Capitolo 6
Urla nella notte
Due mesi dopo.
-Colonnello! Colonnello!-
William Tavington aprì gli occhi sconcertato e battè le palpebre nella penombra della sua stanza. Si strofinò gli occhi con due dita. Che ore erano? Doveva essere l'alba. Chi diavolo era che batteva alla sua porta all'alba?
-Che diavolo c'è?- disse, la voce impastata dal sonno -Non sono in servizio. Lo sarò tra un paio d'ore-
-Colonnello!!! C'è stato un attacco, colonnello! Dovete venire subito!- disse la voce.
Doveva essere una recluta, poiché quella voce non gli era familiare. Tavington si alzò, depresso e stanco. Camminò verso la porta e la aprì.
Un giovane soldato in divisa da Dragone lo guardò con ansia: -Spiacente di avervi disturbato, colonnello, ma il Maggiore Bordon mi ha detto di venirvi a chiamare. C'è stato un attacco ad un carro diretto qui, signore-
-Un attacco?- domandò Tavington, cercando di scuotersi il sonno di dosso.
-Un'imboscata da parte dei ribelli. Le voci dicono che sia stato lo "Spettro", signore- aggiunse il giovane con un'occhiata timorosa.
Tavington scosse la testa: -Lo "Spettro" è morto. Non può essere stato lui- sospirò e disse in tono stanco -Arrivo subito, datemi il tempo di vestirmi-
-Sissignore- rispose quello, prima di rivolgergli un cenno del capo e sparire giù per le scale. Tavington chiuse la porta e si mise a cercare la camicia.
-Non può essere stato lui- disse alla stanza vuota, ancora inebetito dal sonno -Non può-
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Quando giunsero sul luogo dell'imboscata, un campo di cotone, Tavington fermò il suo cavallo e l'avanzata si arrestò alle sue spalle. Il carro giaceva a terra, a brandelli, roso dal fuoco che ancora bruciava in basse fiammelle sparse qua e là. Tavington rivolse uno sguardo alla scena, mentre gli altri Dragoni dietro di lui facevano lo stesso. Anche i cadaveri (dovevano essere una dozzina) erano sparsi sul terreno. Assomigliavano anche troppo bene ai corpi reduci dall'imboscata dello "Spettro", Tavington se ne rendeva conto. Ma non poteva essere vero. Lo "Spettro" era morto, l'aveva ucciso con le sue mani due mesi prima. Era stato un piacere riferire a Lord Cornwallis della sua morte. Ma se era ancora vivo...
Tavington scese da cavallo e diede ordine ai suoi uomini di controllare i corpi. Lui stesso si avvicinò ad un cadavere e sospirò, tra il disgustato e il depresso. Colpi d'ascia, netti e decisi. Dette un'occhiata ai vari corpi, e vide che alcuni erano stati uccisi da proiettili di pistole o fucili. Non era stato un solo uomo ad ucciderli, erano in tanti. Ma uno doveva essere stato lui. Tavington non riusciva a crederci... allora Edward Rosewell era soltanto un ribelle... lui, William, non aveva mai acciuffato il vero "Spettro". E adesso eccolo lì, dopo due mesi di silenzio, eccolo lì a fare altra carneficina. Tavington provò un odio ribollente nei confronti di quell'uomo... Quando avrebbe scoperto chi era... quante gliene avrebbe fatte passare, a quell'assassino...
Tavington alzò il viso e incontrò gli occhi di Johnson che veniva verso di lui:
-Dodici morti, signore. Le vettovaglie sono state rubate. Alcuni corpi sono stati sfracellati da... colpi d'ascia, signore-
Tavington scorse con la coda dell'occhio Wilkins voltarsi altrove, il pallore ancora al suo posto.
-Torniamo a Camden- ordinò William -Johnson e Capland, cavalcate alla tenuta del Surrey Hills e chiamate il Colonnello Tarleton e la sua unità. Fateli venire qui a controllare la situazione. Informate il Tenente Miller e fatelo giungere immediatamente. Gli altri vengano con me, torniamo al forte-
Tavington salì sul suo cavallo e Capland domandò: -Signore, e il Generale Cornwallis?-
-Lo informerò io- disse Tavington, mentre il resto della sua unità tornava sui cavalli
-Vedete di muovervi, Capland-
-Sissignore- rispose quello, prima di raggiungere Johnson e cominciare a cavalcare dalla parte opposta.
Tavington ordinò ai suoi uomini di ripartire, e ben presto erano tutti in movimento verso Camden.
-Sembra proprio che lo "Spettro" abbia colpito di nuovo, signore- osservò Bordon dopo qualche minuto.
Tavington gli rivolse un'occhiataccia.
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Karen era all'aperto, seduta su una delle tante colline che circondavano Villa Honey. Anche se non era molto in alto, il paesaggio regalava un panorama stupendo. Era la prima, vera bella giornata di quell'anno. L'aria di marzo, riscaldata dal sole, le scompigliava i capelli facendoli ondeggiare nella brezza. Le portava il profumo dei fiori appena sbocciati, e lei respirava a fondo quell'aria pulita, chiudendo gli occhi e assaporandola come se fosse la prima volta che la sentiva. In un certo senso era sempre la prima volta: Karen adorava il profumo della primavera appena arrivata dopo tanti mesi di gelo e grigiore. Riaprì gli occhi verso le ondeggianti distese di erba intorno a lei... era fantastico essere immersi nel verde, tra quelle onde di prato, sommersi dalle essenze più buone e più fresche del mondo, sotto un cielo azzurro senza neanche una nuvola, con un sole che brillava ma non scottava... Karen era innamorata della primavera. Rivolse uno sguardo alla villa in lontananza... tutti i suoi problemi le sembravano molto più piccoli, visti da lassù... vide suo padre uscire dalla porta e chiamarla, cercandola con lo sguardo. Karen sospirò.
Voleva farle provare il vestito da sposa. Già, perché il giorno successivo lei si sarebbe sposata con il Generale O'Hara. Karen si punse con l'ago mentre ci pensava. Si era portata un vestito da cucire; quella era un'altra delle tante cose che le aveva insegnato sua madre. Era proprio a buon punto, stava venendo bellissimo, e Karen immaginò che a Priska sarebbe stato da Dio. Sperò solo di riuscire a finirlo in giornata. Ma sì, era appena mezzogiorno.
Mentre continuava a cucire, lanciò un'altra occhiata alla villa e vide suo padre tornare in casa con aria sconfitta. Karen sorrise tra sé. Così imparava.
All'improvviso sentì qualcuno batterle sulla spalla, e sobbalzò pungendosi di nuovo.
-William!- disse, senza fiato.
-Ciao- disse lui, togliendosi il caschetto da cavalcata e mettendoselo sotto il braccio -Posso sedermi?-
-Certo- rispose lei, mettendosi il dito in bocca e succhiando il sangue -Speravo che saresti venuto-
-Per ora sono solo di passaggio- disse William -Poi devo tornare a Camden a scrivere una lettera a Cornwallis. Credo che tornerò questo pomeriggio-
-Come hai fatto a trovarmi?- chiese lei, riprendendo a cucire.
Lui sorrise e lei, guardandolo, fu sul punto di pungersi di nuovo: -Dimentichi che sono un colonnello dei Dragoni. Sono abituato a guardarmi in giro. Ma perché sei qui?-
-Mi nascondo da mio padre- rispose Karen -Vuole farmi provare il vestito da sposa-
Tavington alzò gli occhi al cielo e disse, in tono serio: -Sembra proprio che non abbia cambiato idea, eh?-
Karen annuì, incupita: -Già. Non riesco a credere che domani mi sposerò con quello là-
William le si avvicinò e le cinse le spalle con un braccio, baciandola sulla testa.
