Capitolo 3
La piantagione dei Rosewell
Il sole appena sorto colpì le palpebre chiuse di William Tavington, destandolo dal suo sonno. Aprì gli occhi e grugnì. Si stese a pancia in giù e si appoggiò la testa sui gomiti, aggrottando la fronte. Doveva raccogliere le idee. Stava per affrontare un'altra battaglia. Si legò un lenzuolo in vita e si diede una lavata veloce, quindi cominciò a vestirsi. Appena pronto, recuperò il suo resoconto dal cassetto della scrivania ed uscì nel corridoio.
Scese i gradini ignorando gli sguardi ammiccanti delle varie prostitute che uscivano dalle camere e si diresse nella sala da pranzo. Vi trovò quasi il suo intero battaglione, vestito di tutto punto, che chiacchierava allegramente, chi facendo colazione, chi sfogliando un giornale. Decisamente l'aria non era molto tesa, forse perché il generale contro cui avrebbero combattuto quel giorno, Gates, era considerato un perdente coi fiocchi. Tavington era lieto di vedere che l'umore dei suoi uomini fosse alto. Li voleva pronti per ogni battaglia, anche per quelle dove la vittoria ce l'avevano già in tasca.
-Colonnello- disse Bordon rispettosamente, alzandosi appena dalla sedia per salutarlo. I soldati interruppero le loro attività e fecero lo stesso.
-Comodi- disse Tavington, prendendo posto a sua volta. Ordinò del tè forte e si mise ad aspettarlo volgendo sguardi autoritari tutt'intorno.
-Una bella giornata- commentò Bordon, spalmando della marmellata d'arance su una fetta di pane -Ah, a proposito, sono arrivati i giornali da Londra. E la posta- disse, assumendo tutt'un tratto un'espressione cupa -Mia madre continua a chiedersi perché mai abbia voluto fare il soldato e non l'avvocato o il dottore-
-E tu cosa le rispondi?- volle sapere Tavington.
-Bè, le rispondo che...- assunse un'espressione confusa -Mah, me lo chiedo anch'io-
Tavington sospirò e lo guardò negli occhi: -Tu non hai fatto l'avvocato o il dottore perché altrimenti non avresti potuto ammazzare la gente, Bordon-
Bordon alzò le sopracciglia: -Davvero?-
-Davvero- rispose lui -Perché io so che dietro quel faccino che ti ritrovi c'è nascosto il Diavolo in persona-
Bordon scoppiò a ridere e addentò la fetta di pane con gusto: -Sembra proprio che mi conosciate meglio di mia madre, colonnello-
Tavington sorrise: -Ma non costringermi a sculacciarti-
A quel punto Bordon per poco non si strozzò, tanto che William dovette dargli una pacca sulla schiena.
-Grazie, Willia... cioè, colonnello- disse lui.
-Ah, e un'altra cosa, maggiore- disse Tavington mentre un servo gli versava il tè -Non voglio mai più che vi ubriacate come avete fatto l'altra sera, al ballo-
-Sissignore- rispose Bordon, preparandosi a spalmare altra marmellata su un'altra fetta di pane bianco. Tavington fermò il coltello a metà strada e guardò Bordon con uno sguardo eloquente.
-Abbi pietà del tuo cavallo, Bordon- gli disse -O i coloni potranno cibarsi di te per almeno sei mesi-
-Questa era buona, Tav- rispose lui. Si gettò su del succo di frutta e lo trangugiò.
-Questa roba non sa di niente- borbottò, disgustato.
Tavington fece girare lentamente il chiucchiaino nella tazza di tè. Non si sentiva affamato, così si limitò a bere qualche sorso prima di alzarsi in piedi. Sulla sala da pranzo cadde il silenzio.
-Vi voglio pronti entro venti minuti- disse agli uomini in attesa -Vedete di muovervi-
I soldati annuirono e Tavington lasciò la sala. Sentì il chiacchiericcio riaccendersi nonappena mise piede nell'atrio. Consegnò il suo resoconto ad un servo perché lo spedisse a Fort Carolina, dove alloggiava Lord Cornwallis. Ringraziò il cielo che quella mattina sarebbe stato il generale stesso a stendere una relazione sulla battaglia, nella speranza di trarvi informazioni utili. Tavington dubitava che i generali potessero apprendere qualcosa di nuovo dalla battaglia di quella mattina, comunque: se le voci erano vere, Lord Cornwallis aveva combattuto tante di quelle guerre da avere un'esperienza in materia senza eguali. Ma agli occhi di William rimaneva sempre un vecchio bacucco bastardo.
Uscì dal doppio portone del palazzo e si ritrovò a respirare l'aria pungente di fine gennaio. Le condizioni per la battaglia erano buone, anche se non ottimali: tirava un vento leggero e di un gelo quasi letale; il terreno era secco e freddo; l'aria leggera e profumata di neve. Il cielo era coperto di nuvole bianche venate di grigio, che lasciavano filtrare ben pochi raggi di sole. Probabilmente nel pomeriggio la giornata si sarebbe rischiarata, pensò, mentre s'incamminava verso le stalle. Entrò nell'aria pesante e chiusa della scuderia e si diresse verso il suo cavallo. Gram, lo stalliere, si stava occupando di un destriero un po' più in là.
Tavington ordinò che i cavalli dei Dragoni venissero sellati, e lo schiavo ubbidì. William montò sul suo ed uscì in cortile, aspettando il resto dell'unità. Ben presto i soldati, guidati da Bordon, andarono nella stalla e poco dopo ne uscirono con i loro destrieri.
Tavington chiamò il maggiore con un cenno del capo e Bordon gli si avvicinò.
-Signore?-
-Andiamo a nord. Dobbiamo raggiungere il Santee nel giro di un'ora. Lì ci aspetta una riunione di guerra per decidere le ultime tattiche per la battaglia. Informa gli uomini di quanto ti ho detto, e partiamo-
Bordon annuì e comunicò il programma agli altri Dragoni. Cinque minuti dopo, uscivano dai cancelli del forte, diretti verso il fiume Santee.
--------------------------------
William alzò il suo cannocchiale e lo focalizzò sull'esercito dei continentali che ora avanzava a passo di marcia. La musica risuonava alta e puntellata dalle esplosioni dei cannoni. Tavington scrutò la battaglia attentamente, valutando il momento giusto per scendere in campo.
Lui e i Dragoni si trovavano qualche metro più in là rispetto alle ordinate file delle giubbe rosse. Inglesi e Americani si stavano avvicinando ritmicamente, a suon di tamburi e strumenti vari. Quella stupida musichetta era già riuscita a provocargli un terribile mal di testa, peggiorato dal sole incredibilmente caldo che gli batteva sul capo. Come aveva previsto, la giornata si era rasserenata parecchio nel pomeriggio. Erano le ore quindici, e la battaglia era iniziata da circa venti minuti. Tavington lanciò un'occhiata al Generale Cornwallis, molto più avanti rispetto a lui, che stava guardando i continentali con un'aria disgustata piuttosto evidente. O'Hara sghignazzava al suo fianco.
Facile ridere quando sei mezzo miglio lontano dalla battaglia, pensò.
Le giubbe blu spararono e la musica fu ben presto sostituita da grida, bombardate di cannoni e ordini urlati. Venne il turno delle giubbe rosse, che sterminarono praticamente l'intera prima fila dei continentali. Tavington vide parecchi cannoni schierati dalla parte degli Inglesi e si domandò che motivo avesse Lord Cornwallis di sfoggiare il grosso dell'artiglieria pesante in una battaglia così semplice. Si disse che probabilmente voleva mettere paura agli Americani.
Bè, se sono queste le intenzioni di quel vecchio idiota... se vuole veramente far paura agli Americani... so io come procedere...
