Capitolo 11
La battaglia di Cowpens

Natasha non sapeva se a svegliarla fosse stato il bruciore atroce proveniente dalla schiena o l'aprirsi di una porta a poca distanza da lei. Sbattè debolmente le palpebre alla luce aranciata di una candela. Doveva essere notte fonda. Corrugando la fronte, guardò chi era il suo visitatore. -Eppure vi avevo detto di fare attenzione ad andare a cavallo, Mrs Tavington- Natasha sbuffò tra sé quando riconobbe la voce. Tra tutte le persone, doveva per forza trovarsi ancora una volta con il dottor Frankson? Il dottore appariva diviso tra un'aria professionale e un irritante atteggiamento di soddisfazione dovuto, immaginò Natasha, al fatto che lei fosse stata punita per non avere seguito i suoi consigli. Fu solo quando egli si fu seduto in una sedia accanto al letto e iniziò a tirare fuori i suoi attrezzi che Tasha si accorse che non era solo. Tavington se ne stava sulla soglia, nell'ombra, in quella che forse secondo lui era una buona interpretazione di un devoto marito addolorato. Non era molto credibile, ma a quanto pareva era sufficiente per convincere il dottore, che sembrava proprio aver bevuto ogni singola idiozia che il colonnello gli aveva fornito come versione dei fatti. -E' caduta su un tronco, dicevate, colonnello?- domandò il dottor Frankson in tono convenzionale. -Già, il cavallo dev'essere inciampato- disse Tavington in tono impassibile -E probabilmente lei poi vi è caduta sopra- -Già, già- rispose il dottor Frankson, come se quelle parole confermassero alla perfezione le sue ipotesi. Se ne avesse avuto la forza, a Natasha sarebbe piaciuto molto gridargli in faccia la verità, ma tanto non sarebbe servito. Sconfitta, guardò Tavington. La sua espressione, immersa nell'oscurità, era difficile da interpretare, ma Tasha riusciva quasi a vederlo ghignare nella sua direzione. Era impossibile che non stesse ghignando in un momento come quello. -Tutto a posto, niente di grave- disse il dottore con il tono di chi fa una grande rivelazione -Ha solo qualche piccolo taglio e ferite varie sulla schiena, ma nulla di permanente. Ha anche un piccolo pesto in prossimità della parte posteriore del collo, ma nulla di rotto- Natasha ricordò in un flash il dolore provato quando lo stivale di Tavington l'aveva colpita. Il dottore le rivolse un sorriso indulgente: -Non preoccupatevi, signora Tavington. E neanche voi, colonnello- disse rivolgendosi a Tavington, ancora nell'ombra -Vostra moglie sta benissimo. Un'unica cosa... visto il suo, permettetemi, dubbio talento nel cavalcare, vi consiglierei di non lasciarla mai più salire in groppa ad un cavallo, per il suo bene- -Oh, su questo non ci piove, dottore- disse Tavington freddamente -Provvederò io stesso a fare in modo che non abbia più occasione di farsi male- Il dottore sorrise soddisfatto nel vedere che qualcuno gli dava retta, anche se in realtà non aveva capito il vero, meschino significato di quella frase maliziosa. Natasha, al contrario, lo comprendeva sin troppo bene: rivolse a Tavington un'occhiata piena di odio. Il dottor Frankson salutò entrambi ed uscì dalla stanza, portando con sè la sua inseparabile valigetta. Tavington mosse qualche passo in avanti e chiuse la porta a chiave. Senza guardare Natasha, iniziò a sciogliersi il nodo del fazzoletto che portava legato al collo e lo appoggiò sullo schienale di una sedia. Si sciolse i capelli, si tolse gli stivali e la giacca, e si gettò sul letto a pancia in giù, accanto a lei. Tasha continuava a non guardarlo. Lui le si avvicinò e la baciò, esplorando la bocca di lei con la sua calda lingua. Natasha si lasciò coinvolgere senza opporsi. Lui separò le labbra dalle sue e la guardò. Tasha incontrò i suoi occhi e non fu più capace di spostare lo sguardo altrove. Gli occhi di lui la studiarono attentamente, prima che dicesse: -Perché sei così stupida?- Dopo un breve sospiro, Tavington proseguì, intensificando il suo sguardo -Credevi davvero che saresti riuscita a fuggire senza che io ti trovassi?- Natasha non rispose. Non aveva niente da dire. -Ma, da una parte, è questo che mi piace di te- continuò lui, accarezzandole una guancia -La tua totale, irreparabile ingenuità... chiunque avrebbe capito che io non potevo essere tanto idiota da fidarmi di te e lasciarti al forte con poco più di sei guardie a sorvegliare il cancello. No, tesoro, mi dispiace, ma sembra proprio che io abbia vinto anche stavolta- Dovette ammeterlo anche Natasha. Ma era ancora avida di spiegazioni. -Non dovevi essere in battaglia?- mormorò debolmente. Tavington emise uno sbuffo divertito: -Gli Americani ci hanno giocato un altro dei loro soliti giochetti. Codardi. Non si sono presentati. Abbiamo dovuto mobilitare tutte le unità di Dragoni e gran parte di quelle delle giubbe rosse, ma siamo andati là per niente. Siamo tornati a Fort Carolina la sera stessa che siamo partiti. A quel punto trovo lo stalliere, al quale avevo assegnato il compito di riferirmi il nome di chiunque avesse preso uno dei cavalli dalla stalla, che mi dice che una ragazza è venuta a prendere un cavallo proprio quel pomeriggio. Il mio primo pensiero è stato di venire subito a cercarti, ma avevo le solite stupide scartoffie da sbrigare. Per tre giorni sono rimasto al forte a sistemare le varie faccende. Stasera finalmente sono riuscito a radunare una bella pattuglia e a venire a cercarti. Sapevo dov'eri... non era poi così difficile da indovinare. Devo dirlo, la tua ingenuità mi ha sorpreso ancora una volta- Natasha chiuse gli occhi per non vedere quell'espressione di trionfo sul suo volto. Si sentiva stupida, sapeva che lui aveva ragione. Come aveva potuto pensare che sarebbe riuscita a ingannarlo? Come aveva potuto pensare che lui non sarebbe riuscito a trovarla? Tavington aveva ragione. Aveva vinto anche questa volta. Perché non si era accontentata semplicemente di vivere una vita serena con un Tavington che lei, dopo tanti tentativi, era infine riuscita a rendere buono? Perché aveva dovuto rovinare tutto? Natasha riaprì gli occhi, pronta a fronteggiarlo. Lui la stava ancora osservando e lei si sentiva a disagio. -William- mormorò lei -Io non lo farò un'altra volta. Ti giuro che non lo farò mai più- Si sorprese nel sentire queste parole uscire dalla sua bocca. Ma l'unica cosa che voleva in quel momento era che lui si riappacificasse con lei. Non voleva farlo arrabbiare un'altra volta, voleva solo che da quel momento in poi loro due potessero vivere tranquilli. Voleva solo cercare di avere una vita felice, anche se con l'uomo sbagliato. Tavington continuò a guardarla. Non c'era stupore nei suoi occhi, solo profonda comprensione. Lei lo guardò supplichevole. Sentiva di aver sbagliato tutto. Non avrebbe mai dovuto sperare di poter fuggire, non avrebbe mai dovuto sconvolgere quel precario equilibrio che si era creato tra lei e il colonnello. Non si sarebbe mai più riempita la testa con stupide speranze del genere. Perché era la speranza che l'aveva condotta a questo. Era ora che lei fronteggiasse la realtà e si arrendesse a essa. Non aveva più voglia di combatterla. -William?- disse, gli occhi che iniziavano a riempirsi di lacrime. -Sei uguale agli altri, Tasha- disse lui. Il suo tono di voce era molto basso. -Non so come io abbia fatto a vedere in te qualcosa di più, ma mi sono sempre sbagliato. Sei assolutamente identica a tutte le altre persone che ho conosciuto. Come gli altri, sei desiderosa di allontanarti da me, di sconfiggermi, di andartene via- Natasha rimase in silenzio. Sì, voleva andarsene da lui. Ma non ci avrebbe provato mai più. Oh, cos'era quel sentimento angosciante che si liberava in lei? Perché si sentiva in colpa? Perché stava provando tutte queste cose nello stesso momento? -William...- sussurrò -Mi dispiace- Tavington vide le lacrime scorrerle sulle guance e capì che lei si stava arrendendo. Stava per sottomettersi a lui definitivamente. Tasha si tirò a sedere asciugandosi il pianto con le dita. William si alzò e l'abbracciò. La tenne stretta, respirando a fondo il suo profumo di ragazza. Lei pianse a lungo sulla sua spalla, singhiozzando con tutta l'anima. Non si era mai sentita più confusa in vita sua. Sapeva solo che non voleva fare altri tentativi. Sapeva solo che si sarebbe rassegnata alla volontà di lui senza fiatare. Voleva solo smettere di combattere, smettere di fare l'ingenua, piantarla con quella farsa. E voleva lasciare andare le cose come il destino le aveva pianificate, senza più opporsi. Non c'era più forza in lei. Era vuota e non provava nulla, solo una grande rassegnazione e la profonda tristezza che la stava facendo versare tante lacrime. Era finita. Tavington le mise una mano sulla la schiena e l'accarezzò. Sentì le braccia di lei serrarsi ancora più strette attorno al suo collo. Le labbra di Tavington si piegarono in un ghigno mentre continuava a passarle una mano sulla schiena.

Natasha non incontrò Tom per due settimane. Sentiva molto la sua mancanza, ma temeva di rivederlo: aveva paura della sua reazione quando lei gli avrebbe comunicato la sua drastica decisione di lasciar perdere tutto. Da quando era tornata al forte dopo la sua breve assenza, molte cose erano cambiate, e in peggio. Lei e Tom erano sorvegliati in continuazione, e Tasha vedeva in ciò l'immancabile zampino di Tavington. Lui, per loro fortuna, non era venuto a sapere che Tom avrebbe dovuto raggiungere Natasha fuori dal forte, nel loro piano di fuga. Tavington pensava solo che Tom avesse aiutato la ragazza a fuggire, ma che non avesse fatto altro. O almeno, se sospettava implicazioni più profonde di Tom nella vicenda, non lo raccontava a Natasha. Quest'ultima si sentiva distrutta. In lei regnava un senso di risoluzione che, a seconda delle volte, la faceva sentire una persona matura e una persona molto stupida. Aveva una gran confusione in testa. Non sapeva se aveva fatto la cosa giusta o quella sbagliata, non sapeva se avrebbe dovuto mantenere la promessa fatta a Tavington o no. Ma di una cosa era sicura: ne aveva abbastanza di tutto ciò. Se il suo destino sarebbe stato vivere con Tavington, così sarebbe successo. Sarebbe stato terribile, ma non c'era altra scelta. Tasha le aveva provate tutte. Non aveva mai vinto contro di lui, mai. Ciò le aveva insegnato che a certe cose non ci si poteva opporre.