-Mi dispiace- disse, dopo qualche secondo di silenzio.
Lei lasciò perdere il vestito e si voltò verso di lui: -Non doveva andare così... Mi sembra impossibile che oggi sarà l'ultima volta che ti vedrò-
-Non devi pensarci- disse lui, accarezzandole il viso con una mano. Karen chiuse gli occhi e piegò la testa verso la spalla di lui.
Lei e William rimasero silenziosi, a guardare le onde di prato sollevarsi nella brezza.
-Che cos'è quello?- domandò lui, indicando il vestito.
-Cosa ti sembra?- chiese Karen, divertita.
-Mmm... direi un vestito-
-Già- rispose Karen con soddisfazione -E' per Priska. Sai, oggi è il suo compleanno... ma temo che non riceverà molti regali-
-Perché?- chiese Tavington, sorpreso.
-Dubito che mio padre se ne ricordi- sospirò Karen -Sai, la casa è tutta in agitazione per il mio dannato matrimonio, e... bè, ho paura che il suo compleanno verrà dimenticato-
-E' disgustoso- disse Tavington, colpito -Ma è fortunata ad avere una sorella come te-
Karen sorrise: -Sono più fortunata io ad averne una come lei. Vorrei che mio padre le dedicasse più attenzioni, ma credo che... insomma, so che è terribile, ma credo che lui non abbia mai voluto veramente bene a Priska. Lui voleva che nascesse un maschio al suo posto, desiderava un erede-
Tavington rimase in silenzio.
Karen abbassò lo sguardo e sospirò: -Mi mancherà molto, quando dovrò andarmene via-
-Anche tu le mancherai- disse William -E mancherai anche a me-
Karen gli posò un bacio sulle labbra, senza riuscire a trattenersi oltre. Lui l'abbraccio e il bacio si fece più profondo, ancora più passionale. Karen si sentì stringere forte dalle sue braccia, e desiderò ardentemente di non lasciarlo mai. Le loro labbra si separarono morbidamente. Karen e William si guardarono negli occhi. William poi le prese le mani e le baciò.
-Devo andare, ora- le disse, alzandosi in piedi -Tornerò oggi pomeriggio-
-Và bene- rispose lei, risoluta -Mi troverai qui-
Lui le sorrise e camminò giù per la collina. Karen lo seguì con lo sguardo fino a che non sparì alla vista, quindi tornò a cucire, mentre la sua mente pensava ancora a lui.
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Una volta giunto a Camden, William si sistemò alla sua scrivania e cercò di buttar giù una lettera da spedire al Generale Cornwallis, nella quale lo metteva in allarme sulla questione "Spettro", che a quanto pareva si era appena riaperta.
Era difficile pensare a qualcosa da scrivere, però. E anche cercare di far stare ferma la piuma sul foglio risultava impossibile, tanto la mano gli tremava di rabbia.
Era furioso: il problema dello "Spettro" lo infastidiva anche se non lo toccava più di tanto; in fondo era abituato a trattare con ribelli del genere, faceva tutto parte del lavoro che svolgeva da ormai vent'anni... niente di nuovo sotto il sole, insomma. No, quello che veramente gli rodeva era che stava per assistere alla più grande sconfitta della sua vita: perdere Karen.
Il giorno dopo, la donna che lui amava --l'unica donna che avesse mai amato, in effetti-- sarebbe stata più irraggiungibile che mai, nelle mani del Generale O'Hara. Probabilmente quello che avrebbe avuto quel pomeriggio sarebbe stato l'ultimo, vero incontro con Karen. Era molto probabile che la rivedesse ancora, ai balli o magari in giro per uno dei forti (non era raro che le mogli degli ufficiali andassero a trovare i loro mariti, di tanto in tanto), ma sarebbe stato tutto diverso. O'Hara senza dubbio le avrebbe impedito di parlare con un "Macellaio" come lui, le avrebbe impedito persino di avvicinarglisi... William riusciva benissimo ad immaginarsi la scena: Karen elegante e bellissima, il sorriso aperto e pieno di felicità sparito per sempre dal suo viso, che teneva il braccio ad O'Hara e fissava il terreno in silenzio mentre il generale la presentava a tutti gli aristocratici presenti nei dintorni... William che la vedeva da lontano, lei che alzava lo sguardo e i suoi occhi rilucevano dell'allegria perduta, mandando riflessi d'oro e ambra nella sua direzione... William che, guardandola, avrebbe pensato "perché ho lasciato che lui me la portasse via?" e le avrebbe ricambiato lo sguardo, mantenendo un contatto visivo fermo e costante con gli occhi di lei... ma ecco che vedeva il Generale O'Hara richiamare l'attenzione della sua giovane moglie, e tornare a presentarla ai nobili. E lui, William, che non le avrebbe mai più staccato gli occhi di dosso, l'avrebbe guardata fino alla fine del ballo rimpiangendo la sua stessa codardia e la sua dannata sfortuna... E poi si immaginava di tornare al forte, dopo il ballo, e trovare la solita puttana nel letto... Vedeva se stesso fare l'amore con lei, con la mente totalmente altrove, con il rimpianto che lo rosicchiava piano piano rendendo insapore ogni cosa che non fosse lei, Karen... senza di lei il mondo sarebbe tornato grigio e buio.
Poi, col passare degli anni, Bordon si sarebbe sposato con una donna bellissima, si sarebbe detto felice e, a guerra finita, se ne sarebbe tornato in Inghilterra... e Tavington, solo, senza un luogo dove abitare, si sarebbe ridotto a bere brandy e vino in una qualche locanda sperduta fino a diventare più ubriaco e pazzo di suo padre... e allora avrebbe gridato a voce alta il nome di lei, avrebbe raccontato a chiunque fosse disposto a sentirla la sua storia, la storia di quei due mesi che gli avevano segnato la vita... poi sarebbe crollato con la testa sul tavolo, il brandy sarebbe caduto a terra, e gli avventori lo avrebbero buttato fuori a marcire sulla strada... quindi tutto quello che sarebbe rimasto di lui sarebbe stato meno di un ricordo, una vaga memoria di un "Macellaio" distrutto dall'amore, affogato nell'alcool e putrefatto nel fango delle strade.
Tavington scosse la testa per scacciare quei pensieri. Un brutto presentimento gli disse che sarebbe successo esattamente così, se lui non fosse riuscito ad annullare quelle nozze. Si versò del brandy e lo sorseggiò lentamente, assaporandolo, la mente molto lontana dalla lettera che doveva scrivere, ora. Si sforzò di trovare un modo per far fallire quel matrimonio... diamine, era come una battaglia molto complicata, ma anche troppo importante per finire con una resa. Si convinse di aver bisogno di un consiglio di guerra, subito. Mandò al diavolo la lettera, aprì la porta della sua stanza e si diresse in corridoio. Lo percorse fino alla fine e bussò alla porta della camera di Bordon. Da dentro provenivano degli strani versi.
-Maggiore!- sbraitò, moltiplicando i colpi alla porta.
I versi non sembravano cessare. Tavington accostò l'orecchio alla porta e stette in ascolto.
Dall'interno provenivano risa, gridolini e altri rumori strani, come un ansimare e il fruscio di lenzuola. Tavington alzò gli occhi al cielo.