Un ghigno si formò sulle sue labbra mentre riponeva il cannocchiale con uno scatto. D'un tratto il sole che gli batteva sul capo gli parve più caldo che mai. Aveva bisogno di muoversi.
-Prepararsi alla carica- disse ad alta voce.
Lanciò un'altra occhiata alla battaglia e vide che era il turno degli Inglesi di attaccare.
-Carica!!!-
[I Dragoni scesero in campo, William in testa. Con un certo piacere, Tavington vide le giubbe blu sgranare gli occhi nella sua direzione e scappare. Quelli non troppo veloci vennero infilzati dai Dragoni o fucilati dalle giubbe rosse che sparavano proprio in quel momento. Tavington incitò il suo cavallo e riuscì a colpire una mezza dozzina di uomini, sferzandoli con la spada.]
Alla fine della sua corsa, tornò indietro e sterminò, aiutato dai suoi uomini, tutti i sopravvissuti.
Le giubbe rosse avanzarono e gli diedero man forte. Ben presto, un urlo echeggiò nell'aria:
-Vittoria!-
Un'altra battaglia era vinta.
--------------------------------
La battaglia di Camden era stata una battaglia semplice, ma costituiva senza dubbio l'inizio di una rivincita per gli Americani. Il loro generale, Gates, ora fuggiva inseguito da ventimila giubbe rosse. Tavington dubitava che sarebbe riuscito a farla franca, e ben presto era sicuro che se lo sarebbe ritrovato nel cortile di Fort Carolina appeso per il collo. Il suo umore, quando tornò all'accampamento sul Santee, era diventato ottimo.
Il mal di testa era svanito, e nessun Dragone era stato ucciso o ferito gravemente, il che succedeva di rado; con il cuore leggero, Tavington arrivò all'accampamento un'ora prima del tramonto.
[Ad accompagnarlo c'era il Maggiore Bordon. Entrambi erano attesi ad un piccolo banchetto organizzato in una tenda, per festeggiare la vittoria. Tutti i grandi generali e persino alcuni nobili vi sarebbero stati presenti: Tavington ghignò al pensiero di essere complimentato da Lord Cornwallis davanti a tutti quegli ufficiali.
Scese dal suo cavallo velocemente, si tolse il caschetto in un gesto automatico ed entrò a passo deciso nella tenda adibita ai festeggiamenti.
Era stato allestito un piccolo buffet, con del vino bianco: i cani danesi del Generale Cornwallis, Jupiter e Mars, sbocconcellavano stralci di manzo; alcuni ufficiali, tra cui O'Hara, discutevano tra loro a bassa voce sorseggiando del vino: non si voltarono all'ingresso di Tavington. Quest'ultimo vide Cornwallis in un altro cubicolo della tenda, intento a farsi sistemare i vestiti dal suo servo personale, Sonny. Con un sorriso, William disse, cercando di attirare l'attenzione:
-My Lord, Generale, signori... Un glorioso giorno per Sua Maestà. E per l'Inghilterra-
O'Hara, che gli voltava le spalle, si girò lentamente e lo guardò con sommo disgusto, come se il vino che stava bevendo si fosse improvvisamente trasformato in urina.
-Colonnello Tavington- disse Cornwallis, uscendo dal cubicolo e avvicinandosi al buffet
-Sempre in anticipo. Sempre in cerca di gloria-
Tavington lo guardò accigliato mentre il sorriso che portava sulle labbra iniziava a spegnersi impercettibilmente.
-Di vittoria, My Lord- lo corresse, cauto -Credo che abbiamo vinto-
Cornwallis prese altra carne dal buffet e la diede affettuosamente ai suoi cani. Quindi alzò lo sguardo verso William. C'era disappunto e imbarazzo nei suoi occhi, come se...
Come se si vergognasse di avermi come colonnello.
-La prossima volta aspetterete il mio comando- disse in tono fermo.
Tavington sentì quella frase ronzargli fastidiosamente nelle orecchie... Dio, quante volte l'aveva sentita?? Possibile che fosse ogni volta più spossante? Ma che diavolo gli importava se aveva seguito il suo comando o no? Non avevano vinto ugualmente?
O'Hara sentì che era il giusto momento per intervenire.
-Sembra che il Colonnello Tavington preferisca obbedire ai propri comandi- disse in tono untuoso, guardandolo con l'aria del bravo bambino che và a fare la spia al papà.
Tavington non ebbe nemmeno il tempo di pensare a qualche epiteto da urlarsi rabbiosamente nella mente che Cornwallis riprese la parola, sospirando:
-Il Generale O'Hara mi dice che vi chiamano "Il Macellaio", tra i soldati- disse, come rimproverandolo per quello che i soldati dicevano di lui.
Tavington aprì bocca per replicare, ma Cornwallis troncò la sua difesa sul nascere:
-Ne parleremo domani-
Gli voltò le spalle, girandosi verso gli altri ufficiali, e alzò un bicchiere per brindare:
-Complimenti, signori-
-Alla vittoria!- esclamò O'Hara, rincarando la dose. Il fatto che tutti, ma proprio tutti gli stessero deliberatamente voltando le spalle escludendolo dai festeggiamenti lo raggiunse solo in parte. Uscì dalla tenda senza neppure sentire i suoi passi, la mente concentrata e imbevuta nell'odio.]
Cominciò a camminare furiosamente, senza meta. Aveva vinto, li aveva fatti vincere... ed ecco come veniva ripagato. Si chiese se non fosse il caso di mandarli tutti a fanculo nella prossima battaglia e lasciarli a combattere da soli, anche se il generale richiedeva il suo intervento. Sì, certo... lui avrebbe dovuto aspettare che Cornwallis gli avesse dato l'ordine di attaccare... come no, sicuro che l'avrebbe fatto...
Sembra che il Colonnello Tavington preferisca obbedire ai propri comandi...
Il Generale O'Hara mi dice che vi chiamano "Il Macellaio", tra i soldati...
Cretini, imbecilli, figli di puttana.
Tavington entrò nella stalla e si diresse verso il suo cavallo. Appoggiò la schiena alla sella e incrociò le braccia sul petto. Non sapeva neppure cosa stava facendo, ma ora stava lì, a rimuginare su quanto era successo. Fissò lo sguardo al terreno e cercò un modo per sfogare la sua rabbia, ma non ne trovò. Udì dei passi e alzò lo sguardo.
-Maggiore?- disse in tono formale, vedendo Mark ritto sulla soglia.
Lui lo guardava. Tavington si rese conto solo in quel momento che anche lui aveva assistito alla scena nella tenda, essendo entrato subito dopo di lui.
-Ehi Will- disse Mark avvicinandosi a lui. Tavington distolse lo sguardo e lo fissò sulla sella del suo destriero. Sapeva che Bordon era sul punto di parlargli su quanto era accaduto e la sua mente cercò in fretta un argomento qualsiasi per riempire quel silenzio. Ma Bordon fu più veloce:
-Non prendertela, dai. Quelli sono tutti dei fottuti bastardi. Che ti frega di quello che dicono?-
Tavington non rispose.
-Personalmente, credo di sapere il modo adatto per tirarti su- continuò lui, ignorando l'ostilità di William. Abbassò la voce: -Quella... come si chiama... Karen?... ha chiesto di te-
Tavington alzò lo sguardo e lo fissò negli occhi di Bordon. Aggrottò la fronte, senza credere alle proprie orecchie:
-Karen?!-
Bordon lo guardò, stupito dalla sua reazione: -Sì... oh no, aspetta... Katie! Ecco, Katie...! Quella bella bionda... caspita, molti la ritengono la puttana più brava di tutto l'accampamento... e stamattina ha chiesto di te-
L'interesse di Tavington si era volatilizzato nonappena il nome di Karen era sparito dalla conversazione. Cercò di ignorare il battito del suo cuore, che era aumentato vertiginosamente qualche momento prima ed ora stava tornando lentamente costante. Non c'era motivo di agitarsi tanto. Finse di interessarsi a quest'ultimo argomento.
