Capitolo 4
Bugie
Tavington uscì dalla sua tenda un paio d' ore dopo l'alba, perfettamente vestito e pettinato come al solito. Si diresse verso il fondo dell'accampamento, dove il resto dei Dragoni stava facendo colazione davanti ad un fuoco scoppiettante. Si alzarono tutti in piedi al suo arrivo, smettendo di parlare.
-Comodi- disse lui, prima di prendere posto e bere una tazza fumante di tè caldo. Aveva bisogno di scaldarsi, poiché la temperatura era molto bassa. La mattina era terribile, all'accampamento. Mentre sorseggiava dalla sua tazza, lo raggiunse Bordon.
-Dove ci dirigiamo oggi, colonnello, se mi è concesso saperlo?- chiese in tono formale.
-Andiamo a Pembroke- rispose Tavington prima di bere un altro sorso -Dobbiamo giustiziare quattro ribelli del gruppo di quel Rosewell-
Bordon annuì vagamente, leggermente incupito. Tavington sapeva che al maggiore non piacevano quel genere di missioni. In ogni caso, non glielo aveva chiesto lui di venire a fare il Dragone.
Qualche minuto dopo arrivò il Capitano Wilkins, che si servì con una tazza di latte. Tavington lo squadrò: era ancora pallido come la sera precedente, ma se non altro sembrava stesse un po' meglio.
-Non vi conviene bere troppo, Capitano Wilkins- lo ammonì Tavington -Oggi dovremo impiccare quattro ribelli, e temo che potreste impressionarvi tanto da rimettere quella bella tazza di latte-
Qualche Dragone ridacchiò sonoramente. Wilkins abbassò la testa:
-Signore, vi assicuro che farò il mio dovere... senza inconvenienti-
-Sarà meglio per voi- ribattè Tavington, gelido. Appoggiò la tazza vuota e si alzò in piedi:
-Muovetevi, tra cinque minuti vi voglio pronti a partire-
I soldati annuirono e Tavington si diresse alla stalla.
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Wilkins guardò Tavington allontanarsi con uno sguardo amaro. Bevve in un sorso il resto del latte e continuò a guardare con aria assente le fiamme del fuoco da bivacco danzare davanti a lui.
-James? Ci sei?- lo chiamò Bordon.
Wilkins alzò lo sguardo verso di lui: -Sì?-
-Sai, non te la devi prendere- disse Mark, addentando una fetta di pane imburrato
-Tavington è così. Prima o poi imparerà ad accettarti, ma per il momento... lascialo fare. Vuole renderti la vita difficile perché sei americano... non gli piacciono i lealisti, credo che fin qui ci sia arrivato anche tu. Ma non è niente di personale, credimi-
-Mi odia- disse Wilkins risoluto, rigirandosi la tazza fra le mani -E fa bene-
Bordon sospirò: -Lui odia i ribelli, tutto qui. E credo che su questo concordi anche tu, no?-
-Bè...- rispose Wilkins esitante. Bordon seppe di non aver detto esattamente la cosa giusta. Mentre stava cercando un modo per rimediare, Wilkins esclamò:
-Perché li odia tanto, poi?-
Bordon alzò le spalle e un'aria pensierosa si disegnò sul suo volto: -Nessuno lo sa. Sempre che un motivo ci sia-
-Mah, secondo me gli hanno ammazzato la sua donna- disse un Dragone oltre il fuoco, uno scozzese di nome McMahon, che a quanto pareva aveva sentito la loro conversazione
-Solo una donna può far incazzare un uomo a tal punto-
-Modera i termini, McMahon- lo ammonì Bordon, con un'occhiata di rimprovero -E comunque non mi sta bene che stiate qui a confabulare sul colonnello. Glielo riferirò-
I Dragoni lo guardarono allarmati. Wilkins era impallidito come se il latte che aveva appena bevuto si fosse improvvisamente trasferito sotto la sua pelle facciale.
-Ehi, scherzavo- ribattè Bordon sorridendo, e gli altri risero, sollevati. Il maggiore stava per servirsi un'altra fetta di pane quando un urlo gli giunse alle spalle:
-Siete ancora qui? Credevo di avervi detto di MUOVERVI!- tuonò Tavington -Vi do dieci secondi per andare a prendere i vostri dannati cavalli!-
I Dragoni corsero alle stalle mentre Tavington continuava ad urlargli dietro.
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Nel giro di dieci minuti la pattuglia del Colonnello Tavington si lasciò alle spalle l'accampamento sul Santee. Tavington era impaziente di giungere a Pembroke: era da molto che non vi dava un'occhiata, ed era proprio il momento di passare a controllare che quei dannati abitanti non stessero combindandone un'altra delle loro.
-Sembra proprio che Pembroke sia diventato uno dei centri della criminalità, ultimamente- disse Tavington a Bordon, che cavalcava alla sua destra.
-Già- annuì quello -Scommetto che ben presto lo "Spettro" si farà vivo da queste parti-
Tavington scosse la testa, deciso: -Lo "Spettro" è una questione già chiusa. O meglio, si chiuderà domani quando andremo a trovare Edward Rosewell e i suoi amichetti-
-Credete davvero che sia lui?- domandò Bordon.
William alzò le spalle: -Sì, ne sono quasi convinto. Ad ogni modo, ora non sarà molto felice per quello che abbiamo fatto alla sua famiglia, non credi?-
Bordon alzò le sopracciglia: -Bè, non è detto che ne sia già venuto a conoscenza-
Tavington sbuffò: -Ah, Bordon, piantala di essere pessimista, diamine-
Bordon ammutolì.
Dopo circa una mezz'ora di cavalcata, il campanile di Pembroke apparve in lontananza. Tavington spronò il suo cavallo per le ultime centinaia di metri e in una manciata di minuti i Dragoni giunsero all'ingresso del paesino.
Gli abitanti uscirono dalle loro case guardandoli preoccupati. Tavington fermò l'avanzata e parlò, nel silenzio generale:
-Sto cercando quattro uomini- disse a voce alta, rivolto alla folla - I loro nomi sono Robert Adair, Owen Puckett, Abraham Taylor e Stephen Vessels-
Il silenzio si fece più denso mentre la gente abbassava lo sguardo, terrorizzata.
-Sapete, sarà meglio che questi quattro si facciano avanti spontaneamente- disse Tavington in tono minaccioso -O sarà l'intero paese a pagare-
Un uomo, che Tavington riconobbe come il Reverendo Oliver, il prete di Pembroke, mosse qualche passo avanti:
-Colonnello, voi non...-
-Silenzio, reverendo- lo zittì Tavington -Lasciatemi fare il mio lavoro, se non volete essere impiccato-
Sussurri indignati seguirono questa nuova minaccia. Tavington non se ne curò e fece vagare lo sguardo intorno. D'un tratto avanzò un uomo:
-Io sono Owen Puckett- disse, guardando Tavington negli occhi.
Il colonnello fece un cenno ai suoi uomini: due Dragoni scesero da cavallo e si occuparono del ribelle, che li ricevette senza fiatare.
-Io sono Stephen Vessels- si fece avanti un altro. Tavington scorse una donna piangere disperatamente dietro di lui. Due soldati presero Vessels per le braccia e lo tennero fermo.
-Gli altri due faranno meglio a muoversi- disse Tavington freddamente, rivolto alla folla silenziosa.
Un giovanotto sui vent'anni mosse due passi avanti.
-Robert Adair- si presentò, lo sguardo a terra e il tono di voce molto basso. Adair fu velocemente seguito da un altro uomo, più vecchio, probabilmente sui cinquant'anni:
-Ed io sono Abraham Taylor- ammise, mentre altri Dragoni sopraggiungevano verso lui e Adair.
-Molto bene- disse Tavington in tono gelido, rivolgendo ai quattro un'occhiata sprezzante -Sono dei ribelli. Impiccateli-
Gli abitanti cominciarono subito a protestare: alcuni mossero dei passi avanti, altri alzarono il pugno in segno di protesta, le donne e i bambini iniziarono a piangere e strillare. I Dragoni scesi da cavallo trattennero la folla.
I quattro ribelli non si mossero, e non reagirono quando i soldati che li trattenevano legarono la corda ad un ramo dell'albero all'entrata del paese e strinsero un cappio attorno ai loro colli. Furono fatti salire in piedi sulle selle di quattro cavalli. Tavington diede l'ordine e alcuni soldati incitarono i cavalli a cavalcare. Le corde che tenevano appesi i quattro ribelli si tesero mentre i destrieri cavalcavano via e i condannati si ritrovarono senza un appoggio. Gli uomini scalciarono, lottarono mentre i loro visi divenivano sempre più paonazzi. La gente gridava e piangeva. Tavington guardava la scena con un senso di forte, malsana soddisfazione, come un fuoco ardente e famelico nei suoi occhi gelidi. Nel giro di un minuto gli impiccati avevano cessato di muoversi e ondeggiavano lievi nella brezza.
Tavington mosse qualche passo avanti con il suo cavallo:
-Questo è quello che capiterà a chiunque collaborerà con i ribelli o nasconderà informazioni riguardanti il nemico- disse Tavington nel silenzio di morte che accompagnava la scena.
Con un ultimo sguardo ai malinconici e rabbiosi visi rivolti verso di lui, Tavington diede l'ordine di ripartire e i Dragoni montarono in sella seguendolo fuori dal villaggio.
Quando furono abbastanza lontani, Wilkins lanciò uno sguardo alle sue spalle. Vide il Reverendo Oliver inginocchiarsi davanti agli impiccati e piegare la testa a terra, le mani giunte.
Sospirò e si voltò di nuovo avanti.
-Senso di colpa, capitano?- domandò Tavington senza guardarlo.
