Capitolo 7
Minacce
-Oh! Oh! Oh Cielo… oh, colonnello-
Tavington sogghignò nel sentire le grida di piacere di Emmeline. Spinse in lei aumentando il ritmo e sentì l'orgasmo fare tremare la ragazza sotto di lui.
-OHHHHHHHH DIO- gridò quella, tanto che William credette le si lacerassero i polmoni.
Ma ben presto raggiunse anche lui il suo culmine, e ansimò, cercando di trattenere i gemiti per non sembrare stupido… ahh… certo, l'avrebbe pagata bene. Era tanto che non si eccitava così, diamine. Si chinò nuovamente su di lei e le braccia della ragazza gli circondarono il busto, tenendolo stretto… Lui sentì i seni nudi di lei premere contro il suo petto e ansimò di nuovo, preso da un'eccitazione incontenibile. In quel momento bussarono alla porta.
Tavington sbuffò, ma non si mosse. Invece prese a baciarle il collo con passione, e sorrise lievemente sentendola gemere. Bussarono di nuovo, più concitatamente.
-William! William, ti prego, apri-
Il cuore di Tavington si fermò nell'udire la voce di Karen.
Karen! Cosa diavolo ci faceva lì, a bussare alla sua porta?
-Oh… merda- imprecò Tavington sottovoce, alzandosi e scendendo dal letto per mettersi in cerca dei suoi pantaloni.
-Arrivo- gridò di rimando a Karen.
La puttana lo guardò con aria interrogativa, ancora nuda sul suo letto. Tavington la prese per un braccio senza tante cerimonie e la buttò nell'armadio, chiudendola dentro. Appena si fu rivestito, aprì l'anta giusto per sussurrarle-Prova a fare un solo rumore e te ne pentirai. E' chiaro-
Lei sorrise-Sei così sexy quando ti arrabbi-
Ma Tavington le aveva chiuso la porta dell'armadio in faccia prima che potesse finire la frase. Si diede una veloce sistemata guardandosi allo specchio, si legò i capelli in una coda veloce e spettinata ed aprì la porta, domandandosi cosa volesse Karen a quell'ora. Era notte fonda, forse le tre o le quattro. Provò un'improvvisa fitta di preoccupazione nel pensare a lei che usciva di casa a quell'ora, da sola, e si avventurava nei campi bui. Gliene avrebbe dette due, questo era certo. Sembrava ostinata a non capire quanto pericoloso fosse il mondo.
Ma tutte le sue preoccupazioni evaporarono nonappena vide il viso di Karen. Era pallida come un lenzuolo, e aveva gli occhi lucidi. Indossava la solita mantella bianca sopra la camicia da notte. Lei si gettò al suo petto appena la porta fu aperta ed esplose in un fiume di parole concitate.
-Oh, William! E' successa una cosa terribile… Priska è scomparsa, qualcuno deve averla rapita, io l'ho sentita urlare e quando sono corsa… William, quando sono corsa lei non c'era più… Devi venire, devi aiutarmi, William, ti prego-
Tavington le prese la testa fra le mani per poterla vedere in viso. Aveva le guance rigate di lacrime, ora, e appariva sconvolta.
-Karen, cosa stai dicendo-
-Non… non riesco a spiegartelo di nuovo… Vieni alla villa, ti prego… ho bisogno del tuo aiuto. Ti prego-
Tavington la guardò, senza capire. La prese per le spalle e la scosse leggermente-Karen, ascoltami bene: sei sicura che non sia stato un brutto sogno-
-William, era reale- disse lei concitatamente -Ti prego, vieni subito-
-D'accordo- rispose Tavington, anche se l'intera faccenda gli sembrava pazzesca -Dammi un attimo per prendere la giacca e sono da te-
Fuori, la notte era burrascosa: pesanti gocce di pioggia li inzupparono mentre correvano in cortile verso i loro cavalli. Raggiunsero la stalla e nel giro di pochi minuti cavalcavano velocemente verso Villa Honey, lasciandosi alle spalle il forte di Camden.
Fu un sollievo raggiungere l'ingresso della villa. Dopo la cavalcata, William e Karen, bagnati fino all'osso, entrarono nell'atrio fiocamente illuminato dalle candele. Tutta la servitù li attendeva lì, in piedi rispettosamente, molti con papaline da notte e pantofole. Tavington vide Sendy guardarlo con stupore, e la pregò con uno sguardo di non dire nulla. Lei annuì e gli fece l'occhiolino.
-Karen! Dove diavolo sei sta…-
Karen e William si voltarono in tempo per vedere il barone Honey, vestito di tutto punto, entrare nella stanza e stringere gli occhi in direzione di William.