Si sentiva abbattuta, perché aveva la consapevolezza che ora non poteva più tornare indietro. Aveva la consapevolezza di avere sprecato un sacco di tempo ad evitare il suo destino invece che impiegarlo cercando di migliorarlo. Più di tutto, si sentiva sconfitta, distrutta dalla rassegnazione. Aveva un disperato bisogno di parlare con qualcuno, ma Tavington aveva deciso di tenerla isolata da tutti. Dopo che Sally portava la colazione e l'appoggiava sulla scrivania, Tavington lasciava la camera chiudendola a chiave ogni volta. Tasha si svegliava e non perdeva neppure il tempo a vestirsi, tanto sapeva che per tutta la giornata non sarebbe uscita, se non per andare in bagno. Faceva colazione in silenzio, e tornava nel letto, riprendendo a dormire. Esistevano due sole chiavi della sua stanza: una ce l'aveva Tavington, l'altra era stata affidata a Sally, con la minaccia di torturarla se si fosse azzardata a darla a qualcuno. La povera serva viveva nel terrore ora, non parlava più con nessuno, e il suo solito, rassicurante sorriso sembrava essersi estinto per sempre. Natasha immaginò che Tavington dovesse averla minacciata in maniera molto violenta. Ella faceva visita a Natasha quattro volte al giorno, portando i vassoi con i pasti, e accompagnandola in bagno se lei ne aveva bisogno. Spesso le portava anche Willy, che era l'unica vera compagnia di Tasha. Era meriviglioso averlo di nuovo vicino, soprattutto dopo che lei si era preparata psicologicamente a dargli addio per sempre. Le giornate di Tasha erano sempre più vuote e prive di senso. Cullava il piccolo per tutto il tempo, e nonappena lui si addormentava Natasha sedeva davanti alla finestra e guardava fuori per ore e ore, fino a che non calava la sera e arrivava Sally con il vassoio della cena. Poi, quando la notte s'infittiva, arrivava Tavington. Lui era sempre molto stanco, e, fortunatamente per lei, non sempre pretendeva nottate di fuoco. Tornava al suo alloggio a notte fonda, spesso alle due o alle tre del mattino, e si svegliava un paio di ore dopo. Natasha non riusciva a capire come potesse continuare così, ma lui non sembrava sentire il peso di quegli orari assurdi. D'altra parte, Tasha considerava ciò un'insperata fortuna. Una mattina di metà aprile Natasha aprì gli occhi. Sbattè le palpebre ripetutamente, cercando di mettere a fuoco la stanza attorno a lei. Il letto era vuoto, come al solito. Si alzò in piedi e vide il vassoio della colazione abbandonato sulla scrivania. Non aveva fame, così lo lasciò perdere. Si stirò le braccia e le gambe e, sbadigliando, si sedette sulla sedia davanti alla finestra. C'era un sole molto forte, ma la giornata non era particolarmente serena: il cielo era coperte di plumbee nuvole molto spesse, e i raggi solari che riuscivano a filtrare colpivano il terreno con violenza. Natasha si avvicinò alle finestra e vide l'immagine che ormai era così abituata a guardare: il cortile, ordinatamente sorvegliato da guardie in divisa rossa allineate parallelemente al sentiero in terra battuta che portava direttamente al cancello. Il cancello dal quale lei avrebbe così tanto voluto fuggire di nuovo. Ma no, doveva rassegnarsi. Natasha era sicura che non ci avrebbe ritentato mai più. Stava per voltarsi, quando vide Tom uscire dal palazzo e avvicinarsi furtivamente alla sua finestra. Tasha provò un tuffo al cuore. E se qualcuno lo avesse visto? Tuttavia aprì la finestra con un impeto di gioia che non provava da molto. Oh, aveva così tanto bisogno di rivederlo... Tom salì sul davanzale e con un balzo riuscì ad entrare nella camera di Natasha. Senza tanti preamboli, la prese stretta tra le braccia e la baciò. Tasha si sentì rabbrividire di piacere. -Come stai, tesoro? Come stai? Oh, se solo fossi riuscito a venire prima...- disse Tom, continuando a stringerla forte. La baciò forte sulla guancia e le fece appoggiare la testa sul suo petto. -Mi dispiace, Tasha. Mi dispiace tanto per quello che è successo... Quel bastardo... perché diavolo è tornato da quella dannata battaglia, non lo so... Oh, non doveva trovarti, non doveva... almeno non è riuscito a prendere tuo fratello... Ma è riuscito ancora una volta a farti del male, io... Mi dispiace così tanto, così tanto...- Natasha si lasciò coccolare da lui senza dire una parola. -Ti giuro, la prossima volta nulla andrà storto, ho pensato che il momento adatto sarà verso i primi di maggio, quando tutti gli ufficiali saranno via per la battaglia di Cowpe... Natasha ti senti bene?- s'interruppe Tom, una volta che l'ebbe guardata bene. Natasha sospirò, gli occhi velati di tristezza. -No- rispose, evitando il suo sguardo -No, non sto affatto bene- Tom si sedette sul letto: -Cosa c'è che non và? Ancora lui?- Natasha si passò una mano sulla fronte in un gesto stanco: -Sì e no- -Sei preoccupata per il prossimo piano di fuga?- domandò lui, incerto. Tasha alzò lo sguardo verso Tom. Scosse la testa lentamente. -Non ci sarà un altro piano di fuga- bisbigliò in un soffio. -Come?- chiese Tom -Cosa stai dicendo?- -Oh, Tom!- sospirò lei, cominciando a camminare avanti e indietro per la stanza -Io non riesco ad andare avanti così... a provare, e riprovare, fino a che non riusciamo a... a porre fine e tutto... Non riesco più, Tom!- Si sedette anche lei sul letto e lo guardò. Lui la fissava, muto e incredulo. -Ogni nostro fallimento io... io lo devo pagare, Tom. Lui mi fa del male ogni volta che mi trova a fare qualcosa che non dovrei fare. Le sue punizioni cominciano a pesarmi così tanto... Ha minacciato di uccidermi, e di questo non ho paura... ma temo per la vita di Willy. Se in uno scatto di rabbia gli sparasse, lo strozzasse, o...?- la voce le morì in gola. Tom la guardava senza capire: -Cosa vuoi dire?- -Voglio dire- mormorò Natasha, fissandolo profondamente negli occhi. Deglutì e proseguì: -Voglio dire che è finita, Tom. Dobbiamo arrenderci all'evidenza. Non possiamo sconfiggerlo... io non posso più continuare a pagare, non posso più continuare a soffrire... l'unico modo per mettere fine a tutto questo è ubbidirgli, in silenzio... E' l'unico modo, Tom...- Tom la guardava stringendo gli occhi e scuotendo la testa: -Non puoi dirmi questo...- Tasha notò che il suo petto iniziava ad alzarsi e abbassarsi furiosamente e lo abbracciò. -Tom, mi dispiace... mi dispiace...- Tom non si muoveva. Sembrava compeltamente spiazzato: -Questo significa che... finita la guerra... io e te non... non potremmo mai più... vederci, è così?- Natasha chiuse gli occhi e asciugò le lacrime che le sgorgavano. -Mi dispiace, Tom- ripetè -Ma non abbiamo altra scelta, rifletti- Tom si passò le mani tra i capelli, spettinandoli. -No... no ci dev'essere un altro modo- Si alzò di scatto e iniziò a misurare a gran passi la stanza. Natasha aspettò in silenzio che la realtà penerasse in lui. D'un tratto Tom si buttò per terra e cadde sulle ginocchia. -No, no... no- ripetè disperato, la testa fra le mani. Natasha si sedette accanto a lui e lo abbracciò. Piansero insieme, ognuno sulla spalla dell'altra, infuriati e impotenti davanti al destino. -Mi dispiace...- mormorò Tom -Mi dispiace di non essere mai... riuscito a proteggerti- Natasha scosse la testa: -Non è mai stata colpa tua, Tom... mai. Ti amo, tesoro, ti amo tantissimo- -Se tutto questo non fosse mai successo... - bisbigliò Tom, stringendola a sé. Natasha versò altre lacrime, senza riuscire a fermarsi. -Oh, Tom...- singhiozzò -Ormai non ho più speranza... non spero più in niente, Tom- -Ascoltami, Natasha- mormorò lui, prendendole il viso con una mano -Promettimi che non mi dimenticherai... promettimi che anche quando la guerra finirà, quando verremo separati... promettimi che penserai ancora a me... promettimi che mi starai vicina... Perché questa rimarrà la mia speranza- Lei annuì, quasi senza più vedere il volto di Tom a causa delle lacrime che le offuscavano la vista -Lo prometto... lo prometto...- Lui la strinse ancora al petto, sempre più forte. Natasha voleva restare lì, non voleva che la sua vita venisse turbata in altri modi... voleva ritrovare la ragione, ma essa sembrava avere abbandonato quella stanza... non c'era niente lì, solo tragedia e lacrime... Tom si alzò in piedi e l'aiutò a fare lo stesso. -Quanto sei bella...- le disse lui, accarezzandole il viso -Sei la cosa più meravigliosa che mi sia mai capitata... e che mai mi capiterà- La baciò. Natasha si aggrappò con tutte le sue forze al suo collo... sentì alcuni ciuffi dei capelli biondi di lui sfiorarle la fronte... Si lasciò cullare dal bacio più dolce che avesse mai ricevuto... Quel bacio che l'avrebbe cullata in eterno... -Ci vediamo, Tasha- mormorò lui, staccandosi da lei e avvicinandosi alla finestra. -Ci vediamo, Tom- disse lei asciugandosi le lacrime. La finestra si chiuse con un colpo secco dietro di lui. Natasha si buttò sul letto, ma non pianse. Non aveva più lacrime.