Wilkins deglutì come per mandare giù un boccone molto amaro: -Se devo essere sincero, signore... sì-
Le labbra di Tavington si arricciarono: -Imparerete a conviverci, Wilkins-
Il capitano guardò il suo colonnello, ma niente traspariva dai suoi occhi. Non potè fare a meno di notare, però, che per la prima volta da quando si era arruolato nei Dragoni Tavington non si era indirizzato a lui con fare dispregiativo. La cosa lo rincuorò, cancellando quasi del tutto lo sconosciuto senso di colpa che aveva minacciato di sopraffarlo.
Forse, dopotutto, non aveva fatto la scelta sbagliata arruolandosi nei Dragoni Verdi.
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Verso le undici di quella mattina, Tavington era seduto alla sua scrivania. Era ancora pieno di energie, perché in fondo il sopralluogo a Pembroke non era stato stancante. Nemmeno la relazione che stava cominciando a scrivere lo stava spossando, e la cosa era piuttosto inedita per lui. I resoconti avevano sempre uno straordinario potere soporifero su William, quasi quanto i discorsi di Lord Cornwallis. Quasi. Quelli non li batteva nessuno. A proposito di Lord Cornwallis... cosa gli aveva detto il giorno prima? Ah, già. Gli aveva detto che il giorno dopo gli avrebbe parlato a proposito delle sue brutali tattiche. William non vedeva l'ora. Ma stavolta anche lui aveva qualcosa di cui discutere con quel vecchio bacucco... Da tempo, infatti, Tavington aveva cominciato a pensare riguardo al suo futuro. Quando non ci sarebbero stati più ribelli da ammazzare, quando la guerra nelle colonie sarebbe finita... cosa ne sarebbe stato di lui?
Il suo salario, nonostante fosse quello di un ufficiale, non era altissimo. Insomma, Tavington avrebbe potuto continuare a mettere soldi da parte quanto voleva, ma non sarebbe mai riuscito ad averne abbastanza da potersi permettere una casa, o una piantagione. No, aveva deciso che il suo ruolo in quella guerra non poteva restare inosservato: doveva assicurarsi una vita, una volta che la guerra fosse finita. E Dio solo sapeva quando sarebbe finita. Così, ne avrebbe parlato a Lord Cornwallis: in fondo erano argomentazioni ragionevoli, che un presunto "gentiluomo" come il generale doveva comprendere.
Tavington si costrinse a tornare con la mente al suo resoconto. Intinse la penna d'aquila nel calamaio e l'appoggiò sul foglio di carta. Scrisse la data con un gran scricchiolio della punta, e iniziò a raccontare, più brevemente possibile, i fatti come si erano succeduti. Mentre stava per terminare il lavoro, con il pensiero che finalmente quella notte, dopo tanto tempo, avrebbe potuto concedersi un po' di relax con una delle migliori prostitute di Camden, qualcuno entrò nella tenda. Tavington alzò gli occhi e vide Bordon sostare rispettosamente davanti all'entrata.
-Sì?- disse William, sperando che non ci fosse stata un'altra imboscata.
-Signore, c'è una visita per voi- il maggiore sembrava trattenere a stento uno sguardo malizioso.
Tavington alzò le sopracciglia. In effetti, non aveva mai ricevuto visite fino a quel momento.
-Chi è?- domandò Tavington, con una punta di curiosità.
-Una donna- rispose il maggiore -Di nome... ehm...-
Tavington alzò gli occhi al cielo. Era pazzesco quale avversione avesse la mente di Bordon nel ricordare i nomi.
-Ehm... scusate, signore. Ma vuole vedervi, chiunque sia-
-E' Karen Honey?-
Le parole erano uscite dalle labbra di William senza che riuscisse a fermarle, o a capire quali fossero. Era stata la sua bocca a parlare, non lui. Karen Honey? E cosa c'entrava? Era assurdo, lei non sarebbe mai venuta a trovarlo... che idiozia...
Il volto di Bordon si illuminò: -Esatto, signore! Lei! La faccio entrare?-
Tavington aggrottò la fronte. Karen, lì? All'accampamento sul Santee?? Che voleva vederlo?
-Sì, maggiore- rispose Tavington distrattamente -Fatela entrare-
Bordon uscì e William fece in tempo a scorgere un'occhiata maliziosa nei suoi occhi mentre si voltava. Tavington non potè ignorare il battito del suo cuore iniziare ad accelerare nel suo petto...
-Colonnello?-
Era lei. Era davvero lei. Tavington incontrò gli occhi di Karen mentre la ragazza metteva piede nella tenda con aria esitante. Il suo cuore si scaldò nel vederla, così come la sua mente iniziava a crogiolarsi in fantasie ossessionanti.
La ragazza vestiva la stessa mantella bianco panna che aveva l'ultima volta che si erano visti. Il cappuccio era abbassato, e i capelli ne erano usciti incorniciandole il viso, spettinati dal vento. I suoi occhi magnetici erano fissi in quelli di lui e sulle sue labbra rosate era disegnato un sorriso caldo.
-Miss Honey- disse Tavington, alzandosi in piedi per riceverla.
Lei si avvicinò alla scrivania di lui con sicurezza e gli porse la mano cosicchè lui la baciasse. Le labbra di Tavington non aspettavano altro e accarezzarono brevemente ma con intensità la sua pelle liscia e gelata.
-Vi prego di sedervi- disse Tavington, mantenendo quel tono formale che lui stesso detestava tanto. Ebbe cura di nascondere il resoconto e di riporlo in un cassetto della scrivania. Non gli sembrava una buona idea che lei lo leggesse. Avrebbe potuto farsi un'idea sbagliata di lui e non voleva questo. Cioè, non che gli importasse cosa pensava lei di lui. Assolutamente no. Aveva nascosto il manoscritto semplicemente perché lei, essendo una donna, poteva impressionarsi. E poi era un documento di guerra, non adatto ai civili.
Karen si sedette e gli sorrise ancora una volta.
-A cosa devo la vostra visita, miss Honey?- chiese lui, congiungendo le punte delle dita.
La ragazza sospirò: -Oh, colonnello. Non intendevo disturbarvi, ma... ho bisogno del vostro aiuto-
Tavington la guardò con aria interrogativa: -In cosa posso aiutarvi, miss Honey?-
D'un tratto Karen assunse un'espressione depressa. Un'ombra passò sul suo viso mentre lei distoglieva lo sguardo e si riavviava nervosamente i capelli dietro le orecchie.
-Ah... io... Ecco, vedete... Non so se ne siete a conoscenza, ma mio padre... mi vuole in sposa al Generale O'Hara-
I polmoni smisero di funzionare nel torace di William Tavington. Alzò gli occhi verso di lei e li strinse in un'espressione di incredulità mista a improvvisa ira:
-Che cosa?!-
Karen fu stupita dalla sua reazione e lo guardò, incerta: -Non... non lo sapevate?-
Tavington cercò di ricomporsi, ma un fuoco aveva iniziato ad ardere in lui, e ora che gli stava bruciando dentro, non poteva astenersi dall'esprimere quello che provava. Le sue mani iniziarono a tremare, e lui si affrettò a nasconderle sotto lo scrittoio. Costrinse i suoi occhi a tornare freddi, a non mostrare alcun sentimento mentre tornava a guardarla. Ma la sua mente stava lavorando freneticamente: Karen in sposa ad O'Hara????
-Non lo sapevo- rispose, cercando di mostrarsi appena interessato. Deglutì e disse, in tono esitante:
-E voi...- si schiarì la gola -E voi avete intenzione di sposarlo, è così?-
Lei sgranò gli occhi: -Per l'amor di Dio, no! E' l'ultima cosa che vorrei-
Un caldo sollievo, come una corrente tiepida e piacevole, spense il fuoco nel petto di William. Lei non voleva sposarlo, dopotutto...
-E' per questo che sono venuta da voi- proseguì Karen. I suoi occhi si fecero supplichevoli, e Tavington fu colpito ancora una volta dalla sua tenerezza, da quanto fosse candida e innocente.
-Ho bisogno del vostro aiuto. Mio padre mi vuole vedere sposata con il generale, ma io non voglio sposarlo. Ora, so che mio padre ha una grande considerazione per i gentiluomini... e credo che voi siate un gentiluomo, colonnello- arrossì -E credo anche che mio padre vi abbia preso in simpatia. Lui a me non vuole dare ascolto, quindi vi scongiuro... andate a parlargli. Cercate di convincerlo, so che a voi presterà attenzione-
Tavington tornò ad unirsi le punte delle dita con fare pensoso. Lei gli stava solo chiedendo un favore, dopotutto... non c'era motivo di rifiutare. Perché poi, deludere quegli occhi pieni di speranze? Quegli occhi che lo stavano guardando con tanta intensità dall'altra parte della scrivania, facendogli correre dei brividi sulla schiena?
-Vi aiuterò, miss Honey, se è questo che volete da me- disse.
Vide la ragazza rilassarsi sulla sedia.
-Oh, vi ringrazio così tanto- disse, quasi ridendo. Il sollievo aveva riportato il sorriso sul suo bel viso.
-Ma non vi assicuro che riuscirò a convincere vostro padre, miss- disse lui, continuando a guardarla fisso -In fondo ci conosciamo appena-
Lei continuò a sorridere: -Questo ha poca importanza. Voglio almeno provarci- sospirò profondamente -Mio padre è diventato così ossessivo con questa idea... devo dire che all'inizio non mi dispiaceva, voglio dire... la vedevo come qualcosa di... bè, accettabile-
Tavington si chiese cosa ci potesse essere di accettabile nell'idea di sposare O'Hara.
-Cosa vi ha fatto cambiare idea?- domandò lentamente.
La ragazza tornò a guardarlo negli occhi molto intensamente. Era come se cercasse di mandargli la risposta telepaticamente, attraverso quel contatto magico, quel filo sottile che univa i loro sguardi...
Tu, William... sei stato tu.
Tavington scosse la testa impercettibilmente, battendo le palpebre. Lei si schiarì la gola e sorrise: -Bè, mi sono accorta che non era l'uomo adatto per me, in fondo- rispose con semplicità.