-VOI- gridò, avanzando verso di lui -Credevo di avervi detto di non osare mai più avvicinarvi a mia figlia! Cosa ci fate qui, ancora in casa mia? FUORI-
-Padre- esclamò Karen, facendosi avanti. Sospirò e disse-Ho chiamato il Colonnello Tavington per chiedergli aiuto. Perché io non credo che Priska sia scappata di casa. Penso…- deglutì -Penso che sia stata rapita-
Ognuno si voltò verso di lei, soppesando le sue parole.
-Cosa- disse il barone Honey -E' assurdo! E perché mai qualcuno avrebbe dovuto rapirla-
-Non lo so- rispose Karen -Ma sono portata a credere che siano stati dei ribelli-
Il barone Honey fece un brusco gesto con la mano-Sciocchezze-
-Perdonatemi- William prese la parola -Ma potrei sapere come si sono succeduti i fatti-
Karen lo prese per mano e si rivolse al padre-Ascoltate, padre. Chi altro potrebbe essere stato se non un ribelle? E' se è veramente un ladro, un criminale o… insomma, un fuorilegge, credo che l'aiuto del Colonnello Tavington ci sia indispensabile-
Il barone Honey non parve molto convinto, ma borbottò-Preferirei morire piuttosto che accettare l'aiuto di quest'uomo. Comunque, se vuoi davvero immischiarti nei suoi loschi piani, Karen, a questo punto me ne lavo le mani dell'intera faccenda. Torno a dormire, se volete scusarmi-
Karen lo guardò con odio mentre saliva le scale. Il pendolo suonò le quattro del mattino.
Karen si rivolse ai servi, in rispettosa attesa di ordini-Tornate pure a dormire-
Quelli si inchinarono rispettosamente e sparirono nei loro alloggi. Sendy rivolse un'ultima occhiata maliziosa a Tavington, prima di voltarsi e dirigersi verso la sua stanza.
-Vieni, andiamo in cucina- disse Karen, accompagnandolo verso un corridoio alla sinistra dell'ingresso. Aprì una porta e accese qualche candela rivelando una stanza di dimensioni ridotte, ma molto accogliente anche a quella debole illuminazione. Appoggiò il candelabro sul tavolo di ruvido legno al centro della cucina e lo invitò a sedersi.
-Brandy o tè- gli domandò in tono stanco.
Lui le si avvicinò e le toccò il braccio-Lascia, Karen. Faccio io. Tu siediti-
-D'accordo- acconsentì lei, lasciandosi cadere sulla sedia e appoggiando le braccia sul tavolo.
Tavington le preparò una tazza di tè corretto al brandy, glielo mise davanti e si sedette di fronte a lei.
-Bevi- le disse, e lei ubbidì, sorseggiando la bevanda lentamente dalla tazza fumante. Nel giro di pochi minuti il colore ritornò sulle sue guance, e sembrò meno stanca e depressa.
-Allora- esordì lui, mentre lei continuava a bere a brevi sorsi -Raccontami tutto-
Lei riappoggiò la tazza sul tavolo delicatamente e strinse le labbra. La luce fiammeggiante delle candele giocava sul suo viso regalandole riflessi aranciati. I suoi occhi parevano più scuri e rilucevano dolcemente mentre alzava lo sguardo su di lui.
-Stavo sognando- cominciò lei, e la sua voce suonava lieve come un sussurro -E ad un tratto mi sono svegliata di colpo. Avevo sentito come… delle urla, ma credevo di averle solo sognate-
-Hai idea di che ore fossero- la interruppe William.
Lei ci pensò sopra per qualche secondo, quindi mormorò-Era sicuramente dopo la mezzanotte, e poco prima dell'ora in cui sono venuta a chiamarti, quindi… direi che dovessero essere le tre, circa-
Tavington annuì lentamente, guardandola negli occhi. Karen, attraverso la cortina di paura e preoccupazione che l'avvolgeva, era sorpresa nel vederlo così: stava guardando per la prima volta una parte di lui che non aveva mai scorto prima. Quella dell'uomo professionale, quella di un colonnello dei Dragoni Verdi. Era evidente che stesse prendendo la faccenda molto seriamente.
-Continua- le disse lui, congiungendo le punte delle dita.
Karen deglutì e proseguì-Poi le ho udite di nuovo. Erano grida. Ne è arrivata una, quindi una seconda. Ho capito che doveva essere mia sorella, e così sono corsa fuori dalla mia stanza. Ho cercato di aprire la porta della camera di Priska, ma era chiusa a chiave da dentro. Poi è arrivato mio padre. Ha provato anche lui ad aprire la porta, ma non c'è riuscito. Allora sono corsa di sotto a chiamare Boham, il servo responsabile delle chiavi di tutte le stanze della casa. Lui è arrivato e ha aperto la porta. Quando sono entrata…- Karen deglutì di nuovo, la voce che si incrinava leggermente. Tavington la invitò a bere un altro sorso di tè, e lei lo fece, prima di fare un respiro profondo e continuare -Quando sono entrata la stanza era sottosopra, e la finestra era aperta. Priska non c'era-
Il racconto cadde nel silenzio. Gli unici rumori rimasti erano quello della tempesta appena fuori dalle finestre della cucina e il lontano ticchettio della pendola nell'atrio. Karen riprese la tazza e sorseggiò mentre Tavington rifletteva.
