... Lo strinse a sé, badando di non fargli male, e appoggiò la guancia sulla sua fragile testolina. Dopo una manciata di minuti, la porta si aprì alle sue spalle e Tasha si voltò. Tavington fece il suo ingresso nella stanza; Natasha notò che era vestito di tutto punto: indossava la sua divisa in modo impeccabile; la spada era affissa alla cintura e tintinnava minacciosamente, le mani erano già coperte dai guanti di pelle nera. -E' ora- la avvisò -Devo andare. Credo che sarò di ritorno solo fra un paio di settimane circa- Natasha annuì e gli porse Willy. -No, Tasha, devo andare, sono in ritardo- disse lui, voltandosi per uscire. Anche il suo tono di voce, tornato freddo e imperioso, sembrava essere già pronto per la battaglia. -William, ti prego- mormorò Natasha con voce implorante -Non rivedrai tuo figlio per due settimane, e forse anche di più. Per favore- Tavington alzò gli occhi al cielo e prese il bambino in braccio. -Willy, a quanto pare la mamma vuole che io arrivi in ritardo- gli disse, scoccando uno sguardo ammiccante a Natasha. Lei notò che era riemersa la parte dolce che c'era in lui. Willy sembrava sempre sortirgli quest'effetto. Natasha sorrise mentre li guardava. -Fai il bravo mentre sono via, d'accordo, Willy?- stava dicendo William -E mi raccomando, allontana ogni brutto uomo da lei. Non vorrai mica finire con un altro papà, eh?- Natasha distolse lo sguardo forse un po' troppo bruscamente. Era pazzesco come Tavington riuscisse sempre a farla sentire in colpa. Cercò di non mostrare la sua preoccupazione quando Tavington le rimise tra le braccia il bambino. -Adesso fai la nanna, tesoro- gli disse Tasha, rimettendolo nella culla. Quindi si voltò verso Tavington e gli sorrise stancamente: -Grazie, William. Ha bisogno di stare con te, ha bisogno di vederti, ogni tanto- Tavington annuì lentamente e le si avvicinò. Natasha evitò i suoi occhi per paura di sprofondarvi dentro. Lui la cinse con le braccia e la guardò. -Dato che ci sono potrei anche fare un salutino a mia moglie- sussurrò, prima di baciarla. Natasha sentì la sua anima rabbrividire, per chissà quale motivo. Era da molto che non le capitava di trovarsi stretta così dalle sue forti braccia; era da molto che lui non la baciava in quel modo, con tale passione da farle irrigidire tutto il corpo; era da molto che lui non la stringeva forte a sé. Erano emozioni già provate in passato, ma dimenticate, persino temute. No, quello che sentiva per la prima volta non era la sensazione in sé: era la volontà, seppure segregata e nascosta, che lui non se ne andasse, che continuasse a baciarla, lì in quella stanza, in quel preciso momento. Voleva che il tempo si fermasse e che lei non fosse costretta a pensare a un dopo, alle possibilità che il piano per fuggire dal forte andasse storto, al rischio che la sua vita potesse peggiorare ulteriormente. Invece il bacio finì e ben presto Tavington lasciò la stanza, dopo averle rivolto un ultimo cenno di saluto. Una volta sola, Natasha si accasciò a terra e si prese la testa tra le mani. Aveva voglia di piangere, di disperarsi. Ora un altro dubbio si era aggiunto nel turbine di preoccupazioni che le vorticava in testa. Il dubbio riguardava Willy. L'immagine di Tavington, un Tavington così diverso dal solito, che prendeva suo figlio in braccio e lo guardava con quell'impossibile espressione di amore era un tormento per lei. Si sentiva colpevole perché nel giro di poco tempo lei gli avrebbe portato via anche il suo unico erede, il bambino che Tavington aveva tanto desiderato. Chissà, forse Tom sarebbe riuscito a fuggire con Willy anche prima che il colonnello tornasse. In quel caso, quando William avrebbe fatto ritorno al forte, non solo non vi avrebbe trovato sua moglie, ma anche suo figlio sarebbe scomparso. Cosa avrebbe fatto Tavington a quel punto? A quel punto mi verrà a cercare, riflettè Natasha, E una volta trovata mi ucciderà. Sì, l'avrebbe uccisa. Le avrebbe sparato, e lei avrebbe rivisto i suoi genitori e Alan. Ma non avrebbe più visto Tom per tantissimo tempo, e neanche Willy. A meno che Tom non decidesse di seguirla. Smettila di pensare a queste idiozie. Il piano filerà liscio, non può succederti più nulla dopo tutto quello che ti è già accaduto! Lassù esiste Qualcuno che ti guarda, Tasha, e questo Qualcuno avrà pietà di te, almeno stavolta! La porta si aprì di nuovo e Natasha voltò la testa verso l'entrata della stanza. Tom corse verso di lei e le si inginocchiò di fianco. -Mio Dio, cosa ti ha fatto? Sei ferita? Stai bene? Non avevo sentito nessun grido, niente, altrimenti sarei arrivato subit...- -Non è niente Tom- gli disse lei -Io sto bene. Non mi ha fatto niente- Tom sospirò di sollievo: -Ma allora perché sei qui per terra?- -Io...- cominciò Natasha -Devo parlarti di una cosa- Tom appoggiò la schiena al muro e si sedette accanto a lei, in ascolto. -Dimmi- Natasha sospirò profondamente: -Senti, Tom... io non so se tu sarai d'accordo, ma... non mi sembra il caso di portarci via anche Willy. Voglio dire...- era difficile spiegarlo -Tavington ha bisogno di lui. Gli vuole bene. E... credo che in qualche modo riuscirà anche a crescerlo- Tom la guardò a lungo, prima di dire, esitante: -Credi davvero che sia la cosa migliore per lui?- accennò con la testa alla culla, dentro la quale Willy dormiva tranquillamente -Per il piccolo, voglio dire- Natasha chiuse gli occhi e appoggiò la testa alla parete. -No, non lo so- ammise -So solo che una volta che saremo entrambi fuori di qui, noi... noi vivremo per un po' come dei vagabondi, intendo che dovremmo emigrare in un altro stato, verso il Nord... e non so se Willy ce la farà. Ha solo cinque mesi...- Natasha sospirò di nuovo -Tom, credo che la cosa migliore da fare, per lui, per noi, e per...- stava per dire "per Tavington", ma per qualche ragione non riuscì a pronunciare il suo nome. Deglutì e riprese -Credo che la cosa migliore per tutti sia lasciarlo qui- Tom alzò le sopracciglia. -Io non voglio scaricarti la responsabilità, Tasha- disse molto lentamente -Ma questa decisione non spetta a me. E' tuo figlio. Sappi solo che se deciderai di portarlo con noi, io sarò disposto non solo a tenerlo, ma anche a fuggire con lui, a rubarlo a Tavington. Ma è giusto che sia tu a decidere se farlo o no- Natasha annuì lentamente: -Sì, hai ragione- -Non dev'essere una scelta facile- disse Tom, comprensivo -Perciò mi toglierò dai piedi mentre decidi. Ricorda che tra un'ora e mezza ci ritroviamo in cortile al solito posto- -Sì, d'accordo- rispose Natasha in una sorta di trance. Aspettò che lui chiudesse la porta alle sue spalle, quindi si alzò e si diresse verso la culla, riflettendo sulla nuova responsabilità che era calata su di lei. Aveva poco tempo per prendere la sua decisione. Cosa sarebbe successo se l'avesse portato con lei e Tom? Avrebbero dovuto girovagare in cerca di un passaggio che li conducesse il più lontano possibile da lì, per prima cosa. Probabilmente avrebbero usufruito della carovana di Charlestown, dal momento che Tom sapeva dove passava. Ma a quel punto probabilmente sarebbero già diventati ricercati; avrebbero faticato molto a trovare un altro modo per lasciare la Carolina del Sud, e nel frattempo le provviste e il denaro che avevano con loro sarebbero finiti, e Willy avrebbe iniziato a sentire freddo e fame. Poi si sarebbe ammalato, e nel giro di un paio di giorni sarebbe... No, poteva anche andare diversamente. Tom poteva pagare il conducente della carovana da Charlestown perché li portasse immediatamente in città senza spargere la voce. Avrebbe potuto fare un viaggio relativamente tranquillo e giungere nella Carolina del Nord nel giro di una settimana o due. Da lì poi avrebbero iniziato una nuova vita, senza rimorsi e senza nostalgie di alcun tipo. Tavington li avrebbe cercati forse per mesi, ma con la guerra in corso e con tutte le cose che aveva da fare non sarebbe andato molto lontano e il Generale Cornwallis non gli avrebbe mai permesso di abbandonare le sue truppe. Così sarebbe stato costretto a tornare in battaglia e, con un po' di fortuna, in un anno avrebbe dimenticato tutta la faccenda, la rabbia gli sarebbe sbollita insieme alla voglia di vendicarsi di Tom e Tasha. Poi, con la fine della guerra, si sarebbe trasferito in Ohio o in Inghilterra a seconda che gli Inglesi avessero vinto e perso, e a quel punto avrebbe certamente trovato una fidanzata "degna": c'erano tantissime donne e ragazze che morivano ai suoi piedi, non gli sarebbe stato difficile rimpiazzare lei, Natasha. E se Willy fosse rimasto a Fort Carolina? Natasha e Tom, con o senza difficoltà, sarebbero giunti in North Carolina e si sarebbero sposati. La loro vita sarebbe stata felicissima, ma Natasha sapeva che nel giro di poco tempo lei avrebbe incominciato a porsi mille domande su dove fosse Willy in quel momento, su come stesse, su come lo stesse trattando Tavington, e se stava crescendo insieme a una mamma che non era lei. Avrebbe anche iniziato a chiedersi se mai, un giorno, Tavington gli avrebbe detto chi era la sua vera madre, se gli avrebbe raccontato tutta la storia. Natasha supponeva che in quel caso Willy sarebbe cresciuto e morto con la credenza di essere sempre vissuto con i suoi veri genitori. Era impossibile che Tavington, un giorno, gli raccontasse che la sua vera madre era lei. Natasha sospirò, guardando quella creaturina che dormiva placidamente, inconscia che una persona stava decidendo proprio in quel momento il futuro della sua vita. Gli passò un dito sulla fronte, gli accarezzò una guancia con le nocche. Come avrebbe fatto a lasciarlo? Come avrebbe potuto vivere senza di lui? No, tanto era quella la cosa giusta da fare, Natasha lo sentiva nel cuore. Non poteva e non voleva toglierlo a Tavington. Però, dall'altra parte, non voleva abbandonarlo, non voleva vivere con la consapevolezza che suo figlio era là fuori da qualche parte, che non sapeva che era lei la sua mamma. Doveva esserci almeno un sistema per fare in modo che lui lo sapesse. Anche un tentativo disperato le avrebbe dato speranza. Assorta nei suoi pensieri e nell'elaborazione di un'idea che le si era appena presentata nella mente, Natasha uscì dalla stanza e si diresse in camera sua. Prese dalla scrivania un foglio, una penna e un calamaio, e portò tutto nella stanza di Willy. Si sedette alla scrivania di Bordon e iniziò a scrivere.