I giorni trascorsero incolori e malinconici. Tavington passava più tempo con Natasha, ora. Le raccontava che la guerra non stava procedendo bene per gli Inglesi, ma che non c'era da preoccuparsi. Tutto sembrava dipendere dalla decisiva battaglia di Cowpens, che avrebbe avuto luogo i primi di maggio. Circa una settimana dopo l'ultimo incontro di Tasha con Tom, Natasha si svegliò e trovò il colonnello steso accanto a lei. Appoggiò la testa sul cuscino e si mise ad osservarlo, spassionatamente. Non si sarebbe mai stancata di guardarlo dormire... sembrava così diverso... ancora Tasha non riusciva a capire come potesse apparire tanto differente da quando era sveglio. Il suo torace scoperto e muscoloso si alzava e si abbassava lentamente. Le sue forti braccia erano una sotto il cuscino, l'altra sulle lenzuola leggere. Natasha si domandò se sotto le coperte fosse nudo. Soffocò una risatina con il cuscino. Ogni tanto le venivano queste strane idee. D'un tratto, però, si sentì curiosa. Insieme alla curiosità, anche un leggero senso di colpa si fece strada dentro di lei, ma lei non voleva dargli retta. Non si era forse promessa di non combattere mai più contro la realtà? Però era vero che Tom le mancava tanto... era vero che lei avrebbe voluto più di ogni cosa andare a vivere con lui... Basta, hai fatto la tua decisione. Non puoi farci niente. Non puoi farci niente. Perché doveva combattere contro la sua stessa mente per trovare un po' di tranquillità? Natasha riappoggiò la guancia sul cuscino e continuò a osservare il bel volto di suo marito. Un sorriso amaro si formò sulle sue labbra. Un sorriso rassegnato. Sì, William, hai vinto. Hai vinto, William... io rimarrò qui... non ti devi preoccupare... Sebbene desiderasse essere con l'amore della sua vita, doveva ammettere che quando Tavington non era arrabbiato con lei non era male. Non solo era un uomo bellissimo, ma sapeva anche essere dolce. Natasha da una parte si sentiva orgogliosa di se stessa quando rifletteva che era tutto merito suo se ora William era così. Solo con lei lui era un uomo romantico. Era il solito Colonnello Tavington con Sarah Slaves... ma era William con lei. Sì, per sottomettersi ad una vita intera con lui doveva prima di tutto accettarlo. E Natasha si sentiva pronta anche per questo. Era l'unico modo per tornare ad essere felice anche se, Natasha lo sapeva, la ferita che Tom aveva lasciato dentro di lei non si sarebbe mai rimarginata. Avrebbe sempre sentito la sua mancanza. La sua mente tornò con leggerezza a chiedersi se Tavington stava dormendo nudo o no. Natasha represse un ghigno, mentre la curiosità in lei diventava intrattenibile. Si avvicinò a lui, muovendosi lentamente e cercando di provocare meno rumore possibile. Quando gli fu vicinissima, la tentazione di baciarlo divenne insopportabile. Però d'altra parte, voleva anche vedere se... Natasha abbassò lo sguardo lentamente. Dannazione, c'erano le lenzuola. Con lentezza e cautela, afferrò un lembo della coperta e prese a tirare, piano piano. Natasha arrossì come una ragazzina mentre il lenzuolo scivolava via. -Cosa stai facendo?- Natasha sobbalzò quando sentì quella battuta ironica. Alzò la testa e si ritrovò a fissare gli occhi azzurri di Tavington che la fissavano con sguardo divertito. -Ah... ehm... sì, io... cioè...- Tavington le prese il viso con la mano. -Dì la verità- Natasha si sentì avvampare. -Ecco... bè, veramente... stavo... non...- Tavington sorrise mentre le guance di lei diventavano ulteriormente rosse. -Sai, Tasha... sembri una ragazza pura, innocente... ma sotto sotto... eh?- Natasha sorrise imbarazzata. -Sì, bè... io... ero solo curiosa- Lo sguardo di Tavington diventò malizioso. -Ti piacerebbe vederlo?- La domanda arrivò così inaspettata alle orecchie di Natasha che sentì l'improvviso bisogno di un secchio di acqua fresca che spegnesse il fuoco ardente sulle sue guance. Scoppiò a ridere. -Sto bene anche così, grazie- disse, distogliendo lo sguardo. -Non sapevo se farti continuare o no- disse Tavington, un brillo divertito negli occhi -Ma alla fine ho pensato che saresti potuta rimanere sconvolta- Natasha rise: -Ma non dormi mai?- -No- rispose Tavington -Sono anni che non dormo... e questo mi torna piuttosto utile quando delle spietate assassine di almeno vent'anni più giovani di me cercano prima di spararmi, poi di molestarmi- Natasha scoppiò a ridere. In effetti, l'immagine di lei che puntava la pistola contro Tavington ora le sembrava ridicola. Avrei dovuto capirlo prima che in lui non c'era tutta questa malvagità... non era possibile... Tavington si alzò a sedere e si legò il lenzuolo in vita, lanciando uno sguardo malizioso a Tasha. Anche lei si alzò e si vestì. Andarono a trovare Willy e insieme lo portarono a fare colazione. Nel pomeriggio Tavington fu chiamato a partecipare ad un consiglio di guerra dove si sarebbero decise le tecniche da usare contro gli Americani nell'ormai vicina battaglia di Cowpens, così Natasha si preparò a trascorrere ore e ore chiusa in camera come al solito. Dopo che Willy si fu addormentato, decise di passare il tempo mettendo ordine nel suo armadio. Il mantello di Tom non era più lì. Tasha lo aveva perduto quando era andata a trovare Rupert: era rimasto nella capanna ed era andato a fuoco. Natasha si dispiaceva molto per quella perdita, ma da una parte ringraziava il cielo: l'avrebbe aiutata a non pensare troppo a Tom, a non rimpiangerlo. Per coincidenza le sue mani trovarono proprio la vestaglia che indossava la sera in cui Tavington l'aveva catturata per la seconda volta: Natasha vide che era ancora sporca di sangue, il sangue che aveva perso per colpa di quel dannato albero. Natasha si passò una mano sulla schiena e sentì dei piccoli segnetti nei numerosi punti in cui la corteccia, un mese prima, l'aveva strisciata. Almeno non facevano più male. Distrattamente, Tasha controllò cosa c'era nelle tasche della vestaglia. Inarcò le sopracciglia quando toccò qualcosa. Con il cuore che batteva forte, tirò fuori la lettera di suo padre. Se n'era quasi dimenticata! In quei quattro giorni che Tasha aveva passato lontana dal forte, dormiva sempre con la lettera di suo padre, quella che aveva trovato sotto le rovine della sua casa. E se la metteva in tasca, perché l'aiutava a sentirlo vicino... Natasha se la rigirò tra le mani. La calligrafia di suo padre le era così familiare... Il testo del plico era ormai illeggibile, tant'era bruciacchiata la carta, ma Natasha non se ne curava. L'osservò a lungo, stringendola a sé, baciandola, immergendosi nei ricordi.

Tavington uscì dalla sala delle riunioni e si diresse nell'atrio, verso la sua camera. Attraversò il corridoio, la mente ancora alla riunione che aveva appena avuto. Lord Cornwallis sembrava davvero convinto che lui, William, dovesse aspettare il comando del generale prima di attaccare. Tavington non si diceva precisamente d'accordo con lui... e se il generale non lo avesse chiamato per niente? No, Tavington non aveva intenzione di starsene a guardare la battaglia della sua vita da sopra la collina. Lui sarebbe intervenuto quando più gli andava, e non gli importava nulla se così infrangeva quelle stupide regole. In fondo, grazie ai suoi interventi avevano sempre vinto. Perché questa volta doveva andare diversamente? Tavington tirò fuori la chiave e la girò nella toppa. Entrò nella camera e trovò Natasha seduta per terra, davanti all'armadio. Gli dava le spalle e sembrava china su qualcosa. Tavington chiuse la porta dietro di sé. Tasha non si voltò e lui inarcò le sopracciglia quando udì un debole rumore di pianto. -Natasha?- disse, incerto. Lei voltò la testa asciugandosi le lacrime. -William- mormorò lei, sorridendo -Sei tornato... Com'è andata la riunione?- Si alzò in piedi, continuando a passarsi il palmo della mano sulle guance. -Cos'hai, Tasha?- domandò lui, avvicinandosi a lei -Cosa c'è?- Natasha scosse la testa vigorosamente. -Niente, niente- -Cosa nascondi dietro la schiena?- domandò lui con fare inquisitorio, notando le braccia di lei, entrambe nascoste dietro il suo corpo. -Nulla- rispose lei in tono poco convincente. -Fammi vedere- ordinò Tavington avvicinandosi a lei. -No, William, no, ti prego- disse lei, terrorizzata. Natasha arretrò fino al muro e lui si mise di fronte a lei, molto vicino. William le prese un braccio e lo strattonò. Un foglio di carta ripiegato e ingiallito cadde sul pavimento. Natasha pianse disperatamente. -No, William, ti prego... non prenderlo...- Tavington lo raccolse e lo dispiegò. Natasha si prese il viso tra le mani. A quanto pareva era una lettera, ma illeggibile. Tavington si chiese perché lei si stava disperando tanto per il fatto che lui avesse trovato quel pezzo di carta. -Cos'è?- Per tutta risposta la ragazza continuò a piangere. -Natasha- disse lui, strattonandola -Rispondimi, Tasha... non costringermi a farti del male- Lei aprì gli occhi debolmente. Rivolgendo lo sguardo altrove, mormorò: -L'ho trovata nelle rovine della mia casa... è una delle lettere che mio padre mi aveva mandato- I suoi occhi velati di lacrime incontrarono i suoi. -Ti prego, William, non buttarla via. E' l'unica cosa che mi è rimasta... l'unico ricordo che ho di mio padre- Per un attimo Tavington fu sul punto di strapparla davanti ai suoi occhi. Ma non gli sembrava una cosa utile, nè proficua. Non vedeva perché avrebbe dovuto farlo. -No, puoi tenerla- disse Tavington, restituendogliela. Le lasciò andare il braccio. Natasha, incredula, riprese la lettera e lo guardò negli occhi. -Grazie- mormorò, piuttosto sorpresa. La ripose nell'armadio con cautela e tornò a fronteggiarlo. Lui sospirò. -Sono molto stanco- disse, sciogliendosi la coda e gettando il laccio altrove -Ti và di pettinarmi i capelli?- Natasha scoppiò a ridere. -Che c'è?- chiese lui -Non sei capace?- -Certo che sono capace- rispose lei. In qualche modo le sembrava comica l'immagine di lei che pettinava Tavington -D'accordo- Tavington si sedette alla sedia della scrivania e lei si mise dietro di lui. Ben presto lui avvertì Natasha muovere la spazzola tra i suoi capelli. In pochi secondi dimenticò la guerra, dimenticò Lord Cornwallis... dimenticò il passato... Chiuse gli occhi... non ricordava quando fosse stata l'ultima volta che si era rilassato tanto... La spazzola saliva, scendeva, tirava qualche capello facendolo rabbrividire... Le piccole mani di Natasha si muovevano su e giù con grazia infinita... Passarono i minuti. Tavington si sentiva diverso. Gli sembrava di galleggiare in un mare di nulla, la mente miracolosamente sgombra, dove tutto quello che contava era il dolce movimento della spazzola in mano a lei, Natasha, quella giovane creatura così delicata e fragile, che gli sembrava in qualche modo diversa da tutte le persone che aveva incontrato nella sua vita. Nonostante lui fosse in grado di scorgere un fondo di tristezza negli occhi di lei, la ragazza sembrava determinata a non farglielo notare... William aveva avuto ragione a pensare che lei si era completamente arresa a lui, ad una vita con lui... Io sarò in grado di darle la vita che merita... Certo che sarebbe stato in grado di farlo. Non c'era nulla che lui non fosse in grado di fare. Tranne forse levare quel velo di tristezza dai suoi occhi... -William, posso chiederti una cosa?- La voce di Tasha lo scosse dalle sue riflessioni. Si lasciò coinvolgere da un altro brivido mentre la spazzola gli tirava un altro capello. -Chiedi- disse Tavington, osservandola nello specchio della toletta. Anche Natasha guardò verso il suo riflesso. -Perché quel giorno non mi uccidesti?- chiese timidamente, tornando con lo sguardo ai lunghi capelli di lui. Tavington capì immediatamente di cosa stava parlando. Era ovvio che prima o poi glielo avrebbe chiesto... ma, se sapeva che glielo avrebbe chiesto un giorno, perché non si era preparato una risposta da darle? Tavington sospirò. -Può bastare, Tasha- le disse, alzandosi. Lei riappoggiò la spazzola sulla toletta e abbassò lo sguardo. Tavington capì che la ragazza si stava pentendo amaramente di avergli fatto quella domanda. Lui non sapeva cosa risponderle, così decise di ignorarla. Si tolse la giacca e la camicia. Sentiva addosso lo sguardo di lei. -Ehi, cosa guardi, tu?- le disse. Le guance di lei diventarono scarlatte e un sorriso si formò sulle sue labbra. Tavington amava l'innocenza con cui lei arrossiva. Si coricarono verso le sei del pomeriggio, quando la notte era ancora lontana. Con l'avvicinarsi dell'estate, i giorni si stavano allungando, ed in quel momento era ancora giorno, di fuori. Natasha cadde subito in un sonno profondo. Tavington si mise le mani dietro la testa e rimase a riflettere, osservando il soffitto. La domanda che lo aveva tormentato per quei lunghi quattordici mesi gli stava vorticando nel cervello per l'ennesima volta... Perché non l'ho lasciata morire? Non era mai successo che lui fosse sul punto di uccidere qualcuno senza finire il lavoro. O uccideva o non uccideva. Cosa, cosa lo aveva fermato mentre stringeva sempre più forte il collo di quella ragazzina per lui del tutto sconosciuta e inutile? Cosa c'era in lei che non c'era in nessun altro? Perché non riusciva a pensare a niente che non fosse lei? E, soprattutto, perché non si sentiva infuriato a questo proposito? Perché non rimpiangeva più il tempo in cui era se stesso? Tavington provò ancora una volta quella strana sensazione... qualla specie di presagio assurdo... sentiva qualcosa di orribile avvicinarsi sempre più a lui. E in qualche modo questo qualcosa gli sembrava legato al motivo per cui lui non aveva ucciso Tasha... Si sporse di lato per vedere il viso di lei. Alcuni lisci ciuffi ramati le coprivano le palpebre chiuse. Lui glieli scostò dalla fronte e continuò a osservarla. Si abbassò sul suo orecchio e sussurrò: -Non lo so, Tasha- Il suo sguardo vagò su ogni meraviglioso particolare del viso di lei. -La verità è che non lo so nemmeno io- Natasha mormorò qualcosa nel sonno e lui sorrise. Quindi tornò a dormire.