-MAGGIORE!!!!!!!!!!!!!!!!- gridò, quasi sfondando la porta con un pugno. Sentì il vetro della finestra alla fine del corridoio tremare dopo l'ondata della sua voce. I rumori all'interno della stanza morirono di botto.
-Shhh, c'è qualcuno alla porta- sentì Bordon bisbigliare -Ehm, colonnello?-
-Bordon, vi voglio immediatamente nel corridoio- disse Tavington con voce ferma -E' un ordine-
-Ehm... sì, certo, colonnello-
Tavington si appoggiò al muro ed incrociò le braccia, curioso di vedere in che condizioni fosse Bordon. Qualche minuto dopo, il maggiore comparve sulla soglia, spettinato e con la giacca sbottonata.
-Signore?-
Tavington sbirciò alle sue spalle e vide Ellie, una delle puttane del forte, salutarlo da sopra il letto di Bordon. Non indossava niente più che un lenzuolo.
Tavington alzò le sopracciglia, decise di non commentare e disse: -Maggiore, consiglio di guerra. Seguitemi immediatamente-
Bordon sembrava perplesso: -Signore? Un consiglio di guerra per cosa?-
-Niente domande- disse William in un tono che non ammetteva repliche -Muovetevi-
Bordon chiuse la porta facendo cenno a Ellie che sarebbe tornato più tardi, e si affrettò a seguire Tavington nel corridoio. Tavington lo condusse nella sua stanza e, una volta che vi furono entrati, chiuse la porta.
-Allora, Mark- disse Tavington, abbandonando il tono professionale -Domani Karen si sposa con O'Hara-
-Lo so- rispose Bordon, incupito -E' una gran bella perdita-
Intercettò lo sguardo minaccioso di William e si affrettò ad aggiungere: -Per te, voglio dire-
Tavington sospirò: -Non ho idea di come agire. Non sono pratico di queste cose-
Bordon lo guardò incredulo: -No, aspetta un attimo. Tu...- lo indicò, l'indice teso e gli occhi ridotti a fessure -Hai interrotto le mie attività riproduttive solo per dirmi questo?-
Tavington ghignò: -E' una battaglia che non posso perdere, Mark. Devi dirmi qualcosa-
-Will, lascia che ti dica una cosa, amico: quella era la più grande scopata della mia vita! E tu l'hai... l'hai...-
-La più bella scopata della tua vita con Ellie?- rise Tavington, dimenticando per un attimo tutte le sue preoccupazioni -Hai dei seri problemi, Bordy. Credo che sia la peggiore in assoluto, è così... lenta, insomma...-
-Lenta?? Ma non hai sentito i gemiti che stavamo facendo?- disse Bordon, tra lo sconvolto e l'offeso -Parola mia, neanche il mio cavallo cavalca così, eravamo avvinghiati in modo che...-
-Bordon- lo chiamò Tavington, esasperato -Dopo tornerai da lei. Ma ora devi darmi un consiglio-
Bordon alzò le spalle: -Che ti posso dire? Non andare al matrimonio!-
Tavington sbuffò: -Non mi hanno invitato, ma anche se lo avessero fatto non mi sarei presentato. Non riesco a credere che la perderò così, senza dire o fare nulla per impedirlo-
Bordon rimase in silenzio. Tavington riusciva quasi a vedere le rotelline del suo cervello lavorare nello sforzo di pensare a qualcosa. Bordon alzò gli occhi e disse, d'un tratto:
-Ehi, ho un'idea- disse, gli occhi che gli si illuminavano.
-Parla!- disse Tavington, con lo stesso tono in cui avrebbe potuto interrogare un ribelle. In effetti Bordon fu piuttosto sorpreso nel vedere che non gli puntava nessuna pistola alla tempia o cose del genere.
-Senti, oggi il pomeriggio ce lo abbiamo libero, non abbiamo un cavolo da fare... perciò tu ti intrufoli nella casa di lei, cerchi in tutte le stanze il vestito da sposa e poi lo rubi. Non può sposarsi senza vestito, no?-
Gli occhi di Bordon brillavano come se avesse appena detto una cosa estremamente intelligente. Tavington invece era dubbioso.
-Niente di meglio?- chiese.
Bordon parve offeso: -Ma è un'idea geniale! Avanti, sei o non sei un Dragone? Che ci vuole ad entrare in una casa senza sentinelle, piena di civili non armati? Che ci vuole a prendere un vestito e portarlo via? Amico, datti una svegliata! Hai un piano migliore?-
Tavington scosse la testa, ma era ancora poco convinto.
-E se incontro qualcuno?-
-Che domande, tiri fuori la pistola e bang! Chi si è visto si è visto, no?- disse Bordon con un sorriso.
Tavington alzò gli occhi al cielo e sospirò: -Non sai come vorrei risolvere la cosa in questo modo. Quando possiedi una pistola ti sembra di poter risolvere ogni tuo problema con proiettili e polvere da sparo... ma dopo un po' di tempo ti accorgi che i problemi che contano davvero non si possono risolvere in quel modo-
Bordon ridacchiò: -Sono commosso, Tav, davvero. Ora, se il tuo monologo è finito, hai intenzione o no di muovere quelle tue chiappe addormentate e andare a svolgere la missione?-
-Non ho ancora risolto la questione di cosa fare in caso incontrassi qualcuno- disse Tavington in tono fermo, ormai rassegnato a eseguire quel folle compito.
Gli occhi di Bordon brillarono: -Ma è chiaro, no? Segui il mio ragionamento: i servitori in una casa sono per di più uomini o donne, in genere?-
-Donne, direi- disse Tavington, pensieroso, chiedendosi dove Bordon volesse andare a parare -Gli uomini ci sono, ma vengono usati per i lavori esterni, come il giardinaggio, le stalle... o no?- aggiunse, incerto.
Ma Bordon annuì calorosamente: -Esatto, amico mio. Le serve che stanno in casa sono donne. Quindi tu hai molte più possibilità di incontrare una donna che un uomo, no?-
-Direi di sì- rispose Tavington lentamente.
-E poi, parliamo di un vestito da sposa... cosa ci fa un uomo nei dintorni di un vestito da sposa? Sappiamo entrambi che le donne sono molto più portate di noi a rifinire abiti e cose del genere... no? Quindi, la questione è risolta-
-Non mi sembra- replicò William -Abbiamo capito che probabilmente incontrerò una donna, mentre mi metto alla ricerca di questo benedetto vestito da sposa... e allora?-
Bordon alzò gli occhi al cielo: -Quando mai potrò tornare a scopare?-
-Rispondimi e basta- disse William con un sorrisetto -Avanti, maggiore, è un ordine-
Bordon sospirò: -William... ti sei mai chiesto perché tu, volendo, potresti organizzare una bella orgia in camera tua con almeno una trentina di prostitute mentre io mi dovrei accontentare al massimo di dieci? Ti sei mai chiesto perché quella tua Karen non si è innamorata di me, ma di te? Ti sei mai chiesto perché io sono sempre qui a consigliarti mentre tu agisci?-
Tavington alzò le spalle.
Bordon si alzò in piedi e si diresse alla porta: -Si chiama fascino, Tav. Ecco la cosa che ti aiuterà ad oltrepassare tutte le donne che incontrerai mentre ti dirigi verso il vestito da sposa-
Tavington lo guardò uscire nel corridoio e chiudere la porta canticchiando. Un ghigno si formò sulle sue labbra al pensiero di dover usare il suo "fascino" per ammaliare le servitrici di Villa Honey e convincerle a farlo passare. Mentre si rimetteva a scrivere la lettera, si chiedeva se sarebbe mai diventato, un giorno, intelligente come Bordon.