-E quale sarebbe l'uomo adatto per voi?- chiese William, divertito, gli occhi che brillavano.
Lei scoppiò a ridere: -Siete di un'impertinenza disgustosa, colonnello-
William rise: -Credo di avere il diritto di interrogare le persone che entrano ed escono liberamente dal mio accampamento-
-Non tanto liberamente- fece notare lei -Ho dovuto passare circa un centinaio di controlli, prima di poter arrivare qui-
-Direi- disse Tavington -I ribelli si fanno molto sentire, ultimamente-
Karen annuì in silenzio.
-E' vero che stiamo per vincere la guerra?- domandò vivacemente.
Tavington alzò le sopracciglia: -Siamo fiduciosi, miss Honey-
Lei sorrise: -Bè, immagino che abbiate dovuto combattere molto per... per arrivare fin dove siete adesso-
-Già- rispose lui vagamente -Uh, a proposito... suppongo che siate venuta qui da sola, non è così?-
Lei annuì ed alzò gli occhi al cielo: -Sì, lo so che non avrei dovuto. Ma era l'unico modo per potervi incontrare- lo guardò -Potrete mai perdonarmi?-
Lei labbra di lui si piegarono in un sorriso: -Solo se mi promettete che non farete mai più una cosa del genere. Questi ribelli sono assetati di sangue e non perdonano. Posso solo immaginare cosa farebbero ad una...-
Bellissima, dolcissima, indifesa, candida, innocente...
-... ad una nobile donna come voi-
-Immagino che abbiate ragione- sospirò lei con un sorriso -Vi prometto che non lo farò più-
Si alzò in piedi e gli disse:
-E' ora che vada. Devo essere a casa prima che torni mio padre-
Anche Tavington si alzò, la prese per mano e l'accompagnò all'entrata della tenda -Ora dovete tornare indietro, miss. Sarà meglio che vi accompagni-
Lei gli sorrise e lo guardò con quello sguardo vivace e al tempo stesso sensuale che le riusciva così bene.
-Mi farebbe piacere, colonnello- disse in tono colorito -E poi, ho una promessa da mantenere-
Tavington sorrise e l'accompagnò fuori dalla tenda.
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-Ci vediamo stasera allora, colonnello-
Tavington restò a guardare Karen entrare nella villa in una sorta di smarrimento. Era perso nei movimenti di lei, nei suoi passi leggeri, nel suo viso ancora rivolto indietro verso il suo. Ci mise qualche secondo a realizzare quello che lei aveva appena detto.
-Stasera?- domandò, tornando in sé -Perché stasera?-
Lei si fermò e si voltò completamente verso di lui: -E' stasera che dovrete parlare con mio padre-
Tavington rimase preso in contropiede. Non si aspettava di dover affrontare il barone quello stesso giorno... in effetti era talmente occupato a osservarla che non aveva molto preso in considerazione neppure l'idea stessa di parlare con suo padre riguardo a... riguardo... ah già, riguardo al matrimonio con O'Hara.
-Devo venire stasera?- domandò.
Lei annuì, divertita: -Sì, colonnello. Mi pare di avervelo ripetuto un paio di volte-
Lui annuì lentamente: -A stasera, miss Honey-
-A stasera, colonnello-
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Era una bella giornata piena di sole: verso mezzogiorno, Tavington decise che non aveva più voglia di scrivere la sua relazione, quindi uscì dalla tenda e si diresse verso quella di Bordon. Non lo trovò, cambiò direzione e lo cercò verso il fondo dell'accampamento. Lo scorse seduto accanto al fuoco.
-Colonnello- il maggiore si alzò in piedi rispettosamente al suo arrivo, e così fecero i Dragoni con cui stava pranzando.
-Seduti- ordinò Tavington, senza unirsi a loro.
Bordon diede un morso al suo panino e masticò in maniera non del tutto decorosa:
-Colonnello, è venuto a mangiare qualcosa?-
-In effetti, no- rispose Tavington. Sorrise e disse, rivolto ai suoi uomini:
-Sono venuto a comunicarvi che oggi avete il pomeriggio libero-
I Dragoni lo guardarono a bocca aperta. Molti si erano addirittura scordati di inghiottire il boccone, quindi lo spettacolo non era proprio piacevole.
-G-grazie, signore- disse uno, sconvolto.
Passata la sorpresa iniziale, la maggior parte dei soldati cominciò a brindare in suo onore.
-Al Colonnello Tavington!-
Tavington sorrise ai suoi uomini, quindi prese da parte Bordon lasciando gli altri ai loro brindisi.
-Vado al ruscello- lo informò Tavington -E' una bella giornata e non mi và di restare al chiuso-
Bordon, ora che non erano più in servizio, scoppiò a ridere.
-Che c'è?- domandò Tavington.
-Eh, Will- disse Bordon, dandogli una pacca sulla spalla -Sì, credo che verrò con te. Io e te abbiamo moooolte cose di cui parlare-
Tavington lo guardò con aria interrogativa, anche se capiva benissimo a cosa alludeva Bordon.
-E allora muoviti, prendi il cavallo e andiamo- disse William.
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Mezz'ora dopo giunsero al ruscello. Quel luogo riusciva ad essere meraviglioso anche con il cattivo tempo, ma quando risplendeva al sole dava veramente il meglio di sé. Tavington immaginò che di notte dovesse essere di una bellezza impressionante.
Lui e Bordon legarono i cavalli ad un massiccio albero secolare, quindi si sedettero all'ombra appoggiando la schiena alla corteccia.
Tavington si sciolse i capelli e si mise comodo mentre Bordon tirava fuori le armi per lucidarle, come faceva di solito.
-Allora, Tav- cominciò Mark, cercando uno straccio pulito nella bisaccia che si era portato dall'accampamento -Raccontami-
-Cosa?- chiese Tavington, distogliendo lo sguardo.
-Ahh adesso fai anche il finto tonto- rise Bordon, tirando fuori uno straccetto bianco -Di lei. Raccontami come vi siete conosciuti-
Tavington scoppiò a ridere: -Ma di che cosa stai parlando?-
Mark sbuffò: -Hai intenzione di nasconderlo ancora molto?-
-Nascondere cosa?- domandò ancora Tavington.
Mark alzò gli occhi verso di lui con sguardo arrabbiato. In realtà non era molto minaccioso.
Sospirò: -Miseria, quando l'ho vista... è proprio una bella...-
Tavington si alzò a sedere di scatto: -Bordon, senti... -
Mark scoppiò a ridere: -Ah, sapevo di riuscire a darti una svegliata. Allora, dimmi... è una cosa seria?-
Tavington rimase pensieroso per un attimo. Che stupidaggine.
-Non dire idiozie-
-Non sono io quello che sta dicendo idiozie, qui- ribattè Bordon -Perché se non la vuoi tu... cavoli, io me la farei volentieri-
Tavington gli lanciò un'occhiata. Non era particolarmente felice di quella dichiarazione.
-Nah, perderesti il tuo tempo- gli disse, cercando di scoraggiarlo -E' promessa al generale-
-Cornwallis???!!!- chiese Bordon, sconvolto.
-O'Hara- rispose Tavington in un sospiro.
Bordon rimase in silenzio, quindi disse, tornando alla sua pistola: -Fottuto di merda-
Tavington si disse del tutto d'accordo.
-E allora... cosa hai intenzione di fare?-
Tavington aggrottò la fronte: -Cosa ho intenzione di fare riguardo a cosa?-
-Will, la vedi questa?- disse Bordon spazientito, indicando la sua pistola -Tra non molto ti arriverà in testa-
Tavington sorrise: -Bè... lei mi ha chiesto di andare a parlare con suo padre, sai, il Barone Honey... per... per cercare di convincerlo ad annullare le nozze-
Bordon sgranò gli occhi: -Tav, e me lo dici adesso? E allora muovi il culo e vai!-
-Devo andare stasera- rispose Tavington. Parlare di Karen con Bordon era liberatorio, aveva la sensazione che dopo quella conversazione non avrebbe più avuto problemi a capire se stesso. Cosa che al momento non riusciva proprio a fare.
-Caspita, William Tavington innamorato- dichiarò Bordon ridacchiando -Devo ancora abituarmi all'idea-
Tavington si prese la testa tra le mani: -Oh, Mark. Non sono innamorato... è solo che... è solo che...-
Bordon lo guardò con aria maliziosa: -E' solo che...?-
Tavington rimase pensieroso per qualche secondo. E' solo che?? Perché aveva cominciato quella frase, se non aveva intenzione di finirla? Cosa c'era... cosa provava lui per Karen Honey?
Bordon ridacchiò: -E' difficile ingannare il vecchio Bordon, amico mio-
Tavington aveva ancora lo sguardo perso nel vuoto. Cercava una giustificazione, qualcosa che spiegasse perché l'unica persona alla quale lui aveva pensato in quei giorni era stata lei... scavava nelle profondità della sua mente, anche se la risposta si trovava in superficie, era davanti ai suoi occhi... se solo lui avesse avuto la forza di guardarla, raccoglierla e accettarla, le cose sarebbero state molto più semplici... o forse si sarebbero complicate? Quel rischio c'era, diamine, eccome...
Tavington sospirò: -D'accordo. Hai vinto. Io... credo di provare qualcosa per lei-
Qualcosa si mosse dentro di lui mentre lo diceva. Era straordinario, ma era convinto di aver detto la verità.
Bordon non sembrava affatto sorpreso: -Avresti dovuto vedere la faccia che hai fatto stamattina quando ti ho detto che era lei che voleva vederti-
Tavington si prese ancora la testa tra le mani: -Cosa diavolo sto combinando...-
-Ehi, Will- gli disse Mark -Non fare così... ora ci sei dentro, no?-
-In che senso?- domandò Tavington, la faccia ancora seppellita nelle braccia.