-E non hai idea di quando tornerai?- -No- rispose Tavington, buttando giù un bicchiere di vino -Partiamo domani mattina presto, saremo di ritorno... non so. Con molta probabilità dopodomani, al Generale Cornwallis non piacciono le battaglie troppo lunghe-

Natasha, Tavington e Willy se ne stavano seduti sulla panchina del cortile. Era il tramonto; uno splendido paesaggio si stendeva davanti ai loro occhi, presentando ancora intatti i frutti colorati che la primavera gli aveva donato. Vista temperatura relativamente calda di fine aprile, lei e Tavington avevano portato qualcosa da bere dalle cucine. Tasha aveva avuto il permesse di uscire solo perché, ovviamente, Tavington era con lei. Era bello poter riassaporare un po' di aria pulita: la stanza in cui era rinchiusa cominciava a diventare una vera e propria prigione per lei; Tasha la odiava, e un senso di claustrofobia la invadeva ogni volta che vi si ritrovava chiusa dentro per ore e ore, senza avere nulla da fare. Così le era piaciuto molto il pomeriggio appena trascorso: William l'aveva portata all'aperto, dove avevano pranzato parlando del più e del meno. Willy era stato sempre con loro... a Natasha sembrava impossibile, ma ora si era sentita in una vera famiglia, sensazione che ormai aveva dimenticato da tanto. Ma c'era quella solita ferita che ancora bruciava in lei sempre più forte. Tom non si era più fatto vedere. Nonostante i loro alloggi fossero nello stesso corridoio, Tasha non lo aveva più visto dal giorno in cui si erano salutati. Per quello che le raccontava Sally (la quale, passato lo spavento, era tornata loquace come sempre), per il palazzo si vociferava che si fosse suicidato. Ma Tom era ancora vivo, le raccontò sempre Sally, che spesso era incaricata di portargli i pasti, era solo che sembrava sconvolto per qualcosa. Suo zio aveva cercato molte volte di parlargli, ma era stato tutto inutile: il ragazzo a malapena mangiava, non usciva più dalla sua camera, non apriva bocca... Natasha soffriva nel sentire tutto questo, soprattutto quando pensava che lei invece stava cercando di dimenticarlo... Si sentiva anche stupida per forzarsi così tanto di farsi piacere Tavington ma, come ormai si era ripetuta infinite volte, non aveva altra scelta se non accettare tutto quello che le capitava. Fare buon viso a cattivo gioco, in parole povere. Era esattamente ciò che stava facendo, solo che certe volte Tavington le piaceva davvero. Il modo in cui sorrideva, la dolcezza con cui guardava Willy... le sue parole ironiche... non era un uomo sgradevole, o almeno lei era riuscita a tirare fuori il meglio che c'era in lui, e ciò la faceva sentire orgogliosa ormai da diverso tempo. Era solo che avrebbe tanto voluto sapere come stava Tom, cosa gli stava passando per la testa...

Tom Felton fissava il vuoto. Vedeva correre davanti ai suoi occhi tutta la sua vita, vedeva tutti i bei momenti che aveva passato con lei... con Tasha... La sua Tasha. Si prese la testa fra le mani. Perché aveva dovuto dirle addio? Perché era successo tutto questo? Perché Tavigton aveva vinto ancora una volta? Ma stavolta quella vittoria era stata più pesante di quanto Tom avesse mai potuto credere. Era riuscito nel suo intento finale: fare in modo che Natasha si dedicasse interamente a lui, che si arrendesse a lui. Tom sapeva che lei lo pensava, e molto. Avvertiva che lui le mancava almeno quanto lei mancava a lui. Ma non ci potevano fare niente. Niente. E ora cosa avrebbe fatto? L'indomani si sarebbe svolta una delle ultime battaglie della guerra, molto probabilmente. Una battaglia decisiva. E quando la guerra sarebbe finita, Tasha sarebbe stata portata via, lontano, molto lontano da lui. E allora perché lui se ne stava lì abbandonato sul letto? Perché non cercava di sfruttare al meglio il poco tempo che gli rimaneva da stare con Tasha? Perché tutto quello che faccio si ritorce contro Natasha... Tavington ha trovato il modo di non farla disubbidire mai più ai suoi ordini... L'ha terrorizzata a tal punto che lei si è arresa, si è buttata ai suoi piedi... Ma non doveva andare così... non finirà così... Un bussare alla porta lo fece sobbalzare. -Tom!- chiamò una voce al di là del legno. Tom rimase immobile. Prima o poi suo zio si sarebbe stancato di bussare e lo avrebbe lasciato riflettere in pace. -Tom!- chiamò ancora la voce -Adesso entro!- Entra, pensò Tom, Tanto non ho niente da dirti. La porta si aprì e il Generale O'Hara apparve sulla soglia. L'uomo appariva molto preoccupato in volto. Chiuse elegantemente la porta dietro di sé e si diresse verso il nipote con occhi affettuosi. -Tom, non puoi continuare così- gli disse, sedendosi sul letto -Se solo mi spiegassi qual è il problema...- -Sapete benissimo qual è problema!- esclamò Tom furibondo -Lo sapete eccome-

O'Hara fece un gesto di comprensione. -E' vero, lo so. La signora Tavington- Tom non disse nulla e O'Hara sospirò: -Tom, è una ragazza sposata. E' madre di un figlio- disse delicatamente. Tom chiuse gli occhi. -Uscite da questa stanza- disse, la rabbia che cresceva in lui. -No- rispose O'Hara -Io non uscirò fino a che non avremo risolto questa questione- Tom lo guardò con insolenza: -Credevo che domani ci fosse una battaglia importante. Come mai non siete a un consiglio di guerra?- O'Hara sorrise: -Credi davvero che i consigli di guerra si facciano il giorno prima della battaglia?- -A volte è così- disse Tom con scarso interesse. -Sì, hai ragione. Ma ora non dobbiamo parlare di me- continuò O'Hara -Devi spiegarmi la faccenda, Tom- Tom si prese la testa fra le mani: -Zio, non capite. Non potete capire! Nessuno può capirmi, sono...- -Almeno prova a spiegarmi- disse O'Hara -Tutta questa storia- Tom lo ignorò: -Avrei dovuto restare a Boston... o in Inghilterra. Non sarei mai dovuto venire qui- -Tom, non devi essere disgustato perché il colonnello Tavington ti impedisce di vedere sua moglie... non puoi negare che lui abbia il diritto di farlo- Tom rimase in silenzio. Disse, dopo qualche secondo: -Ci sono cose che... che un uomo non dovrebbe mai avere il diritto di fare- alzò gli occhi verso lo zio per la prima volta da quando era arrivato -Soprattutto su una donna- O'Hara sospirò profondamente: -Il Colonnello Tavington non è mai stato un gentiluomo e non credo che lo diventerà mai. Ma la presenza di una signora Tavington nella sua vita lo aiuterà... credimi, Tom, è straordinario l'effetto che una donna può avere su un uomo, persino su un uomo... bè... poco ortodosso come il Colonnello- Tom assentì. Sì, Natasha su di lui aveva avuto un effetto incredibile... Tom sentiva che la sua stessa vita dipendeva da lei... Era lì, distrutto dall'amore, a rimpiangerla. Lei, Natasha Halliwell (perché questo era per lui), con il suo sorriso di aperta semplicità... quel sorriso cancellato dalla crudeltà dell'uomo con cui ora era costretta a dividere il letto... e lui non poteva fare niente per evitarlo. Guardò suo zio, che si era alzato in piedi e guardava fuori dalla finestra con aria pensierosa. Tom si rese conto dalla sua espressione che le parole che lui stesso aveva appena detto avevano sortito effetto anche su di lui. Dovevano avere un significato speciale per il generale, ma Tom ignorava quale. D'un tratto una consapevolezza si fece strada in lui mentre ricordava i dolci baci di Tasha...Voleva solo una cosa, solo una certezza. -Voglio che Natasha sia felice- disse, più a se stesso che allo zio -Voglio che sia felice- ripetè -Anche se dovrà stare con lui... so che le farà del male... ma forse, un giorno, lei riuscirà ad essere felice anche con lui... se è successo tutto questo... è stato perché doveva succedere... Ed era il destino che la voleva separare da me...- Era terribile pronunciare quelle parole, era come una condanna, una condanna che recitava a se stesso... Ma in fondo, Tom sentiva di aver detto la verità. Voleva svegliarsi la mattina con la consapevolezza che lei era là fuori, da qualche parte, che pensava a lui... che viveva felice con la sua nuova famiglia... che non rimpiangeva i tempi passati, ma guardava al futuro... Tom deglutì. Si accorse che il Generale lo stava guardando. -Sono molto orgoglioso di te, Tom- gli disse -Sei un bravo ragazzo- Dopodichè, il Generale lasciò la stanza. Tom si rivolse alla stanza vuota. -Non voglio essere un bravo ragazzo- mormorò -Voglio solo stare con Natasha... voglio solo stare con lei...-