-Katie? Sì... l'ho trovata nel mio letto ieri sera-
Bordon lo guardò con una punta d'invidia: -E allora?- disse, concitato -Le voci sono vere?-
-Voci su cosa?-
-Sul fatto che sia la più brava dell'accampamento- disse Bordon pazientemente.
-Non ne ho idea. L'ho mandata via-
-Tu cosa???- Bordon era sconvolto -Ma sei pazzo??-
-Avevo del lavoro da fare- si giustificò Tavington -E cosa ha detto di me?-
Bordon ridacchiò, ma nuovamente nei suoi occhi apparve quella luce d'invidia mista ad ammirazione.
-"Dì al tuo Colonnello che stasera mi ritroverà nel suo letto... e non sarò vestita"- Bordon imitò alla perfezione la voce assurdamente acuta delle prostitute e Tavington non potè fare a meno di ghignare.
-Quelle sono tutte matte di te, amico- continuò Bordon -Dovresti sentire come ti chiamano... "Will il Conquistatore", "William il Maschio Vero", "William il Colonnello Più Sexy Che C'è"... Per non parlare delle varie discussioni sul tuo... eheh-
Bordon trovava sempre un modo per risollevare l'umore di Tavington, e parlare dei soprannomi che gli davano le prostitute era stata un'idea geniale. In pochi minuti, Tavington aveva quasi le lacrime agli occhi dal ridere.
-E vogliamo parlare di "Bordy il Re della Notte"?- disse William, mentre Bordon si piegava in due dalle risate.
-No, parliamo di "Tavvie dalle Mutande d'Oro"- sghignazzò Mark, mentre Tavington scoppiava nuovamente a ridere.
-Discorsi affascinanti-
I due si zittirono di botto e si voltarono, senza più ridere. Il Generale O'Hara avanzava verso di loro, il sole al tramonto che illuminava la sua sagoma. Era straordinario come riuscisse, ogni volta, ad apparire più disgustato di loro della volta precedente.
Il generale rivolse uno sguardo pieno di disprezzo a Tavington, che lo guardava serio. La rabbia era ripiombata su di lui in un lampo funesto.
-Spiacente di interrompere i vostri dialoghi- parlava in tono freddo, muovendo appena le labbra, come se parlare con loro non meritasse la fatica di mettere in movimento tutti i muscoli della bocca -Ma sono qui per affidarvi la vostra missione-
-Signore- disse Tavington, il rispetto della parola totalmente sfumato dal suo sguardo arrogante.
-Delle fonti ci hanno informato che un ribelle di nome Edward Rosewell è partito due settimane fa con l'intento di formare un gruppo di volontari. Non sappiamo dove si trovino, ma il Capitano Wilkins è a conoscenza del domicilio della famiglia di questo Rosewell. Dovete andare a interrogare i suoi familiari-
Qualcosa si mosse nella memoria di Tavington. Rosewell, Rosewell...
-Credo di averli già ispezionati, qualche tempo fa- disse al generale -Il nome non mi giunge nuovo-
O'Hara non reagì ma lo guardò come se quello che aveva appena detto fosse del tutto fuori luogo.
-Dovrò andare a controllare negli archivi- riflettè Tavington a voce alta, mantenendo gelido il suo tono di voce. D'altra parte, si sentiva sollevato che i suoi vecchi resoconti servissero finalmente a qualcosa.
-Fate ciò che dovete- disse O'Hara altezzoso -Ma credo che fareste meglio a portare a termine almeno questa missione... O il Generale Cornwallis potrebbe iniziare a dubitare di voi, non credete?-
Detto questo girò sui tacchi e lasciò la stalla.
Tavington provò l'irresistibile impulso di prendere a calci qualcosa. Poi però incrociò lo sguardo di Bordon ed entrambi scoppiarono a ridere fragorosamente.
-Che razza di figura- disse Bordon -Da quanto credi che fosse lì ad origliare?-
-Non ne ho idea- ribattè Tavington. Sospirò profondamente e disse:
-Bene, Maggiore... andate a chiamarmi Wilkins. Ho bisogno di sapere dove si trovi di preciso quella piantagione-
-Sissignore- disse Bordon, uscendo di gran carriera dalla stalla. Pochi minuti dopo, tornò con il Capitano Wilkins.
-Capitano... conoscete i Rosewell?- chiese Tavington.
-Signore, sono stato io ad informare i Generali sul tradimento di Edward Rosewell- disse Wilkins.
-Bene- ribattè Tavington sbrigativo -Allora saprete darmi le coordinate precise su dove si trovi la piantagione-
-Nove miglia a Nord di Wakefield, signore- rispose Wilkins pronto.
Tavington annuì lentamente: -Allora... io ho bisogno di andare a Fort Carolina per ritirare alcune carte dall'archivio. Porterò con me il Maggiore Bordon. Voi tenete gli uomini pronti per partire, saremo di ritorno tra un paio d'ore-
-Sissignore- rispose Wilkins, prima di uscire dalla stalla.
Tavington salì sul suo cavallo e prese a cavalcare verso l'esterno, seguito da Bordon. La sua mente era concentrata sul lavoro, ora, e fortunatamente la rabbia non vi trovava più posto. Ma William sapeva che ben presto sarebbe tornata.
Tornava sempre.
---------------------------
La sera era già scesa da un paio di ore quando Tavington fece ritorno all'accampamento del Santee. Si ritirò nel suo ufficio per esaminare il suo vecchio resoconto. Risaliva a tre anni prima, la data indicava il 5 settembre 1778. Tavington diede una veloce spolverata al foglio e si sedette alla sua scrivania cominciando a leggere.
"Arrivammo alla piantagione dei Rosewell a metà pomeriggio. Fu il signor John Rosewell ad accoglierci. Eravamo io, il Maggiore Bordon, il Tenente Scott e una dozzina di reclute. Chiedemmo al signor Rosewell di far uscire la sua famiglia dalla casa, affinchè potessimo perquisirla. Lui non oppose resistenza, e chiamò i suoi familiari. Chiedemmo i loro nomi e ricavammo queste informazioni sulla famiglia:
Mr. John Rosewell: agricoltore, ha combattuto con gli Inglesi nella guerra contro i Francesi, ma ha perso l'uso delle gambe combattendo per la Corona. Nonostante ci siano giunte molte voci su una sua possibile alleanza con i ribelli Americani, non abbiamo trovato prove per accusarlo. Innocente fino a prova contraria.
Mrs. Vanessa Rosewell: è sposata con il signor Rosewell da diciotto anni. Non ci sono giunte voci su un suo possibile tradimento, pertanto la dichiariamo innocente fino a prova contraria.
Edward Rosewell: un giovane ragazzo quindicenne. Non sembra nascondere nulla, e per il momento non è oggetto di particolari attenzioni.
Miss Christine Rosewell: ha tredici anni, ed ogni sua implicazione nella presunta colpevolezza del padre è da escludere.
L'ispezione dell'abitazione dei signori Rosewell richiese trenta minuti. Non trovammo alcuna prova della colpevolezza del signor Rosewell, pertanto abbandonammo la piantagione al calar del sole.
Personalmente, non ritengo questo sopralluogo particolarmente degno di nota, in quanto i soggetti hanno dimostrato collaborazione e indiscussa innocenza.
In fede,
Colonnello William Tavington"
Tavington ripiegò il foglio e sospirò. Bè, a quanto pareva era arrivata la famosa "prova contraria" che metteva in dubbio l'innocenza di quei contadini... Tavington si sentì quasi in colpa per non avere sparato a Edward Rosewell quando era ancora un ragazzino, come invece aveva fatto con Thomas Martin... in fondo, il suo modo di ragionare era che ogni bambino americano era un potenziale soldato, un futuro ribelle... non si poteva dire che non avesse alcun motivo per ucciderli.