-Nel senso che tutto quello che devi fare ora è dichiararti a lei-
Tavington alzò la testa e strinse gli occhi, scoppiando a ridere: -Che cosa??-
Bordon sbuffò: -E' quello che si aspettano le donne, amico. Loro vogliono che siano gli uomini a dichiararsi-
-Karen non è una donna come le altre- disse Tavington, sorpreso delle sue stesse parole.
-Sì, sì...- disse Bordon pazientemente -Ma sono sicuro che le farebbe piacere che tu ti dichiarassi-
Tavington ebbe una fugace immaginazione di se stesso in ginocchio con un mazzo di fiori davanti a Karen.
-Ma... è ridicolo- disse, convinto -Io non sono adatto a questo genere di cose. Perché non lo fai...-
-Se mi stai per chiedere di farlo io per te, la risposta è NO- disse Bordon in tono fermo, dando una lucidata decisa alla canna della sua pistola.
-Perché no?- chiese Tavington infuriato -Sarebbe solo un favore...-
-Senti, Will- disse Mark spazientito -Prova ad immaginare la scena. Io e te arriviamo a casa di quella... di quella...-
-Karen-
-Esatto. Arriviamo a casa di quella Karen, lei esce e ci vede tutti e due. Si chiede perché ci sia anch'io, visto che lei aveva detto soltanto a te di venire. A quel punto io scendo da cavallo e le dico: "Sentite, miss... miss..." Miss?-
-Honey- sospirò Tavington, esasperato.
-"Sentite, miss Honey... devo parlarvi. Il mio colonnello è innamorato di voi"-
-Non suona male- commentò Tavington.
Bordon lo guardò poco convinto: -Come si vede che non hai delle sorelle maggiori, Tav-
-Perché?-
-Perché se così fosse, sapresti che non è questo il modo per dichiararsi ad una donna- disse Bordon con aria saggia -Le donne sono romantiche, William-
Tavington corrugò le sopracciglia: -Ma cosa stai dicendo? Vuoi dire che le puttane dell'accampamento sono romantiche?-
Bordon alzò gli occhi al cielo: -Buon Dio, perché non hai mandato prima una donna a quest'uomo? Ora devo dargli una lezione completa sul genere femminile- sospirò e tornò a guardare Tavington. Lasciò perdere la sua pistola, si avvicinò a William e gli posò una mano sulla spalla con fare paterno.
-Allora, Will- esordì in tono rassegnato -Cominciamo dalle cose più semplici, d'accordo? Dunque, uomini e donne si differenziano soprattutto per una cosa... credo che tu abbia idea a cosa mi riferisca-
-Credo di saperlo molto meglio di te- ribattè Tavington con un sorrisetto.
-Grazie, Tav- riprese Bordon -Ma, quella non è l'unica cosa diversa tra i maschietti e le femminucce. Voglio dire, sono due universi completamente differenti-
-Certo che lo sono- disse Tavington, riflessivo -Gli uomini sono più forti e le donne... bè, le donne fanno piacere agli uomini-
Bordon si passò una mano nei radi capelli castano-rossicci: -Cosa mi tocca sentire...-
-Perché?- domandò Tavington, sorpreso.
-No, aspetta...- disse Bordon -Sto cercando di concentrarmi. Devo trovare un modo per farti capire-
Tavington guardò perplesso Bordon mentre chiudeva gli occhi e corrugava la fronte.
-Ci sono!- disse dopo qualche secondo schioccando le dita e aprendo gli occhi di scatto
-Stammi bene a sentire, Will... e rispondi con sincerità a questa domanda: tu che cosa vuoi da Karen?-
Tavington aprì bocca per dire "Voglio portarmela a letto", che era la cosa più ovvia, ma si fermò improvvisamente. Immaginò che lei andasse a letto con lui e che lo lasciasse il mattino dopo. Sarebbe davvero finita lì? Una volta che lui avesse soddisfatto il desiderio che provava per lei, avrebbe veramente smesso di pensare a lei? No, c'era qualcosa che non andava. Si rese conto che non voleva questo. O almeno, non era che non lo volesse... il punto era che non voleva solo questo. Immaginò di abbracciarla, di farla ridere, di baciarla dolcemente, di proteggerla... immaginò di farla sua in un prato illuminato solo dalla luce della luna, immaginò le labbra di lei sussurrargli qualcosa all'orecchio... immaginò di passare le dita nei suoi lunghi capelli castani, immaginò i suoi occhi brillare un attimo prima di baciarlo... ecco.
Alzò gli occhi verso Bordon, sorridendo.
Mark rise soddisfatto: -Sapevo che sarei riuscito a farti capire! Tu la ami, Tav... e una volta che c'è l'amore, è fatta! Il romanticismo viene da sé!-
Sì, Tavington aveva capito. Sapeva di aver capito. Era fantastico, la sensazione più bella che avesse mai provato... si sentiva felice. Continuava a sorridere come un idiota, ma non gliene importava niente... Capiva di volerla... di desiderarla... Sognava che lei stesse lì, con lui, perché era questo che lui veramente voleva da lei.
-Era qui che volevo arrivare, caro il mio Tav- continuò Bordon -Le donne non sono in giro per soddisfare l'uomo... esistono per completarlo. E gli uomini esistono per rendere complete le donne. Senza donne, il mondo cadrebbe in rovina-
Tavington alzò gli occhi verso di lui: -E adesso, filosofo? Cosa faccio adesso?-
-Credevo di avertelo già detto- ribattè lui -Devi dichiararti a lei-
-Ma...-
-Niente "ma"- disse lui deciso.
-E cosa le dico?-
-Qualunque cosa andrà bene- rispose Bordon -Devi solo dirle quello che provi-
Sembrava facile, detto così. Ma William Tavington non aveva mai rivelato il suo stato interiore a nessuno. Non tendeva ad allargarsi troppo con le persone, perché riteneva che conoscere un individuo fosse un modo per conoscerne anche le debolezze. Quindi aveva la tendenza a far parlare gli altri, senza aprirsi lui stesso. Si accorse che poteva essere pericoloso aprirsi con quella donna. Ma, se non le avesse parlato sinceramente, come avrebbe potuto realizzare quello che adesso era solo un sogno, cioè averla tutta per sé?
-Sarà un bell'affare- commentò, cupo.
-E' più facile di quanto non sembri- gli disse Bordon, per rassicurarlo.
Tavington alzò gli occhi verso l'amico: -Sembra che tu abbia avuto molte storie importanti, per parlare con tanta sapienza- disse ironicamente.
Bordon sorrise e abbassò lo sguardo, riprendendo a lucidare la pistola: -Bè, come ti ho già detto... crescere con cinque sorelle maggiori porta le sue conseguenze-
-Ma... non hai mai avuto una storia?- volle sapere Tavington.
Bordon scosse la testa: -No, nessuna-
Tavington sospirò: -E' che non ti guardi abbastanza in giro, Bordy-
Bordon sorrise: -Senti chi parla-
-Io credo di aver trovato la mia strada. E comunque sono molte le donne che ti guardano, Bordon... credo che abbia a che fare con la tua... sì, insomma... con la tua affinità a capire il loro mondo- disse Tavington.
Bordon lo guardò, confuso: -Dici davvero?-
D'un tratto sembrava molto più allegro.
-Sì, ma la prossima volta, invece di ubriacarti o ingozzarti- disse Tavington -Fà un po' caso a tutte quelle che hanno lo sguardo fisso su di te-
Bordon annuì con aria sognante: -Sai una cosa? Credo che tu abbia ragione-
-Io ho sempre ragione- ribattè Tavington ghignando.
Bordon tornò alla sua pistola: -E allora, per quanto riguarda lei... hai già deciso come procedere?-
Tavington tornò serio e alzò le spalle: -Mmm... se è davvero come dici tu, credo sia meglio che le parole... insomma... che mi vengano da sole, no? Forse è inutile stare qui a progettarle-
-Parole sante, Tavvie, vedo che stai imparando- disse Bordon ridendo -E per il barone? Credo che quelle dovresti premeditarle, invece-
-Già, lo credo anch'io- disse Tavington preoccupato, lanciando un sassolino nel ruscello che scorreva un metro più avanti -Secondo te come farò a convincerlo? Cosa dovrei dirgli?-
-Ah, Tav, qui sei più bravo te di me- rispose Bordon -Io non saprei da dove cominciare-
Tavington si perse con lo sguardo nel corso del ruscello mentre annuiva. Quella sera si presentava ricca di avvenimenti, e anche se alla fine non avesse fatto in tempo e tornare a Camden per andare con quella puttana... non aveva più molta importanza per lui. Ora aveva altre cose per la testa, molto più importanti, e anche molto più piacevoli. Si sentiva vivo più che mai, ma anche in apprensione. Non sapeva se doveva preoccuparsi più per l'incontro con Karen o per quello con il barone... entrambi erano molto incisivi per lui.
-E se non riuscissi a convincerlo?- disse, riflettendo a voce alta.
Bordon rimase in silenzio per qualche secondo, quindi disse: -Se non ci riesci sarai in un bel casino-
Tavington era d'accordo. E improvvisamente sentiva di avere un certo timore per quella sera. Non voleva perdere Karen ancora prima di averla... No, assolutamente, lui doveva convincere il barone. Improvvisamente si chiese cosa avrebbe fatto se Karen gli avesse confessato di non ricambiare i sentimenti che lui aveva per lei.
-Ehi, Bordon...- disse, dubbioso -E se lei non... insomma, se lei non prova le stesse cose che provo io?-
-Oh, andiamo, Will- disse Bordon con un ampio gesto della mano -Ma sei cieco? Non hai visto come ti guarda?-
Tavington fu colto alla sprovvista.