-Cosa credi che sia successo- domandò lei dopo qualche minuto.
Tavington alzò lo sguardo mentre lei lo fissava con apprensione. Per una manciata di secondi si guardarono a vicenda, senza dire nulla. Tavington stava valutando quanto e cosa dirle. Non voleva preoccuparla con supposizioni che poi si sarebbero rivelate false, ma non aveva neppure intenzione di tenerla all'oscuro delle sue ipotesi. Dal racconto di Karen gli sembrò un tipico caso di rapimento. Tavington odiava ammetterlo, ma probabilmente Priska era stata rapita, e da un ribelle, per di più. I coloni erano per la maggior parte gente di strada, ve n'erano ben pochi rispettabili davvero… erano gentaglia composta da ladri, assassini e criminali… la feccia dell'umanità, insomma. E gli Honey erano una famiglia molto ricca, William immaginò che ben presto coloro che avevano portato via Priska si sarebbero fatti vivi. Ne era convinto. Non aveva senso entrare in una villa solo per rapire una ragazzina: ben presto quegli uomini -quei fottuti figli di puttana- avrebbero richiesto un riscatto. Tavington sperò solo che la cosa sarebbe andata a finire bene: già dal giorno successivo avrebbe impiegato tutte le sue forze e il suo tempo per ritrovare la sorella di Karen. Se c'era una persona che non meritava la morte o la sofferenza, quella era Priska.
-E' stato rubato qualcosa- domandò, evitando la domanda di Karen.
Questo non le sfuggì: un velo di ansia passò nei suoi occhi, come se avesse capito che le ipotesi di William su quanto era successo non fossero benevole.
-William, dimmi cosa ne pensi- gli disse, quasi pregandolo.
Tavington sospirò, le prese le mani tra le sue e la guardò molto intensamente-Ascolta, Karen. Non voglio mentirti, ma devi essere forte abbastanza da accettare quello che ti sto per dire. Io credo che sia ancora presto per fare supposizioni, ma da quello che mi hai raccontato… penso che l'ipotesi del rapimento sia quella più plausibile, al momento-
Karen chiuse gli occhi e li strinse, come cercando di sopportare un dolore improvviso. Quando li riaprì c'era tristezza nel suo sguardo, ma William colse anche una determinazione quasi rovente che gli disse che lei non si sarebbe lasciata andare alla disperazione.
-Dici… dici che sia stato un ribelle- domandò lei cautamente, cercando di interpretare il suo sguardo alla luce ondeggiante e fioca delle candele.
William annuì, lentamente-Non dico che non esistano delinquenti tra gli inglesi, ma la maggior parte di loro non hanno mai avuto i mezzi per lasciare l'Inghilterra e quindi sono ancora là. In genere gli inglesi che si incontrano qui nelle colonie sono gentiluomini, nobili o comunque brave persone. Sono propenso a credere che sia stato un ribelle, quindi. Ma, Karen…- la presa sulle mani di lei divenne più salda, quasi convulsa -Ti posso giurare sulla mia vita che chiunque sia stato, io lo troverò-
Karen vide che nei suoi occhi brillava una luce sinistra, quasi… diabolica. Per un attimo ebbe paura di lui, ma poi tornò a pensare a Priska e si sentì stupida. William voleva solo aiutarla, ed era chiaro che avrebbe impegnato tutto se stesso nello sforzo di ritrovare sua sorella. Karen provò un moto di gratitudine per lui, anche se sapeva che non sarebbe riuscita a dimenticare tanto facilmente quel suo sguardo famelico… Per la prima volta, Karen andò col pensiero a cosa facesse effettivamente William nel suo lavoro… In quei due mesi che avevano trascorso incontrandosi segretamente non ne avevano mai parlato, nè lei se l'era domandato, prima di quel momento. Ma ora si chiese d'un tratto come William aveva potuto arrivare a diventare quello che era, un colonnello. Si disse che probabilmente aveva ucciso molte persone, e la cosa la fece rabbrividire. Prima di quel momento non avrebbe mai potuto immaginare lui, il dolce e romantico William, uccidere brutalmente delle persone. Ma dopotutto erano in guerra, e Karen non potè fare a meno di pensare che, se davvero erano stati dei ribelli a rapire sua sorella, qualunque cosa William avesse fatto loro se l'erano meritata.