Caro Willy,

Ciao. Probabilmente troverai strano ciò che ti sto per dire, ma ti assicurò che è la verità. Io mi chiamo Natasha Tavington. Il mio cognome prima di sposare tuo padre era Halliwell. Willy, ti scrivo questa lettera per dirti una cosa molto importante, che ti sconvolgerà, forse ti farà arrabbiare, ma ti prego di crederci. Io sono tua madre, Willy. Sposai il Colonnello Tavington il 10 marzo 1779, quando ti aspettavo già da un mese. La tua nascita, avvenuta il 31 ottobre di quello stesso anno, fu una delle più grandi gioie della mia vita. Oggi è il 28 marzo 1780: tu stai dormendo qui, accanto a me. Oggi lascerò Fort Carolina, dove attualmente vivo con tuo padre. Ora William è in battaglia, è partito per una campagna sul Santee, e sarà di ritorno solo tra qualche settimana. Ho deciso di affidarti alle sue cure, invece che portarti con me. Lui ti vuole moltissimo bene, Willy. Tiene tantissimo a te, e io so che riuscirà ad essere un padre magnifico. So che c'è del buono in lui, e credo che nessuno, a parte i suoi genitori, l'abbia mai conosciuto come l'ho conosciuto io. Se mai ti venisse voglia di cercarmi, Willy, ti prego di non farlo. Non voglio che lasci solo tuo padre, per lui sarebbe un dolore terribile. Per questo non ti dirò dove sono diretta, e con chi ho intenzione di scappare. Voglio solo che tu sappia che io sono là fuori, da qualche parte, e che non passerà giorno nel quale io non ti penserò. Mi dispiace di essere stata una madre tando pessima da vivere con te solo questi miseri cinque mesi, ma devi capire che in questo momento, in questa situazione, non ho altra scelta. Non credo che capirai mai il perché io abbia voluto lasciare te e tuo padre. E' una lunga storia, e se non sarà William a narrartela, non la conoscerai mai: io non te la racconterò, perché da una parte non voglio che tu sappia cos'è successo, anche se è un tuo diritto. Perdonami, perché sto per lasciarti solo. Appena finirò di scrivere, nasconderò questo lettera nella federa della tua culla, con la speranza che tu un giorno, quando sarai grande, la troverai. So che è un tentativo disperato, ma è pur sempre un tentativo e io sento di dover fare qualcosa. Ora devo andare, tesoro. Ricordati che io ti vorrò bene per sempre. Con affetto,

Natasha Tavington

Natasha sorrise amaramente al pensiero di Willy, un Willy adulto, che trovava quella lettera datata chissà quanti anni e leggeva quello che lei aveva appena scritto. Si alzò dalla sedia e aprì un buco che aveva notato qualche giorno prima nella federa che ricopriva la culla. Con mani tremanti, infilò la lettera all'interno della stoffa e la spinse il più a fondo possibile. Se Dio vuole, Willy la troverà, si disse. Lanciata un'ultima occhiata al piccolo e posatogli un ultimo bacio sulla fronte, Natasha si avviò per uscire dalla stanza. Arrivata all'uscio si voltò, con la consapevolezza di stare per vedere suo figlio per l'ultima volta in tutta la sua vita. L'immagine della culla le giunse sfocata attraverso la fitta cortina di lacrime che le oscurava gli occhi. -Addio, Willy- mormorò -Sogni d'oro- Se Dio vuole la troverà... se Dio vuole la troverà... Natasha Tavington richiuse la porta alle sue spalle.