-Veramente no- ammise -Perché, come mi guarda?-
Bordon ridacchiò: -L'hai già fatta partire, amico, e non te ne rendi neanche conto-
-Dici?- domandò lui, fingendosi dubbioso. In realtà sentiva il cuore battergli forte, segno che era veramente, ma veramente felice di quella rivelazione. Non avrebbe mai potuto immaginarsi una cosa simile, prima. Era incredibile come la vita di un uomo potesse cambiare in un attimo.
-Comunque, sono proprio felice per te, amico- disse Bordon -Era ora che ti trovassi una donna. Mi sembri molto meno stressato, adesso-
-Io non sono mai stato stressato- disse Tavington convinto -Ero solo un po' confuso. Ma ora credo di aver capito cosa voglio... e voglio lei-
Bordon lo guardò: era strano sentire Tavington parlare così. Era sempre stato così riservato su se stesso... Mark capì che quella storia, se era destinata a durare (ma soprattutto a nascere), sarebbe stata una cosa seria, davvero molto seria. Sperò per William che le cose si sarebbero messe bene, quella sera, dal barone.
-Bè, vado a lavarmi- disse Tavington -Nel pomeriggio devo andare dal Grande Capo-
-A far cosa?- domandò Bordon.
-Indovina... discutere delle mie "brutali tattiche"- disse Tavington, alzandosi in piedi.
-Bè, buona fortuna- gli augurò Bordon.
-Nah, credo che ne avrò più bisogno stasera- disse Tavington, prendendo a camminare verso la sorgente del ruscello, dov'era solito farsi il bagno.
In cuor suo, Bordon si disse completamente d'accordo.
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[Erano le quattro del pomeriggio quando Tavington, accompagnato da Bordon e da altri due Dragoni come scorta, altrepassò il cancello di Fort Carolina cavalcando. Si affrettò a scendere da cavallo ed entrò nel palazzo. Salì ai piani superiori e camminò nell'ufficio di Lord Cornwallis. Lui e il Generale O'Hara erano chini su una cartina e stavano parlando. Tavington entrò di gran carriera e si fermò davanti a loro rispettosamente, togliendosi i guanti e aspettando che finissero di conversare.
-Sfiora la montagna e poi...- Lord Cornwallis mosse uno compasso sulla cartina, indicando un punto -si stende fino a queste sorgenti... e arriva fino all'altra sponda del fiume Ohio-
O'Hara sorrise, ammirato: -E' un'imponente concessione, My Lord. Sarete praticamente una nazione-
Cornwallis sorrise con falsa modestia. O'Hara alzò lo sguardo su Tavington e il sorriso si gelò sulle sue labbra. Tavington gli fece un cenno col capo che O'Hara non ricambiò, ma uscì dalla stanza senza guardarsi indietro.
Se non altro è uscito, si disse William, mentre cercava le parole giuste per rivolgersi al generale e perorare la sua causa.
-Sua Maestà è molto generoso, My Lord- disse, scegliendo di partire con le lusinghe
-Naturalmente i vostri servigi in questa guerra giustificano un tale dono-
Cornwallis squadrò Tavington con diffidenza, come se stesse cercando di capire dove il colonnello volesse arrivare.
-Sì, è così che Sua Maestà ricompensa coloro...- gli rivolse un'occhiata molto eloquente
-... che combattono per lui da gentiluomini-
Le labbra di Tavington si arricciarono mentre gli rivolgeva un'occhiata scaltra: -Oso presumere che il mio modesto contributo verrà ricompensato, un giorno-
-Forse presumente troppo- gli rispose l'altro senza guardarlo.
Il sorriso sparì immediatamente dalla labbra di Tavington. Guardò Cornwallis con aria interrogativa, domandandosi cosa avesse in mente.
-Sua Maestà, come la storia, ci giudica non solo per l'esito della guerra, ma anche per il modo in cui è stata combattuta- disse il generale, camminando verso la sua scrivania e sedendosi pesantemente.
-My Lord?-
-Noi serviamo la Corona, e quindi dobbiamo comportarci con conformità- proseguì Cornwallis, guardandolo severamente con i suoi occhietti piccoli e neri -Alle truppe che si arrendono si concede quartiere. Le vostre brutali tattiche debbono cessare-
E via che si ritornava al punto di partenza. Tavington mosse qualche passo verso il generale, cercando di trattenere la sua ira:
-Non è sufficiente che io non abbia mai perso una battaglia?-
-Voi servite me e il modo in cui mi servite si riflette su di me- disse Cornwallis duramente, guardandolo con severità mista a disprezzo. Il suo tono si abbassò un poco e disse, distogliendo impercettibilmente lo sguardo:
-Pensavo che un gentiluomo di una famiglia stimata come la vostra potesse comprenderlo-
Tavington provò un colpo allo stomaco. Come diavolo si permetteva, Cornwallis, a nominare la sua famiglia? Cosa diavolo c'entrava la sua famiglia in tutto questo??
Cercò di nascondere la sua rabbia bruciante dietro uno sguardo di amara ironia: -Il mio defunto padre ha dissipato tutta la stima di cui godevamo insieme con la mia eredità-
Deglutì, mentre si urlava di non pensare più a lui. Cercò di portare la conversazione su un piano che non riguardasse suo padre, la sua famiglia, o la sua eredità:
-Io posso progredire solo con la vittoria-
-Voi potete progredire soltanto con le mie buone grazie- disse Cornwallis con l'aria di dire qualcosa di molto ragionevole.
Tavington assentì, esasperato.
-Questi coloniali sono nostri fratelli, e quando questo conflitto finirà noi dovremo ristabilire il commercio con loro. Riuscite a capire, colonnello?-
L'allusione alla sua famiglia rimbombava ancora sgradevolmente nella sua testa. Nonostante tutto, annuì: -Perfettamente, My Lord-
Detto questo gli fece un cenno con il capo e lasciò la stanza.]
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Tavington era rimasto amareggiato dal colloquio con il generale, ma fece in modo che non gli rovinasse il buon umore che aveva prima di andare da lui. Decise di non tornare all'accampamento sul Santee, quindi prese il cavallo e cavalcò verso Camden in compagnia di Bordon. Durante il tragitto Mark volle sapere com'era andata la discussione, così Tavington gliela raccontò a grandi linee, saltando accuratamente l'allusione di Cornwallis a suo padre, e lasciando trapelare solo il fatto che era stato un fiasco totale.
-Non che mi aspettassi molta comprensione- ammise Tavington, mentre il forte appariva davanti a loro -Ma avevo sperato che almeno mi desse un... non so, un pezzo di terra che mi consentisse di continuare a vivere qui, quando la guerra sarà finita-
-Non hai intenzione di tornare in Inghilterra?- domandò Bordon, sorpreso.
-No- rispose Tavington con decisione -Non credo che verrei accolto molto bene, per colpa di...-
Tavington provò l'impulso di mangiarsi le mani e si affrettò a rispondere: -Ehm... per colpa della mia reputazione-
Bordon annuì lentamente: -Io credo che passerò a dare un salutino a mia madre e alle mie sorelle, prima di partire... credo che me ne andrò a girare il mondo-
-Dovrai pur trovare un posto in cui stabilirti- disse Tavington, mentre alzava una mano per farsi riconoscere dalle sentinelle del cancello.
-Mah... è probabile che alla fine torni qui, dopotutto- disse Bordon vagamente -Quando mi sarò stancato di girovagare-
-Bè, sarai il benvenuto nello sgabuzzino in cui probabilmente mi ritroverò a vivere- disse Tavington, e Bordon rise.
Entrarono nel forte e, dopo aver riposto i cavalli nella stalla, si diressero nel palazzo.
C'era un gran baccano proveniente dal salotto: Tavington immaginò che i Dragoni si stessero godendo il pomeriggio di libertà stravaccati davanti al fuoco.
-Andiamo a farci una partitina a carte?- propose Bordon. Tavington esitò, lanciando un'occhiata alla pendola che ticchettava nell'atrio. Erano solo le cinque del pomeriggio, aveva ancora una montagna di tempo a disposizione per prepararsi ad incontrare il barone.
-D'accordo- rispose, e insieme si avviarono nel salotto.
Era una stanza vasta, in legno, con un largo tappeto rosso un po' sgualcito e straziato dai numerosi stivali da Dragone che lo avevano pestato; qua è là c'erano poltrone tarmate, tavoli rotondi e lucernari ammuffiti; le finestre erano alte e strette, nascoste da tende in tinta con il tappeto; un grosso camino in pietra offriva illuminazione e calore ad un ambiente altrimenti piuttosto grezzo e squallido. In effetti la stanza sarebbe apparsa davvero lugubre e sporca se non fosse stata costantemente riempita da Dragoni che uccidevano la noia con alcool, scommesse e buona compagnia (anche femminile, ovvio).
Non era il quartiere generale delle prostitute, ma spesso lo sembrava.
Proprio mentre Tavington entrava, ne scorse un gruppetto in giro per i tavoli. Quelle che non erano sedute sulle ginocchia dei vari soldati si voltarono al loro ingresso e iniziarono a trillare eccitate.
-Uh, ragazze! Guardate chi c'è!-
-Tavvie e Bordy!-
-William il Conquistatore, ho voglia di essere conquistata, sai?-
-Ehi, Re della Notte! Vieni qui dalla tua regina, Bordy caro!-
Bordon e Tavington si scambiarono uno sguardo eloquente.
-Ragazze, oggi vogliamo solo giocare a carte- disse Bordon, scansandone un paio.
Quelle parvero molto deluse: -E tu, Willy?-
-Magari stasera- disse Tavington, senza in realtà avere la minima intenzione di incontrarle, quella notte. Le prostitute emisero speranzose assordanti gridolini striduli e andarono a corteggiare altri Dragoni.
Finalmente, Mark e William riuscirono a raggiungere due poltrone vuote e si sedettero. Avvicinarono un tavolo e invitarono gli altri Dragoni ad unirsi a loro.
Quando McMahon, Capland e Savage li raggiunsero, iniziarono a giocare. Tavington si fece portare del brandy da un servo mentre Capland, una giovane recluta che stava con i Dragoni da un paio di anni, distribuiva le carte.