Meritano di morire donne e bambini?
Sciocchezze, lui non aveva mai toccato donne e bambini. Uccideva solo soldati, ribelli, criminali. Non andava ad ammazzare civili, era assurdo. E poi, lui le aveva assicurato che quelle voci sulla sua reputazione erano tutte false. E lei si fidava della sua parola, anzi, non c'era parola di cui si fidasse di più. Lo amava con tutta se stessa, e se in una coppia non c'era fiducia e sincerità, non sarebbero mai riusciti a costruire un rapporto. Karen gli era grata per quella dedizione, e non voleva altro da lui che l'aiutasse. E l'avrebbe aiutata. Oh, era così confortante averlo vicino, così protettive erano le sue mani strette sulle sue… la facevano sentire al sicuro. Come poteva dubitare di lui?
-Ora ascoltami…- le disse William, accarezzandole con il pollice il palmo della mano -Ho bisogno di sapere se è stato rubato qualcosa-
Karen battè le ciglia, riscuotendosi dai suoi pensieri. Riflettè un secondo, quindi disse, piuttosto incerta-Credo di no. Ma avrei preferito di gran lunga che avessero rubato qualcosa, piuttosto di portare via Priska. Dio, gli avrei dato tutto ciò che volevano, la mia intera camera, i soldi, il pianoforte… perché ci hanno fatto questo? Cosa abbiamo fatto di male-
-E' difficile immaginare come funzioni una mente criminale- disse Tavington lentamente
-Ma non credo che la cosa finirà qui. Temo che presto si faranno vivi. Per questo…- la guardò quasi severamente -Non devi più uscire di casa, Karen. Tu devi essere pazza… non lo sai che c'è una guerra là fuori? Mi vuoi dire cosa ti salta in mente di venirmi a cercare, da sola, nel bel mezzo della notte-
Ora suonava arrabbiato, e il tono della sua voce si alzava sempre più. Lei lo guardò stringendo gli occhi-Cos'altro avrei potuto fare, secondo te? Aspettare fino a domattina? Avevo bisogno di te, William. E non c'era altro modo per farti venire qui immediatamente-
Tavington non abbandonò il suo sguardo di rimprovero-Stanotte è stata un'eccezione. Non voglio che tu lo faccia mai più, Karen. Sono stato chiaro-
Lei provò una fitta di rabbia nel cogliere l'arroganza della sua voce, ma annuì. In fondo lui voleva solo proteggerla, e doveva ammettere che ora che ci pensava era stato davvero un gesto imprudente quello di uscire allo scoperto così di frequente, negli ultimi tempi.
Il tono di Tavington si addolcì mentre tornava ad accarezzarle la mano con il pollice-Lo dico per te. Sai che io tengo a te, e non so cosa farei se ti dovesse accadere qualcosa. Con molta probabilità mi sentirei in colpa per il resto della mia vita. Per questo devi promettermi -davvero, questa volta- che non lo farai mai più-
-Lo prometto- rispose lei, rincuorata dalle sue dolci carezze e dalle sue parole.
Lui le sorrise e le posò un bacio sulla mano. Quindi si alzò e le disse:
-Mi potresti far vedere la stanza dove dormiva Priska-
Lei annuì e lo accompagnò al piano di sopra. Aprì la porta della camera di sua sorella e lasciò entrare William prima di lei.
Tavington mosse qualche passo all'interno della stanza e gettò uno sguardo al trambusto che era stato lasciato come ultima traccia da parte dei rapitori. I suoi occhi vagarono dallo scrittoio rovesciato ai vari soprammobili in frantumi e -provò una fitta di rancore misto a rabbia nel vederle- le rose che lui le aveva regalato quello stesso pomeriggio rovesciate a terra e schiacciate, come se nella fretta qualcuno le avesse calpestate.
Lo sguardo di Tavington divenne più freddo, come sempre quando stava provando un moto di ira particolarmente violento. Rivolse la sua attenzione alla finestra.
-Immagino che la finestra fosse aperta, quando sei arrivata- disse.
Karen assentì-Devono essere entrati da lì-
Tavington annuì distrattamente-Lo credo anch'io-
Si avvicinò alla finestra, girò la maniglia, tirò e la aprì. Si sporse sul breve davanzale mentre la pioggia entrava furibonda all'interno della stanza. Tavington strizzò gli occhi e vide una pianta rampicante che non aveva mai notato districarsi fino alla finestra dalla quale lui si stava sporgendo. Seguendo il suo corso, Tavington vide che arrivava fino a terra, e immaginò che non dovesse essere difficile, per un uomo di media stazza, salire dal giardino fino a quella finestra. Tornò dentro e chiuse la finestra, voltandosi verso Karen.