Quasi due ore dopo, Tom e Tasha si incontrarono nel cortile, sulla loro panchina. Natasha era stata occupatissima a preparare i bagagli, anche se in realtà non doveva portare molto con sé: giusto del cibo per Rupert e qualche coperta con cui coprirsi nel caso non fosse riuscita ad arrivare al bosco entro quella giornata e avesse dovuto accamparsi in qualche luogo all'esterno. -Se dovesse venire brutto tempo, mi raccomando di nasconderti in un luogo appartato, sicuro: cerca una macchia d'alberi, una collina, qualunque cosa, ma lontano da qualunque sentiero, o per loro sarà uno scherzo trovarti. Cavalca sempre vesto est, e ben presto giungerai a Pembroke. Vedrai, sarà questione di un paio d'ore, se prendi un buon cavallo. Una volta giunta a Pembroke -- non so in che condizioni l'abbiano ridotta i Dragoni, ma non fermarti a guardare -- cavalca più veloce che puoi verso casa tua. La strada la conosci bene. Se vedi che qualcuno ti segue, accellera e cerca di arrivare almeno al villaggio più vicino che trovi. Comunque, credo che per stanotte riuscirai ad arrivare da tuo fratello. Io cercherò di lasciare il Forte entro la fine di questa settimana. Tu aspettami nella capanna di Rupert- -Tom... e cosa succede se Rupert non sta più lì?- sussurrò Natasha. -Nasconditi in quella capanna lo stesso. Mi hai spiegato bene dove si trova, e io credo di riuscire a raggiungerti- sospirò -Prima o poi- Natasha non replicò e lui riprese: -Ho sentito dire da dei viaggiatori che in questo periodo nevica, dalle parti di casa tua- le riferì -Quindi copriti bene. E cammina dove la neve è bassa, così le tue tracce verranno ben presto cancellate- Natasha lo abbracciò forte: -Oh, Tom, ho paura- Tom le appoggiò una mano dietro la testa: -Ho paura anch'io. Se ti dovesse succedere qualcosa...- -Ma non succederà nulla, giusto?- disse Natasha, in cerca di rassicurazioni. -Certo che no, tesoro- le rispose lui. Le prese il viso con le mani e la baciò profondamente. Natasha gli cinse il collo con le braccia, godendo di quella carica di energia e speranza. -Tom, ti amo- disse lei, mormorando. Lui la guardò intensamente: -Anch'io ti amo, tanto. Quindi stai attenta, và bene? Stai attenta se non vuoi farmi male...- Lei annuì: -Starò attenta- I due continuarono a guardarsi, mentre ognuno, fissando negli occhi dell'altra, si domandava se si sarebbero più rivisti. -E' ora- disse Tom, dopo quello che pareva un attimo. Si alzò in piedi, prendendo Tasha per mano -Dobbiamo andare- Si separarono all'angolo che dava sul cortile. Natasha lo seguì con lo sguardo fino a che non sparì alla vista. A quel punto, sapendo di avere pochissimo tempo a disposizione, corse verso la stalla. Fortunatamente passò del tutto inosservata fino a che non entrò nel piccolo edificio che per ben tre mesi era stata la sua dimora. Appena mise piede in quell'ambiente grottescamente familiare, e l'odore dei cavalli, denso di ricordi, le colpì il naso, vide chi aveva preso il suo posto come addetto alle stalle. Un uomo dalla pelle color dell'ebano era seduto per terra, la schiena contro una colonna, le braccia incrociate sul petto. La guardò sgranando gli occhi e alzandosi in piedi. -Signorina...- disse con un forte accento africano. -Vorrei prendere un cavallo- disse lei -Un cavallo veloce- -Numero di stalla?- le chiese lo schiavo. -No, non il mio cavallo- precisò Natasha impaziente, lanciando un'occhiata nervosa fuori dal portone semi-aperto -Un cavallo qualsiasi, che vada veloce- Il servo annuì. -Allora vado a prendere cavallo per voi- disse, prima di dirigersi verso l'ultimo cubicolo. Ne emerse con la cavalla dal manto nero e lucido sulla quale Natasha aveva speso tante ore. La riconobbe immediatamente. -Daisy!- esclamò. Lo schiavo la guardò confuso: -Voi conoscere lei?- Natasha annuì: -L'ho cavalcata altre volte- buttò lì. Si affrettò a salire sulla puledra e a prendere le redini tra le mani. Si sistemò il fagotto che portava sulla schiena, si lisciò il mantello nero che indossava. Il mantello di Tom. Sperava che le avrebbe portato fortuna. Il servo le aprì la porta della stalla, che si spalancò con uno scricchiolio. -Prego signorina- le disse gentilmente. Natasha chiuse gli occhi e fece un respiro profondo. Lo stava per fare. Stava per uscire nel cortile, dove sarebbe scappata verso la libertà. Avanzò verso l'entrata della stalla e uscì. Dovette pararsi con una mano dal sole, che la colpì con particolare impeto dopo l'oscurità della stalla. Nessuno delle giubbe rosse reagì quando la videro uscire all'aria aperta su un cavallo. A dire la verità nessuno di loro diede segno di averla vista. Tom aveva ragione, pensò Natasha, Oggi ci sono meno soldati del solito, sono tutti in battaglia. Infatti solo una mezza dozzina di guardie sorvegliava il cancello, e parevano tutte piuttosto annoiate. Natasha sospirò profondamente. Doveva aspettare che Tom facesse accadere qualcosa, che li distraesse. Finalmente, dopo angoscianti minuti di attesa, Tasha sentì un grido provenire da dentro il palazzo. Le guardie si voltarono immediatamente, all'erta. Poco dopo, strizzando gli occhi nella luce del sole, Natasha vide Tom correre verso l'esterno gridando: -AL FUOCOOOO!!!!!!!!- Subito le guardie spiccarono una corsa verso il palazzo, le armi scintillanti al sole. -Dove?- -Ci sono feriti, signor Felton?- -Qualcuno vada a prendere dell'acqua!- -Al fuoco! Al fuoco!- Natasha ghignò vedendoli entrare di corsa all'interno del palazzo. Tom le fece l'occhiolino e sparì dentro anche lui. Natasha corse al cancello e scese con un balzo dal cavallo. Veloce, spinse con tutte le sue forze il pesante portone di legno. Con sua grande fatica, riuscì ad aprirlo, ma producendo un rumore terribile che, Natasha ne era certa, era stato udito fin dentro il palazzo. Risalì in groppa a Daisy e la spronò verso le colline brulle. Oltrepassò il fatidico cancello senza che nessuno se ne accorgesse. Galoppò veloce, i capelli tirati indietro dal forte vento contro il quale stava cavalcando. Non riusciva a crederci. Era libera. Non c'erano mura intorno a lei, non c'erano barriere che le impedissero di andarsene verso la libertà. Cavalcò più veloce che poteva, e non rallentò finchè il forte non sparì alle sue spalle. Non si voltò indietro. Il vento freddo le passava tra i capelli, sferzandole il viso, ma non poteva esserle più gradito... era da tanto che non sentiva l'aria fresca scorrerle sul corpo... era da tanto che non godeva della vista e del profumo dei fiori appena sbocciati... Natasha si mise a ridere. Era tutto lì, quello che doveva fare. E pensare che si era fatta tanti problemi, prima, invece era stato così semplice... neppure la costola le doleva, non aveva più preoccupazioni, il vento turbinoso e inquieto sembrava averglieli soffiati via tutti... era felice. Felice di star per rivedere Rupert, il suo amato fratello, felice di gustarsi la primavera in tutto il suo splendore per la prima volta dopo tanto tempo, felice di poter cavalcare lontano da quell'Inferno... Ma soprattutto, Natasha era felice perchè, se tutto fosse andato bene, non avrebbe mai più rivisto Tavington, non avrebbe mai più dovuto combattere contro quella parte di sé stessa che sembrava lo amasse addirittura... Se tutto fosse andato bene, appunto.

Era il tramonto quando Natasha intravide Pembroke in lontananza. All'inizio temette di aver sbagliato strada ed essere capitata in una cittadina che non conosceva. Ma lo scenario quadrava, le era perfettamente familiare. Era in Pembroke che c'era qualcosa che non andava affatto. Di solito la prima cosa che vedeva avvicinandosi alla città era il campanile. Ma il campanile non c'era più. Si avvicinò alla cittadina, cavalcando con circospezione. Il vento della sera faceva ondeggiare l'erba dei campi tutt'intorno. Quello era l'unico rumore. Un silenzio di morte avvolgeva le case oscure e abbandonate, un silenzio talmente assordante che Natasha sentì una profonda inquietudine crescere in lei, mordendole lo stomaco. Si strinse nel mantello di Tom, sebbene non facesse più tanto freddo. Si sentiva osservata. Daisy continuò ad avvicinarsi, camminando, alla cittadina morta che sussurrava a poca distanza da loro. Natasha rivolse il suo sguardo verso l'albero che segnava l'inizio del paesino. L'albero dove, quel giorno, aveva visto i tre impiccati. Quel giorno... Si trovava esattamente dove aveva visto per la prima volta Tom. I ricordi di quella sera le ritornarono nitidi e chiari, e delle immagini le balenarono nella mente...

-Spaventoso, vero?Chi siete?- -Ehm... io... non sono di qui. Devo... devo andare, arrivederci...- -Non dovreste allontanarvi tutta sola in tempi come questi... I ribelli tendono molte imboscate alle fanciulle solitarie- -Io... credo di... sapermela cavare da sola, grazie-

Natasha sorrise tra sé. Chi avrebbe mai potuto immaginare che un giorno sarebbe fuggita con quel misterioso ragazzo inglese? Il sorriso sparì lentamente dalle labbra di Natasha appena il suo sguardo iniziò a vagare sulle contrade di Pembroke. Erano deserte. E là, dove terminava il vialetto principale, c'era un cumulo di macerie. Ciò che restava della chiesa... e degli abitanti del villaggio. Natasha sospirò. E pensare che molte di quelle persone lei le conosceva... Chissà se era stato Tavington. Probabilmente sì. Era sul punto di andare a vedere più da vicino, in cerca di un segno di vita, ma qualcosa la trattenne. Ricordò ciò che le aveva detto Tom...

"Una volta giunta a Pembroke -- non so in che condizioni l'abbiano ridotta i Dragoni, ma non fermarti a guardare -- cavalca più veloce che puoi verso casa tua."

Aveva ragione. Non doveva fermarsi. Si domandò, con un certo timore, se i Dragoni o qualche giubba rossa fosse già sulle sue tracce. Sperava di no. In ogni caso, era meglio non fermarsi a controllare.