Lo scozzese McMahon vinse la prima manche, con gran delusione degli altri. Mentre William dava le carte, il soldato Savage disse, dando una lunga tirata alla sua pipa:
-Dov'è finito il lealista?-
Tavington alzò gli occhi: -Quale? Ormai ce ne sono talmente tanti...-
-Già...- disse McMahon in tono rude -Continuano a rompere i coglioni-
-Per la seconda volta in questa giornata, McMahon, moderate i termini- disse Bordon con un'occhiata di rimprovero.
-Eh... sì, maggiore- rispose McMahon.
Tavington buttò la carta iniziale e Capland fece la prima mossa.
-Mi riferivo a quello nuovo, quel Wilkins- riprese Savage -Tocca a me?-
-Sì- rispose McMahon -A proposito, belle carte-
-Vaffanculo, McMahon- gli disse quello di rimando, guadagnadosi un'occhiataccia da parte di Bordon. Fece la sua mossa, e il turno andò al maggiore.
-Voi, maggiore, lo dovreste sapere. Siete l'unico con cui il lealista parli- osservò Capland.
Savage tirò un'altra boccata alla sua pipa, e il fumo andò a finire in faccia a Tavington, che tossì.
-Per l'amor del Cielo, Savage! Falla finita con quell'affare- disse in tono autoritario. Savage si affrettò a spegnere la pipa e si scusò con il colonnello mentre McMahon buttava la sua carta.
-Non so dove sia, in effetti- rispose Bordon, mettendo in ordine le sue carte -E' da stamattina che non lo vedo-
-Spero per lui che non sia ancora a vomitare- disse Tavington, e McMahon e Savage scoppiarono a ridere.
-E' sensibile come un bambino, quello là- osservò Capland.
-Credo sia solo confuso- disse Bordon distrattamente -Ehi, Tav, sveglia. Tocca a te-
Tavington buttò la sua carta e vinse la partita.
-Potevate anche non ricordarglielo, maggiore- disse Savage, irritato.
Tavington prese i soldi con una certa soddisfazione e se li intascò: -Un'altra partita?-
-Perché no?- disse Capland -Io ci sto-
-Sì, dai, un altro giro, Tav- concordò McMahon -Ho bisogno di soldi-
-E perché?- volle sapere Savage.
-Indovina- rispose McMahon, lanciando un'occhiata alle prostitute. Bordon ridacchiò mentre Tavington distribuiva le carte.
-Sempre il solito, tu- disse Savage ironicamente -Io ho la mia bella Betty che mi aspetta a casa-
-Vostra moglie?- domandò Tavington, chiedendosi come doveva essere avere una donna fissa.
-No, la sua puttana personale- rise Capland.
Savage lo guardò storto: -Ehi, Cap, vaffanculo-
-Capland, ve la siete meritata- disse Tavington, buttando la prima carta -E allora, Savage?-
Quello annuì: -Già. Elizabeth e io stiamo cercando di avere un bambino-
-Caspita, non è male- disse Bordon, colpito -Vado io, d'accordo?-
Buttò la sua carta e il turno passò a Savage.
-Sì, insomma... ho intenzione di avere un erede- disse, facendo la sua mossa.
-Da quanto siete sposati?- chiese Tavington, bevendo un lungo sorso di brandy e guardando il soldato con interesse.
-A febbraio sarà un anno- disse Savage, quasi commosso -E le cose vanno bene, insomma-
-Com'è il matrimonio?- chiese Bordon, dando una scossa a McMahon perché muovesse.
-Bè...- disse Savage -E' la cosa più bella che mi sia capitata. E Betty è una donna straordinaria... io e lei stiamo molto bene insieme-
-Eh, l'amore, ragazzi- disse McMahon con aria solenne -Se non avessi perso la mia Lou --che Dio l'abbia in gloria-- non sarei qui a combattere contro questi ribelli del...- notò lo sguardo ammonitore di Bordon e si schiarì la gola -Contro questi ribelli. Ma da quando è morta ho... ho perso la testa, ecco. Ed eccomi qui, in America, a giocare a carte per potermi permettere una puttana decente... la vita è strana, gente- concluse, facendo la sua mossa.
-Udite udite- fece Capland, alzando un bicchiere -Questo sì che è parlare-
-Già- annuì Tavington -Ma cercate anche di muovere, oltre che bere-
-Oh, scusate, colonnello- fece il soldato, buttando la sua carta -A proposito, Savage... scusami, amico, non volevo dire quelle cose su tua moglie, ma... mi è venuto spontaneo-
-Nah, non importa- fece Savage -Nulla di quello che dicono su di lei potrà mai farmela amare di meno-
-Ehi, Savage- disse Tavington -Come la prende vostra moglie il fatto che siate in guerra?-
Quello alzò le spalle mentre Tavington buttava la sua carta: -Bene, direi. Le scrivo tutti i giorni-
-Ragazzi, questo si che è amore- fece McMahon -Dubito che persino la mia Lou riuscirebbe a farmi scrivere una lettera al giorno... detesto scrivere quella roba-
-E cose ci trovi da scrivere di diverso ogni giorno?- chiese Capland, molto colpito.
-Ehi, senti, saranno affari miei- ribattè Savage, ma stava ridendo. Gli altri ridacchiarono con lui.
Trascorsero le ore, e dopo molte partite la sera scese sul forte. Tavington si alzò dal tavolo e salutò tutti gli altri. Prese a dirigersi verso la sua stanza, liberandosi il più velocemente possibile delle varie prostitute che gli si aggrappavano al braccio o cose simili. Quando arrivò nell'atrio, vide che il pendolo segnava le otto e un quarto: non aveva idea se dovesse andare a Villa Honey --lo stomaco gli si attorcigliava solo a pensarci-- prima o dopo cena. Ad ogni modo, salì le scale ed entrò nella sua camera per darsi una sistemata. Accese qualche candela e fissò il suo riflesso nello specchio: nonostante avesse bevuto parecchio, si sentiva sobrio e lucido. Un uomo come lui era abituato al brandy, ed aveva una buona resistenza all'alcool. Senza dubbio, pensò con un sospiro, questo l'aveva ereditato da suo padre. Scosse la testa per scacciare quei pensieri e cercò di mettersi in ordine. Mentre si pettinava i capelli, provava a progettare mentalmente il discorso da fare al barone: non gli venne nessuna idea in particolare, così, una volta pronto, uscì dalla sua stanza con la speranza che le parole gli sarebbero venute da sole sul momento.
Scese nell'atrio ed uscì nell'aria gelida della notte: era una bella serata, il cielo era limpido e stellato, ed una luna piena brillava illuminando d'argento i campi limitrofi al forte. Tavington scese le scale e si diresse alla stalla per prendere il suo destriero. Una volta in sella al suo cavallo, uscì dal cancello galoppando, la mente e il corpo immersi in un profondo nervosismo.
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Circa tre quarti d'ora dopo, Tavington giunse a Villa Honey. Il cortile appariva stupefacente come al solito, e Tavington, se non si fosse sentito tanto nervoso, sarebbe rimasto estasiato da come i raggi lunari facevano brillare le goccioline zampillanti della fontana e rendessero mistiche le luci delle numerose finestre. Il problema era che lui era nervoso, in quel momento.
Scese da cavallo e lo legò ad un albero, prima di rivolgere il suo sguardo verso la villa. Era lì, alta ed elegante, e sembrava sfidarlo ad entrare. Tavington sospirò e prese a camminare per il sentiero ghiaioso che conduceva alla porta, domandandosi cosa avrebbe detto se ad aprirgli fosse stato un servo o, peggio ancora, il barone in persona.
Proprio mentre scuoteva la testa per scacciare quelle preoccupazioni, qualcuno lo chiamò sottovoce:
-Colonnello! Colonnello! Sono qui!-
Tavington si voltò e vide Karen Honey fare capolino da dietro l'angolo della casa. Il suo cuore fece un tuffo nel vederla così all'improvviso.
Lei gli venne incontro sorridendo: -Credevo non veniste più-
-Una promessa è una promessa, miss Honey- disse lui -Ma non mi avevate detto a che ora recarmi qui, perciò...-
-Giusto- rispose lei sospirando -Sono molto contenta che siate venuto. Ora entriamo, così possiamo subito chiarire la...-
-Aspettate- le disse Tavington, fermandola mentre si stava per voltare verso casa.
-Sì?- disse lei, guardandolo con gli occhi che brillavano.
-Io...-
No, non poteva dirglielo. Che stupido, che stupido... dove diavolo si era cacciato?
-Io devo parlarvi- disse lui con una certa difficoltà -Posso parlarvi in privato, miss Honey?-
Lei lo guardò con una strana espressione, come se non credesse alle sue orecchie.
-Certo- rispose, prendendolo per mano -Venite, andiamo sul retro della casa-
Tavington si lasciò condurre da lei senza dire una parola. Karen svoltò l'angolo, continuando a tenerlo per mano e Tavington rimase ancora una volta colpito dalla bellezza di quel luogo: se era possibile, il retro era ancora più meraviglioso. Un piccolo stagno riluceva al chiaro di luna, riflettendolo sulla sua superficie; un gazebo bianco incorniciato di rose rosse, bianche e blu, era arroccato su una collinetta che guardava sulla pozza d'acqua argentea; su tutto aleggiava un profumo di mimose, gelsomini e lavanda, ed un lungo cespuglio di ortensie colorate disegnava un discreto recinto attorno a quel luogo incantato.
-Colonnello...- lo chiamò lei, vedendo che non reagiva.
-Eh, sì... eccomi- disse lui, tornando a guardarla. Karen lo condusse in riva allo stagno e rivolse i suoi occhi d'ambra verso di lui.