Il Generale O'Hara mi dice che vi chiamano "Il Macellaio", tra i soldati...
Tavington scosse la testa per mettere a tacere la voce di Cornwallis che parlava nella sua testa. Fanculo lui, fanculo O'Hara, e fanculo anche ai soldati che gli avevano dato quello stupido soprannome. Se Tavington avesse scoperto chi erano...
Ma possibile che capitassero tutte a lui? Possibile che O'Hara raccontasse a Cornwallis tutto quello che sentiva dire? Se era così, la prossima volta ci sarebbe stato davvero da ridere...
Il Generale O'Hara mi dice che vi chiamano "Tavvie dalle Mutande d'Oro", tra le prostitute...
Tavington sghignazzò. Mutande d'oro, Santo Cielo... non si poteva certo dire che le puttane mancassero di fantasia, con i soprannomi.
Si cancellò il ghigno dalla faccia e si affrettò verso l'esterno, dopo aver riposto il vecchio resoconto in uno dei cassetti della scrivania. Il giorno dopo avrebbe mandato un servo a riportarlo a Fort Carolina, non poteva mica fare tutto lui. Anzi, era già sera e lui aveva un interrogatorio da svolgere.
Una volta fuori dalla tenda, chiamò Bordon perché radunasse gli uomini. Con una scorta di venti soldati, lasciarono l'accampamento del Santee e, guidati da Wilkins, iniziarono a cavalcare verso le colline a nord.
-----------------------
I cavalli dei Dragoni erano particolarmente veloci, e in una mezz'ora raggiunsero la piantagione dei Rosewell. Durante il tragitto, Tavington aveva deciso come agire: non li avrebbe presi prigionieri, ma se non avessero risposto alle loro domande Tavington non avrebbe esitato a farli torturare, uccidendoli alla fine, ovviamente. In effetti li avrebbero uccisi anche se avessero detto loro dove si trovasse Edward. Erano nemici alla Corona, e su questo non c'erano dubbi, a meno che Wilkins non avesse mentito, e Tavington sperò per lui che non fosse così. I grilli cantavano nei campi attorno a loro, ma il loro suono fu coperto dal galoppare dei cavalli. Tavington si arrestò nel cortile della fattoria e i soldati dietro di lui lo imitarono. Bordon assegnò ad alcune delle reclute più giovani il compito di legare tutte le bestie a degli alberi. Tavington ordinò a una mezza dozzina di soldati di sistemarsi sul retro della casa, per circondarla. Con i restanti, si diresse verso il porticato.
La porta d'ingresso si aprì ed una donna sulla sessantina li squadrò reggendo una candela con una mano. Strinse gli occhi nella loro direzione, moltiplicando le rughe che aveva sul viso.
-Chi siete?- chiese con voce arrochita dalla vecchiaia.
-Sono il Colonnello William Tavington, dei Dragoni Verdi- disse William sbrigativo
-Dobbiamo perquisire la casa e interrogare tutti voi, signora Rosewell. Spostatevi e fateci entrare-
La vecchia signora si spostò debolmente e li guidò attraverso un breve corridoio.
-Chi era, Vanessa?- chiese una voce altrettanto anziana, proveniente da una delle soglie sulla destra.
Tavington, seguito da Bordon, Wilkins e dal resto dei Dragoni, mise piede nel piccolo tinello in cui la signora Rosewell li aveva condotti. Era una stanza di forma quadrata, molto piccola e ingombra: due persone, un vecchio uomo con una pipa tra i denti e una giovane ragazza dai capelli ricci e biondi, sedevano al tavolo occupando due delle quattro sedie. Un terzo posto era stato apparecchiato, ma una sedia rimaneva in disparte davanti ad una vuota porzione di tovaglia.
-Sedetevi, signora Rosewell- ordinò Tavington. I suoi occhi brillarono: -Dobbiamo interrogarvi-
-Siete il Colonnello Tavington, non è vero?- chiese l'uomo aggrottando la fronte perplesso, mentre sua moglie si sedeva con aria estremamente preoccupata.
-Esatto, signor Rosewell... abbiamo già ispezionato questa casa una volta, tre anni fa. Ci mostraste molta collaborazione, allora... vedete di fare altrettanto adesso-
I tre rimasero in silenzio. La ragazza bionda e pallida, che ancora non aveva detto una parola, fissò il piatto con discrezione.
Tavington ghignò: -A quanto ricordo...- cominciò, prendendo a camminare minacciosamente intorno al tavolo, senza staccare gli occhi dai Rosewell -Avevate due figli, un tempo, Mr. Rosewell-
John Rosewell annuì, cauto.
Tavington sfiorò con una mano la sedia vuota: -E dov'è Edward, allora? Credo che dovrebbe essere seduto più o meno qui-
Il signor Rosewell evitò il suo sguardo inquisitore: -Lui...- tossì, e Tavington ebbe l'impressione che stesse solo cercando di prendere tempo -Lui è in città, ora-
La ragazza, Christine, serrò le labbra e non alzò lo sguardo.
-Ma guarda un po'- disse Tavington lentamente, riprendendo a camminare attorno al tavolo -E' curioso... delle voci mi hanno informato che invece è da qualche parte ad arruolare volontari-
Nella stanza cadde un silenzio carico di tensione. Vanessa Rosewell lanciò un'occhiata ansiosa al marito, ma lui non si mosse. L'unico rumore era l'ossessivo ticchettio della vecchia pendola vicino alla dispensa.
Tavington alzò un sopracciglio: -Molto bene, allora. Maggiore, restate qui e interrogate il signore. Capitano, portate la signora Rosewell in salotto e interrogatela su tutto ciò che sa. Io mi occuperò della ragazza-
Christine si mosse automaticamente verso sua madre e le prese il braccio.
-Colonnello...- mormorò -Per favore, lasciate stare mia madre. E' malata, e...-
-Christine, non dire altro- la interruppe sua madre, alzandosi con uno sforzo -Ce la farò-
-Tu, vieni con me- ordinò Tavington alla ragazza, tirandola in piedi.
Lei cercò di opporgli resistenza: -Lasciatemi!-
-Christie, fa quello che ti dice- le disse sua madre -Non ti farà del male se tu non gli darai un motivo per farlo-
Christine smise di dibattersi, e Tavington la strattonò fuori dalla stanza, facendosi strada tra i Dragoni. Raggiunse le scale che portavano al piano superiore e spintonò Christine verso il pianerottolo.
Lei inciampò sull'ultimo gradino e lui le diede un calcio sulla schiena. Christine gridò.
-Alzati- ordinò lui, puntellandola con la punta dello stivale -Muoviti-
A stento, Christine riuscì a rimettersi in piedi. Lui la spinse fino al centro di un corridoio e le torse un braccio dietro la schiena. Lei gemette, cercando di trattenere le grida e il pianto.
-Perché non mi fai vedere la tua camera?- le sussurrò nell'orecchio, tirandole un violento strattone al braccio.
-Lasciatemi- implorò lei -Per favore... mi state facendo male-
-Stai zitta- le ordinò -E muoviti-
Le lasciò andare il braccio e lei, esitante, lo condusse nella seconda porta a destra del corridoio. La ragazza aprì la porta e vi entrò. Tavington prese una bottiglia di brandy da un mobile vicino all'imboccatura delle scale e la seguì nella sua stanza.
Era una camera stretta, dalle pareti bianche e il pavimento di legno; un letto singolo occupava la maggior parte dello spazio; un piccolo scrittoio faceva capolino da sotto pile di fogli, libri e cianfrusaglie; un'unica finestra sprangata si sporgeva sul cortile. Tavington appoggiò il brandy sullo scrittoio e si voltò verso Christine: la ragazza si era abbandonata a terra, e singhiozzava lievemente con la testa sulle ginocchia.