Nel giro di un'ora la notte era scesa, portando con sé un gelo pungente e un piacevole profumo di neve. La strada era in salita; la sua casa infatti si trovava in mezzo alle colline. Per la prima volta, Natasha si domandò cosa ne avessero fatto i Dragoni. La risposta le giunse nonappena voltò l'angolo. Dove un tempo stava la sua casa ora c'era un mucchio di assi annerite, l'una sopra l'altra, coperte di neve. Alcuni ciuffi d'erba spuntavano da sotto il cumulo, soffocati dal freddo. Non c'erano orme sullo strato di neve circostante. Natasha trattenne a stento un singhiozzo. Tutte le volte che pensava alla sua casa, alla sua vecchia vita, non le era mai neanche passato per la mente che quel luogo, denso di ricordi, dove lei aveva trascorso i quindici anni della sua infanzia, ora fosse diventato... ora fosse diventato un niente coperto di neve. Come poteva essere? Con un senso di tristezza inconsolabile, Natasha scese da cavallo, sussurrò qualcosa nell'orecchio di Daisy e si voltò di nuovo verso le macerie nel bel mezzo della radura. Si avvicinò cautamente a ciò che rimaneva della sua casa. La neve scricchiolava sotto i suoi passi. Arrivata sul cumulo di detriti, Natasha prese un asse e lo gettò via. Poi fece la stessa cosa con il secondo. E continuò. Non sapeva esattamente cosa stessa cercando, ma sapeva che non poteva andarsene di lì senza aver dato un'occhiata, senza aver controllato che non vi fosse rimasto qualcosa di suo, qualcosa che le provasse che quella vita sicura e accogliente che conduceva un tempo era davvero esistita. I minuti passavano, la notte si inoltrava, ma il gelo sembrava intenzionato a non raggiungerla... Natasha continuò a rovistare. Ad un tratto si fermò. Le sue dita avevano sfiorato qualcosa... con mani tremanti, Natasha tirò fuori quello che aveva trovato. Era un foglio di carta, bruciacchiato in più punti, ma ancora leggibile. Natasha la riconobbe come una delle lettere di suo padre. Con le lacrime agli occhi, Tasha si strinse la lettera forte al petto, ringraziando il cielo per avergliela fatta trovare. Non ci poteva credere. Come aveva fatto a sopravvivere all'incendio? Come poteva essere ancora lì, dopo tutti quei mesi? Certe cose devono accadere..., si disse, Certe cose sono scritte nel destino... Cos'altro le riservava il destino? C'era scritto, da qualche parte, che lei era destinata a vivere una vita felice con Tom? O che era destinata a condurre un'esistenza tormentata con Tavington? Nessuno può saperlo... posso solo pregare. Natasha baciò la lettera del padre, desiderando che lui fosse ancora lì con lei a proteggerla. Invece non c'era più. Natasha sospirò. Fece per voltarsi, quando udì qualcosa di metallico premere contro la sua schiena. Una canna di pistola. -Voltati lentamente- disse una voce. A Natasha saltò il cuore in gola. Si voltò tremando da capo a piedi e si preparò a fronteggiare il suo aggressore. Il quale, appena la vide, abbassò immediatamente la pistola. Un'espressione di incredulità si estese sul suo volto. -Natasha?!?- esclamò Rupert, spalancando gli occhi e la bocca. Natasha lo guardò, senza parole: -Rupert!- Gli corse incontro e lo strinse forte, abbracciandolo stretto. -Tasha, io... io credevo... che tu...- -Come sono felice di vederti!- esclamò Natasha, stringendosi al suo petto. Era così familiare, stare in quelle braccia... -Io non... riesco a ...- balbettò Rupert, sconvolto -Oh, Tasha!- esclamò infine. -Mi sei mancato- disse lei, stringendolo ancora più stretto. -Anche tu- rispose Rupert, accarezzandole i capelli -Mi sono chiesto tante volte dove ti avessero portato...- -Dove vivi ora?- chiese Natasha, cercando di evitare l'argomento "Dragoni", almeno per il momento. -Ah, io... ho una capanna del bosco. Sai la vecchia capanna dove stava nonno Jeremiah? Ora sto lì- Natasha provò un piccolo shock nel constatare che Tavington le aveva detto il vero sin dall'inizio. Pensò sconvolta a come sarebbe stato facile per lui uccidere Rupert, quando passava di lì. Scacciò quelle preoccupazioni e si affrettò a seguire Rupert nel bosco. Dopo aver slegato Daisy, iniziarono ad incamminarsi per un piccolo sentierino ghiaioso. La foresta era di modeste dimensioni, tuttavia man mano che ci si avviava la macchia mista di alberi si faceva sempre più fitta. Natasha si chiese preoccupata se Tom sarebbe riuscito a trovare la giusta strada senza perdersi. Rupert stava parlando. -Ho cercato molte volte di venire a salvarti- disse, giocherellando con la pistola -Ma temevo che ti avessero portato in un luogo troppo lontano... se non fossi riuscito a raggiungerlo e fosse morto strada facendo? Se mi avessero trovato e ti avessero usato per estorcermi informazioni su nostro padre? Era troppo rischioso- -Già- assentì Natasha. -In ogni caso... dov'è che sei stata?- le domandò Rupert -Dove ti hanno portato?- Natasha si guardò intorno nervosamente: -Parliamone una volta dentro- suggerì. -D'accordo- rispose lui. Continuarono ad avanzare verso il folto degli alberi. Natasha dovette più volte aiutare Daisy a superare un tratto di sottobosco particolarmente spinoso. Finalmente la vecchia capanna del nonno apparve: era in buone condizioni, considerando tutti gli inverni che aveva visto; ogni facciata era coperta di edera selvaggia, il tetto era diventato, a quanto pareva, un ottimo ritrovo per la maggior parte degli uccelli della Carolina del Sud, ma tutto sommato era un nascondiglio perfetto: si mimetizzava con l'ambiente (o almeno lo avrebbe fatto se fosse stata coperta di neve) e non presentava assi o pezzi di muro mancanti. Era ancora tutta intera. -Entra- disse Rupert, tenendole aperta una scricchiolante porta di legno. Natasha mise piede nella piccola abitazione. La temperatura all'interno era straordinariamente calda: probabilmente gli spessi muri di pietra grigia tenevano lontano il freddo. Era arredata in modo molto spartano: un basso tavolo con due sgabelli rozzamente intagliati, un'unica finestra sbarrata, due letti pieni di coperte fatte di pelli d'animale. -Come mai hai due letti?- chiese Natasha. -A dire la verità, uno lo avevo preparato per te, nel caso tornassi- disse lui, chiudendo la porta dietro di sé. Si voltò e le sorrise. Natasha ricambiò. A quanto pare non ha mai perso la speranza di rivedermi, pensò, provando un forte moto di gratitudine per lui. Si sedette su uno sgabello e aspettò che Rupert finisse di accendere tutte le candele. -Allora- disse lui, una volta seduto -Ora voglio che mi racconti tutto. Dal giorno in cui...- deglutì -Dal giorno in cui è successo tutto quanto alla tua fuga di oggi- Natasha sospirò. Mi chiede poco... Sarebbe stato doloroso rivivere tutto, soprattutto perché molte ferite in lei non erano ancora guarite e riaprirle sarebbe stato terribile. -E'... è una storia così lunga- mormorò, evitando il suo sguardo. -Ti prego, Tasha- disse lui, e Natasha fu stupita dall'intensità della sua voce -Ho vissuto un anno nell'ombra... senza che nessuno mi spiegasse cos'era successo. Io non so nulla. So solo che quel giorno, quello stramaledettissimo giorno, è arrivato Tavington puntandoti una pistola. So che ha ucciso papà, mamma e Alan- deglutì ancora una volta, quindi alzò gli occhi verso di lei -Ma non so altro- Natasha abbassò lo sguardo. Non poteva negarlo: Rupert aveva il diritto di sapere quella storia. Ma alcune cose... come avrebbe potuto raccontaglierle? -Era una sera come tante altre- iniziò, cercando di mantenere la sua voce impassibile -Io stavo lavorando in locanda... ricordi? La locanda a Pembroke... e all'improvviso... è entrato lui, con i suoi uomini- Rupert la fissava, gli occhi quasi vitrei, come se attendesse il resto del racconto con ansia e timore. -Io sapevo chi erano- proseguì Natasha -E quindi pregai che nessuno gridasse il mio nome proprio in quel momento, e cose del genere. Stava andando tutto liscio, fin quando...- Dolorose immagini riapparvero nella sua mente. Vide Wilkins alzare il capo dal suo bicchiere... lo sentì pronunciare la frase che le avrebbe rovinato l'intera esistenza...