Le stelle si erano appena accese nel cielo notturno di uno splendido blu vellutato. Natasha ricordava bene quando lei e Tom le avevano guardate, la prima volta che si erano seduti lì insieme, poco prima di darsi il primo bacio. Perché tutto le ricordava così terribilmente lui? -Entriamo, comincia a fare freddo- mormorò distrattamente, raccongliendo i bicchieri. Tavington assentì, prese Willy e iniziarono a camminare verso l'entrata del palazzo. Nell'atrio c'era una strana atmosfera. Ufficiali dell'esercito salivano e scendevano le scale scambiandosi mappe e cartine, e parlando sottovoce; soldati semplici fuori servizio erano sparsi qua e là e confabulavano: Natasha poteva dedurre dal pallore dei loro giovani volti che per molti di loro l'indomani ci sarebbe stata la prima (e forse l'ultima) battaglia della loro vita; molte delle persone nell'atrio salutavano Tavington mentre lui le oltrepassava facendo cenni tutt'intorno, tenendo in braccio Willy e per mano Natasha: lei notò che molte delle reclute più giovani guardavano il colonnello con grande ammirazione; qualcuno bisbigliò al loro passaggio; ovunque c'era un'aria pesante, colma di attesa, tensione, paura... Bastava mettere piede nel palazzo per capire che erano davvero alla vigilia di una battaglia d'importanza impressionante... Natasha non aveva mai visto una cosa del genere prima, la tensione sembrava schiacciarla, fare leva su di lei e le riempiva il cuore di angoscia... I colori del muro, del pavimento, la luce diffusa dai lampadari sembravano in qualche modo essere più forti del solito, più soffocanti... Natasha poi, attraversando il cortile, aveva notato gruppi furtivi di soldati dirigersi verso la baracca delle prostitute. Natasha immaginò che le reclute volessero rilassarsi, la sera prima di una battaglia così incisiva come sarebbe stata quella del giorno dopo. Si chiese se anche Tavington sarebbe stato di quella mentalità e quella notte avrebbe preteso qualcosa da lei.... Entrarono nel loro corridoio, dove regnava un silenzio di tomba. Senza parlare, portarono Willy nella sua cameretta e quindi entatrono entrambi nella loro stanza. Tavington accese le candele per illuminare il locale. Natasha era sul punto di togliersi il vestito per mettersi la camicia da notte quando Tavington la fermò. -Tasha- disse, sfiorandole i gomiti con le mani -Stasera voglio spogliarti io- Natasha lo guardò negli occhi. Forse era l'inquietante effetto della tremolante luce delle candele sul suo viso, o forse le parole che lui aveva appena pronunciato, ma tutt'un tratto lui le fece di nuovo paura come la prima volta. Lo guardò senza dire nulla. Non poteva sperare che lui non volesse farlo, in una notte come quella. Abbassò la testa: -Và bene, William- mormorò, sottomessa. William posò le labbra sulle sue, donandole un bacio profondo e pieno di passione. Le loro ombre, allungate dalla scarsa luce fornita dalle candele, ne formavano una sola sulla parete dietro di loro. Natasha appoggiò le mani sulla sua camicia, quasi aggrappandosi a lui. Gli occhi di Tavington incontrarono nuovamente quelli di lei mentre le loro labbra si separavano morbidamente. Le mani di lui si insinuarono sotto i lacci del suo vestito e lo lasciarono scivolare lentamente giù dalle sue spalle, scoprendo sempre più la sua pelle liscia e morbida. Il vestito cadde per terra con un fruscio. Natasha si trovava nuda di fronte a lui, ma per qualche ragione non se ne vergognava. Si strinse a lui, come per coprirsi... in realtà cercava conforto... Tavington avvertì i seni della ragazza aderire al suo petto. Questo lo eccitò, ma non era la solita eccitazione selvaggia, da consumare il prima possibile... era come un piacere da gustare lento. Anche perché sentiva che quella volta... quella volta c'era qualcosa di diverso in lui, in lei... quella volta era diversa da qualunque altra. Tavington le posò un baciò tra i capelli, respirando a fondo il suo profumo. Le sue mani viaggiarono lentamente ai seni scoperti di lei. Li accarezzarono, dolcemente, delicatamente. Natash aveva il corpo attraversato da mille brividi. Non sapeva cosa le sarebbe successo, di lì a qualche momento... non sapeva se doveva aver paura o no. William la condusse al letto e la fece stendere. Non la spinse, e non le montò sopra. La fece giare su un fianco, rivolta verso di lui. -Toglimi la camicia- le disse. Il suo tono non era imperioso, ma ammorbidito e tenue. Natasha obbedì e gli slacciò al camicia, bottone dopo bottone. Tavington la osservava, eccitandosi sempre di più. Tasha lasciò scivolare via la camicia dal suo forte petto muscoloso e atletico. Si strinse a lui, abbracciandolo, senza che lui glielo avesse ordinato. Natasha si strinse forte al suo petto, come per pregarlo di non farle del male, per fargli capire che lei aveva bisogno di protezione. Tavington le alzò il viso con una mano e la baciò. Lei non oppose resistenza. La mano di Tavington si posò sulla sua schiena nuda. L'accarezzò con la punta delle dita, sfiorandola... Natasha rabbrividì di nuovo e irrigidì il corpo sotto il suo tocco. Le labbra di Tavington si piegarono in un leggero sorriso. -Rilassati- le sussurrò, prima di baciarle il collo. Le labbra di Tavington, bollenti e morbide, scesero fino al suo seno. Lo leccarono e lo baciarono con delicatezza... In effetti guardandolo, a Natasha non sembrava eccitato come le volte precedenti, tanta era la lentezza e la dolcezza con cui muoveva la sua lingua avanti e indietro, infinite volte... Quello che non sapeva era che in realtà lui non si era mai sentito più eccitato in vita sua. Ma riusciva a controllarsi, e a far crescere il suo eccitamento sempre di più, così alla fine nutrire il desiderio sarebbe stato mille volte più soddisfacente. Arrivato a un certo punto, William non riuscì a trattenersi oltre. Iniziò a slacciarsi i pantaloni, ma fu fermato dalla mano di Tasha, che si posò sulla sua. -William... ascoltami...- sussurrò lei, guardandolo negli occhi. Tavington avrebbe preferito che lei gli togliesse la mano da lì; non lo stava certo aiutando a trattenersi... -Cosa c'è?- disse Tavington. -Ti prego... potresti fare piano... almeno questa volta?- chiese lei supplichevole. Tavington le prese la mano e la ricoprì di baci. Natasha avvertì un brivido di eccitazione quando sentì i polpastrelli delle sue dite entrargli tra le labbra, toccare la sua lingua... Tavington chiuse gli occhi mentre gustava il piacere di avere le dita di lei in bocca... erano così sottili, morbide, profumate... -Farò piano- le disse lui -Non ti farò male- Natasha fu rassicurata da quelle parole. Lui si tolse le dita di lei dalla bocca e riprese a slacciarsi i pantaloni. Natasha continuò a guardarlo negli occhi anche quando il corpo di lui si avvicinò al suo e sentì la sua erezione entrare in lei. Chiuse gli occhi, pronta a provare dolore. Ma il dolore semplicemente non venne. Natasha non riusciva a credere che lui fosse già in lei, eppure lo avvertiva... Avvertiva le leggere spinte che dava dentro di lei, lo avvertiva ansimare... Lui l'abbracciò e la tenne stretta. Natasha si lasciò cullare, per la prima volta, da quelle braccia forti che prima le facevano così paura... Tavington le posò una mano dietro la schiena e la tirò verso di lui ancora una volta. Lei rimase aggrappata saldamente al suo collo, impaurita all'idea di lasciarlo andare... Oh, cosa le stava succedendo? Voleva che lui andasse più a fondo... Aprì gli occhi e guardò in quelli di lui. Non vi trovò superiorità, nè sguardi canzonatori... nessun ghigno era disegnato sulle sue labbra. La guardava, semplicemente, come non aveva mai guardato nessun altro... La stringeva con l'affetto che non aveva mai dimostrato a nessun altro... Lui la baciò ancora una volta, profondamente, congiungendo la sua lingua con quella di lei, mentre le sue mani continuavano a percorrere il suo giovane corpo, accarezzandolo con passione... Intanto continuava a spingere, ma se lui le stava facendo male, allora Natasha doveva essere diventata immune al dolore, perché non provava nulla... Solo liberazione, si sentiva liberata dal peso delle scelte che aveva fatto, dalle responsabilità di quelle che ancora doveva fare, e dal pentimento che la assediava nella costante indecisione per aver fatto quelle giuste o quelle sbagliate... era tutto svanito lì, in quegli occhi azzurro ghiaccio. E' così che finirà tutto, dunque?, si chiese Natasha, aggrappandosi alle spalle di lui, Finirà con questi occhi azzurro ghiaccio?

Quando Natasha aprì gli occhi la mattina dopo ebbe l'impressione di essersi appena destata da un sogno meraviglioso. Guardò, com'era sua abitudine ormai, alla sua destra. Sobbalzò nel trovare il letto vuoto. Poi ricordò... la battaglia di Cowpens. Tavington se n'era andato, era già partito. Probabilmente sarebbe ritornato il giorno dopo. Natasha notò di essere nuda sotto le coperte, ma qualcuno le aveva avvolto i lenzuoli intorno al corpo per coprirla. Natasha sorrise pensando a Tavington che posava le lenzuola su di lei, mentre lei dormiva tranquilla. Era incredibile quello che era successo la notte prima, Tasha non riusciva ancora a realizzarlo. Lui era stato così dolce... Dentro di sé è un marito perfetto, si disse. Mentre si vestiva, sapeva che stava cercando di autoconvincersi per la centesima volta che la sua situazione non era così male. Su un fatto non ci pioveva: lei e Tavington erano finalmente riusciti a capirsi. Ora si rispettavano reciprocamente, o almeno così pareva. Ma Natasha sapeva a chi apparteneva il suo cuore, non aveva bisogno di chiarimenti. Non aveva da rimproverarsi per essere stata bene la sera prima: doveva stare con Tavington il resto della sua vita, quindi avrebbe fatto meglio a fare in modo che tra loro le cose andassero bene. Natasha sentiva che si potevano aiutare a vicenda: Tavington facendole dimenticare Tom almeno per un attimo, Tasha facendogli dimenticare il suo oscuro passato possibilmente per sempre. Natasha voleva che Willy avesse dei buoni genitori in pace tra loro; lei avrebbe fatto in modo che nulla potesse turbarlo, e per questo la prima cosa da fare era accettare Tavington e i suoi alti e bassi. Però non poteva, non poteva negare a se stessa che quella non era la vita che lei desiderava. Lei voleva vivere con Tom... Tom... come stava? Sarebbe mai riuscito a dimenticarla? Sarebbe mai riuscito a rifarsi una vita nuova senza di lei? Ti prego, Signore, aiutalo a non pensare più a me... fallo stare meglio... Ma Natasha sapeva che, se anche lui un giorno l'avesse dimenticata, lei non avrebbe mai potuto dimenticare lui.

Natasha trascorse il pomeriggio con Willy, cercando ancora di insegnargli a dire "mamma". Quando Sally passava davanti alla porta della sua camera, Natasha le chiedeva se erano arrivate notizie da Cowpens, ma ogni volta riceveva una risposta negativa, così alla fine smise anche di tentare. Willy cresceva sempre più, ma in quanto a linguaggio non aveva fatto molti progressi; ancora Natasha non era riuscita a carpirgli altro che gridolini e risa, che comunque la rendevano orgogliosa. Era davvero un bellissimo bambino: era evidente che da adulto sarebbe assomigliato tantissimo a Tavington. Gli occhi, in particolare, erano identici. Arrivò la sera, quindi la notte. Natasha andò a letto molto presto, verso le nove. Nel palazzo regnava ancora quell'atmosfera di tensione, si avvertiva persino stando in camera. La ragazza si sentiva sola, così tenne Willy a dormire con lei. Durante la notte iniziò a piovere e tuonare molto forte. I tuoni scossero i vetri delle finestre, spaventando a morte il piccolo, che iniziò a piangere, e si calmò solo quando Natasha gli cantò qualcosa. -I still remember the world from the eyes of a child- gli sussurrò, accarezzandogli le guance -Slowly those feelings were clouded by what I know now... Where has my heart gone? An uneven trade for the real world/ I want to go back to... believing in everything and knowing nothing at all- Stava cercando di ricordare il secondo verso della canzone quando Tasha udì un rumore lontano che le sembrava del tutto estraneo al temporale. Il bambino aveva ricominciato a piangere. -I still remember the sun... Always warm on my back... Somehow it seems...- prese Willy in braccio e si diresse verso la finestra -... colder now...- Stringendo gli occhi nella pioggia, vide qualcosa avvicinarsi ai cancelli. Il cortile sembrava in grande agitazione. Soldati correvano nel fango ad aprire i cancelli più velocemente possibile... Willy piangeva ancora, terrorizzato da un tuono improvviso che Tasha a malapena aveva udito. -Where has my heart gone? Trapped in the eyes of a stranger... I want to go back to... Believing in everything...- Cos'era? Sembrava un carro, un carro che portava cosa? -Where has my heart gone? An uneven trade for the real world...- Che fosse la carovana di Charlestown? Ma allora perché sembravano tutti così preoccupati e allarmati? -I want to go...- Natasha ormai stava perdendo la concentrazione, tanto era assorta dalla scena nel cortile. Una brutta sensazione si stava impadronendo di lei, un brutto presentimento... sentiva che quel carro non portava nulla di buono... -... back to... believing in...- Vide i soldati in giubba rossa portare da dentro il palazzo dei... cos'erano? Teli? Lenzuoli? Il sangue le si gelò quando vide cosa trasportava il carro. Morti. E quegli uomini stavano portando barelle. Ma a cosa servivano delle barelle ai morti? E, soprattutto, perché avevano dovuto portare i cadaveri fino al forte? No, non erano morti. Erano dei feriti. I feriti della battaglia di Cowpens. Natasha riconobbe una divisa rossa e verde, un Dragone. Strizzò gli occhi nell'oscurità e nella pioggia e intravide l'uomo che stava in piedi vicino al carro. Era il Capitano Wilkins. Appariva stravolto e urlava ai soldati qualcosa, forse (Natasha lo intuì dai suoi gesti) stava intimando loro di sbrigarsi. Dov'era William? La risposta arrivò anche troppo presto. Con orrore, Natasha vide gli uomini scaricare dal carro un uomo in divisa rossa e verde, ma con alcuni bottono d'oro. Anche a quella distanza Natasha lo riconobbe... -Oh mio Dio!- esclamò, sconvolta. Appoggio Willy sul letto, lo coprì con un lenzuolo e si precipitò sulla porta. Tirò la maniglia. Chiusa. Dannazione! Si era dimenticata che era chiusa dentro. Doveva uscire, doveva fare qualcosa... Senza pensare, Natasha prese la sedia della scrivania e la spinse contro il vetro della finestra, che andò in mille frantumi. Natasha gettò la sedia altrove e salì sul davanzale della finestra. Saltò fuori e atterrò con i piedi sul terreno fangoso. Prese a correre più veloce che poteva verso la scia di soldati che stava portando William dentro. Corse fino a raggiungerli. -William!- gridò, avvicinandosi a lui. Uno di loro la scacciò: -Andatevene, signorina! Cosa ci fate qui? Lasciateci passare, fatevi da parte!- Natasha si tolse di mezzo, ma li seguì. Doveva vedere in che condizioni era, doveva essere sicura che non fosse... Le porte del palazzo furono spalancate immediatamente e tutti i servi e le serve nelle loro semplici vestaglie da notte si radunarono intorno ai feriti portati dal carro. Natasha inseguì i tre servi a cui fu assegnato il corpo di William. Ancora non era riuscita neppure a vederlo... I servi lo portarono nel secondo corridoio sulla sinistra, che a quanto pareva era una sorta di infermeria interna divisa in stanzini. Deposero William nella prima porta a destra del corridoio e accesero le varie candele. -Come sta?- chiese Natasha. -Noi non sa- rispose uno di quelli -Noi non dottori- Natasha si avvicinò a Tavington. Quasi aveva paura di vederlo. Appena i suoi occhi incontrarono quello che stava sul lenzuolo, vide già tutto quello che non voleva vedere... Sangue gli imbrattava il collo, dove una grossa ferita era stata inferta molto in profondità; sangue gli imbrattava la pancia... qualcuno lo aveva infilzato con una spada, qualcosa di appuntito, contundente... La cosa successiva che vide Natasha fu il buio più assoluto.