-Devono essere arrivati qui per mezzo di quel rampicante. Sembra molto robusto e conduce proprio sotto questo davanzale. Dev'essere stato uno scherzo per loro. Immagino che non abbiano rotto il vetro solo per non svegliare l'intera villa, o non avrebbero mai fatto in tempo a tornare di sotto vivi. Probabilmente avevano un arnese con loro che gli ha consentito di aprire la finestra causando solo un lieve rumore, impossibile da udire per delle persone addormentate come eravate te, Priska e tuo padre. Con molta probabilità, Priska ha lottato contro di loro, e questo spiega il disordine e le urla che tu hai sentito. Dico "loro", perché sono convinto che debbano essere stati almeno in due a portarla via. Non sarebbe mai riuscito, un solo uomo, a scendere di nuovo il rampicante con Priska sulla schiena. Devono essere stati per forza in due a portarla, se non tre- sospirò -Se mi dici che tutto questo è accaduto più o meno verso le tre, abbiamo perso un'occasione importante. Se solo fosse successo mezz'ora più tardi, domattina avremmo avuto le loro impronte sul fango seccato e avremmo potuto vedere verso quale direzione si sono diretti dopo essere scesi dalla finestra. Ma purtroppo non pioveva ancora alle tre del mattino, quindi dove sono passati i loro piedi ora c'è solo terreno umido-
Karen parve molto abbattuta.
William le si avvicinò-Sembri molto stanca, Karen. So che non riuscirai a dormire dopo quello che è successo, ma almeno prova a riposare un po'-
Lei annuì lentamente-D'accordo-
Gli si avvicinò e gli posò un bacio sulle labbra.
-Grazie, William-
Lui le sorrise lievemente e la baciò di nuovo, più appassionatamente, questa volta.
Mentre lei usciva dalla stanza, lui non potè fare a meno di domandarle-Tuo padre ha annullato il matrimonio-
La vide fermarsi e voltarsi lentamente verso di lui.
-Sì. Le nozze sono sospese fino a che Priska non torna a casa-
Tavington non potè evitare di provare un moto di sollievo mentre le augurava nuovamente la buonanotte.
Qualche ora dopo, di ritorno nel suo letto -aveva scacciato Emmeline: non si sentiva più molto ispirato, dopo gli eventi di quella notte- Tavington aveva molto a cui pensare.
Nonostante fosse ormai l'alba e i suoi occhi minacciassero di chiudersi da un momento all'altro per l'immane stanchezza, William sentiva di aver bisogno di riordinare le idee almeno un po'. Quello che era successo aveva smosso in lui una furia che non provava da tempo: una furia interamente indirizzata ai ribelli. Non c'erano dubbi che fossero stati loro a rapire Priska, chi altro poteva essere stato? Che bastardi, se solo avessero provato a farle del male… La sua mente non potè fare a meno di pensare a cosa sarebbe successo se avessero portato via Karen… Dio, no, preferiva non pensarci. Sperò solo che dopo la promessa che gli aveva fatto, lei sarebbe rimasta chiusa in casa, al sicuro. William ricordava l'apprensione negli occhi di lei… ma non doveva preoccuparsi. Lui sarebbe riuscito a trovare sua sorella, e l'avrebbe riportata a casa, tra le braccia di Karen, sana e salva. Tutto quello che lui, William, doveva fare era impiegare le sue forze e le sue energie nelle ricerche… ma alla fine l'avrebbe trovata. Ce l'avrebbe fatta, e Karen sarebbe tornata felice come una volta. Tutto sarebbe tornato alla normalità.
Un secondo prima che il sonno s'impadronisse finalmente di lui, un ultimo pensiero gli attraversò la mente… era come una voce che gli sussurrasse all'orecchio…
Salvala...
L'oscurità era fitta intorno a lei.
Caldo e pesante, il buio la circondava, impedendole di vedere qualunque cosa che non fossero le sue ginocchia. Il pavimento sembrava ondeggiare lievemente, pulsava con lo stesso ritmo con cui pulsava la ferita che aveva alla testa. L'avevano colpita sulla parte destra della fronte, molto vicino alla tempia. Era stato un bastone, o qualcosa del genere. L'avevano colpita per farla stare zitta, per impedirle di continuare ad urlare. Lei se ne ricordava appena, aveva solo delle immagini fugaci. Sentì il sangue, caldo e sgradevole, colarle lentamente dalla ferita lungo tutta la parte destra del viso. Fece per asciugarlo con il palmo della mano, ma sentì che non poteva muoversi. Recuperò una scarsa sensibilità alle mani, solo per accorgersi che qualcuno gliele aveva legate saldamente dietro la schiena. Concentrò le sue forze sul tentativo di muovere le dita, e riuscì ad avvertire il vago sentore di qualcosa di robusto che le teneva legate insieme. Una corda, spessa e ruvida. Era talmente stretta che le impediva di fare il minimo movimento. Lottò per tenere gli occhi aperti, combattendo contro la sua debolezza. Il sangue continuava a colarle imperterrito, con una lentezza esasperante e fastidiosa. La ferita era molto dolorosa, bruciava e prudeva. I suoi capelli erano sciolti sulle spalle, alcuni attaccati al collo per via del sudore.