-Allora, cosa mi dovevate dire?-
Lo sguardo di William vagò sul suo viso, sulla sua pelle liscia che avrebbe tanto voluto accarezzare con le labbra... il gioco di ombre che la luna e il cielo notturno creavano sul viso di lei, donandole riflessi azzurri e perlacei... Dio, quanto era bella...
Tavington deglutì, perché la bocca gli si era improvvisamente seccata. Era più difficile di quanto avesse mai potuto immaginare, stare lì, a guardarla negli occhi...
Tavington sospirò: -Ecco, miss Honey...-
Lei lo guardava, in attesa: -Sì...?-
Tavington abbassò la testa: -Io... non so come... non so come dirvelo, ma...-
-Ma...?- chiese lei, sorridendo.
Lui la guardò negli occhi: -Ehm... ecco, io...-
-Voi...?- disse lei, sempre più sorridente.
-Insomma, volevo dirvi che... che...-
Le parole non venivano, non riusciva a tirarle fuori. Dannazione, ma era un uomo! Era un colonnello dei Dragoni!
-Io... voi... cioè, nel senso che...-
Lei gli posò un dito sulle labbra e lui la guardò. Non si sarebbe mai aspettato una mossa del genere da parte sua.
-Colonnello...- disse lei a voce bassa -Potrei chiedervi una cosa?-
Tavington la guardò intensamente: -Qualunque, miss Honey-
-Baciatemi- sussurrò lei, avvicinandosi ancora di più a lui.
Tavington sentiva il cuore battergli come un tamburo contro le costole. Era stata una domanda immediata, ed immediata era stata la sua reazione. L'abbracciò e abbassò la testa verso quella di lei. La baciò appassionatamente, con tutto l'amore di cui era capace. Era come se tutta la sua vita lo avesse condotto fin lì, a baciare quella ragazza. Con quel bacio cercò di dirle quello che non era riuscito a esprimere a parole. Sì, così era più semplice, molto più facile... e sentiva come se quello fosse tutto quello che aveva voluto fare sin da quando l'aveva vista, stare lì a baciarla, sentire il suo corpo fragile tra le sue braccia, chiudere gli occhi e concentrare la sua mente e la sua anima nel contatto con la bocca di lei.
Si staccarono e un brillio attraversò gli occhi di Karen.
-Io vi amo, colonnello- disse lei, passandogli le braccia attorno al collo e continuando a guardarlo intensamente.
-Credo che mi abbiate rubato le parole di bocca, miss Honey- rispose lui, stringendola forte.
-Avete avuto la vostra occasione, l'avete sprecata- ribattè lei sorridendo, mentre posava le labbra su quelle di lui, coinvolgendolo in un nuovo bacio. Tavington si lasciò baciare da lei, mentre brividi caldi gli attraversavano la schiena. Quando si separarono, lei rise:
-Mi sembra assurdo, tutto questo- disse -Ecco perchè mi piace-
Lui la baciò di nuovo, troppo impaziente di risentire le labbra di lei posarsi sulle sue: -Siete voi che siete assurda, miss Honey-
-Al Diavolo "miss Honey", William- disse lei guardandolo molto intensamente -Chiamami Karen, d'ora in poi-
Lui sorrise e le sollevò il mento con la mano: -Ascoltami, Karen- le disse -Inutile dirti che quello che tra poco accadrà lì dentro...- accennò con la testa alla villa, che li sovrastava silenziosamente -... potrà cambiare tutto il nostro futuro-
-Lo so- disse lei, improvvisamente triste.
-William...- mormorò -Ti prego, fa il possibile... Io a O'Hara proprio... proprio non lo posso più soffrire. Non voglio sposarmi con lui-
-Nemmeno io voglio che tu diventi sua moglie- le disse lui, abbracciandola. Lei appoggiò la testa sulla sua divisa e chiuse gli occhi, pervasa da un'improvvisa malinconia.
-Ma qualunque cosa succederà... noi dovremo piegarci alla decisione di tuo padre, Karen-
Lei alzò lo sguardo verso di lui e sospirò: -Temo di sì-
Si baciarono un'ultima volta, quindi si diressero alla villa. Tavington non riusciva a credere che alla fine fosse successo, che alla fine fosse riuscito ad esprimere, in un modo o nell'altro, i sentimenti che provava per lei. Il suo amore per quella donna era così grande dentro di lui, che si domandò come avesse fatto ad ignorarlo, fino a quel momento, a fingere che non esistesse. Sapere che anche lei lo amava lo aveva riempito di gioia e di sollievo. Ma ancora non erano risolti tutti i problemi, anzi. Stava andando incontro al suo destino, sfacciatamente, forse troppo velocemente e con troppa irriverenza. Eppure sentiva incertezza e insicurezza affacciarsi in lui, più di quante ne avrebbe mai potute immaginare, in effetti. Sentiva che la sua vita dipendeva da lei, da quella meravigliosa e sensazionale creatura che teneva per mano. L'amore era del tutto sconosciuto a lui, un uomo abituato ad assaporare l'odio e la rabbia, il peso del passato, un uomo abituato a ingannare, uccidere, stuprare, fare del male in tutti i modi possibili ed immaginabili... ma guardando un impiccato pendere dalla forca o dando l'ordine di fucilare delle persone, Tavington provava della gioia, certo, ma era gioia maligna. E quel senso di sadico piacere non era neppure lontanamente comparabile alla felicità che provava adesso. Da moltissimi anni a William non capitava di essere tanto felice, e di una felicità così pura. L'amore aveva aperto in lui una breccia, dalla quale stava entrando una luce, che lo illuminava dentro, che gli permetteva di leggere nel suo stesso cuore... E vi leggeva il nome di Karen. Era lei che amava, era per lei che stava provando tutti questi sentimenti. E se adesso, appena fossero entrati nella villa, tutte le sue speranze sarebbero state infrante con un dissenso del barone... William non sapeva come avrebbe potuto reagire. L'unica cosa certa era che avrebbe dovuto uccidere molti ribelli per mettere a tacere la sua ira... anzi, dubitava che tutti i ribelli d'America sarebbero bastati. Dio, se solo avesse potuto avere una risposta immediata, quell'attesa era così snervante...
Karen lo accompagnò finalmente alla porta d'ingresso. La aprì, e Tavington la seguì dentro.
Si ritrovò in un atrio di dimensioni modeste, con pavimenti di lucido legno di qualità assai superiore a quello che William era abituato a vedere a Camden. Eleganti candelabri in ebano erano appesi alle pareti, e fornivano supporto all'illuminazione principale, un grosso lampadario di cristallo attaccato al soffitto. Una scalinata, della quale era visibile solo il primo pianerottolo, partiva davanti a loro, e si snodava verso i piani superiori. La mobilia era lucida, e senza un granello di polvere.
Tavington mosse qualche passo sul tappeto persiano posto appena dopo l'imboccatura della porta, guardandosi in giro mentre Karen chiudeva il portone alle sue spalle.
La ragazza lo raggiunse.
-Credo che mio padre sia nel suo studio- disse, indicandogli un corridoio alla destra dell'entrata -Da questa par...-
Fu interrotta dal suono di passi che scendevano le scale. Karen si voltò verso la scalinata e così fece Tavington.
-Karen, sei tu? Hai visto la mia spazzola? Credo di averla...-
Una ragazza era apparsa sul primo pianerottolo. Sembrava sui quindici anni, e Tavington immaginò fosse la sorella minore di Karen. Aveva lunghi capelli castani, un po' più chiari di quelli di Karen, e ondulati. Indossava una lunga camicia da notte bianca e stava fissando William come se non avesse mai visto un uomo prima d'allora.
-... persa- disse in un soffio, senza staccare gli occhi da Tavington.
Karen sorrise: -Ehm... William... uh, Colonnello Tavington... posso presentarvi mia sorella Priscilla?-
La ragazzina sembrò animarsi: -Oh... sì, bè...-
Scese le ultime scale con passo malfermo e Tavington per un attimo temette che le gambe le cedessero. Si chiese se avesse qualche problema motorio.
La ragazzina si avvicinò a lui e gli porse la mano: -Io... mia sorella continua a chiamarmi Priscilla, ma sa che non lo sopporto... io... chiamatemi Priska-
Tavington le baciò la mano e disse: -Lieto di conoscervi, Priska. Sono il Colonnello William Tavington-
-Il piacere è tutto mio- disse Priska in uno strano singulto -Ora... ehm... io credo che tornerò di sopra-
-Ehi, Priska- la chiamò Karen, abbassando la voce -Sai se per caso nostro padre è nello studio?-
-Io... io...- la ragazza continuava a non staccare gli occhi da Tavington. Sbattè le palpebre con determinazione e si costrinse a fissare la sorella -Credo di sì. Sì, dev'essere lì-
Karen sorrise: -Bè, allora andiamo. Grazie, Priska-
-Prego- rispose lei distrattamente -Buona... buonanotte, allora-
Detto questo sparì su per le scale con una velocità tale da cancellare ogni dubbio di Tavington sulla possibile infermità delle sue gambe.
-Che strana ragazza- commentò Tavington, mentre imboccavano il corridoio dello studio del padre di Karen.
-Altrochè- sorrise lei -Ha quindici anni, io ne avevo tredici quando lei è nata. Ero felicissima di avere una sorella e, in effetti, lo sono ancora. E' molto sveglia per la sua età ed è l'unica che riesce a capirmi, in questa casa-
Karen sospirò quando arrivarono davanti alla porta dello studio, e Tavington lesse nei suoi occhi la stessa ansia che stava provando anche lui.
-Bè, ci siamo- disse lei piuttosto nervosamente.
Tavington annuì e le prese le mani: -Ehi... non devi avere paura, d'accordo?-
Lei appariva molto preoccupata e nervosa: -Oh, William... non lo so. Mi sento un po' come se la mia vita dipendesse da quello che succederà lì dentro-
-Non sei la sola a sentirti così- le disse Tavington -Io ti amo, Karen Honey. E non voglio perderti proprio ora che ho capito cosa provo per te-
Lei lo baciò brevemente sulle labbra: -Nemmeno io voglio perderti, William-
Si abbracciarono, cercando ognuno di confortare l'altra. Quindi Karen sospirò e, dopo avergli rivolto un'ultima occhiata tesa, bussò lievemente alla porta.