-Non siete per caso Natasha Halliwell?-

-Quando io... io ho riconosciuto uno di loro- disse Natasha scuotendo la testa per scacciare i ricordi -Era James Wilkins- Gli occhi di Rupert si spalancarono. -James Wilkins?! Ma... cosa... lui cosa c'entra con i Dragoni?- Natasha alzò le spalle: -Ora è uno di loro- Rupert si prese la testa fra le mani. Natasha si domandò come avrebbe reagito al resto, se già si scandalizzava in quel modo per Wilkins. -Credo proprio che non vinceremo questa guerra- mormorò, abbattutto -Non quando i migliori sono dall'altra parte... sporco traditore bastardo- Natasha vide i pugni di lui stringersi e gli posò una mano sull'avambraccio: -Rupert...- gli sussurrò -E' così, non puoi farci niente- Chi le aveva detto quelle stesse parole, tanto tempo prima? Rupert riappoggiò le mani sul tavolo. -Continua- disse. Natasha abbassò nuovamente lo sguardo e proseguì il racconto. -Lui mi riconobbe... e lo disse a Tavington- Rupert scosse lentamente la testa: -Non riesco a crederci- -E... Tavington...- Natasha cercò di riprendere il controllo di sé -E lui... mi portò fuori- Negli occhi di Rupert comparve una luce allarmata. -Aspetta un attimo, Natasha...- scese dallo sgabello e si inginocchiò davanti a lei, prendendole le mani -Lui... lui... ti ha fatto qualcosa?- Natasha distolse velocemente lo sguardo mentre un peso si istallava nel suo petto. -Natasha...- mormorò lentamente Rupert -Rispondimi, Tasha- Natasha non ce la faceva. Rimase in silenzio, sperando che Rupert riuscisse a capirlo da solo. -Tasha, rispondimi...- ora Rupert suonava disperato -Ti prego, Tasha, dimmi che lui... non ti ha...- Natasha chiuse gli occhi. Calde lacrime le rotolarono sulle guancie. Rupert scosse la testa vigorosamente: -No, no...- Natasha tirò su con il naso. -Non può aver... non a te...- Tasha annuì lentamente: -Lo ha fatto- Rupert si passò le dita tra i capelli, come se volesse strapparseli. Si alzò in piedi bruscamente e prese la pistola, caricandola con un clic. Si diresse verso la porta. -Tu aspetta qui- le disse. Dalla sua voce non traspariva altro che una furia glaciale. -Dove vai?- chiese Natasha disperata -Dove stai andando?- Rupert si voltò. Natasha non lo aveva mai visto così arrabbiato. -Ad uccidere quel figlio di puttana- Tasha si alzò così di scatto che lo sgabello cadde all'indietro. Raggiunse il fratello e gli prese un braccio. -No, Rupert! Tu non capisci! Non riuscirai mai ad ucciderlo, è semplicemente impossibile... ti prego, resta qui! Non lasciarmi sola!- Rupert si liberò dalla sua presa. -NON LO LASCERO' VIVERE DOPO QUELLO CHE TI HA FATTO!!!- gridò. Natasha singhiozzò: -Ti prego Rupert... non voglio perdere anche te- Questo parve fermarlo. Si arrestò nell'atto di afferrare la maniglia. -Ti prego- ripetè Natasha, prendendogli la pistola dalle mani. Lui non oppose resistenza. -Resta qui. E' inutile, in questo momento lui è in battaglia. Non lo troveresti mai. Coraggio, torna a sedere. Devo continuare con la storia- Rupert parve incerto per qualche secondo, quindi tornò al suo sgabello. Natasha, rivolto un ringraziamento al Cielo, raddrizzò il suo e ricominciò a raccontare. -Tavington iniziò a picchiarmi- disse, nel tono più freddo che le riuscì -Insomma... lui probabilmente mi avrebbe ucciso se non... se non...- Natasha riflettè qualche secondo prima di riprendere. Come l'avrebbe presa Rupert la sua storia con Tom, visto che era un inglese... -Se non?- la incitò Rupert. Natasha sospirò. -Se non fosse arrivato Tom- Rupert sgranò gli occhi: -Chi diavolo è Tom?- -E' il nipote del Generale O'Hara- -Cosa?? Cosa ti ha chiesto?? Ti ha messo sotto tortura? Ti ha fatto del male anche lui?- -No- Natasha scosse la testa vigorosamente -No, lui è a posto. Mi ha salvata da Tavington. Se non fosse stato per lui... io ora sarei probabilmente morta- Rupert deglutì. -Il modo in cui parli di questo Tom continua a non convincermi- disse in tono perentorio. Natasha arrossì. -Bè... ecco... io... Io credo... anzi, so... di essere innamorata di lui. Ed è anche grazie a lui se sono riuscita a fuggire dal forte- Rupert la guardava ancora con quell'espressione poco convinta. -Da quale forte?- chiese, evidentemente deciso a cambiare argomento. Natasha proseguì sollevata. -Fort Carolina- rispose, osservando la sua reazione. Ma la notizia non sembrò sortire particolare effetto su di lui. -Ne ho sentito parlare- borbottò -Ci impiccano molti ribelli, laggiù- Natasha assentì e riprese: -Quando mi risvegliai... mi ritrovai al forte- -No, aspetta un attimo- la interruppe lui -Quando ti risvegliasti?! Cos'era successo? Eri svenuta? Ti avevano colpito?- -Il Colonnello Tavington tentò di... strangolarmi- mormorò Natasha, gli occhi bassi. -Oh, Cristo- esclamò Rupert, mettendosi la testa fra le mani -Immagino che sia merito di quel Tom se non ti abbia uccisa- Natasha sollevò gli occhi da terra. Un momento... cos'era successo quel giorno? Perché Tavington non l'aveva uccisa? Natasha non se l'era mai chiesto prima... perché diavolo lui, se la odiava tanto, non l'aveva strangolata? Perché l'aveva lasciata in vita? -No?- la incitò Rupert -Non è andata così?- -A dire la verità- disse Tasha lentamente -Non so perché non mi abbia uccisa- Rupert la guardò con occhi annebbiati: -Immagino che...- deglutì -Ti abbia lasciata vivere perché... perché aveva altri... piani... per te- Natasha scosse la testa: -Non credo. Tavington agisce di getto, non pensa alle conseguenze delle sue azioni, nè le pianifica- -Come fai ad esserne così sicura?- domandò Rupert. Natasha lo guardò intensamente: -Ho vissuto con lui per più di un anno, Rupert. Un anno nel quale ogni giorno... ogni giorno dovevo combattere contro la paura... la paura di fare qualcosa che a lui non fosse andato bene... Nel terrore che lui... che lui mi... che lui mi portasse a letto un'altra volta senza che io lo volessi...- Era impossibile trattenere il pianto, ora. Lacrime amare presero a scendere dalle palpebre serrate dei suoi occhi. Rupert le si avvicinò e l'abbracciò con fare protettivo. Tasha aveva bisogno di sfogarsi, aveva bisogno di tirar fuori tutto... -E' stato terribile, Rupert- pianse, stringendolo forte -Lui... lui mi costringeva a fare cose che io... cose che io non avrei mai voluto fare. Mi picchiava, e io piangevo... a lui piaceva vedermi soffrire, lo faceva apposta... Lo so che lo faceva apposta... Mi teneva le mani ferme sopra la testa mentre... oh, Rupert! Ti giuro che io non volevo... ma non potevo fare nulla per impedirlo... E io pensavo a mamma e papà... chissà cosa penseranno di me, ora, Rupert! Oh, voglio morire, voglio morire... non voglio più vederlo... non voglio incontrarlo mai più...- Rupert le accarezzò la testa. -Non piangere, Tasha- le sussurrò -Vedrai che tutto si aggiusterà. Non dovrai più rivederlo, è tutto finito. Ora ci sono io con te... non gli permetterò di farti altro male...- Natasha si aggrappò a tutte quelle speranze. Sì, quello che diceva Rupert era vero, era assolutamente vero. Non avrebbe mai più dovuto vedere Tavington, gli aveva detto addio per sempre... Non lo rivedrò mai più, si disse Natasha, asciugandosi le lacrime, Mai più.

Cenarono piuttosto tardi. Di comune accordo, cercarono di evitare qualsiasi discussione che riguardasse Tavington o la vita di Natasha al forte. Mentre mangiavano le provviste che Tasha aveva portato, Rupert le raccontò invece la sua storia, di come fosse riuscito a sfuggire ai soldati che Tavington gli aveva messo alle costole, di come fosse riuscito a nascondersi e a tenere il suo rifugio segreto. -A dire la verità, non erano dei tipi molto svegli- raccontò, parlando dei suoi inseguitori -Mi è bastato semplicemente attirarli su un sentiero un po' sperduto... acquattarmi in un cespuglio... e affrontarli con un bastone- -Con un bastone?- chiese Natasha, afferrando una fetta di pane e intingendola nel sugo -Ma erano armati!- Rupert fece un sorrisetto: -E da dove credi che venga quella?- disse soddisfatto, indicando la pistola che giaceva abbandonata sul letto. -Vuoi dire che... era di uno di loro?- domandò Tasha. -Già... purtroppo non ho molti proiettili con cui caricarla- ammise, un po' deluso -Anche l'altro soldato ne aveva una, di pistola, ma sfortunatamente aveva già sprecato il colpo- -Almeno ne hai una- disse Tasha, prima di bere un sorso di vino di sambuco. -Già- disse Rupert -Hai finito di mangiare? Allora seguimi, c'è una cosa che sono sicuro ti farà piacere vedere- Si alzarono da tavola. Natasha lo seguì, incuriosità. Lui prese una coperta e gliela mise sulle spalle, coprendola. -Fa freddino, di fuori- l'avvertì, prima di aprire la porta della capanna. Uscirono in un'aria talmente gelida che a Natasha parve impossibile che fosse già arrivata la primavera. In effetti, con la neve che scricchiolava dolcemente sotto i loro piedi, il bosco aveva un'aria incredibilmente invernale. Rupert condusse Tasha sul retro della capanna, dov'era stato eretta una piccola baracca che lei non ricordava. -Non ricordavo ci fosse anche questa costruzione- disse a Rupert. -Infatti l'ho costruita io- disse lui, dirigendosi verso l'entrata della stessa. Tasha poteva udire dei movimenti all'interno. Rupert entrò nella baracca e poco dopo ne uscì, con in mano le redini di... -Melyiss!!!- esclamò Natasha, fuori di sé dalla gioia. La cavalla stava lì, con il bel pelo pulito come sempre, con quei lucidissimi occhi scuri... quanto era cresciuta! -Oh, tesoro!- gridò Tasha, abbracciandole il collo -Mi sei mancata- le sussurrò all'orecchio. La puledra nitrì felice. Natasha non riusciva a credere che fosse ancora viva, non riusciva a credere di averla ritrovata... Rupert le osservava sorridendo. -E' arrivata qui il giorno dopo che te ne andasti- le disse -Non so davvero come sia riuscita a venire fin qui. Credevo l'avessi legata da qualche parte- -Infatti- disse Natasha, accarezzando il morbido e caldo manto dell'animale -Ma credo che sia stato Whilpest a liberarla. Sai, il padrone per il quale lavoravo, alla locanda. Lui non aveva preso molto bene il fatto che Tavington mi avesse portato via- Natasha trascorse almeno un'ora ad accarezzare Melyiss. Avrebbe voluto restare di più con lei, ma Rupert le disse che non era prudente starsene fuori di notte, così ad una certa ora entrambi tornarono nella capanna e si infilarono nei rispettivi letti. -Dici che ci sono molte possibilità che mi trovino?- domandò Tasha, infilandosi sotto le calde coperte del suo nuovo letto -Insomma, credi che mi verranno a cercare qui?- -Non lo so- disse Rupert -Non credo- Ma prima che l'ultima candela fu spenta, Natasha vide Rupert mettere la pistola sotto il cuscino.