Dov'era? Chi erano gli uomini che l'avevano portata lì? Cosa volevano farle?
Domande troppo difficili, al momento, per la sua mente stanca e confusa. Le sue palpebre si avvicinarono l'una all'altra con un'attrazione irresistibile, ma lei cercò di opporre resistenza e di non cedere al sonno, non ancora. Sarebbe stato bello chiudere gli occhi e dimenticare il sangue e la sofferenza almeno per un po', ma non doveva farlo. Doveva cercare di ritrovare la lucidità, doveva trovare un modo per andarsene da lì…
Cercò di muovere i piedi, ma si accorse che anche quelli erano legati. Si trovava su una sedia, lo schienale aderiva esageratamente alla sua schiena per via delle corde troppo strette… Provava male dappertutto, ed era confusa… smarrita… impaurita…
Mentre cercava di capire, mentre cercava invano con i suoi deboli strattoni di liberarsi dalle corde, la testa divenne troppo pesante e il mento le ricadde sul petto, dove si appoggiò mentre una cascata di capelli le cadeva ai lati del viso.
Priska Honey lasciò che gli occhi le si chiudessero e non si mosse più, battuta dalla stanchezza e dal dolore.
Sei settimane dopo.
Eccoci qui, di nuovo! Un altro ballo a Middleton Place, ANCORA, pensò William esasperato, mentre camminava con apparente calma lungo i giardini della tenuta. L'aria di maggio, greve dei profumi dell'estate imminente, gli sfiorò il viso, ma lui non aveva tempo nè voglia per immergersi in romanticismi. Era estremamente stressato, come sempre quando si trovava ad un ballo. E, come sempre quando andava ad un ballo, il suo obiettivo era raggiungere il banco dei vini senza incontrare Lord Cornwallis o O'Hara.
Sei settimane erano trascorse dal rapimento di Priska, e in quel lasso di tempo molte cose erano cambiate. Le nozze tra Karen e O'Hara erano ancora sospese, con gran disappunto del generale: William sperava che in tutto quel tempo O'Hara avrebbe smesso di puntare a lei, ma stando a quanto dicevano le voci, sembrava che ci tenesse ancora molto, a quel matrimonio.
Priska non era stata trovata, nè erano giunte altre notizie riguardo a lei da quella notte di fine marzo. Karen era sempre più depressa, ma stava cercando di tener duro e di essere forte, come William le aveva consigliato. Ora lui temeva più che mai che potesse accaderle qualcosa, e passava da lei ogni sera a controllare che tutto fosse a posto. Il barone Honey non glielo impediva, semplicemente perché non stava più a Villa Honey: se n'era andato in gran fretta il giorno successivo al rapimento della figlia, sostenendo di correre a cercarla. Karen aveva spiegato a William con disgusto che secondo lei suo padre stava solo fuggendo da una situazione che giudicava troppo pericolosa e complicata per lui. Era andato a stabilirsi a Charlestown dalla sua amante, Reneé Russell, e dal giorno della sua partenza nessuno lo aveva quasi più visto in giro. Tavington pensò che avrebbe dovuto vergognarsi, quel vecchio idiota.