-Ma chi ha rotto la finestra?- -La signora Tavington, immagino- -Povera cara! Che terribile colpo dev'essere stato per lei!- Natasha sbattè le palpebre nella luce del mattino. Si strofinò gli occhi, tentando di mettere a fuoco quello che stava intorno a lei. Due figure femminili la osservavano da un lato del letto. I loro volti andavano e venivano, ma muovevano qualcosa nella memoria di Natasha... se li ricordava, non le erano nuovi. -Sally- mormorò -Rowena- Rowena si girò felice verso Sally: -Te lo dicevo che ci riconosceva- -Cosa... cosa mi è successo?- chiese Natasha con voce impastata. Rowena sospirò: -Sei svenuta, mia cara... dopo aver visto... temo...- Natasha si tirò a sedere così di scatto che sia Rowena che Sally sobbalzarono. -William! Come sta?- Rowena e Sally si scambiarono uno sguardo. -Oh, Santo Cielo- disse Sally, facendosi il Segno della Croce. -Cosa c'è?- domandò Natasha -Cosa gli è successo? Voglio vederlo!- -Non mi sembra una buona idea, cara- rispose Rowena. -Ma è vivo?- chiese Natasha terrorizzata. Rowena sospirò: -Oh, tesoro... sta lottando. Non è morto, ma il dottore dice che è in uno stato di coma... Insomma... è sospeso tra la vita e la morte. E' nelle mani di Dio- Natasha si prese la testa tra le mani. -Voglio vederlo- -Oh, cara...- Rowena fu interrotta da un bussare alla porta. Sally andò ad aprire e il dottor Frankson fece il suo ingresso nella stanza. -Mrs Tavington... immagino che vogliate vedere vostro marito- disse in tono insolitamente serio e professionale. -Sì- rispose Tasha, scendendo dal letto e camminando verso il dottore. Rowena guardò Frankson con disapprovazione ma non disse nulla. Il dottor Frankson la condusse nella stanza accanto alla sua, quella dove la notte prima i quattro servi avevano portato William. Il dottore si fermò un attimo prima di aprire la porta. -Questo potrebbe scioccarvi, lo sapete- le disse. -Sono già abbastanza scioccata- ribattè Natasha. Il dottore assentì e spalancò la porta lentamente. Natasha mosse qualche impaurito passo all'interno. Si avvicinò al letto sui cui giaceva William. Poco mancò che non svenisse un'altra volta. William era steso, con gli occhi chiusi, le mani appoggiate sul petto. Una spessa fasciatura rossa di sangue gli copriva il collo, un'altra il torace. Natasha non aveva mai visto tanto sangue in vita sua. -William- sussurrò, prendendogli la mano -Mi senti?- -Non può sentirvi- si fece avanti il dottore. Lei gli rivolse uno sguardo eloquente, e quello annuì, prima di lasciare la stanza chiudendo la porta dietro di sé. Natasha prese una sedia e si sedette accanto al letto su cui giaceva il colonnello. L'osservò. Il suo viso e i suoi capelli erano sporchi del fango della notte prima. Natasha prese un panno posato sul comodino e lo immerse in una bacinella di acqua fresca. Glielo passò sul viso lentamente, pulendolo. Non sapeva più cosa pensare. Prima il destino le lanciava tutti quei dolorosi segnali dicendole che la sua vita si sarebbe consumata con Tavington, ora le faceva questo. Forse il mio destino è rimanere sola per sempre... Non lo sapeva. Non aveva voglia di pensare. Era molto dispiaciuta per quello che era successo a Tavington, ma dentro di sé non poteva fare a meno di pensare che se lui fosse rimasto in coma fino alla fine della guerra lei sarebbe potuta andare a vivere con Tom, avrebbe potuto realizzare tutti i suoi sogni. Sarebbe riuscita a porre fine a tutto. Perché nessuno mi dice cosa fare, perché nessuno mi consiglia la scelta giusta? Perché sono costretta a fare sempre tutto da sola?? Natasha era arrabbiata con tutti. Era arrabbiata con se stessa perché non riusciva più a capirsi, non riusciva più a interpretare il profondo silenzio che stagnava in lei; ce l'aveva con Tavington perché la stava facendo attraversare un momento terribile, gettandola nell'indecisione; era infuriata con Dio e con il destino che la stavano turturando crudelmente come se lei non avesse già sofferto abbastanza; era arrabbiata con i suoi genitori e con Alan, perché se ne stavano lassù in silenzio e non le indicavano la giusta via; ce l'aveva con Tom, perché non riusciva a toglierselo dalla testa... Se sto cercando il momento giusto per suicidarmi, questo è perfetto, si disse amaramnte. Ma anche il suicidio non aveva più senso: e se William non si fosse mai più svegliato e Willy poi fosse diventato orfano? Chi si sarebbe occupato di lui? Chi l'avrebbe aiutato a crescere? E se poi Tom avesse deciso di seguirla e si fosse ucciso anche lui? Natasha non avrebbe mai potuto sopportarlo... E Rupert? Lui dov'era? Come stava? D'un tratto Tasha si ritrovò a invidiare Tavington, che se ne stava lì, a dormire, lontano dal mondo e da tutte le sue futili preoccupazioni... Chissà se sarebbe morto, chissà se avrebbe rivisto i suoi genitori e quelli di Natasha, chissà se se ne sarebbe andato lasciandola libera di vivere la sua vita... Ma ormai Natasha si era abituata talmente tanto a vivere con Tavington da non trovarla più una prospettiva tanto deludente. Si era costretta a pensare di essere felice anche con lui talmente a lungo che non aveva altre ambizioni. E dentro la sua anima la rosicchiava il costante e assillante pensiero che con Tom avrebbe avuto la vita che aveva tanto desiderato... Bussarono alla porta e Natasha sobbalzò. Si era completamente immersa nel silenzio della stanza e quel rumore improvviso l'aveva fatta spaventare. -Avanti- mormorò. La porta si aprì e Tom apparve sulla soglia. -Posso entrare?- domandò. Natasha annuì. Forse non era pronta per rivederlo... forse non era pronta ad aggiungere altri ricordi di Tom nella sua mente... ma voleva che lui le stesse vicino. Voleva che lui la consolasse, perché se c'era una persona che era in grado di farlo, quello era lui. Tom chiuse la porta delicatamente e si avvicinò con cautela al letto su cui giaceva inerte Tavington. -Sono contenta che tu sia venuto- disse lei. Perché gli stava parlando così formalmente, come se avessero appena litigato? -Non potevo lasciarti sola in un momento del genere- ribattè lui. -Siediti- gli disse Tasha, indicandogli una sedia. Lui si sedette con i gomiti sulle ginocchia e le mani congiunte in avanti. Per qualche secondo regnò un silenzio carico di riflessioni, nel quale non fecero che guardarsi. -Se questo non fosse successo- iniziò Tom, accennando al corpo di Tavington -Io ero pronto a lasciarti andare. Ero pronto...- sospirò, e Natasha capì che lui stava male almeno quanto lei -Ero pronto a rinunciare a te a patto che stessi bene... Ero pronto a passare la mia vita da solo, a pregare che tu potessi avere un'esistenza felice, a pregare che lui non ti facesse altro male...- Natasha lo guardò. Il suo sguardo era pieno di tristezza. -Ma ora... ora lui è in coma- riprese Tom, guardandola fisso -E questo che significa? Significa che il destino ci sta dando un'altra possibilità? Significa che c'è ancora speranza?- Natasha si ravviò i capelli dietro le orecchie e si appoggiò la testa su una mano. Abbassò lo sguardo. -Non ho idea di cosa significhi- mormorò a voce molto bassa, cercando di trattenere le lacrime -So solo che io voglio stare con te- Tom non rispose. Non voleva farla stare male, ma era quello che desiderava anche lui. Dirlo l'avrebbe fatta soffrire troppo e lui non voleva provocarle altro dolore. No, la cosa migliore era fare ciò che aveva intenzione di fare, la conclusione alla quale era giunto dopo notti e notti di riflessioni... -Natasha- le disse -Io devo dirti una cosa- Natasha alzò debolmente gli occhi e lo guardò. Ti prego Signore, fa che non stia arrivando niente di brutto... ti scongiuro... Tom distolse lo sguardo e parlò con una voce chiara e decisa che doveva servire a mascherare il dolore che c'era in lui: -Tra una settimana passa la carovana da Charlestown- fece un pausa e respirò profondamente, chiudendo gli occhi per farsi forza -Io me ne vado. Torno in Inghilterra- Natasha iniziò a piangere. -Tom... no...- -E' là che devo stare. Non ho più motivo di rimanere qui. Tu devi vivere la tua vita con lui, io sono solo d'impaccio... ti renderò solo le cose più difficili restando qui- -No... no... non farlo, Tom... non abbandonarmi di nuovo... ti prego- Natasha faceva fatica a parlare a causa del pianto -No...- -Natasha, non dire niente- disse lui in tono improvvisamente freddo -Non dire niente- Natasha cadde in ginocchio davanti a lui e piegò il capo, supplicandolo: -Tom, non farmi questo! Non farlo...- Lui la guardò scuotendo la testa: -Natasha, stai zitta... non parlare...- -Ma non... puoi...- ansimò lei, le guance umide delle lacrime più disperate che avesse mai pianto -Non farlo... non farlo...- Tom si alzò in piedi e camminò verso la porta. -Non andartene! Non farlo, no...!- Tom si voltò. Natasha non aveva mai scorto tanta freddezza nei suoi occhi. -L'hai detto tu stessa, Tasha- le disse lentamente -Ha vinto lui. Non vale più la pena di combattere- -No, Tom... dimmi che non partirai, non puoi farmi questo...- -ZITTA!- gridò lui -Non dire un'altra parola! Stai zitta, non...- Natasha lo guardava supplichevole da terra. Tom non doveva fermarsi a riflettere sulle lacrime che lei aveva versato per lui, non doveva fermarsi a pensare... -Non voglio più vederti- disse in tono gelido -Mai più. Addio- -NO!- urlò lei disperata -No...- Tom chiuse la porta dietro di sé, tagliando fuori i singhiozzi convulsi di Natasha. Percorse il corridoio quasi corsa, entrò nell'atrio, imboccò il corridoio di camera sua... Appena entrato si buttò sul letto e seppellì la testa nel cuscino. Le urla di Natasha rimbombavano nella sua testa... -No... no... non farlo, Tom... non abbandonarmi di nuovo... ti prego- -Basta, smettila- disse Tom alla stanza vuota. L'unico modo per farla stare meglio era lasciare l'America, lasciare Natasha in pace... dall' Inghilterra lui non avrebbe più avuto modo di ferirla in nessun modo... perché tutto quello che l'era successo era sempre stata colpa sua, di Tom... -Perdonami, Natasha- sussurrò, prendendosi la testa tra le mani -Perdonami-