-Non ti ho ancora spiegato il piano- disse Natasha a colazione, il giorno dopo. -Quale piano?- domandò Rupert. -Il piano per fuggire- rispose Natasha -Non possiamo restare qui- Rupert la guardò: -E perché? Non mi è mai venuto a cercare nessuno- Natash sospirò. Perché doveva dirglielo proprio lei? -Tavington ti ha visto, un giorno- tagliò corto, sperando che lui non le facesse altre domande -Mentre tornava da una battaglia. Me lo ha raccontato un anno fa, ma sono convinta che se lo ricorda ancora. Ha una memoria molto lunga- La forchetta che Rupert teneva in mano cadde fragorosamente nel piatto: -CHE COSA??- Natasha sobbalzò. Non si aspettava una reazione del genere, altrimenti lo avrebbe detto con più tatto. -Ehi, Rupert, và tutto bene- gli disse, cercando di calmarlo -Te l'ho già detto, ora Tavington è in battaglia, e...- -Ma non capisci??- esclamò lui, allarmato -Se l'avesse detto a qualcuno? Se ora questo qualcuno è in viaggio verso di noi?- -Rupert, calmati- disse lei, alzando la voce -Non l'ha detto a nessuno, e comunque non poteva prevedere la mia fuga. Ci vorranno almeno due settimane prima che lui venga a sapere che me ne sono andata. E per allora io, te e...- sospirò -...e Tom saremo lontani da qui- -Cosa c'entra Tom?- chiese Rupert aspramente. -Smettila di nominarlo con quel tono!- sbottò Natasha -Sembra quasi che odi più lui di Tavington- -Sai che non è vero- ribattè Rupert -E' che non sono convinto che possiamo fidarci di lui, Tasha. E se fosse una spia che ti ha fatto venire qui solo per riuscire a catturarmi?- -Tom non lo farebbe mai- disse Natasha con convinzione. -Questo lo dici tu- incalzò lui -Ma io non credo che...- -Basta, Rupert, per favore- disse Natasha stancamente, appoggiandosi la testa su una mano -Non voglio più parlarne. Se non mi vuoi più qui, me ne andrò. Probabilmente tornerò al forte e mi prenderò le mie responsabilità per essere fuggita. Ne pagherò tutte le conseguenze. Ma una cosa che non farò mai- Natasha lo guardò -Sarà smettere di credere in Tom- Rupert battè un pugno sul tavolo: -Ma non puoi sapere quello che ha in testa!- -Senti- disse Natasha infervorata, alzandosi in piedi e fronteggiandolo -Per quindici mesi, e sto parlando di quindici mesi... lui è stata la mia unica ragione di vita! E sai perché, Rupert? Lo vuoi sapere perché? Perché lui è quasi sempre stato al mio fianco, ad aiutarmi, ad ascoltarmi, a proteggermi... lui era con me in tutti i momenti in cui tu te ne stavi qui al sicuro! Tu non hai mai provato a venire a salvarmi! Non ti sei mai preoccupato per me! Mentre io ero là, a fare la puttana a Tavington per salvarti la vita, tu eri qui e te ne fregavi altamente di cosa mi stesse...- Natasha si fermò, come congelata. Rupert la guardava con un'espressione di incredulità mista a rabbia. -Tu che cosa??- disse, in un soffio. Appariva davvero sconvolto. Natasha non avrebbe voluto dirglielo così. Era solo che il fatto che lui non volesse confidare in Tom l'aveva mandata su tutte le furie. Aveva parlat d'impulso, senza pensare... ma in quel momento Natasha preferì non avere mai aperto bocca. -Tu mi hai... salvato la vita...? Di cosa stai parlando?- Natasha si accasciò sulla sedia e si appoggiò la testa sulle mani, ben decisa a non guardarlo. Ormai era fatta, doveva dirgli tutto. -Io e Tavington facemmo una specie di patto... se io mi fossi donata interamente a lui... non ti avrebbe ucciso. Perché lui sapeva dove ti trovavi... ti avrebbe ucciso se io non avessi... se non avessi obbedito in silenzio ad ogni suo ordine- Rupert scosse la testa lentamente: -Non avresti dovuto farlo. Avrei preferito morire piuttosto che lui ti facesse questo- -E io avrei preferito pagare quel prezzo, piuttosto che lasciarti morire- ribattè lei, quasi irritata. -D'accordo- sospirò Rupert, sconfitto -Scusa. Accetterò Tom- Natasha ringraziò il Cielo. La colazione riprese, anche se nessuno dei due aveva più molta fame.