Lui aveva fatto di tutto per trovare Priska, ma le sue ricerche non avevano avuto successo. Il Generale Cornwallis lo aveva già rimproverato diverse volte per il fatto di mobilitare tutte la sua unità semplicemente per andare in cerca di una ragazzina, ma Tavington lo ignorava ogni volta che apriva bocca. William aveva spiegato a grandi linee la faccenda ai suoi uomini, e quelli avevano acconsentito all'unanimità di andare a cercare Priska. Potevano essere anche stolti qualche volta, ma non tanto codardi e ignobili da tirarsi indietro come aveva fatto il barone: ai loro occhi un'innocente ragazzina inglese era una persona che non doveva morire per tutto l'oro del mondo, e William si diceva perfettamente d'accordo con loro. Non che il loro consenso gli servisse molto, in effetti: anche se si fossero mostrati titubanti o riluttanti a prendere parte alle ricerche, Tavington li avrebbe costretti ad aiutarlo (era o non era il loro colonnello?), ma era comunque confortante vedere quanto tutti si stessero mettendo d'impegno per risolvere la cosa. Da parte sua, Tavington non vedeva l'ora di mettere le mani su quei porci che l'avevano rapita. E preferiva ignorare quella voce dentro di lui, la voce del buonsenso, che gli bisbigliava che se dopo sei settimane ancora i rapitori non si erano fatti sentire significava che forse l'avevano uccisa… Perché William sapeva, sapeva che prima o poi si sarebbero fatti vivi. Non potevano sparire nel nulla così, senza lasciare traccia. Da un po' di tempo a quella parte, William aveva cominciato a domandarsi se per caso non fosse stato lo Spettro in persona a rapirla… oh, lo Spettro… Tavington buttò giù un bicchiere di vino in un solo sorso. Era già un mese che gli dava la caccia, a quel bastardo. Dopo l'attacco al carro di vettovaglie la mattina del giorno in cui Priska era scomparsa, lo Spettro non aveva più dato segni di sé per un paio di settimane. Poi i carri trovati deserti e i cadaveri squartati a colpi di ascia avevano ricominciato a comparire. Tavington era esasperato ed infuriato con l'intera situazione: Cornwallis continuava a fargli pressioni, tanto che alla fine era arrivato addirittura a mettere una taglia sulla testa di quell'uomo, cosa che succedeva assai di rado. Il generale usava il suo denaro quasi esclusivamente per rifornire gli eserciti e per rinnovare il suo guardaroba (sì, anche per pagare i suoi ufficiali, ma, come Tavington sapeva troppo bene, solo una piccolissima percentuale di denaro veniva adibita a questo scopo), quindi non era frequente che mettesse delle taglie sui ribelli. Soprattutto delle taglie così consistenti. Erano molti anni che gli abitanti della Carolina del Sud non vedevano simili cifre declamate dai fogli appesi agli alberi dei loro piccoli villaggi. La "corsa allo Spettro", come la chiamavano alcuni, stava diventando un affare molto, molto serio. E il fatto che il colonnello incaricato di trovarlo fosse proprio lui, Tavington, non giovava affatto alla sua già impegnata situazione. Un conto era fallire le missioni quando la cosa rimaneva tra lui, i generali e i suoi uomini -e comunque lui non avrebbe fallito nessuna missione, se avesse potuto procedere con i suoi metodi- e un conto era correre dietro allo Spettro senza riuscire ad acciuffarlo facendo la figura dell'incapace davanti a tutto il South Carolina e l'Inghilterra. Sì, anche Re Giorgio III era venuto a conoscenza delle gesta dello Spettro, a quanto pareva, anche se non molto accuratamente (era difficile fare viaggiare le notizie attraverso l'oceano) ma tanto abbastanza da acconsentire e approvare i provvedimenti che aveva adottato il Generale Cornwallis nei confronti di questo inconvenevole. Tavington era piuttosto stufo di tutto quello che stava accadendo, e giurava a se stesso che il giorno in cui l'avrebbe catturato, gli avrebbe fatto passare le pene dell'Inferno, come le stava passando lui. Se poi avesse scoperto che era stato lui o uno dei suoi uomini a rapire Priska, allora era sicuro che egli avrebbe invocato la morte con tutta l'anima, sotto le sue torture. Era furioso, ma al momento aveva poca importanza: ora si sarebbe bevuto il suo bel bicchiere di vino, seguito da un altro, e magari da un altro ancora. Poi sarebbe passato da Karen come sempre, avrebbe controllato che stesse bene, e se ne sarebbe tornato a Camden, a dormire. Dio solo sapeva quali altre schifezze lo attendevano il giorno dopo: ultimamente la sua tipica giornata era composta da sopralluoghi inutili puntellati da colloqui con Cornwallis nel quale il generale gli ricordava e gli ribadiva quanto sbagliato fosse ogni passo che faceva, notizie di nuovi attacchi da parte dello Spettro, e altri colloqui con il generale.
Tavington si guardò intorno mentre si versava altro vino. Bordon e Wilkins se ne stavano un po' più in là, e chiacchieravano educatamente con un paio di donne. Tavington alzò le sopracciglia vedendo Wilkins sfoderare un sorriso a trentadue denti davanti alla sua signora. Santo cielo, quello non aveva neppure la più pallida idea di come conquistare una donna. Comunque, la tipa con cui stava parlando rideva e sembrava molto colpita. Le donne riuscivano ad essere estremamente stupide, qualche volta, pensò Tavington mentre assaporava quel nettare divino.
Lanciò un'occhiata a Bordon e vide che se la stava cavando un po' meglio del capitano: sorrideva cordialmente e lanciava qualche battuta, che la donna davanti a lui ricambiava con una gran risata e uno sguardo di apprezzamento.