Trascorsero tre giorni. Natasha non si muoveva dalla stanza di Tavington, mangiava e beveva appena. Teneva Willy con sé ma non gli cantava nulla. Non voleva far ricadere la sua disperazione anche sul piccolo, ma non riusciva a farne a meno. La sua vita era distrutta. William non si risvegliava dal coma, il dottore perdeva le speranze, Tom tra quattro giorni l'avrebbe abbandonata per sempre... nel palazzo c'era un'aria da funerale a causa della sconfitta di Cowpens, del dolore per i soldati scomparsi... preghiere accompagnavano i feriti. Molti di loro si erano già ripresi, ma non festeggiavano con i compagni... Tante volte Tasha riceveva visite, ma a malapena udiva quello che le reclute le dicevano su quanto Tavington fosse stato un ottimo colonnello, su quanto avesse combattuto gloriosamente anche quando la battaglia era già persa... Tasha non sopportava più le infinite condoglianze, gli auguri, i complimenti sul come lei stesse affrontando bene la situazione... Ne aveva abbastanza dei fiori, dei biglietti, degli incitamenti ad essere forte... Voleva solo che la lasciassero in pace. Voleva solo che quella porta restasse chiusa invece che riaprirsi in continuazione. Voleva solo avere il tempo per realizzare quello che stava succedendo alla sua vita, sempre che quella si potesse ancora chiamare vita. Natasha aveva l'impressione che William fosse molto più vivo di lei, in quel momento. Se si appoggiava una mano sul petto e sentiva il suo stesso cuore battere non le sembrava il suo... o forse il suo corpo era ancora in vita, ma la sua anima se n'era già andata quel giorno in cui aveva visto Tom per l'ultima volta... Pensieri, ricordi, parole che avrebbe voluto dirgli ma che non gli aveva mai detto turbinavano nella sua mente e l'affogavano... le stringevano il collo come Tavington aveva fatto quando l'aveva catturata, solo che ora era mille volte peggio, perché Natasha non faceva nulla per combatterli... le sue difese erano a terra, la sua voglia di vivere era svanita, esisteva e basta, era come un guscio vuoto che aleggiava in un oceano di niente, di nullità, di nero... Natasha non piangeva, non parlava, non si muoveva. Le sue piccole mani erano ancora strette attorno a quella di William. Erano ancora aggrappate all'ultima speranza che le era rimasta. Il quarto giorno di quella veglia infinita, quando ormai i visitatori, capito che lei non aveva niente da dire a nessuno non bussavano più alla sua porta, Natasha aprì gli occhi. Si era addormentata sulla sedia accanto a William, come al solito. Era mattina presto, probabilmente tre o quattro ore dopo l'alba. Cosa l'aveva svegliata? Natasha rivolse il suo sguardo al colonnello. Era una sua impressione o la sua testa era leggermente girata di lato, verso la sua direzione? Tasha lo guardò perplessa, ma lui se ne stava fermo e immobile come al solito. Lo sguardo di Natasha vagò sulla sua camicia slacciata. Per un attimo si aspettò che lui aprisse gli occhi di scatto e le dicesse con quel suo tono ironico, le labbra piegate in un ghigno e gli occhi che brillavano: -Cosa stai guardando?- Ma i suoi occhi rimasero chiusi. Si ricordò quelle che lui le aveva detto quando lei gli aveva chiesto se dormiva mai... -Sono anni che non dormo... e questo mi torna piuttosto utile quando delle spietate assassine di almeno vent'anni più giovani di me cercano prima di spararmi, poi di molestarmi- Natasha sorrise tra sé. Come avrebbe voluto che lui fosse sveglio anche in quel momento... Natasha sospirò, ma proprio mentre lo faceva Tavington aprì le labbra e mormorò qualcosa. Natasha cadde dalla sedia. Nella culla alle sue spalle, Willy si svegliò con un gridolino, ma lei a malapena se ne accorse. Si alzò in piedi, tremante, e si avvicinò a William con cautela. Dopo qualche secondo, lui mormorò di nuovo. -Oh mio Dio... oh mio Dio...- disse Natasha in preda al panico. Si stava svegliando! Era vivo! Si stava svegliando dal coma! E lei cosa doveva fare? Chiamare il dottore o restare lì con lui? Cosa doveva... Tavington girò la testa dall'altra parte, ancora con gli occhi chiusi. -Mmm... Nat... a...- Natasha gli prese la mano e la strinse forte. -Shh...- gli disse, non sapendo cosa fare -Shh, William...- Non voleva lasciargli la mano, ma doveva chiamare qualcuno. -Sally!!!- chiamò -Sally!!! Vieni qui immediatamente!!- Lo sguardo di Natasha tornò a Tavington. Si stava iniziando ad agitare. -William, calmo... non muoverti...- disse, cercando di placarlo. Pochi minuti dopo Sally entrò nella stanza. -Eccomi, signora- disse, inchinandosi rispettosamente. -Sally!!! Và a chiamare il dottor Frankson, William si sta svegliando!- -Cosa??! Oh, subito, certo...!- esclamò lei, prima di correre via. William aveva smesso di agitarsi. -Adesso arriva il dottore, William- gli disse Natasha -Non ti preoccupare- Cinque minuti dopo il dottor Frankson entrava nella stanza con aria pomposa, seguito da Sally, che trasportava la sua valigetta. -Largo, largo!- disse, intimando a Natasha di allontanarsi dal letto. Natasha rimase ad osservare il dottore tirar fuori lo stetoscopio e mettersi a visitare William. Natasha si teneva le dita in bocca per la tensione. Perché William era tornato fermo? C'era qualcosa che non andava? -Dottore...?- chiese. Frankson le fece cenno di tacere e Tasha ubbidì. Molti minuti dopo, quando ormai l'ansia della situazione si stava allentando, il dottore ripose lo stetoscopio nella valigetta e si voltò verso Natasha. Aveva un'aria strana, quasi imbarazzata. -E' esattamente come prima. In uno stato comatoso molto profondo- disse a voce bassa. Natasha aggrottò le sopracciglia: -E come spiega il movimento di poco fa?- Il dottor Frankson le prese le mani con fare paterno. -Ascoltatemi, capisco che dev'essere una tragedia per voi, ma... dovete sapere che le ferite che vostro marito ha ricevuto sono molto, molto gravi. E' naturale che lo shock ricevuto vedendolo in tali condizioni vi abbia...- -Cosa state dicendo?- gridò Natasha infuriata, tirando indietro le mani -Che ho avuto una visione? E' questo che state insinuando?- Il medico sospirò. -Signora Tavington, è stato senza dubbio un colpo davvero terrib...- -No, state zitto!- urlò Natasha, le orecchie che le pulsavano per la rabbia -Si è mosso, ha addirittura parlato... Stava cercando di dire il mio nome! Glielo giuro davanti a Dio! Io l'ho visto, è la verità, è la ve...- -DOTTORE!- urlò Sally con urgenza -Guardate! Giratevi! Il colonnello! Si sta muovendo!- Il dottore si voltò di scatto, ma non abbastanza in fretta per evitare di cogliere l'espressione di trionfo sul volto di Natasha. Anche lei si avvicinò a William. Tavington stava muovendo la testa da una parte all'altra del cuscino, ancora più violentemente di come faceva prima. Natasha capì che stava soffrendo molto. Il dottor Frankson si precipitò verso la sua valigetta e si mise a rovistarvi dentro. Tirò fuori una bottiglietta di un liquido trasparente e ne fece bere un sorso a William, mettendogliela a forza nella bocca. -E' un antidolorifico- spiegò il dottore -Lo aiuterà a stare meglio- Poi, voltandosi verso Natasha, le disse: -Avevate ragione, Mrs Tavington. Il colonnello Tavington è finalmente tornato fra noi-

William correva. Sentiva un dolore atroce al collo e allo stomaco, ma continuava a correre. Era in un bosco, un bosco molto fitto e buio... dal fondo provenivano delle grida... Delle grida che conosceva troppo bene, perché lo ossessionavano da troppi anni... -Ti vengo a salvare- mormorò -Ti vengo a salvare...- -William- sussurrò una voce. D'un tratto il bosco sparì, le grida cessarono. William vide il buio, un nero soffocante e rale... il dolore aumentò cento, mille, diecimila volte... Aprì gli occhi. C'era qualcuno vicino a lui, ma non riusciva a vedere bene... -William, sono qui- sussurrò ancora la stessa voce. William la riconobbe e sentì meglio. Sì, lei era l'unica persona che voleva vedere in quel momento... Sbattè le palpebre. -Oh, William- sussurrò Natasha, stringendogli la mano -Resci a sentirmi?- Tavington aprì la bocca e cercò di parlare: -S...ì- Natasha sorrise e gli baciò la mano. -Come ti senti?- gli chiese. Tavington corrugò la fronte: -St...o be...ne- -Vuoi che chiami il dottore? Vuoi farti dare degli altri antodolorifici?- Tavington scosse la testa ma smise subito. Il collo... che dolore... Cercò di mettersi a sedere, ma Natasha lo fermò. Tavington, nel suo stato intontito, non riuscì a credere che lei fosse in quel momento più forte di lui. -No, rimani steso- disse lei -Non sei in ottima forma- Le labbra di Tavington si piegarono in un sorriso. -E'... stato... quel figlio... di...- Lei gli posò un dito sulle labbra: -Lo so. Benjamin Martin. Me l'hanno raccontato i soldati che ti hanno visto e sono riusciti a sopravvivere. Non sono poi così pochi, sai...?- I ricordi della battaglia tornarono sempre più dettagliati nella memoria di Tavington, accompagnati da un senso di sconforto. -La... guerra...- -Non è ancora persa del tutto- gli disse Natasha -Il Generale Cornwallis spera di riuscire a battere i continentali a Yorktown. Partiranno tra un mese, credo- Tavington rimase in silenzio. Era molto più facile stare ad ascoltare quello che lei aveva da dirgli, piuttosto che partecipare alla conversazione. -Sei stato in coma tre giorni. Stamattina hai dato i primi segni di vita, e ora io e te stiamo addirittura parlando- disse lei sorridendo. Alzò gli occhi al cielo e proseguì: -Dovresti dire cosa dicono di te certe tipe che sono passate di qui...- Natasha imitò una voce acuta e civettuola: -Oh, il meraviglioso colonnello Tavington è riuscito a vincere anche la morte! Che uomo!- Rise e a Tavington parve di non aver mai sentito suono più bello della sua risata. -Sono pazze di te, quelle là- continuò Natasha -E' incredibile quante ne dicono sul tuo conto... sembra che non parlino d'altro!- Tavington non potè fare a meno di notare che, dietro all'allegria che manifestava, la tristezza negli occhi di Natasha era più profonda di quella che lui vi avesse mai scorto. -Tasha...- disse, a stento -Qualcosa non và?- Non c'erano dubbi. Quel velo di malinconia che offuscava gli occhi di lei si era appena accentutato ulteriormente. -Certo che no- disse, sorridendo. Ma si alzò di scatto e disse: -Devo andare a chiamare il dottore. Devo dirgli che hai aperto gli occhi e che stai bene- Nonappena chiuse la porta alle sua spalle, Tavington sospirò. Cosa c'è che non và, Tasha?, si chiese, Cosa c'è...?