Tavington raggiunse la porta e la chiuse girando la chiave che aveva trovato infilata nella toppa. Tornò a fissare la figuretta per terra. Era cresciuta molto, in quei tre anni in cui lui non l'aveva vista: i corti capelli color del grano che aveva a tredici anni si erano tramutati in una splendida cascata di riccioli biondi, una cornice graziosa per quello che era diventato un bel visino angelico, ma quasi adulto. Anche se c'era ben poco di adulto in quella ragazzina che piangeva sul pavimento, pensò Tavington. Mosse due passi verso di lei e la vide stringersi ancora di più verso il muro.
-Alzati, Christine- le disse -Non serve a niente fare così, lo sai?-
Lei non obbedì e continuò a nascondersi il viso con le braccia. Tavington la prese per un braccio e la sbattè contro il muro, tirandola in piedi. Le immobilizzò le braccia sulla testa, cosicchè potesse vederla in viso. Lei singhiozzò quando incontrò i suoi occhi.
-Allora, tesoro- cominciò lui -Vuoi dirmi dove si trova il tuo caro fratellino? E... farai meglio a rispondere, sai? Perché altrimenti potrei arrabbiarmi-
-Io...- la ragazza tremò violentemente -Io non lo so... Per favore, lasciatemi-
Tavington scosse la testa: -Così non và, mia cara-
Le sfiorò una guancia con un dito molto lentamente, facendole capire le sue intenzioni. La ragazza cercò di dibattersi e pianse più forte.
-P-per favore, colonnello... vi supplico... lasciatemi- pianse lei.
Tavington fece aderire il suo corpo a quello di lei e continuò a guardarla negli occhi con sguardo bramoso.
-Sei molto carina...- le sussurrò -Scommetto che là fuori ci sono così tanti ragazzi che aspirano alla tua mano... così tanti ragazzi che vorrebbero sposarti... E sono sicuro che anche a te piacerebbe sposarti con uno di loro, non è così? Ma sai, dubito che qualcuno ti vorrebbe ancora se...- accarezzò il suo corpo con uno sguardo, poi tornò a guardarla negli occhi con aria famelica -Se dovessi perdere la tua virtù prima del matrimonio-
-Vi prego...- singhiozzò lei, terrorizzata dalla sua minaccia -Non fatemi del male, lasciatemi, vi supplico-
Lui rise malignamente: -Dimmi dove si trova tuo fratello e non ti farò niente-
Lei non rispose subito. Abbassò lo sguardo e mormorò: -Non vi credo-
Lui rise ancora una volta e le alzò il viso con una mano: -Non sei nella posizione giusta per avere dei dubbi, tesoro, sono spiacente. E io non ho tempo da perdere- aggiunse, tirando fuori la sua pistola. La ragazza impallidì alla vista dell'arma e si dibattè più violentemente.
Tavington posò la canna della pistola sulla fronte di Christine: -Allora? Sei ancora decisa a non dirmi nulla?-
-Vi dico che non so niente!- pianse lei disperata -Non ne so nulla... ve lo giuro...! Ora lasciatemi, vi prego...-
-Oh, non è così semplice, tesoro- disse lui lentamente mentre un ghigno gli si disegnava sulle labbra. Rimise via la pistola lentamente, dicendo:
-Rifiutarsi di collaborare con i soldati di Sua Maestà è un reato, sai?-
Avvicinò le labbra al suo orecchio e le sussurrò: -Credo sia giunto il momento di una bella lezione sul Codice di Guerra, tesoro-
Lei tremò e chiuse gli occhi. Senza preavviso, Tavington la buttò sul letto. Christine gridò e cercò di rialzarsi, ma lui riuscì a montarle sopra e a tenerle fermi i polsi sopra la testa. Con la mano libera, prese una corda dalla tasca della giacca e legò le mani di lei alla spalliera del letto. Christine scalciò disperatamente, ma lui le tirò uno schiaffo.
-Stai ferma!- le urlò.
Lei si calmò, ma continuò a piangere. Tavington abbassò il suo corpo su quello di lei e la baciò forzatamente, spingendo la lingua nella bocca calda e piccola di lei.
Quindi le sue mani iniziarono a percorrerle il vestito, in cerca dei lacci per aprirlo. Ben presto li trovarono e Tavington cominciò a scioglierli, sentendosi sempre più eccitato. Quando ebbe finito aprì lentamente il bustino, facendo scivolare via la stoffa con un fruscio. Nel giro di pochi secondi la fanciulla fu a seno nudo davanti a lui. Le sue labbra si piegarono in un ghigno prima di modellarsi su uno dei capezzoli. Lei gemette più forte che mai e si dimenò. Tavington era troppo eccitato per tirarle un altro schiaffo... la pelle di lei era giovane, profumata, liscissima... dolce e piacevole sotto la sua lingua. Tavington leccò con piacere la sua scollatura, passando da un seno all'altro con una linea di baci frettolosi. Si alzò a sedere e le passò una mano sul seno, accarezzandolo con lentezza indicibile. Chiuse gli occhi mentre le sue dita giocavano con i capezzoli di lei. Christine gemette mentre quell'uomo sconosciuto si divertiva a molestare la sua intimità.
-Basta...- singhiozzò -Vi prego, non fatemi altro... lasciatemi andare-
Lui riaprì gli occhi: -Hai una particolare attinenza a disobbedire, Christine- le disse malignamente -Ti ho detto- le tirò uno schiaffo -Di stare...- gliene tirò un secondo sull'altra guancia -ZITTA!-
Detto questo la colpì così violentemente che un rivolo di sangue le uscì dal naso, e macchiò il cuscino sotto la sua testa. Christine respirava ancora, ma non si muoveva più.
Lui le alzò la gonna del vestito e si slacciò i pantaloni, continuando a guardarla. Quindi spinse in lei con forza, cercando allo stesso tempo di farle più male possibile e di soddisfare il suo desiderio. Lei gridò e Tavington le coprì la bocca con una mano. Lei continuò a urlare disperatamente da dietro le sue dita serrate. Tavington si piegò ulteriormente su di lei e andò più a fondo. Dal viso di lei vide che le stava facendo male, eccome. La ragazza strizzava gli occhi e le lacrime le rotolavano ai lati degli occhi fino a sparirle tra i capelli. Le sue grida erano soffocate e attutite dalla mano di William, stretta fermamente sulla sua bocca.
Tavington inarcò la schiena e sentì il corpo di lei tendersi per il dolore. Spinse più a fondo, senza pietà. Brividi di piacere perverso gli attraversavano la schiena, facendolo gemere lui stesso. La sua mente vagò automaticamente a O'Hara e a quello che aveva detto di lui davanti a Cornwallis... spinse più forte. Pensò al corpo straziato di quel soldato, mutilato e squarciato da violenti colpi d'ascia... accelerò il ritmo delle sue spinte. Pensò a suo padre, che non c'era stato quando sua madre aveva avuto bisogno di lui... spinse talmente forte che le urla della ragazza raggiunsero un volume considerevole nonostante la mano serrata sulla sua bocca. Tavington riaprì gli occhi e uscì da lei con uno strattone. Si riallacciò i pantaloni e scese dal letto velocemente. Sentiva di essersi sfogato a sufficienza. La sua rabbia aveva trovato un modo per sbollire ancora una volta. Anche per quel giorno era fatta. Si versò un bicchiere di brandy e lo sorseggiò lentamente, voltando le spalle a Christine. Quindi appoggiò il bicchiere e si volse verso lo scrittoio. Gettò a terra tutto ciò che si trovava sulla sua superficie. Doveva esserci qualcosa che lo aiutasse a scoprire dove si trovava Edward, doveva esserci qualcosa... un indizio... uno stupido, fottutissimo indizio...