-Avanti- giunse la voce del barone da dentro la stanza. Karen deglutì e aprì la porta, seguita da William.
Il barone se ne stava seduto alla sua scrivania: il suo volto pallido e stanco faceva capolino da dietro diverse pile di fogli e documenti in disordine; una bottiglia di liquore giaceva in un angolo, affiancata da un bicchiere mezzo vuoto.
-Buonasera, padre- esordì Karen, facendo qualche passo verso di lui. Indicò Tavington con un cenno e disse: -Lui è il Colonnello Tavington, dei Dragoni Verdi. Vi siete conosciuti al ballo-
Il barone strinse gli occhi in direzione di Tavington e lo guardò ottusamente: -Il colonnello chi?-
Tavington si schiarì la gola: -Il Colonnello William Tavington, signore. Ci siamo visti due giorni fa, a Middleton Place-
Il barone annuì vagamente e un'ombra di sorriso comparve sul suo volto: -Ah, sì, certo. Benvenuto, colonnello, mi fa piacere rivedervi! Accomodatevi, vi prego-
Tavington prese posto in una delle poltroncine di fronte alla scrivania. Era ancora molto teso, ma cercò di non darlo a vedere.
-Cara, ti dispiace lasciarci?- chiese il barone a Karen, che esitò ma uscì dalla stanza chiudendo la porta dietro di sé, dopo aver lanciato un'ultima fugace occhiata a William.
-Gradite un bicchiere di liquore, colonnello?- domandò il barone.
Tavington scosse la testa, chiedendosi per quanto ancora sarebbe durata l'affabilità del barone Honey.
-Allora, a cosa devo questa visita?- chiese con un sorriso.
Tavington sospirò impercettibilmente e cominciò: -Vostra figlia mi ha informato che l'avete promessa in sposa al Generale O'Hara, alla fine di marzo-
Il barone annuì orgogliosamente: -Già, proprio così, proprio così. Non è magnifico? Credo che siano fatti l'uno per l'altra... pensare a mia figlia in sposa ad un gentiluomo tale il Generale O'Hara mi rende pieno di orgoglio... immagino, dunque, che siate venuto qui a congratularvi-
Tavington scosse la testa: -In effetti, barone, sono venuto per chiedervi di disdire queste nozze-
Tatto, Tav, tatto!!!!! Come ti è venuto in mente di dirlo così?
Il sorriso sparì immediatamente dalle labbra del barone: -Come? Che scherzo è mai questo?-
Tavington riprese: -La signorina Honey non è pronta per un passo del genere, me lo ha detto lei stessa. Sostiene di non amare il generale-
Il barone Honey lo guardò, tra il perplesso e l'arrabbiato: -E voi cosa c'entrate in questa faccenda, colonnello?-
-Lei... lei si è rivolta a me per parlarvi. Per farvi capire le sue ragioni-
-Ma tutto ciò è pazzesco!!- esclamò il barone, sputacchiando saliva tutt'intorno
-Oltraggioso! Come osate intromettervi negli affari privati della mia famiglia? Voi non... voi non capite la situazione!-
Tavington balzò in piedi, la rabbia che pulsava in lui: -Quello che capisco è che non potete costringerla a sposare un uomo che non ama, maledizione!-
-Cosa...? Come...?- il barone sembrava troppo irato e sconvolto per riuscire a formulare una frase normale -INSOMMA!!! Chi diavolo siete voi per venirmi a dire una cosa del genere???-
Tavington esitò, mentre realizzava che le cose non stavano andando come aveva sperato. Ma era ancora in tempo, doveva ancora combattere, non poteva arrendersi ora...
-Barone, non potete fare questo a vostra figlia- disse, ritrovando una calma glaciale
-Secondo me dovreste lasciare scegliere a lei chi sarà il suo sposo-
-Le ho dato fin troppo tempo!- sbraitò il barone -Se proprio volete saperlo, io sono stanco di aspettare! Sono vecchio, e voglio avere dei nipoti che possano ereditare la mia fortuna, visto che... visto che non ho avuto figli maschi-
Pronunciò l'ultima frase con un'amarezza che Tavington trovò del tutto fuori luogo.
-Non dovreste far ricadere la colpa su Karen- disse Tavington lentamente -E' una giovane ragazza, e ha ancora tutta la vita da vivere. Non vorrete vederla sprecata con l'uomo sbagliato-
Il barone lo guardò con un'aria arcigna ed estremamente ostile.
Disse, molto lentamente: -Credo di capire le vostre intenzioni, colonnello- il suo tono era velenoso e sgradevole -Ora sedetevi, vi dirò una cosa-
Tavington si sedette.
Il barone si sporse oltre la scrivania per guardarlo negli occhi: -Non osate mai più avvicinarvi a mia figlia, colonnello. Sono stato chiaro?-
Tavington non battè ciglio.
-Io ho sentito molto parlare della vostra reputazione- disse a voce più alta, tornando a sedere -Ma non sono mai stato il tipo da dare importanza a ciò che si dice in giro. Quando vi ho conosciuto, al ballo, mi sono convinto infatti che tutte le voci che giravano sul vostro conto dovevano essere sbagliate. Mi siete apparso come un gentiluomo, ed ero più che felice che mia figlia avesse fatto la vostra conoscenza-
Tavington alzò lo sguardo su di lui, convinto di sapere cosa venisse dopo.
-Ma adesso, colonnello...- disse più concitatamente -Adesso vi vedo per quello che siete veramente... Un delinquente della peggior specie. Voi siete venuto qui solo per prendervi mia figlia, non è così? Avete intenzione di fare in modo che le nozze con quel gentiluomo del generale si annullino perché così voi... voi potrete divertirvi con lei, non è vero??-
Tavington aprì bocca per contraddirlo, ma il barone alzò la voce: -Ebbene, IO NON VI PERMETTERO' DI FARLO!!- prese fiato e disse, continuando a strepitare incontrollabilmente con il volto paonazzo -Ora credo a tutte le voci sulla vostra reputazione, colonnello! Ora credo al fatto che abbiate ucciso innumerevoli donne e bambini nella vostra incresciosa carriera, ora credo alle voci che corrono sugli stupri che avete commesso! Pertanto, colonnello, FUORI DI QUI!!!!!-
Tavington si alzò si scatto ed uscì dalla stanza, incapace si stare a sentire quel vecchio pazzo un secondo di più. Ebbe cura di sbattere la porta alle sue spalle con tutta la forza di cui era capace. Respirava affannosamente. La sua reputazione tornava ancora una volta a tormentarlo. La reputazione di un uomo che non faceva altro che svolgere il suo lavoro.
La sua reputazione. La sua reputazione. La sua dannata, maledettissima reputazione.
Alzò lo sguardo e vide Karen in piedi nel corridoio. Aveva lo sguardo basso, e le braccia incrociate. Tavington le si avvicinò e la strinse forte. Le posò un bacio tra i capelli.
-Mi dispiace- disse, appoggiando il mento sulla sua testa.
La sentì singhiozzare, e questo lo rattristò molto. Lei, di solito così allegra e spensierata, ora stava piangendo sulla sua divisa. Piangeva perché lui, William, era stato sconfitto. Era tutta colpa sua.
-Vieni, andiamo fuori- le disse lui, desideroso di mettere quanta più distanza possibile tra lui e il barone. La prese per mano e la condusse nell'atrio, quindi di fuori nell'aria gelida. Una volta in giardino, lei lo baciò. Era un bacio amaro, come l'ultimo bacio prima della separazione.
Lui la guardò negli occhi e le disse: -Ti amo, Karen. Non m'importa quello che dice tuo padre, io ti amerò per sempre-
-Anch'io- mormorò lei, asciugandosi le lacrime. Lo strinse forte: -Ma ti prego, William... continuiamo a vederci il più possibile. Abbiamo ancora due mesi, dopotutto, e io li voglio passare con te-
-Dovremo vederci segretamente- osservò lui.
-Mio padre non è sempre in casa- disse lei, con un ombra dell'antica felicità -Anzi, è praticamente sempre via. Per fortuna- aggiunse con amarezza.
Camminarono verso il cavallo di lui, mano nella mano. Una volta arrivati, Tavington si voltò e la baciò dolcemente un'ultima volta.
-Sfrutteremo il nostro tempo al meglio, te lo prometto- le disse, salendo sul suo cavallo e allacciandosi il caschetto da cavalcata sotto il mento.
Lei sorrise: -Sì, lo faremo-
Continuò a tenergli la mano e sospirò: -Mi mancherai-
-Anche tu- rispose lui -Cercheremo di vederci il prima possibile-
Lei annuì: -Buonanotte allora, William. Ti amo-
-Buonanotte, Karen- disse William, prendendo le redini in mano.
Stava per spronare il cavallo quando lei esclamò, esitante: -Ehm... William?-
-Mmm?- disse lui.
-Quello che... mio padre ha detto su di te, sulla tua... reputazione... Non sono cose vere,... vero?-
Tavington scrutò il viso di lei illuminato dai raggi di luna. Rimase in silenzio per un secondo, quindi disse, deciso: -Dicono molte cose su di me, e la maggior parte di esse sono sgradevoli. Sono tutte bugie, Karen, e non devi crederci. D'accordo?-
Lei parve molto sollevata e sorrise: -D'accordo, William. Buonanotte, allora-
-Buonanotte- rispose lui, prima di iniziare a cavalcare verso Camden.
Nel giro di mezz'ora la villa era scomparsa alle sue spalle, ma una cosa che a scomparire ci avrebbe messo molto di più era il senso di colpa che gli stringeva il cuore per aver mentito alla donna che amava.