Il dottor Frankson continuò a riempire William di antidolorifici e nel giro di quattro giorni lui iniziò a stare davvero bene. Le due gravi ferite che gli erano state inferte pulsavano ancora, e il sangue continuava imperterrito ad imbrattare i bendaggi con cui venivano fasciate, ma ora il Colonnello Tavington era fuori pericolo. Tutti al palazzo sembrarono rallegrati da questa notizia. Mentre passeggiava nei corridoi con Willy in braccio, Natasha colse molte frasi del tipo "Non esistono i Dragoni senza William Tavington", oppure "Ucciderò Ben Martin con le mie stesse mani per quello che ha fatto al colonnello", ecc. Natasha era felice nel vedere quante persone gli fossero affezionate, anche solo perché era un buon colonnello. Era felice nel constatare questo, sì, ma la felicità ormai sembrava aver abbandonato Natasha definitivamente. A peggiorare la situazione, giunse il giorno in cui sarebbe arrivata la carovana da Charlestown. Il giorno in cui Tom se ne sarebbe andato per sempre dalla sua vita. Natasha andò a trovare Tavington al meriggio, quando un forte sole entrava dalle finestre. Appena entrata, Tasha lo trovò seduto con la schiena appoggiata alla spalliera del letto. Tentò di sorridergli. -Buongiorno, William. Guarda un po' chi c'è- gli disse, accennando a Willy, che se ne stava tra le sue braccia. Tavington sorrise a entrambi. -Ciao Willy- disse al piccolo, con voce roca a causa della ferita al collo. Natasha chiuse la porta e si avvicinò a William per dargli modo di accarezzare le guance del bimbo. Tasha notò che in lui brillava ancora quello sguardo che riservava solo ed esclusivamente al figlio. Natasha rimase con William quasi tutto il pomeriggio, anche se non poteva fare a meno di lanciare occhiate furtive all'orologio a pendolo posto dietro il letto: sapeva che alle sei di sera sarebbe arrivato il carro e Tom se ne sarebbe andato per sempre. Alle sei meno un quarto, Tasha concentrò la sua attenzione su William. Le pareva pensieroso. A dire la verità, durante gli ultimi quattro giorni lui era stato molto silenzioso e meditabondo. Natasha immaginò che stesse ripensando alla battaglia di Cowpens: quella sconfitta, la prima della sua vita, doveva pesargli molto. E non doveva neanche essere tanto facile superare la rabbia che sicuramente provava per essere stato insultato in quel modo da un ribelle. Natasha sapeva che Tavington non era il tipo da perdonare o dimenticare facilmente. Era solo che le sembrava così strano il comportamento di lui, non avrebbe saputo spiegarsi perché: la guardava in modo strano, le parlava in modo strano... i suoi occhi erano per la maggior parte del tempo persi davanti a lui, a fissare il vuoto. Natasha si chiese a cosa stesse pensando così intensamente, perché probabilmente era la guerra, ma doveva esserci qualcosa di più... a cosa un uomo poteva pensare quattro giorni consecutivi, senza interruzioni? Natasha sobbalzò quando il pendolo suonò sei rintocchi. Nel giro di pochi minuti sarebbe arrivata il carro di Charlestown... Tavington sospirò: -Sally mi ha detto che Felton partirà per l'Inghilterra-

Natasha abbassò lo sguardo, maledicendo la lunga lingua di Sally. Davvero, non voleva parlarne con Tavington, non adesso che Tom era proprio sul punto di andarsene. -Sì- rispose, asciutta -E' vero. Lo... lo ha detto anche a me- Il dolore nella sua voce era impossibile da ignorare, Tasha lo sapeva bene. Ma pregava che lui non se ne fosse accorto. -Ti dispiace?- chiese lui, molto piano. Natasha lo guardò. Non riusciva a capire dove voleva andare a parare, con quella domanda... Non era evidente che le dispiaceva? O forse era riuscita a nasconderlo bene? Tasha ne dubitava... Non era mai riuscita a nascondergli qualcosa, a ingannarlo... perché quella doveva essere la prima volta? -Non lo so- rispose. Dagli occhi di Tavington capì che no, non era riuscita a convincerlo. Mentre lottava per non scoppiare a piangere, Natasha sentì il rumore di un carro che si avvicinava... eccolo, stava arrivando... stava per portare via Tom... Tavington sospirò profondamente. -Puoi andare- Natasha non si sforzò neppure di sorridergli. Lo salutò, prese in braccio Willy e si alzò in piedi. Aveva appena raggiunto la porta quando sentì Tavington sospirare ancora una volta. -No, non hai capito- disse lentamente -Puoi andartene- Natasha si voltò: -Come?- -Puoi andare, Tasha. Puoi andartene. Parti con Tom, lascia Fort Carolina. Ti lascio libera- Natasha non era sicura di aver capito bene. Strinse gli occhi nella sua direzione e disse: -Non capisco di cosa stai parlando- Posò la mano sulla maniglia e fece per tirarla quando sentì un gemito dietro di lei. Si voltò e vide che Tavington stava cercando di alzarsi. -No!- gli disse, correndo verso di lui -Non ti devi alzare, William! Il dottore ha detto...- Tavington le afferrò il polso e lo tenne fermo nella sua mano. -Natasha, ascoltami bene, perché non lo ripeterò un'altra volta- disse lui lentamente, senza staccare gli occhi dai suoi -Vattene. Devi andartene. Parti con Tom, vattene ora prima che io cambi idea- Natasha stava iniziando a piangere. Come poteva scherzare su cose simili? Come poteva riempirle la testa con così tante, false speranze? -Lasciami, William- pianse -Stai delirando- Tavington scosse la testa. Natasha notò che nei suoi occhi c'era qualcosa molto simile alla tristezza. -Non sono mai stato tanto lucido in vita mia- disse, con un tono così diverso dal solito -Ascoltami, Tasha, ti prego- Natasha smise di dimenarsi e guardò nei suoi occhi. Possibile che le stesse veramente dicendo questo? Ora Tavington non la guardava più negli occhi. Fissava il vuoto davanti a sé. -Ti ricordi quando mi hai chiesto... quando mi hai chiesto perché quel giorno io non ti ho lasciata morire?- Natasha annuì lentamente. -Ora lo so, Tasha- disse lui, con gli occhi che fissavano di nuovo nei suoi -L'ho sempre saputo, ma solo ora l'ho capito... Mentre ero lì, mentre il sangue mi imbrattava il mento, mentre mi scendeva verso il collo...- Tavington deglutì -Mentre stavo per morire, Tasha... ripensavo alla mia vita... E dei miei trentanove anni, di solo una cosa mi ero pentito... C'era solo una cosa che rimpiangevo... Era di non averti mai detto... di non avere mai detto neppure a me stesso... Che...- Natasha lo guardava, le lacrime che scendevano innarrestabili dai suoi occhi. -Io ti amo, Natasha- disse Tavington, guardandola sempre più intensamente -Io ti amo... E per questo non voglio che tu stia più con me. Tu sei la ragazza più straordinaria che abbia mai conosciuto... Nonostante tutto quello che ti ho fatto... tu... hai continuato a starmi vicina... Hai finto di sopportarmi, ma io so che... io so che...- Tavington si coprì il viso con le mani. -Io so che tu non mi hai mai amato... Nessuno l'ha mai fatto... E io non voglio che tu rimanga qui a soffrire con me... Tu meriti di più della vita che io ti posso dare. Devi andartene... vai prima che sia troppo tardi... Porta via Willy, portalo con te...- Natasha non riusciva a credere alle sue orecchie, e neppure ai suoi occhi. Il colonnello Tavington era lì, e per la prima volta Natasha lo vedeva per quel che era veramente: un uomo disperato, il cui passato gli aveva rovinato l'intera esistenza... un uomo che cercava una vendetta che mai sarebbe arrivata... E l'amava... e voleva lasciarla andare... E lei se ne sarebbe andata. D'un tratto la giusta via le apparve chiara davanti a sé. Ma non avrebbe mai pensato che lasciare Tavington potesse essere tanto doloroso. -Solo una cosa- disse Tavington alzando gli occhi -Devi promettermi che... Quando la guerra finirà... tu tornerai qui. Gli Americani probabilmente vinceranno, ormai è inutile negarlo... quindi io me ne tornerò in Inghilterra nonappena la guerra finirà. Ti prego solo di tornare qui, un'ultima volta... Perché mi piacerebbe poter rivedere Willy ancora una volta prima di lasciare l'America...- Natasha annuì: -Lo farò, William. Lo farò- Natasha sentì dei rumori provenienti da fuori. Se voleva andarsene e raggiungere Tom, doveva muoversi. Ma prima si sentiva in dovere di fare una cosa, non poteva andarsene così... Guardando Tavington negli occhi, gli si gettò al collo. Lo strinse forte. Le sue labbra raggiunsero le labbra di lui e lo baciarono profondamente, in un bacio che riuniva anima e corpo. Per la prima e ultima volta, Natasha baciava volontariamente il Colonnello Tavington e lui ne rimase sorpreso. Quando il bacio finì, la guardò con il brillio ironico ancora al suo posto. -Ho sempre saputo che sotto sotto non eri la ragazza pura e semplice che sembravi...- Natasha rise, senza ombre di tristezza, ora. -Ci vediamo, Tasha. Ciao, Willy- Natasha si avviò alla porta. Si voltò. Lui era lì, ancora appoggiato allo schienale del letto, che la guardava andarsene via. -Ci vediamo, William- disse, prima di aprire la porta e correre nel corridoio. Mentre correva forsennatamente fuori dal palazzo, Willy ancorato al petto, Natasha vedeva tutta la sua vita correrle davanti. Sapeva che una parte di lei era ancora nella stanza con Tavington, a baciarlo, a consolarlo... sapeva che quella parte della sua anima non se ne sarebbe mai andata da lui. Ma lei doveva farlo. L'amore della sua vita stava per partire e lei doveva assolutamente fermarlo. Scese gli scalini tutto d'un fiato e corse verso il cancello. Proprio in quel momento vide Tom avvicinarsi al carro. Quella situazione le diede uno strano senso di deja'vu... -TOM!!!!!- gridò, continuando a correre verso di lui. Lo vide voltarsi e improvvisamente tornare a guardare avanti, accellerando l'andatura. Era troppo lontana, non sarebbe mai riuscita a raggiungerlo in tempo... -TOM!!- gridò ancora, cominciando ad ansimare. Se solo avesse potuto correre più in fretta... Non c'era niente da fare, lui continuava a ignorarla... -Tom!- gridò, allo stremo delle forze, mentre cominciava a rallentare per la stanchezza -Tom! Mi ha lasciata andare! Mi ha lasciata! Vide Tom fermarsi di colpo. Lei, sorridendo, continuò a correre fino a che non lo raggiunse. -... Tom...- disse lei, premendosi una mano sul petto -... lui... mi... ha... lasciata... liber... a...- -Cosa sai dicendo?- le disse lui, voltandosi. -Tavington!- esclamò Natasha -Mi ha lasciata andare! Posso venire con te!- Tom aggrottò le sopracciglia. -Credevo di averti detto che non ti volere più vedere- disse freddamente. Natasha lo guardò incredula. Cosa stava dicendo? Ma un sorriso piegò le labbra di Tom. -Il che significa che certe volte so essere davvero stupido- disse, prima di baciarla. La sensazione della sue morbide labbra sulle sue era così meravigliosa che a Natasha venne voglia di piangere di gioia. -Ti ha lasciata andare?- disse lui incredulo, nonappena furono saliti entrambi sul carro. Natasha guardò il forte allontanarsi alle sue spalle. Era così bello essere fuori, si sentiva così libera... così felice... -Sì- rispose, posando un bacio sulla fronte di Willy -Mi ha lasciata libera-

Tom sorrise: -Non riesco a crederci- disse, -Spero che non sia un sogno- Il cocchiere li interruppe: -Dove si và?- -North Carolina- risposero Tom e Tasha all'unisono. Si sorrisero. -Sai, Tom, credo che in fondo questo sia un sogno- disse Natasha dopo un po'. Tom la guardò alzando le sopracciglia: -Mmm?- -Sì- proseguì Tasha sorridendo -Queso è il nostro sogno-