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Verso le tre del pomeriggio, Tavington cavalcava veloce verso Villa Honey. Aveva fatto tesoro dei consigli di Bordon --in effetti, non aveva idea di come avrebbe mai potuto tirare avanti senza di lui-- e sui risultati del "consiglio di guerra", aveva costruito un piano d'attacco, con mosse infallibili che non avrebbero lasciato scampo agli avversari. Il nemico (il Barone Honey) era sempre fuori, a quell'ora. Nei due mesi trascorsi incontrandosi segretamente con Karen, William aveva imparato a memoria tutti i suoi orari e sapeva bene che di pomeriggio in genere il barone usciva, per poi ritornare alla sera verso le sei o le sette. L'unico dubbio era che quel giorno, essendo la vigilia del matrimonio della figlia, lui avesse potuto rimanere alla villa ad impegnarsi con i preparativi, ma William preferiva non pensarci. Se il barone lo avesse trovato in casa sua, William dubitava che il suo "fascino" sarebbe riuscito a distrarlo o ad ammorbidirlo, in quel caso. Pregò che fosse uscito anche quel giorno.
Ben presto Villa Honey apparve davanti ai suoi occhi, circondata dalle colline, baciata dal sole e meravigliosa come sempre. Una macchiolina lontana e minuscola su uno dei prati dietro la casa gli disse che Karen non era stata ancora trovata. Si chiese se era il caso di avvertirla del suo piano di rubare il vestito da sposa, ma decise di no: glielo avrebbe riferito più tardi, solo in caso di missione compiuta. Rallentò l'andatura per rendere il suo arrivo nel cortile anteriore alla casa più silenzioso e discreto possibile. Scese dal cavallo e lo affidò ad un servo che sbucò immediatamente da dietro l'angolo della casa. Dato che c'era, William gli domandò:
-Il Barone Honey è in casa?-
Quello scosse la testa: -No, signore, è andato via-
-Bene- rispose Tavington, senza avere davvero l'intenzione di dirlo a voce alta. Si tolse il caschetto da cavalcata e se lo mise sotto il braccio, tenendo nell'altra mano un mazzo di rose che aveva comprato venendo lì. Quelle non facevano parte del piano, a dir la verità: aveva intenzione di donarle a Priska come regalo di compleanno, visto che a quanto diceva Karen, la ragazzina non avrebbe ricevuto molti auguri, quel giorno.
Avanzò verso la villa con passo deciso, camminando tra le fontanelle e il profumo fresco della primavera. Era nervoso, e si aspettò quasi di sentire la musichina tipica delle battaglie risuonare intorno a lui, da quanto tutta la situazione assomigliava ad una battaglia.
Bussò alla porta con decisione, rigirandosi le rose tra le mani nervosamente.
Dopo qualche secondo, la porta venne aperta e Tavington si ritrovò davanti Priska, che quel giorno indossava un vestito azzurro. La ragazza arrossì violentemente nel vedere il visitatore.
-Uh! Ehm... oh, Colonnello Tavington, che piacere rivedervi... ehm...-
Si riavviò i capelli dietro le orecchie con aria molto imbarazzata. Tavington era piuttosto spiazzato da quello strano comportamento, ma le sorrise e le disse, cordialmente:
-Buongiorno, Priska-
-Ah, oh... buongiorno anche a voi. Io... ehm, che splendidi fiori! Karen và pazza per le rose, ne sarà felicissima, vedrete... E' solo che al momento non riusciamo a trovarla, credo che si sia nascosta perché...-
-No, le rose non sono per Karen- disse Tavington, porgendogliele -Sono per te-
Priska smise immediatamente di parlare e lo guardò come se fosse sul punto di svenire. Il rossore stavolta comprese anche le orecchie.
-Io... per me?- chiese, confusa e incredula -Per me?-
Tavington annuì, sorridendo: -Prendile. Ho saputo da Karen che oggi era il tuo compleanno e ho pensato di farti questo piccolo regalo-
Le porse ulteriormente le rose: -Auguri, Priska-
La ragazza prese il mazzo e lo guardò come se non avesse mai visto niente di più bello. Quindi disse, imbarazzata e sorridente: -Oh, bè... grazie...-
Regnò qualche secondo di silenzio nel quale Priska spostava lo sguardo dalle rose a Tavington, ancora inebetita da quel dono inaspettato. Tavington immaginò che la ragazzina fosse davvero contenta di aver ricevuto un regalo quando ognuno aveva dimenticato il suo compleanno, e si sentì orgoglioso di averla fatta felice.
Priska si scosse improvvisamente dalla trance: -Oh, ma che stupida! Voi siete ancora lì, fuori... entrate, entrate-
Si fece da parte e Tavington entrò muovendo qualche passo nell'ingresso. Ci era già stato una volta, e quella notte era impressa nella sua mente illuminata di una luce sgradevole, una luce di sconfitta. Sperò che non si fosse rivelato un fiasco anche questa nuova missione. Mentre Priska lo guidava in salotto blaterando qualcosa sul trovare un vaso per quelle rose stupende, Tavington si chiese se fosse il caso di rivelare il suo piano alla ragazzina. Dopotutto, lei e Karen sembravano molto legate: Karen parlava di Priska con grande simpatia e candore. Doveva essere una ragazza straordinaria e, probabilmente non avrebbe fatto la spia al barone sul suo piano. Così, decise di rivolgersi a lei. Sicuramente avrebbe potuto aiutarlo.
-Ehm... Priska?-
Lei si fermò e si voltò verso di lui, ancora molto rossa.
-Ditemi, colonnello-
-Ascolta- disse lui in tono cospiratorio, avvicinandosi a lei -Sono qui per rubare il vestito da sposa di tua sorella-
Priska lo guardò perplessa: -Davvero? E perché lo volete?-
-Ecco, io... insomma, voglio impedire queste nozze- spiegò Tavington d'un fiato
-Immagino che anche tu non voglia che Karen si sposi con O'Hara, vero?
Lei annuì: -Già... e voi dite che rubarle il vestito potrà aiutare la situazione?-
-Bè, se non altro rimanderà il matrimonio-
Priska annuì di nuovo, muovendo lentamente la testa: -Sì, magari avete ragione. E allora, come avete intenzione di agire?-
-Speravo che tu potessi darmi una mano- ammise Tavington, guardandola speranzoso.
Lei divenne talmente rossa che Tavington si domandò se per caso non stesse trattenendo il fiato: -Oh... io... Bè, ma come potrei aiutarvi?-
-Potresti dirmi in quale stanza si trova il vestito da sposa, per esempio- proseguì William
-E magari anche fare in modo di distrarre i servi-
Lei annuì, entusiasmata dall'idea: -Sì, sì, lo potrei fare. Anche se, badate bene, non riuscirò mai a distrarre Sendy, la cucitrice. E' fissata con i vestiti, sta attaccata all'abito di mia sorella giorno e notte, non fa che aggiungere veli, svolazzi e perline... dubito che si staccherebbe da lì anche se la casa andasse a fuoco... Ma per quanto riguarda gli altri... sì, credo che ce la potrei fare-
-Perfetto- disse William -Sendy me la lavorerò io-
-Come?-
-Ehm... mi occuperò io di distrarla. Ora dimmi... dov'è il vestito da sposa?-
-Al piano di sopra, la terza porta a sinistra del corridoio- disse Priska -Nascondetevi sotto le scale, mentre chiamo i servi qui, al piano di sotto-
-Grazie mille, Priska- la ringraziò Tavington, mentre tornava nell'ingresso e si acquattava nel sottoscala.