Credo che fareste meglio a portare a termine almeno questa missione... O il Generale Cornwallis potrebbe iniziare a dubitare di voi, non credete?
Tavington rovesciò lo scrittoio, che cadde con un gran fracasso di legno spaccato.
-Uh, e qui cosa c'è?- disse trionfante, vedendo una scatola di metallo infilata a forza in una nicchia nella parete. Christine gemette alle sue spalle:
-No, no...-
Tavington si chinò e riuscì a togliere il contenitore dal buco nel muro. Si alzò in piedi e lo aprì. Vi trovò un diario, che gettò a terra; alcuni fogli bianchi e... un fascio di lettere tenute insieme con uno spago.
Tavington sciolse lo spago con i denti e lo lasciò cadere. Sentì Christine piangere sempre più concitatamente mentre lui apriva la prima delle lettere. Gli bastò leggere le prime otto o nove righe per scoprire tutto ciò che voleva sapere.
Il messaggio era da parte di Edward per la sua "cara sorellina"; la data risaliva a due settimane prima, quando, a detta di Edward, lui e i suoi compagni volontari si erano trasferiti in un bosco cinque miglia più a nord della piantagione dei Rosewell; diceva che gli piaceva non essere troppo lontano da casa. La lettera parlava delle avventure di Edward come volontario; a quanto pareva erano appena state arruolate quattro nuove reclute: Robert Adair, Owen Puckett, Abraham Taylor e Stephen Vessels, tutti di Pembroke. Edward scriveva inoltre che gli altri sarebbero tornati a casa per circa tre settimane, ma lui aveva delle faccende da sbrigare e sarebbe rimasto alla base con alcuni compagni. Tavington alzò le sopracciglia e si rivolse a Christine:
-E' stato gentile tuo fratello a scrivere tutto in questa lettera- disse Tavington con un ghigno, riponendo il foglio in una tasca della sua giacca -Ora so tutto ciò che dovevo sapere-
Tavington caricò la pistola e mosse qualche passo verso Christine.
-Immagino che tu veda tuo fratello come un eroe per quello che fa, non è così?- disse lentamente -Questo perché non sai quello che effettivamente il tuo fratellino fa con i suoi amici...- Le si avvicinò ancora di più e le disse: -Ma io mi sento in dovere di informarti della verità, tesoro... forse dovresti smettere di fantasticare. Tuo fratello è un assassino, cara. Se le mie ipotesi si rivelano giuste, ieri ha attaccato venti soldati di Sua Maestà... e li ha uccisi tutti. Ma non un colpo di pistola o di fucile, no... li ha sterminati, squarciati a colpi di ascia, Christine-
Altre lacrime scesero sulle guance della ragazza: -N-non vi credo... state mentendo...-
-Pensa ciò che vuoi- rispose lui, alzando la pistola -Ma è così. Tuo fratello non è che un pallone gonfiato che se ne và in giro massacrando la gente... Un testimone, l'unico sopravvissuto all'attacco, dice che è come uno spettro. Ti rendi conto di quanto sia stupido tutto ciò? Io non so se lo "Spettro" sia lui, ma puoi star certa di una cosa, tesoro...-
Si abbassò fino a sussurrarle all'orecchio: -Io lo ucciderò-
Si rialzò in piedi e le puntò la pistola: -Esattamente come sto per uccidere te-
Lei pianse ancora più forte e chiuse gli occhi.
Tavington sparò.
I muscoli facciali di Christine si rilassarono, il corpo cessò immediatamente di muoversi. Una ferita, rossa e fumante per il calore della pallottola, apparve sulla tempia mentre stralci di materia celebrale si spiaccicavano sulla parete opposta. Tavington udì il proiettile cadere sul legno con un tintinnio. Un proiettile che era passato da una parte all'altra della testa di quella stupida, inutile puttana ribelle. Tavington guardò il cadavere della ragazza con disgusto e lasciò la stanza, mentre i suoi passi risuonavano nel corridoio deserto.
------------------------
Erano le dieci di sera quando i Dragoni partirono finalmente dalla piantagione, diretti verso l'accampamento sul Santee. Era stato un lungo lavoro, ma alla fine ce l'avevano fatta: ora la casa dei Rosewell bruciava rumorosamente innalzando fumo grigio e possente al cielo notturno. Dentro quelle mura infuocate giacevano tutti e tre i cadaveri dei membri della famiglia Rosewell: i coniugi erano stati fucilati poiché non avevano aperto bocca durante l'interrogatorio, nemmeno quando, giunti agli estremi rimedi, i Dragoni avevano iniziato a tagliare qualche dito per indurli ad aprire bocca. Tavington era stanco, ma soddisfatto: aveva ottenuto le informazioni che voleva, portando a termine la missione. Non solo, ma la questione "Spettro", che aveva iniziato a preoccuparlo, sembrava già praticamente risolta: se lo "Spettro" era Edward Rosewell, come William era portato e credere, sarebbe riuscito ad ucciderlo nel giro di un paio di giorni al massimo, e tutto sarebbe finito di colpo così come era iniziato.
Tavington si sentiva molto sollevato e fiducioso; l'unico neo della faccenda era che doveva ancora stendere un rapporto, e ciò significava passare la notte nell'accampamento invece che al forte. Era troppo tardi per tornare a Camden, e poi ne aveva abbastanza di cavalcare, quel giorno. No, avrebbe scritto la sua bella relazione e poi sarebbe andato a dormire sulla sua branda. Aveva molto sonno, e forse il silenzio dell'accampamento sarebbe stato più piacevole del caos del forte.
In vista dell'agglomerato di tende, Tavington spronò il suo cavallo ancora una volta e in pochi minuti raggiunse la stalla. Assegnò il suo destriero agli stallieri e si diresse velocemente verso la sua tenda. Chiamò Bordon perché lo raggiungesse. Il maggiore gli aveva già spiegato a grandi linee com'erano andate le cose quel pomeriggio, ma Tavington voleva saperne di più. Era il colonnello, in fondo, doveva essere ben informato su quanto accadeva, su come agivano i suoi uomini.
-Maggiore...- cominciò, nonappena entrambi ebbero messo piede nella tenda di Tavington. Si sedette dietro alla scrivania e invitò Bordon ad accomodarsi.
-Allora... ci sono stati dei problemi?- chiese, versandosi un bicchiere di brandy. Quello alla piantagione non gli era bastato, aveva ancora bisogno di inumidirsi la bocca.
Bordon sembrò esitare: -No... ma...-
-Ma?-
Bordon diede in un mezzo sospiro: -Signore, il Capitano Wilkins è stato poco bene-
Tavington gli rivolse un'occhiata interrogativa: -Spiegatevi-
-Signore, mentre facevamo il nostro interrogatorio, lui... Bè, quando abbiamo tagliato il dito a quell'uomo, quel... quel...-
-Rosewell- gli venne in aiuto Tavington, alzando gli occhi al cielo.
-Sì, lui... mentre lo stavamo torturando il Capitano Wilkins è uscito e... signore, ha vomitato-
Tavington sospirò, esasperato: -Cristo Santo, cosa mi tocca sentire...-
Rimase in silenzio per qualche secondo, quindi disse: -Bordon, mandate a chiamarlo-
-Sissignore- disse Bordon rispettosamente. All'entrata della tenda, si fermò e si voltò:
-Ehm, signore...?-
-Mmm?-
-Potreste... voglio dire... evitare di riferire al capitano che sono stato io a dirvelo?-
-E perché? Avete paura di lui?- disse Tavington trattenendo un ghigno.