Passarono tre giorni, e le provviste che Natasha aveva portato dal forte cominciavano ormai ad esaurirsi. Una sera Rupert si mise a cercare in un vecchio baule impolverato un bastone, da lui appuntito e lavorato, che gli permettesse di uscire a caccia. -Non avevi detto che era pericoloso?- gli chiese Natasha. Stava cercando di convincere Rupert a non uscire di casa a quell'ora: non le andava di restare da sola. Rupert indossò una lunga pelliccia d'orso e se la strinse addosso, inforcando il bastone: -Pericoloso cosa?- -Uscire di notte!- ribattè lei irritata -Non dovresti farlo, Rupert- -Bè, se vogliamo avere qualcosa da mangiare per domani sarà proprio il caso che io esca a caccia. Questo bosco non abbonda di selvatici, di giorno- Natasha rimase a guardarlo, impotente, mentre apriva la porta. Dal letto sul quale era distesa, Tasha udì il vento ululare e scuotere le cime degli alberi. -Vengo con te, allora- disse speranzosa, tirandosi su a sedere. Rupert scosse la testa: -Non se ne parla- -Perché?- gridò lei infuriata -Starò sempre vicina a te!- -Ho detto di no- ribattè lui in tono fermo -E' troppo pericoloso. Tu resti qui- Natasha si ributtò sul letto, imbronciata, mentre lui chiudeva la porta alle sue spalle. Come si permetteva di trattarla così? Mentre fissava il soffitto infuriata, le tornò alla mente l'immagine di Tom, e questo riuscì almeno a placarla un po'. Natasha non vedeva l'ora di riabbracciarlo. Perché ci metteva tanto ad arrivare? Quei tre giorni di attesa erano stati terribilmente lunghi. Tasha aveva iniziato a detestare quelle quattro mura tra le quali lei sedeva, con lo stomaco che brontolava per la fame, con gli occhi che si animavano ad ogni minimo rumore proveniente dall'esterno, impaziente di un qualunque segnale che annunciasse l'arrivo di Tom. Ma lui non arrivava. Il dubbio, che durante i mesi che Tom aveva passato a Boston l'aveva distrutta e torturata con così serrante sequenza era tornato a tormentarla di nuovo: Natasha aveva ricominciato a temere che gli fosse successo qualcosa. Non dormiva neppure bene: le sue paure assumevano forme sempre più mostruose nei suoi incubi, nei quali Natasha vedeva Tom impiccato all'albero di Pembroke; i suoi genitori che le sputavano in faccia disgustati, gridandole che non meritava che l'Inferno; vedeva Tavington che puntava la pistola a Willy, Tavington che infilzava Tom con la sua spada, Tavington che sparava a Rupert, Tavington che la buttava a terra e la violentava... e ogni notte Natasha si ritrovava nel letto, piangente, rannicchiata su un fianco per proteggersi da quelle visioni orribili... l'avrebbero mai lasciata in pace? Natasha scosse la testa. Non doveva pensare a tutte quelle cose, se lo ripeteva ogni santo giorno. Non doveva. Si alzò a sedere sul letto. Cominciava ad avere paura. Rupert doveva già essersi inoltrato nel folto del bosco, e quindi era lontano da lei, in quel momento. Se qualche bestia fosse arrivata fino alla capanna e fosse riuscita a entrare? Se qualcuno l'avesse trovata? Natasha scese dal letto e si mise alla ricerca di qualcosa che l'aiutasse a difendersi, nel caso fosse successo qualcosa. Controllò se Rupert aveva portato la pistola con sé, ma a quanto pareva l'aveva fatto. -Non devi preoccuparti, Tasha- disse ad alta voce. Parlare da sola aveva sempre l'effetto di rassicurarla. Se non altro le sue parole coprirono almeno per qualche secondo l'ululato del vento all'esterno, che le dava i brividi. Si accorse di avere la pelle d'oca. In effetti indossava solo la sua leggera tunica da notte, e la temperatura era molto bassa. Se fa freddo qui chissà di fuori, si disse. Stava per tornare a letto sotto le coperte quando udì un suono. Un suono che le gelò il sangue nelle vene. Rumore di zoccoli di cavallo. Molti. Natasha sentì chiaramente il proprio cuore batterle nelle orecchie. -Oh mio Dio- deglutì. Si avvicinò alla finestra e guardò fuori. Non scorse nulla d'insolito, ma poteva udire chiaramenti i cavalli, (non troppo lontani, a quanto pareva) venire verso di lei. -Oh Dio- disse febbrilmente, guardandosi intorno con ansia. Cosa doveva fare? Cosa poteva fare? La parte speranzosa che era in lei parlò nella sua testa. Forse è Tom... No, non poteva essere Tom. Non era un singolo cavallo, ma molti, molti di più. Una ventina, una trentina, una quarantina... impossibile dirlo con precisione. Ma certamente più di dieci. E stavano raggiungendo il suo nascondiglio, presto lei avrebbe potuto vederli arrivare... Senza pensare, Natasha si catapultò all'esterno. Non aveva sentito male: dei cavalli si stavano davvero avvicinando, da fuori si sentiva ancora più chiaramente il suono dei loro zoccoli. Venivano proprio verso di lei, anche se ancora non riusciva a vederli. Veloce, a piedi nudi nella neve, con il corpo tremante per la paura a per il gelo, Natasha si precipitò sul retro e da lì iniziò a correre, verso il folto del bosco, senza sapere dove andare, con l'unico intento di allontanarsi il più possibile dalla capanna. Il freddo iniziò a stringerla in una morsa. Nonostante corresse da poco più di venti secondi, Natasha aveva già perso la sensibilità ai piedi, ma non ci fece caso. L'unica cosa che contava era scappare, riuscire a fuggire... Mentre correva però, la curiosità prevalse in lei e ad un certo punto, a debita distanza dal sentiero principale, si fermò dietro un albero e cercò di vedere chi fossero i visitatori. Tanto conosceva già la risposta. Dragoni. Almeno trenta. Stringendo gli occhi, Natasha individuò le loro sagome raggiungere la capanna e fermarsi. Si mise una mano sulla bocca quando udì la voce che aveva pregato così tanto di non udire mai più... -Bruciate tutto- stava dicendo Tavington freddamente -Portate i cavalli al forte. Wilkins, dirigiti da quella parte. Porta con te Launey, Tervin e Plumbee. Spaulding, McPauley... con me. Setacciate la foresta. Portatemeli vivi. Se fra mezz'ora non li avrete trovati ve la vedrete con me- Natasha vide i Dragoni partire obbedienti nelle direzioni indicate da Tavington. Si voltò di scatto e riprese a correre, pregando che non la trovassero. Dopo circa cinque minuti di corsa frenetica, Natasha inciampò e cadde a terra. Tentò di rialzarsi, ma il suo corpo era talmente intirinzito dal freddo che faticava a rispondere ai suoi comandi. I muscoli delle gambe bruciavano. Nei piedi erano entrate diverse schegge che le mandavano fitte ad ogni passo che muoveva. Natasha gemette, ma non riuscì a rialzarsi. Si guardò intorno e si accorse di non sapere più da che parte andare. Non poteva fermarsi... ma non poteva neanche correre incontro ai Dragoni che in quel momento stavano probabilmente dando fuoco alla capanna... Un momento... questo poteva aiutarla. Natasha alzò lo sguardo al cielo e dopo pochi attimi scorse quello che cercava. Un filo di fumo si alzava, da qualche parte verso est. La capanna era da quella parte, dunque. doveva andare a sinistra. Qualunque cosa dovesse fare, doveva muoversi. Avanti, Tasha, si disse, Devi resistere almeno una mezz'ora. Se entro una mezz'ora non ti trovano, non ti cercheranno più... Natasha riuscì a raccogliere le forze necessarie per iniziare a gattonare nella direzione opposta al fumo della capanna. Dopo qualche passo, non potè fare a meno di soffrire del doloroso contatto della neve gelida con le sue mani piene di graffi a causa dei rami appuntiti che aveva oltrepassato. Riuscì ad alzarsi in piedi e riprese a correre, ansimando per la mancanza di aria. Gettò un'occhiata dietro di lei, ma non scorse nessuno. Già la capanna non era più visibile... ma non si era allontanata abbastanza... Corri, corri, corri... si incitava. Il bosco si stringeva minaccioso attorno a lei. Sentiva l'oscurità premerle sugli occhi, vedeva il suo stesso fiato condensarsi in tante nuvolette... sentiva i suoi piedi pestare velocemente il terreno ricoperto per molti pollici di neve, sentiva il suo respiro affannoso riempirle le orecchie in modo assordante... Basta, non ce la faceva più. Non riusciva più a correre, non poteva continuare... Invece correva ancora... Doveva smettere di respirare csì rumorosamente, l'avrebbero sentita... Era impossibile che non udissero i suoi passi... I piedi di Natasha, rossi per il freddo, incontrarono un ramo imprevisto e smisero la loro corsa. Tasha cadde ancora una volta con la faccia per terra, a contatto con quella neve crudele che la stava uccidendo con il suo freddo... Natasha aprì gli occhi. Non poteva abbandonarsi al riposo. Doveva correre. Si rialzò senza badare al dolore nel suo corpo e riprese a scappare, ansimando sempe più velocemente. I polmoni bruciavano, imploravano aria... Dov'è Rupert? L'avranno già trovato? Ti prego, fai che sia riuscito a scappare, almeno lui... Quanto tempo sarà passato? Dio, ti prego, dammi la forza di continuare a correre... correre... cor... Non riusciva più a pensare. Era solo un'essere dalle sembianze umane con il corpo gonfio di gelo e di paura, che continuava a correre nonostante tutto... Tuc, tuc, tuc, tuc... Il rumore dei suoi passi nella neve... il panico che le fasciava il cervello, il cuore... le mani, strette a pugno, che continuavano a farsi forza sui lati del busto, facendo leva sull'aria, sul nulla... cercando di continuare a scappare... Cercando di impedire che tutto ricominciasse di nuovo... Natasha voleva continuare la sua fuga. Ma il suo corpo non era più d'accordo con lei. Cadde a terra, rotolò per un tratto nella neve, e urtò contro un tronco rovesciato. Chissà il rumore che aveva provocato... Natasha si premette una mano sul petto, annaspando per l'aria. Il suo petto, bagnato di neve, si alzava e si abbassava febbrilmente... i polmoni stavano cercando di recuperare l'ossigeno... La testa di Natasha girava... Non riusciva più a muoversi... Aveva perso il controllo di sé stessa... E la milza doleva, doleva, doleva... a ogni respiro fitte di dolore la raggiungevano. Per qualche minuto tutto quello che Natasha riuscì a fare fu osservare il meraviglioso cielo trapunto di stelle che la guardava dall'alto, austero. Dov'era Tom? Dov'era Rupert? Come stava Willy? Natasha si tirò a sedere, nonostante le gambe la stessero implorando di non farlo. Aveva sentito qualcosa... un rumore... doveva essere stato un rametto che si spezzava. E ora passi... passi veloci sulla neve... Dannazione, si stavano avvicinando. Natasha strisciò per terra, cercando di produrre meno suoni possibili, cercando disperatamente di non farsi sentire... convinta che il suo cuore, che batteva così violentemente contro le