La ragazza sparì un attimo per mettere via le rose, quindi tornò nell'atrio e gridò, su per le scale: -Ehi, lassù! C'è qualcuno che vuole un bel pezzo di torta? E' appena uscita dal forno! Coraggio, vi do venti minuti di libertà!-
Si udì un gran trambusto e nel giro di pochi secondi almeno una mezza dozzina di servitrici si precipitarono giù per le scale, correndo eccitate verso la padroncina.
-Davvero possiamo, miss Honey?-
-Certo!- rispose lei -Anzi, fate pure con calma. Avete lavorato molto, ultimamente-
-Grazie, padroncina!-
-Vi ringrazio, Miss Honey!-
-Grazie!-
Priska fece l'occhiolino a Tavington mentre tutte le servitrici fuggivano in cucina. Lei le seguì mentre Tavington, dopo un cenno di ringraziamento, prendeva a salire le scale velocemente. Imboccò il corridoio --per un attimo provò la curiosità di andare a cercare la camera di Karen, ma resistette alla tentazione-- e si recò verso la terza porta a sinistra. Appena vi fu davanti, la aprì, provando un gran nervosismo.
Una giovane donna sedeva su un basso sgabello accanto ad un vestito esageratamente orlato e decisamente troppo sfarzoso. Era intenta a sistemare qualcosa sul fondo, e lavorava a testa bassa, infilando l'ago con impegno e precisione.
Tavington si schiarì la gola per segnalare la sua presenza e quella alzò la testa e si levò in piedi chinando il capo rispettosamente.
-Buongiorno- disse con uno sguardo interrogativo -Con permesso, posso chiedervi chi siete?-
Tavington, che non si aspettava una domanda così diretta, sfoderò uno dei suoi sorrisi migliori e disse: -Buongiorno, Sendy-
-Conoscete il mio nome?- chiese lei, piuttosto sorpresa.
Lui annuì e le rivolse uno sguardo accattivante: -Sì, lo conosco, miss-
Lei arrossì: -O no, signore, non "miss". Sono solo Sendy, lavoro per questa famiglia-
-Ogni bella donna è degna di essere chiamata miss- disse lui, muovendo qualche passo verso di lei -E non vorrete di certo negare che siete di una bellezza... come dire... intrigante-
Lei abbassò lo sguardo e sorrise con modestia: -Oh, signore, mi lusingate, non sono che una serva...-
-E quale serva- disse lui senza abbandonare il suo sorriso, nè il suo sguardo su di lei
-Sembrate molto dedita al vostro lavoro, devo dire che non ho mai visto una tale passione nel cucito tale la vostra-
Lei rise a bassa voce, le guance arrossate dai complimenti. Tavington si chiese come continuare.
-Ma chi siete, signore, se è lecito saperlo?- domandò lei con un sorriso emozionato.
-Il mio nome è... Edward Rosewell- rispose Tavington, veloce -E sono qui per ritirare il vestito di Miss Honey-
Il sorriso sparì immediatamente dalle labbra di lei: -Ritirarlo?-
-Sì, è il Generale O'Hara che mi manda- rispose Tavington con tranquillità -Desidera vedere il vestito prima del matrimonio, sapete... vuole organizzare tutto nei minimi dettagli-
La serva si morse un labbro con aria dubbiosa: -Bè, se sono le volontà del generale... ma io dovrei ancora apportare alcune modifiche, mi sembra davvero troppo semplice e spoglio, non credete? Avevo pensato a delle roselline di stoffa sul fondo, accompagnate da tulle e...-
-Sono sicuro che al Generale O'Hara piacerà così- disse Tavington con delicatezza. Le si avvicinò ancora e disse, in tono basso e malizioso:
-E poi, è un vero peccato che una donna bella e giovane come voi debba passare tutto questo tempo chinata su un vestito da sposa-
Lei gli sorrise, lusingata. Cominciava a notare la sua vicinanza a lui.
-Bè... immagino che abbiate ragione...- disse in un soffio, guardandolo negli occhi.
Tavington le sorrise e prese il vestito sfilandolo dai ganci che lo tenevano attaccato all'armadio. Lei lo guardò, piuttosto preoccupata dalle condizioni in cui il vestito sarebbe arrivato al generale.
-Ehm... vi aiuto a portarlo di sotto, d'accordo?-
-Sarebbe un onore- disse Tavington con un brillio degli occhi, mentre la seguiva giù per le scale.
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Sembrava impossibile, ma alla fine Tavington era riuscito a portare a termine il suo piano. Sendy sembrava assolutamente convinta che lui fosse innamorato di lei, tanto che gli aveva lanciato un'occhiata maliziosa prima di rientrare in casa. Tavington immaginò di avere fatto bene il suo lavoro, di aver usato al meglio il suo "fascino", e ciò gli dava un'immensa soddisfazione. Forse non era poi così male con le donne, dopotutto.
Cavalcò con il vestito da sposa piegato dietro la schiena per circa un miglio, fino a giungere ad uno dei tanti affluenti del Santee. Scese da cavallo, prese l'ammasso di stoffa bianca sgualcito dalla cavalcata e lo gettò nel fiume con crescente soddisfazione. Lo vide scivolare via, fino a sparire alla vista cadendo per una cascatella. Si chiese quanto dovesse sembrare strano, per qualcuno che si trovava in fondo al fiume, vedersi arrivare un vestito da sposa trasportato dalla corrente. Ora voleva vedere come avrebbe fatto Karen a sposarsi, senza vestito. No, sarebbero stati costretti a rimandare quelle nozze, Tavington ne era sicuro. Così, risalì con un'improvvisa serenità sul cavallo e tornò a Villa Honey. Karen era ancora sulle colline. Tavington si avvicinò lentamente a lei e quando la raggiunse vide che stava dormendo. Si fermò a guardarla.
La brezza del pomeriggio morente giocava con i ciuffi di capelli davanti al suo viso... le passavano sulle palpebre chiuse, sfiorandole con magici tocchi di cielo. Le sue ciglia erano congiunte e riposavano anch'esse... il suo petto si alzava e si abbassava con tranquillità e costanza... le sue mani erano chiuse a pugno, una vicina al viso e l'altra persa nel prato, stesa di fianco al busto... sembrava così vulnerabile, fragile... sembrava richiedere qualcuno che la proteggesse, ma nello stesso tempo appariva come protetta dalla natura che la circondava, dai fiori, dal vento, da ogni singolo stelo d'erba... Era come se la natura l'avesse eletta a sua principessa ed ora vegliasse sul suo sonno incantato... Tavington si disse che sarebbe stato un peccato svegliarla, così si sedette a poca distanza da lei, in modo da poterla osservare in tutti i particolari mentre riposava.
Un angelo.