-No, signore... in realtà è che mi sembra che non si stia ambientando molto velocemente e non volevo peggiorargli la situazione. Credo che si fidi di me, e non vorrei che...-
Tavington alzò gli occhi al cielo. Non era la prima volta che si diceva che Bordon era troppo, troppo buono.
-Non glielo dirò, Bordon- disse, prima di bere altro brandy.
-Grazie, signore. Glielo chiamo subito, signore- disse Bordon sollevato, uscendo dalla tenda. Pochi minuti dopo entrò Wilkins.
-Mi avete fatto chiamare, signore?- chiese, esitante. Alla fioca luce delle candele Tavington vide che era molto pallido e stravolto, anche se ostentava sicurezza.
-Entrate- disse Tavington, sistemandosi sulla sedia.
Wilkins mosse qualche passo esitante all'interno della tenda e guardò Tavington, in attesa.
Tavington sospirò: -Capitano, mi sono giunte voci di un vostro comportamento inadeguato alla piantagione dei Rosewell, questo pomeriggio-
Wilkins abbassò la testa e disse: -Signore, le mie scus...-
-Non ho bisogno delle vostre scuse, capitano- lo interruppe secco William -Ho bisogno della vostra promessa che non accadrà mai più una cosa del genere-
-Lo prometto, signore- rispose quello -Lo giuro sul mio onore-
Tavington scoppiò a ridere: -Il vostro onore... l'onore di un traditore. E io dovrei fidarmi di una tale promessa, capitano?-
Wilkins lo guardò come se lo avesse appena schiaffeggiato.
Tavington continuò: -Non voglio ragazzine tra i miei soldati. Voglio uomini coraggiosi e ubbidienti, che facciano qualunque cosa io chieda loro di fare senza dire una parola. Non voglio codardi che vomitano appena si trovano di fronte ad una tortura!-
-Signore, io... non mi aspettavo una cosa del genere-
Tavington si alzò in piedi: -E che cosa vi aspettavate, eh? Cosa vi aspettavate quando vi siete arruolato nei Dragoni?!-
Wilkins non rispose e Tavington tornò a sedere. Si mise comodo appoggiandosi allo schienale e guardò Wilkins freddamente.
-Se non vi piacciono i miei metodi, siete libero di andarvene- gli disse, sperando che seguisse il suo consiglio. Non sopportava più di averlo tra i piedi.
-Signore, vi ripeto che non accadrà mai più una cosa del genere- disse Wilkins in tono piatto.
Tavington alzò un sopracciglio con aria scettica.
-Lo spero per voi- disse, sardonico -Potete andare-
Wilkins gli rivolse un breve inchino ed uscì dalla tenda, piuttosto abbattuto. Tavington si stiracchiò e bevve altro brandy, prima di mettersi al lavoro per stendere la sua dannata relazione.
---------------------------------------
Mark Bordon era nella sua tenda. Si stava mettendo comodo per andare a giocare a carte con gli altri Dragoni, che avevano acceso un falò in fondo all'accampamento. Si tolse la giacca e la lanciò sulla branda. Doveva ammetterlo, il suo umore non era ottimo quella sera. Si sentiva un tantino preoccupato e un familiare senso di colpa era sul punto di sommergerlo di nuovo.
Cercava di mascherare il tutto mentendo a se stesso sulla fonte di quei sentimenti: cercava di convincersi che si sentiva colpevole per avere fatto la spia a Tavington a proposito di Wilkins, il che gli dispiaceva, ma non era la causa maggiore del suo stato d'animo. No, in realtà sapeva a cosa era dovuto quel disagio, ma badava bene di non darvi peso, se voleva mantenere il suo ruolo tra i Dragoni. La verità era che si sentiva in colpa per quanto era successo quel pomeriggio, alla piantagione dei Rosewell.
Il suo umore si era offuscato da quando Tavington aveva portato di sopra quella ragazza, quella... bè, la figlia dei Rosewell. Buon Dio, doveva avere massimo sedici, diciassette anni. E Bordon sapeva cosa le aveva fatto Tavington. Tutti i Dragoni che erano nell'esercito da un po' sapevano bene come faceva Tavington a "interrogare" le ribelli, soprattutto le ragazze giovani... E tutti, in un clima di vergogna e disagio collettivo, fingevano di non sapere, di non immaginare... Chiudevano gli occhi e le orecchie, facevano finta che non fosse successo nulla... Dio, morire così giovani...
Bordon disapprovava molte delle cose che faceva Tavington. Come uomo, lo ammirava per le sue innumerevoli qualità, come il carisma, il fascino, la determinazione, la serietà con la quale prendeva il suo lavoro... ma Bordon proprio non riusciva a capire come si potesse fare del male a ragazzine giovanissime, che avevano (che avrebbero avuto) una vita intera da vivere, una famiglia da metter su, e tante altre cose che Tavington aveva negato loro. Tavington aveva violentato molte ribelli, Bordon lo sapeva. Anche se erano amici, non ne avevano mai parlato apertamente, ma ormai lui aveva capito già da molti anni come mai quando c'era da interrogare una ribelle Tavington si chiudesse in una stanza con lei e non venisse fuori per molto tempo, troppo per un semplice interrogatorio. Ma Tavington era il suo colonnello, loro erano in guerra, e di certo non si poteva dire che gli Americani fossero degli angioletti a questo proposito. Gli Inglesi, se non altro, uccidevano e basta, mentre alcuni dei ribelli (soprattutto i volontari, che non avevano avuto un vero e proprio addestramento militare) erano autentici carnefici. Tavington continuava a ripetere che, quando quella dannata guerra sarebbe finita, "tutto sarebbe stato dimenticato". Bordon non vedeva l'ora che quel momento arrivasse. Il momento di dimenticare... ma lui, sarebbe mai riuscito a lasciarsi tutto alle spalle? Sarebbe riuscito a cancellare le grida, le suppliche, le preghiere che urlavano nella sua testa? Sarebbe riuscito a dimenticare tutte le volte in cui, macchiandosi l'anima e la coscienza, si era voltato dall'altra parte cercando di pensare ad altro?
Bordon lanciò un'occhiata al soffitto della tenda. Oltre quella piccola barriera c'era il cielo, e Bordon credeva di immaginare cosa lo aspettasse lassù... Non sarebbe venuto il Paradiso per lui, sarebbe stato spedito dritto all'Inferno...
D'un tratto pensò a tutti quei ribelli... massacravano, sì, combattevano senza pietà... ma lo facevano per un ideale. Volevano la libertà. Lui per quale ideale stava combattendo? Per quale ideale Tavington quel pomeriggio aveva stuprato e ucciso quella ragazza innocente?
Bordon sospirò. Aveva già abbastanza peccati sul suo conto senza stare a caricarsi di quelli degli altri.
Il suo pensiero vagò a Wilkins. Ecco un altro che avrebbe avuto qualche difficoltà ad aggiudicarsi un posto nei Cieli. I traditori non erano ben visti da nessuno. Bordon non riusciva a capire: che senso aveva lasciare gli Americani e andare con gli Inglesi per poi essere visto male da entrambe le parti? Bordon non aveva una particolare simpatia per Wilkins, ma era pronto ad accoglierlo, come faceva con tutti. Lui era uno spirito amichevole, sempre aperto agli altri: gli piaceva aiutare le persone, soprattutto William. Sì, perché il colonnello era probabilmente la persona che più necessitava di aiuto, laggiù. Bordon non riusciva a capire cosa gli rodesse tanto da avere accumulato così tanta rabbia da sfogare. Non aveva mai visto un uomo dedicarsi così estenuamente al suo lavoro: non si stupiva che non avesse mai perso una battaglia, come non si stupiva che appena William Tavington scendeva in campo le truppe nemiche battessero in ritirata. Era un colonnello straordinario, era evidente che tutti, nell'esercito, avevano una grande stima per lui. Bordon stesso ne nutriva molta.