costole, sarebbe stato udito dal suo inseguitore... Nel panico, Tasha trovò una grossa radice rialzata e vi si raggomitolò dietro. No, era impossibile che non l'avessero sentita, o vista... Quanto tempo è passato? Quanto tempo è passato? Natasha trattenne il fiato mentre cercava di capire cosa stesse facendo colui che la inseguiva. I passi si avvicinavano, non c'erano dubbi. Man mano che si facevano vicini, vicinissimi, Natasha capì che si trattava di stivali da Dragone. Tavington? Ti prego, fa che non sia lui, fa che non mi trovino, ti scongiuro, ti scongiuro... Natasha ormai poteva anche sentire il respiro del Dragone che stava proprio dietro la sua schiena... se non fosse stato per la radice che la nascondeva lui l'avrebbe vista... Ti prego, Signore, ti prego... I passi si fermarono. Natasha immaginò che l'uomo stesse seguendo le impronte che lei aveva lasciato sulla neve... probabilmente stava riflettendo, le stava interpretando... e quando avrebbe capito... Cosa doveva fare? Scappare adesso? Ha una pistola... senza dubbio ha una pistola sguainata... Ma Tavington aveva dato l'ordine di non uccidere nè lei nè Rupert... quindi questo qualcuno non le avrebbe sparato, se fosse fuggita in quel momento... a meno che... A meno che non sia proprio Tavington. Doveva rischiare? Doveva uscire allo scoperto e iniziare a correre nella direzione opposta? No, l'avrebbe raggiunta dopo pochi passi. Lei doveva anche alzarsi in piedi, lui l'avrebbe agguantata in men che non si dica... Aiuto, qualcuno mi aiuti, per favore..., pregò in silenzio. Udì un sospiro alle sue spalle. -So che siete lì dietro, signora Tavington- Natasha sobbalzò. Aveva riconosciuto la voce... forse c'era una speranza. Forse c'era... -Wilkins- singhiozzò, ancora nascosta dalla radice. Pochi attimi dopo, un braccio la tirava in piedi con forza sorprendente e l'aiutò a scavalcare la radice. Natasha guardò negli occhi l'uomo che l'aveva scoperta. -Wilkins...- mormorò, le guance riscaldate dalle lacrime. Lui le prese un polso e lo tenne fermo nella sua mano guantata. Natasha lo guardò supplichevole: -No, Wilkins, vi prego... Non riportatemi da lui... Non fatelo...- -Devo, signora Tavington- disse Wilkins in tono formale. -NO!- pianse Natasha, cercando di liberarsi dalla sua presa di ferro -Vi scongiuro, no! Lasciatemi andare! Lasciatemi! Come potete farmi questo? Come potete??- L'espressione di Wilkins era imperscrutabile nelle tenebre. Natasha si sentì trainare da lui verso la direzione dalla quale saliva il fumo... -No, Wilkins! Vi prego! Nooo!!- Natasha cercò in tutti i modi di combatterlo, ma non riusciva ad opporgli resistenza... tempestò il braccio che la teneva prigioniera con pugni disperati, concentrati di tutta la forza che le era rimasta... ma ben presto la stanchezza prevalse in lei e si lasciò condurre da lui. Quando ormai erano a pochi passi dalla capanna, Natasha fece un ultimo, triste tentativo. -Vi prego- disse debolmente -Lasciatemi andare. Non fatemi questo- Wilkins sembrava preda di un doloroso conflitto interiore. Si fermò e il cuore di Natasha si riempì di nuove speranze. -Credetemi, signora Tavington. Non vorrei farlo. Ma devo- Natasha ricominciò a piangere: -Perché, perché siete passato dagli Inglesi? Perché non mi lasciate andare? Perché non mi lasciate vivere la mia vita...?- Ogni sillaba era uno scoppio di disperazione, e nuove lacrime che scorrevano fino a giungerle al collo. Wilkins riprese a camminare, trascinandola con sé. Nel giro di un minuto, raggiunsero la capanna, o meglio, quello che ne restava. Molti Dragoni se ne stavano lì attorno, sparsi. Alcuni avevano ancora in mano delle torce ardenti. Natasha chiuse gli occhi appena scorse una sagoma fin troppo familiare. Tavington mosse qualche passo verso Wilkins. I Dragoni smisero di parlare tra di loro e lo guardarono. L'unico rumore rimasto era il crepitio delle fiamme. -Alla buon'ora- disse Tavington freddamente -Dov'era?- -Non troppo lontana, signore- rispose Wilkins -Un centinaio di piedi a ovest- -E allora perché ci avete messo tanto?- sbottò Tavington. -Le mie scuse, signore- rispose Wilkins, che ora tratteneva entrambi i polsi di Natasha fermi dietro la schiena di lei. Tasha si lasciava sorreggere da lui. Non aveva la forza di starsene in piedi. Udì Tavington muovere un passo ancora verso di lei. Sapeva che era vicinissimo. Lui le alzò il mento con una mano guantata, ma lei non aprì gli occhi. Non voleva rivederlo, non volera incontrare di nuovo quegli occhi... -Bentornata, tesoro- disse in tono mellifluo, prima di tirarle uno schiaffo il cui rumore echeggiò orribilmente nel bosco semideserto. Natasha gemette e aprì gli occhi istintivamente, ma non cadde; i suoi polsi erano ancora nella mani di Wilkins. Natasha si ritrovò a fissare gli occhi che da una vita, ormai, infestavano i suoi incubi... Lui la guardava con disprezzo e superiorità. Dietro quell'atteggiamento pacato, però, Natasha scorgeva un bruciante fuoco di rabbia, che animava i suoi occhi facendoli brillare nella notte. -Wilkins, lasciala a me. Che dieci di voi tornino nel bosco. Avete un quarto d'ora per trovare quell'altro bastardo. Gli altri organizzino la partenza- Tavington prese bruscamente Natasha per un braccio e la ricondusse nel bosco, trascinandola ancora più violentemente di come aveva fatto Wilkins. Andarono. E continuarono ad andare. Natasha ormai non capiva più dove fossero, aveva completamente perso il senso dell'orientamento. L'unica cosa che riusciva a provare, a parte il freddo, era un angosciante senso di paura, terrore e panico che le attanagliavano lo stomaco. Dopo quella che parve un'eternità, Tavington si fermò e lasciò il suo braccio. Natasha cadde a terra bocconi, incapace di reagire. Lui la tirò su da terra e la sbattè contro un albero particolarmente robusto. Natasha gemette debolmente al contatto della sua schiena seminuda contro la ruvida corteccia. -A quanto pare- cominciò lui, sbattendola ancora una volta contro l'albero -La nostra ultima chiaccherata non ti ha insegnato niente, vero? Allora lascia che ti dia un'altra lezioncina...- La prese per le spalle e la schiacciò contro la corteccia. Natasha chiuse gli occhi quando sentì alcuni pezzi di legno particolarmente aguzzi penetrarle nella pelle, facendola gemere lievemente. -Eppure- proseguì Tavington, un'ira glaciale nella voce -Pensavo di essere stato abbastanza chiaro... ma a quanto pare mi sbagliavo- Tavington si fece avanti talmente tanto che lei si sentì soffocare dal suo corpo. Lui le prese le mani e gliele immobilizzò sopra la testa. Poi prese a baciarle il collo con rabbia, mentre il suo petto forte e robusto schiacciava il suo. Natasha provò distintamente la sensazione della sue labbra morbide e calde che si posavano sulla suo collo gelido, facendole venire la pelle d'oca. -Ciò che ora voglio che tu faccia- disse lui, muovendo la testa in avanti per poterle parlare nell'orecchio -E' urlare- Natasha non capiva, ma non si sforzava neppure. La sua mente era invasa da un inconsumabile dolore che la stava torturando senza sosta. -So che i miei uomini non riusciranno mai a trovare quel bastardo di tuo fratello- sussurrò lui malevolo -Quindi l'unico modo per trovarlo è farlo venire qui di sua spontanea volontà. E l'unica ragione per la quale lui potrebbe venire qui è temere che io possa fare del male alla sua preziosa sorellina- Natasha singhiozzò. -Perciò urla, Natasha- le ordinò -Urla il suo nome, chiama aiuto. In effetti...- disse, mentre la sua mano scivolava nella sua scollatura -Credo che presto ne avrai bisogno...- Con un ghigno malevolo, la mano di Tavington viaggiò ai suoi pantaloni. Se li slacciò continuando a fissarla, mentre lei chiudeva gli occhi e teneva la testa ferma rivolta dall'altra parte. -Ti prego, non di nuovo- lo supplicò mormorando, il corpo immerso nei tremiti -Per favore, no- Lui non fece che alzarle la gonna del vestito, ignorando le lacrime di lei. Ben presto Tasha sentì la sua erezione spingere in lei, penetrarla... squarciarla... spingere sempre più la sua schiena sanguinante contro la corteccia. Natasha serrò le labbra. Non doveva urlare, non doveva... Il colonnello prese a spingere in lei con più violenza, rendendole impossibile non gridare. Ma lei resisteva. Tra poco sarà tutto finito... tra poco rivedrò Tom... Andrà tutto bene... Il dolore avrà fine... L'importante è che io non urli... -TI HO DETTO DI GRIDARE!!!!!- disse lui, spingendo in lei con tanta forza che lei gemette, le mani strette a pugno, le unghie conficcate nella carne. Ma il gemito non era stato abbastanza acuto per essere udito tutt'intorno. Natasha si concentrò più intensamente. Ancora in lei, Tavington le prese il mento con una mano e lo strinse, facendo scendere altre lacrime dai suoi occhi. -Se non griderai, Natasha- le disse, minaccioso -Arrivati al forte ti picchierò fino a farti vomitare l'anima- Natasha non lo ascoltò. Non avrebbe ceduto alle sue minacce... Tavington la schiacciò ancora una volta contro l'albero. Natasha udì distintamente il rumore della pelle scoperta della sua schiena che strisciava sulla corteccia e gemette debolmente. Non ricordava di avere mai provato tanto dolore in vita sua. Un urlo disperato lottava per uscire dalla sua bocca, ma lei aveva le labbra serrate e si costrinse a trattenerlo. Tavington aumentò il ritmo, cercando di andare più a fondo. Natasha strinse gli occhi e gemette, in preda all'agonia. Il dolore era assurdo, il ritmo con cui Tavington andava in lei sempre più forsennato e maniacale. Non sapeva per quanto sarebbe riuscita a resistere...

Tavington uscì da lei con un violento scossone e tirò fuori la pistola. La puntò alla sua tempia sinistra con tanta foga che a Tasha sembrò che stesse per penetrarle nel cervello. Brividi partivano dal punto in cui la fredda canna dell'arma le toccava la testa, e le percorrevano l'intero corpo, avvolgendola nel terrore. -Urla- ripetè lui -URLA!!- Natasha respirò profondamente e pianse, ma non fece altro. A quel punto Tavington la prese per un braccio e la gettò a terra. Natasha sprofondò nella neve e non si lasciò andare neppure un grido quando lui le tirò un potente calcio sulla schiena. Natasha vide il suo stesso sangue colarle dalla bocca e imbrattare la candida neve davanti a lei. E' finita... sto morendo. Non sento più freddo... Da terra, Natasha alzò debolmente lo sguardo verso di lui. Scorse nei suoi occhi una profonda irritazione. Ce l'ho fatta... ce l'ho fatta... Rupert è salvo... Sorrideva ancora quando i suoi occhi si chiusero.