Questo era stato ciò che lui aveva pensato di lei la prima volta che l'aveva vista. Con la sua semplicità, la sua innocenza e la sua purezza, lei era questo per lui. Come un candido giglio, un morbido petalo di rosa... era una fanciulla che adorava la vita, confidava e ammirava tutto ciò che le stava intorno... riusciva a cogliere ogni piccolezza ed ogni particolare e renderlo sublime con i suoi sorrisi, con la sua allegria... E la sua musica, Dio, la sua musica... esisteva un suono più simile al canto dei pettirossi, al fischio del vento, all'ondeggiare dei rami nella brezza? Esisteva un suono che potesse essere paragonato a quella gioiosa armonia, a quel miracolo che accadeva ogni volta che poggiava le dita sui tasti? Tavington l'avrebbe ascoltata in eterno, avrebbe voluto morire ascoltando quella musica...
Ma erano tutti sogni impossibili, ora, realizzò di colpo. Forse, con la strampalata ma dopotutto sensata idea di Bordon di rubare il vestito da sposa, lui era riuscito in quella che sembrava un'impresa impossibile: ritardare le nozze. Ma per quanto riguardava annullarle, no... Tavington non sarebbe mai riuscito a impedire che lui, O'Hara, l'avesse. Ormai era già sua, Tavington aveva perso. Ma non voleva accettarlo, no, probabilmente non l'avrebbe accettato mai... Bordon gli avrebbe detto di farsene una ragione, ma Tavington non ci sarebbe mai riuscito... L'amore, i sentimenti che provava per lei superavano ogni limite... e il semplice pensiero che ben presto lei sarebbe appartenuta ad un altro, il pensiero che... che il suo corpo, puro e inviolato, sarebbe stato contaminato da un uomo che non era lui, lo torturava. Se solo pensava a tutti i sogni che aveva fatto su di lei! Alle speranze, i progetti, tutte le cose che avrebbe voluto tanto dirle prima che il giorno dell'addio fosse arrivato... Tavington aveva voglia di uccidersi. Se non fosse riuscito ad averla, sarebbe morto. Forse il suo corpo sarebbe rimasto in vita, ma la sua anima se ne sarebbe andata con lei... Il suo corpo sarebbe stato vuoto e senza vita. E piuttosto che una vita così, Tavington avrebbe preferito la morte assoluta.
Un lieve mormorio lo scosse dai suoi pensieri. Guardò Karen, e vide che si era tirata sui gomiti e sbatteva gli occhi guardandosi intorno. Vide William e il suo sguardo si illuminò.
-Ciao!- gli disse, prima di correre ad abbracciarlo -Quanto ci hai messo?-
Tavington la strinse forte, respirando a fondo il profumo inebriante dei suoi lunghi capelli castani: -Ti guardavo dormire-
Lei si staccò da lui e lo guardò negli occhi: -Ah, sì? Ed ero interessante?-
-Molto- rispose lui in un sussurro, prima di posare le labbra sulle sue. La coinvolse in un lungo, dolcissimo bacio che riuniva anima e corpo. Le labbra di lei erano morbide e dolci, lui adorava baciarla e sentirle muoversi e posarsi sulle sue. Erano così calde, così piacevole il loro contatto...
-Allora, quando sei arrivato?- disse lei, sedendosi accanto a lui -Più tardi del dovuto, vero?-
-Sì- rispose lui -Ma ho fatto una piccola cosa che forse rimanderà le tue nozze-
Lei lo guardò come se non osasse credere alle proprie orecchie: -Dici davvero?-
Lui annuì: -Ho rubato il tuo vestito da sposa-
Lei sgranò gli occhi, mentre ancora alcuni ciuffi le volavano sul viso: -Che cosa??!-
William sorrise: -E' stata dura, ma ce l'ho fatta. Mi ha aiutato tua sorella-
-Priska? Sul serio? Oh, non ci credo che hai fatto questo per me, William-
Lui le prese la mano e la baciò: -Per te farei tutto, Karen, lo sai-
Lei rise e gli si avvicinò: -Sei più pazzo di quanto credessi-
Gli gettò le braccia attorno al collo e lo buttò a terra. Tavington toccò il suolo con la schiena mentre lei lo baciava sulle labbra. Fu un bacio profondo, passionale, nel quale Tavington gustò il desiderio che lei provava per lui... anche lui la desiderava, e molto.
Lei si stese di fianco a lui, e William le circondò le spalle con un braccio.
-Questo significa che forse domani non sposerò il generale- disse Karen, con un po' di fiatone.
-Già, forse- rispose lui, ben attento a non confidare troppo nella speranza -Ma non possiamo saperlo-
Lei si stese su un fianco e lo guardò, puntellando un gomito al terreno e appoggiando la testa al braccio. Il suo sguardo era molto intenso, i suoi occhi luccicavano come perle nella sera che scendeva lentamente.
-Io ti amo, William- disse in un sussurro -Lo sai, vero?-
Lui la guardò, osservando quel viso che da tanto tempo infestava i suoi sogni. Sembrava ancora più angelico e più meraviglioso del solito, con lo sfondo del cielo trapunto dalle prime stelle notturne...
Lui le accarezzò una guancia delicatamente e le sussurrò: -Lo so, Karen. E ti amo anch'io, più di qualsiasi altra cosa-
Lei si chinò su di lui e lo baciò. Tavington accettò il bacio e la prese per le spalle, conducendola lentamente ed impercettibilmente verso di lui. Lei non oppose resistenza e continuò a baciarlo con passione crescente. Ben presto Tavington si ritrovò con il busto della ragazza sopra il suo. La circondò con le braccia e la tenne aderente al suo petto. Lei separò le labbra dalle sue e trasse dei lunghi respiri, chiudendo gli occhi.
Rimasero lì ancora per qualche minuto, quindi venne il momento di separarsi.
Quando scesero per la collina e raggiunsero il cavallo di lui, i loro occhi si incontrarono e ognuno seppe che quello poteva essere l'ultimo momento in cui si sarebbero potuti vedere tranquillamente, senza O'Hara di mezzo. Karen appoggiò le mani sul petto forte di lui e lo baciò un'ultima volta, un bacio che sapeva di speranza e fiducia...
Tavington la guardò negli occhi ancora una volta, prima di separarsi da lei definitivamente e salire sul suo cavallo. Nessuno dei due disse nulla... non c'era niente da dire. Non volevano distruggere le esili speranze che rimanevano con parole o saluti inutili. Si guardarono per un lungo attimo, quindi Tavington indossò di nuovo il caschetto, se lo allacciò sotto il mento e incitò il cavallo a ripartire.
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-Com'è andata?- chiese Bordon a bruciapelo, nonappena lo ebbe incontrato nel corridoio.
-Vieni, ne parliamo dentro- disse Tavington sbrigativo, adocchiando un gruppo di prostitute che gli faceva ciao con la mano.
Appena entrati nella camera di William, Tavington sospirò: -Il vestito da sposa sta viaggiando da qualche parte verso l'oceano, in questo momento. L'ho gettato nel Santee-
-Grande!- rispose Bordon, entusiasta -E allora cos'è questa faccia da funerale?-
Tavington abbassò lo sguardo: -E' che non credo che servirà a molto. Voglio dire, probabilmente rimanderà le nozze, questo è quasi certo, ma... prima o poi il Generale O'Hara la sposerà. Non c'è modo di aggirare l'ostacolo, perché prima o poi succederà-
Bordon sbuffò: -Ah, dai...! Almeno hai un po' più di tempo da passare con la tua Karen, no?-
Tavington annuì, anche se dentro di sé pensava che un'intera vita non sarebbe stata sufficiente per passare del tempo con lei, tanta era la voglia di rivederla...