Ma cosa, cos'era che alimentava in lui questo suo odio insaziabile verso i ribelli?
Bordon non ne aveva idea e al momento era troppo stanco per pensarci su. Senza dubbio, qualche partita a carte gli avrebbe risollevato il morale, liberandolo da quelle inutili preoccupazioni.
----------------------------------
-Insomma, Karen, sto cercando di dirti una cosa importante!-
Karen Honey scese dal suo mondo di nuvole e atterrò seduta sul pianoforte del suo salotto.
-Ditemi, padre-
Il Barone Honey si grattò la nuca passandosi la mano sotto il parrucchino. Karen sapeva che quando faceva così significava che era nervoso, molto nervoso.
-Allora, cara- disse, esitante. Si raddrizzò con la schiena e disse in tono pomposo:
-Ho preso una decisione-
-Riguardo a cosa?- chiese Karen, solo vagamente interessata.
-A te e al generale- rispose il barone stupito, come se fosse ovvio che stava parlando di questo. Sospirò brevemente e disse, tutto d'un fiato:
-Vi sposerete alla fine di marzo-
Karen lo guardò senza parole. Per la prima volta durante tutta quella serata, si sentì totalmente lì, in salotto. La sua mente non era altrove come al solito. Era sveglissima e si sentiva totalmente confusa. Il mondo sembrava pesarle sulle spalle e lei non riusciva a capacitarsene. Alla fine di marzo? Lei e O'Hara?? Ma mancavano appena due mesi!
-Padre, io...-
-Non voglio sentire discussioni- disse il barone secco -Ho aspettato fin troppo. Domani mattina comunicherò la mia decisione al generale. E' già tutto deciso-
-Ma...- Karen cercò qualcosa da dire, ma non trovò nulla.
-Karen, mia cara... sento che è arrivato il momento- disse il barone posandole una mano sulla spalla -Entro l'inizio della primavera vedrò mia figlia con un buon marito, e non sai quanto ne sia orgoglioso-
Karen era perplessa. Non riusciva a realizzare che... il suo matrimonio, una cosa così strana e imprevista... sarebbe accaduta di lì a due mesi. Una terribile verità si fece in strada in lei, come un fulmine a ciel sereno.
-Io non sono pronta- mormorò senza fiato, più a se stessa che al padre.
-Come?- chiese il barone -Come hai detto?-
I suoi occhi mandavano fiammate.
No, il momento era arrivato e lei non poteva tirarsi indietro. A suo padre non le sarebbe importato che lei non amava assolutamente il Generale O'Hara... e forse non importava neppure a lei.
Ma no, in realtà le importava. Le importava perché lei aveva sempre creduto che O'Hara, per quanto esageratamente pomposo e non troppo affascinante, fosse l'unico uomo che sarebbe stato disposto a chiedere la sua mano. Insomma, se proprio lei un giorno si fosse sposata con qualcuno --e quel giorno doveva arrivare, non solo, ma stava arrivando-- l'unico del quale poteva vagamente immaginarsi moglie era lui. Ma ora non più. Karen non si vergognava ad ammetterlo, non aveva bisogno di nasconderlo a se stessa: sentiva di essersi innamorata del Colonnello Tavington. Si erano incontrati solo due volte, eppure era come se si vedessero ventiquattr'ore su ventiquattro. Karen lo teneva fisso nei suoi pensieri. Sì, esatto, proprio lei... la solitaria, evasiva e giocosa Karen Honey ora non si vedeva più sola, mentre suonava, mentre fantasticava. Correva e si rotolava per i campi, ma qualcun altro era lì con lei. Ed era lui, lui, lui. Lui che le faceva compagnia sempre, tutto il giorno. Quindi era tutto sbagliato. Lei non avrebbe dovuto sposarsi con O'Hara, perché lui non l'aveva mai accompagnata a casa per paura che venisse attaccata dai ribelli, non si era mai immerso nella musica che lei suonava, non l'aveva mai presa per mano e accompagnata giù, giù, a correre per le colline verdi e fiorite che esistevano solo nella sua fantasia... Karen aveva incontrato O'Hara soltanto a quegli stupidi balli. E anche quando lo incontrava, il generale si limitava a parlare con suo padre, come un mercante che parla ad un altro mercante. E la merce era lei, ovviamente. Una merce che O'Hara desiderava a tutti i costi... perché, poi?
Amore?
No, Karen non ci credeva. O'Hara non l'amava, altrimenti si sarebbe fermato molto di più a parlarle. Se l'amava l'avrebbe già dovuta baciare, almeno una volta, ma non l'aveva mai fatto. No, su questo non ci pioveva: lui non l'amava. E lei non amava lui. Cosa poteva nascere da questo?
-Padre... non credo che sia una buona idea- disse, abbassando lo sguardo. Era strano contraddire il padre, non le era mai successo prima. Lo stesso barone rimase preso in contropiede da ciò che lei aveva appena detto.
-C-cosa?- balbettò, disorientato.
Passarono alcuni secondi di attonito silenzio.
D'un tratto un'ombra attraversò gli occhi del barone: -Stammi a sentire, Karen. Sono stato comprensivo abbastanza, mi pare. Ti ho dato tutto questo tempo per permetterti di valutare l'offerta del generale, e adesso che tutto è fissato mi vieni a dire che non è stata una buona idea?-
Karen sospirò. Quindi annuì lentamente: -Scusatemi, padre. Farò come avete detto-
Il Barone Honey guardò sua figlia. Era esattamente ciò che voleva sentirsi dire da lei, ma non gli era piaciuto il tono con cui aveva pronunciato quelle parole. Karen non era felice di quella decisione, e lui se ne rendeva conto.
Ma ormai è tutto deciso, si disse, risoluto, Karen non è infelice, è solo confusa. E' stata una grande notizia per lei, e nonappena si sarà abituata all'idea tornerà allegra come sempre. Ne sono sicuro.
-Brava la mia figliola- le disse il barone, prima di uscire dalla stanza.
Karen sentiva che qualcosa stava andando storto nella sua vita. Provava un buco allo stomaco che, lo sapeva, era destinato a porre fine a tutti i suoi divertimenti, a tutta la sua felicità... Aveva la sensazione che la situazione, prima così leggera, le stesse sfuggendo di mano. Sapeva di essere stata una brava figliola per troppo a lungo, sentiva che era ora di farsi valere, di affrontare le scelte che lei, per così tanto tempo, aveva accantonato rintanandosi in quel meraviglioso mondo di fiaba che era la musica... Karen sentiva che non poteva più farlo. Eppure l'aveva fatto fino a quel momento, e si era appena arresa alle volontà di suo padre ancora una volta. Ma ora sapeva che poteva avere qualcosa di più... e la cosa che contava davvero era che lei voleva qualcosa di più. Le scelte che suo padre aveva fatto per lei non le andavano più bene. Karen aveva annuito in silenzio troppe volte, e se c'era un momento giusto per cambiare, era quello. Dove impedire che la sua vita venisse rovinata. Doveva riempire quel vuoto che c'era in lei, quel vuoto creato dalla mancanza, pesante e incisiva, di un obiettivo, di uno scopo, di un traguardo verso il quale correre... Ed era successo, il vuoto si era riempito, il grigio si era distinto in bianco e nero, tutto cominciava ad avere un senso. E Karen, seduta ancora con le dita appoggiate sui tasti del piano, vedeva un chiaro obiettivo nella sua vita, ora.
William Tavington e i suoi occhi di ghiaccio. Era la sua occasione, doveva combattere per questo... doveva smettere di essere la solita, brava figliola. Almeno doveva provarci.
Con una nuova determinazione, Karen Honey chiuse il pianoforte, si alzò ed uscì dalla stanza.