-E intanto- proseguì Bordon, ben deciso a risollevare l'umore dell'amico -Penseremo ad un altro piano, no? Un piano migliore, che annulli le nozze definitivamente-
-Speriamo solo di riuscirci, Cristo- disse Tavington, depresso.
I due rimasero in silenzio per un po', ognuno immerso nei suoi pensieri, quando Bordon saltò su e disse: -Bè, abbiamo ancora del tempo per pensarci, coraggio. Vieni giù a farti una partitina e bere un bicchiere. Ehi... un bicchiere, non ubriacarti come l'altra volta-
-Dai, quasi quasi vengo- disse Tavington, sciogliendosi i capelli e togliendosi la giacca -E ho anche una certa voglia di andare a puttane, stanotte-
-Evvai, Tav!- esclamò Bordon dandogli una pacca sulle spalle, prima che entrambi scendessero al piano di sotto in cerca di alcool e donne come al solito.
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-Dov'è finito?? DOV' E' FINITO???????-
La voce del Barone Honey fece sobbalzare tutti i dieci servi in piedi davanti a lui.
-Chi era responsabile del vestito??- domandò, le vene del viso pulsanti di rabbia -Chi diavolo era???-
Sendy si fece avanti, tremante: -Io, signore-
-Tu!! Ebbene, dov'è finito? DOV' E'????- sbraitò il barone.
-Il signor Rosewell è venuto a ritirarlo, signore. Ha detto...- Sendy deglutì -Ha detto che veniva per conto del Generale O'Hara-
-CHE COSA???????- gridò il barone, e i servi sobbalzarono di nuovo -E tu gli hai creduto?? Mmmm??-
-Io... sì, signore-
Il Barone Honey scosse la testa, indignato: -Mia figlia deve sposarsi domani, e il suo vestito da sposa è SCOMPARSO!! E' assolutamente indecoroso, tutto ciò, maledizione! Chi diavolo ha visto questo signor Rosewell, a parte te, mmm?-
Un servo fece un passo avanti: -Mi ha consegnato il suo cavallo, signore. E ha chiesto se eravate in casa-
Il Barone Honey lo guardò furibondo: -Tornate al lavoro!- borbottò -Ora dovrò trovare una soluzione, non si può assolutamente compiere l'errore di annullare un matrimonio di questa importanza...-
I servi si dispersero nelle varie direzioni silenziosamente, e il barone aprì la porta ed entrò nell'atrio. Vi trovò Priska e Karen che parlavano tra loro, sorridenti.
Il barone si avvicinò a Karen e le disse, a voce bassa:
-Karen... il tuo vestito da sposa è scomparso-
Priska distolse velocemente lo sguardo e si morse un labbro nel tentativo di non scoppiare a ridere.
-Davvero, padre? Curioso- si limitò a commentare Karen in tono innocente.
-Ora dovremo trovarne uno adatto a sostituire il primo- disse il barone, borbottando.
Karen alzò gli occhi verso di lui: -Ma non posso sposarmi con un vestito qualunque!- esclamò, tentando di suonare convincente -Non sarei... ehm... degna del generale-
Il barone sembrò molto colpito da quelle parole e annuì gravemente: -Sì, credo che tu abbia ragione, alla fine- sospirò -Ehh, non so, non so-
Prese a camminare verso le scale, e Priska disse, continuando la conversazione che loro padre aveva interrotto:
-Grazie, Karen, veramente. Sei stata davvero gentile, è semplicemente... stupendo-
Il barone di voltò verso di loro e vide Priska tenere tra le mani un abito rosa di fattura finissima. Scese le scale di corsa e si avvicinò per vederlo più da vicino.
-E questo cos'è?- chiese.
Priska sembrava sorpresa da quell'improvviso interesse, ma rispose con gioia: -E' il regalo di Karen per il mio compleanno, padre-
Ignorando completamente il fatto di essersi dimenticato del compleanno della figlia, il barone strappò l'abito dalle mani di Priska e lo tenne alto per guardarlo bene: -Karen, questo! E' assolutamente perfetto! Raffinato, elegante... credo proprio che ti stia anche bene come misura!
Karen scosse la testa: -No, padre. L'ho cucito io per Priska, appartiene a lei-
-Oh, avanti!- esclamò lui, facendo un gesto a mezz'aria come dire che erano sciocchezze
-Sono sicuro che te lo presterà, per un'occasione così importante... non è vero, Priscilla?-
La ragazza disse, timidamente: -Padre, veramente io...-
-Sì, sì, ti starà meravigliosamente, Karen, meravigliosamente...-
-Padre, non voglio indossarlo! E' di Priska, è il regalo per il suo compleanno!- gridò Karen, esasperata -L'ho cucito apposta per lei...-
-E hai fatto un buon lavoro, cara, proprio un ottimo lavoro. Brava la mia figliola!-
Karen fu tentata di tirargli uno schiaffo dalla rabbia che provava dentro: -Padre, vi dico di no! Appartiene a Priska, è suo, lasciateglielo tenere...!-
-Ma Priscilla te lo presterà, vuoi che non acconsenta? Sei pazza? Lei te le presterà volentieri, non è vero, Priscilla?-
Si voltò verso Priska e la ragazza chinò il capo.
-... certo, padre- mormorò -Io... ora credo che me ne andrò di sopra-
Karen guardò sua sorella salire le scale lentamente e a testa bassa. Suo padre stava ancora blaterando qualcosa a proposito del vestito.
Quando riuscì a liberarsi di lui --solo molti minuti dopo-- salì le scale e bussò delicatamente alla porta della camera di sua sorella.
-Priska? Posso entrare?-
-Certo- rispose la sua voce da dentro.
Karen aprì la porta e trovò Priska stesa sul letto. Le sorrise e si sedette accanto a lei.
-Mi dispiace per il vestito, sorellina- le disse -Nostro padre è stato ingiusto-
Priska scosse la testa: -Vuole il meglio per te-
I lineamenti di Karen si indurirono: -No, non è vero. Temo che nostro padre voglia solo il meglio per se stesso. Vuole avere degli eredi... e dei buoni nomi nel suo dannato albero genealogico-
Priska annuì: -Forse è così... ma lui si è sempre comportato in questo modo con me. Io gli voglio molto bene, come ne voglio a te- sospirò -E come ne volevo alla mamma, anche se l'ho conosciuta solo per un mese... Sai, a volte credo di ricordarmela ancora. Me la immagino molto simile a te-
Karen scosse la testa sorridendo: -No, era più simile a te-
-Davvero?-
-Sì- rispose lei, con un sorriso dolce sulle labbra -E sarebbe molto orgogliosa di te, ora-
Priska sorrise: -Mi piacerebbe averla conosciuta. Poterle aver rivolto almeno una parola, averle detto... che le voglio molto bene e gliene vorrò sempre-
Karen accarezzò la fronte della sorella con affetto: -Un giorno la rivedrai-
Priska annuì: -Sì... sarà bellissimo-
-Già, ma non devi pensarci, ora- la riscosse Karen -Ci sono ancora tante cose belle che ti riserva la vita... La morte arriva solo quando ti sei stancato di vivere-
Priska annuì e sospirò profondamente.
Karen si sentiva ancora in colpa per la questione del vestito. Aprì bocca per scusarsi un'altra volta, quando il suo sguardo si posò su un vaso di rose posato sullo scrittoio.
-E quelle?- domandò, stupita.
Priska seguì il suo sguardo e diventò improvvisamente rossa almeno quanto le rose.
-Ah... oh... ehm, sì, quelle me le ha regalate... mmm... bè, il Colonnello Tavington-
Karen la guardò sgranando gli occhi: -Cosa? Dici sul serio?-
Priska annuì, ancora molto rossa: -Sì, quando è venuto qui a...- abbassò la voce e disse, in poco più di un bisbiglio -... a prendere il vestito, io ho aperto la porta e lui me le ha date dicendo che era un regalo per il mio compleanno. Ha detto che l'ha saputo grazie a te-
Karen annuì: -Sì, lui mi aveva vista mentre cucivo il tuo vestito-
Erano tornate a parlare del vestito, e Karen si scusò di nuovo.
-Fa lo stesso- disse Priska -Un matrimonio è molto più importante di uno stupido compleanno-
-Non quando il matrimonio in questione è estremamente stupido e il compleanno estremamente importante- replicò Karen -Avrei così tanto voluto vedere come ti stava...-
D'un tratto le venne un'idea.
Tirò Priska a sé e le bisbigliò nell'orecchio: -Senti, credo che nostro padre l'abbia messo nella stessa stanza in cui stava quello vecchio. Ti và di andarlo a provare, stanotte, quando tutti saranno a dormire?-
Priska acconsentì con entusiasmo.
Quella notte, lei e Karen finsero di andare a dormire. Quando la pendola dell'atrio rintoccò la mezzanotte, Karen andò a prendere sua sorella, che l'aspettava sveglia, ed insieme percorsero il corridoio fino a giungere alla stanza dov'era tenuto il vestito. Lo portarono in camera di Priska, e la ragazzina lo indossò.
Si guardò allo specchio e sorrise alla sua immagine.
-E' meraviglioso, Karen- bisbigliò, osservando l'abito in ogni particolare -Non so come fai ad essere così brava-
Karen le posò le mani sulle spalle: -Facciamo così: tienilo pure per andare a dormire, così c'è la speranza che si stropicci e che per domani sia troppo rovinato. Se nostro padre ti da la colpa, gli diciamo che sei sonnambula-
Priska scoppiò a ridere: -D'accordo-
Le due sorelle si salutarono e Karen si diresse verso la sua camera. Stralci di luna illuminavano la stanza, dando a quella penombra una parvenza un po' inquietante. Karen si stese nel letto e chiuse gli occhi, cercando di non pensare che quella sarebbe stata l'ultima volta che dormiva in quel letto... doveva cercare di dormire, doveva assolutamente dormire...
... era il giorno del suo matrimonio. Era vestita con l'abito rosa che aveva cucito per Priska, e si trovava all'altare con il Generale O'Hara. Lui le teneva la mano, e lei si sentiva triste e nervosa. Si sentiva osservata. Il prete parlava con voce distante ed echeggiante, Karen non riusciva a capire cosa stesse dicendo... ma d'altra parte, cosa gliene importava. Era il giorno peggiore della sua vita, quel giorno nel quale, pronunciando due semplici parole, si sarebbe per sempre legata ad un uomo che non amava...
Venne il momento in cui doveva pronunciarle, quelle parole. Le disse. O'Hara sorrideva soddisfatto alla sua sinistra, mentre anche il prete cominciava a sorridere.
Ad un tratto la porta della chiesa si spalancò, ed entrò William. Aveva una pistola in mano.
-Karen, vieni da me, tesoro- le disse, dal fondo della chiesa. Karen spiccò una corsa verso di lui, ma inciampò nel vestito e cadde per terra. Cercò di rialzarsi, ma suo padre apparve vicino a lei e la costrinse a stare giù.
-Stai giù, brava la mia figliola-
-No, lasciatemi!-
Con uno strattone, Karen era riuscita a scappare da lui ed ora correva verso di lui, verso William... ma lui non sembrava avvicinarsi, anzi, se ne stava andando... Karen lo vide puntarsi la pistola alla testa e premere il grilletto. Karen urlò, urlò mentre vedeva William, sanguinante, cadere a terra... Mentre lei correva ancora verso di lui, le lacrime che le scorrevano sulle guance, il pavimento si mosse sotto i suoi passi... divenne verticale, e lei si sentì trascinare verso il basso...si aggrappò con tutte le sue forze al tappeto rosso che lo ricopriva, e rimase lì, a piangere, cercando di evitare di cadere nel vuoto. Le giungevano delle voci da laggiù, la voce di suo padre, quella di O'Hara... Ma lei doveva salire, doveva vedere come stava William. Strizzando gli occhi, vide il suo cadavere sporgere dalla cima, altissima e irraggiungibile, del pavimento che si era ribaltato... La testa di William era insanguinata, gocciolava sangue... del sangue le arrivò in faccia, e lei urlò, accecata... urlò mentre lasciava la presa e cadeva in quel baratro di nulla, urlava, urlava...
Karen aprì gli occhi.
Era al sicuro nel suo letto. Respirava affannosamente e aveva la fronte coperta di sudore freddo... che incubo... la sua mente ritornò alla realtà piano piano, progressivamente. Si stava giusto calmando quando udì un grido. Il suo cuore ricominciò a battere furiosamente. Era stato un grido uguale a quello che lei stessa aveva fatto nel suo sogno...
Ma questo era reale. Scese dal letto e tese l'orecchio. Arrivò un altro grido, stavolta soffocato.
Priska.
Karen si precipitò alla porta della sua camera e la spalancò. Percorse il corridoio in preda al panico, il respiro che si faceva via via più affannoso. Raggiunse la porta della camera di Priska --oh, perché era così lontana?-- e girò la maniglia. Chiusa. La porta era chiusa a chiave, da dentro.
Karen battè i pugni contro il legno, gridando disperatamente: -Priska! Priska! Tutto bene?-
Oh, mio Dio, cos'è successo?
Perché la porta è chiusa a chiave?
Perché Priska gridava?
Karen prese a spallate la porta, ma si fece solo un gran male. Suo padre emerse dal fondo del corridoio tenendo una candela accanto al viso.
-Karen! Sei impazzita? Cosa sono tutti questi rumori?-
-Padre!- gridò lei, disperata -Ho sentito delle grida, era Priska che gridava... La porta è chiusa a chiave, dobbiamo buttarla giù!-
-Sei sicura di non aver fatto un sogno?-
-Sì, padre!- disse Karen, impaziente -Vi prego, aiutatemi!-
Il Barone Honey, perplesso, provò ad aprire la porta, solo per trovarla chiusa.
-Chiama Boham-
Karen scese le scale di corsa e bussò freneticamente alla stanzina di Boham, uno dei servi della villa.
-Boham, porta le chiavi, presto! Vieni subito di sopra-
Karen risalì le scale tutto d'un fiato e appena arrivata davanti alla camera di Priska ricominciò a tempestarla di pugni.
-Karen, calmati, vedrai che ha solo avuto un brutto incubo- le disse il barone.
-No, non mi calmo affatto!- gridò lei, isterica -Perché non risponde? Perché la porta è chiusa a chiave? Oh, Signore... apriti, APRITI!-
Poco dopo giunse Boham con le chiavi. Lo schiavo ne scelse una e l'infilò nella toppa, girandola una sola volta. Appena la porta fu aperta, Karen si precipitò dentro. Alla fioca luce della luna e della candela portata da suo padre, Karen vide lo scrittoio rovesciato, le rose cadute a terra con il vaso in frantumi, il letto disfatto e la finestra aperta sulla notte. Le leggere tende di lino ondeggiavano alla brezza notturna.
Di Priska, neanche l'ombra.
TO BE CONTINUED...