Un po' più in là, il colonnello Tarleton, il comandante di un'altra unità di Dragoni, stava intrattenendo un bel gruppo di ragazze che se lo mangiavano con gli occhi: Tarleton era un uomo molto affascinante, e riusciva ad avere quante donne desiderasse. Un po' come William, con la differenza che Tarleton non le scaricava dopo una sola notte.
Tavington ghignò tra sé mentre si versava altro vino.
-Signore-
Tavington si voltò con il bicchiere in mano e fissò il volto di una giovane giubba rossa che lo guardava-E' arrivata la nave dall'Inghilterra, signore. Con i rifornimenti, le armi, la posta e… alcuni bagagli personali del Generale Cornwallis-
Tavington volse uno sguardo alla piccola baia verso la quale si stendevano gli immensi e lussureggianti giardini di Middleton Place e riuscì a scorgere una nave ancorata discretamente al molo.
-Scaricate armi e munizioni. Quindi procedete con il resto- ordinò Tavington, tornando al suo vino mentre la recluta s'inchinava e si avviava verso la baia.
Passarono alcuni minuti senza grandi avvenimenti, fin quando un servo non venne a chiamarlo.
-Signore, il Generale Cornwallis desidera vedervi-
Tavington annuì lentamente, abbandonò il bicchiere con la promessa che sarebbe tornato e si affrettò a seguire il servo. Quello lo condusse fino al palazzo, dove lo accompagnò fino al piccolo appartamento di Cornwallis. Il generale era stato invitato da Lord Middleton, il signore che possedeva quella tenuta e che organizzava tutti quei dannati balli, a passare alcune settimane da lui come suo ospite, e Cornwallis aveva accettato volentieri. Tavington si chiese quanto i servi di Middleton dovessero cucinare, per sfamarlo. Sicuramente molto di più di quanto mangiava Tavington in un mese.
Il servo bussò alla porta e pochi secondi dopo O'Hara venne ad aprire, guardando Tavington con il disgusto che riservava sempre e soltanto a lui.
-Colonnello Tavington- disse con voce nasale -Spero che abbiate notato l'arrivo della nave dall'Inghilterra. Vi sono a bordo alcuni bagagli che il generale desidererebbe avere immediatamente-
Tavington alzò un sopracciglio-Ho dato l'ordine di scaricare armi e munizioni, per iniziare. C'è tutto il tempo per i bagagli del generale-
O'Hara lo guardò indignato, ma prima che potesse continuare, il servo personale di Lord Cornwallis venne loro incontro dicendo che il generale era pronto a ricevere il Colonnello Tavington.
William lo seguì in un'altra stanza mentre O'Hara camminava dietro di lui, ancora sconvolto per la faccenda dei bagagli del generale. Tavington entrò in una stanza dove Cornwallis, vestito color panna, lo attendeva guardandosi allo specchio, mentre un nugolo di servitori si occupava di sistemargli gli abiti.
Tavington mosse qualche passo avanti per indicare la sua presenza e s'inchinò, ma Cornwallis a malapena gli rivolse lo sguardo. Tavington capì che doveva essere infuriato per qualcosa, tanto per cambiare, quindi si mise da parte aspettando che sputasse il rospo. Cosa che, come sapeva troppo bene, poteva richiedere un tempo infinito.
In quel momento entrò Sonny, un altro servo personale del generale, reggendo una giacca rossa nuova di zecca. La portò davanti al generale e spiegò:
-Finito, My Lord. L'ho ristretta un po' sul dietro, ho aggiunto spalline più larghe e delle cordelline dorate-
Cornwallis lo guardò con disgusto, prima di commentare-E' una coperta da cavallo-
-Ah, non direi, My Lord. In realtà è… molto elegante- disse Tavington con un sorriso.
Sia Cornwallis che O'Hara, appostato al fianco dello specchio, gli rivolsero un'occhiata sprezzante.
-Oh, molto elegante, My Lord- annuì Sonny, incoraggiante.
Cornwallis tornò a guardare il servo-Un'elegante coperta da cavallo-
Sonny parve abbattuto ed esasperato, ma ringraziò Tavington con un cenno del capo mentre nessuno guardava. Cornwallis si decise a parlare e sospirò:
-Colonnello Tavington… perché dopo sei settimane sono ancora qui ad assistere a un ballo nella Carolina del Sud mentre dovrei assistere a dei balli nella Carolina del Nord? Prima il furto del mio bagaglio, incluse le mie memorie sulle quali avevo speso infinite ore-
Tavington sapeva a cosa si riferiva. Qualche settimana prima, lo Spettro aveva fatto fuori l'ennesimo carro, che sfortunatamente portava proprio effetti personali di Cornwallis. Il generale aveva preso spunto da quell'episodio per ribadirlo davanti a Tavington almeno una sessantina di volte.
William sospirò pazientemente, aspettando che il generale andasse avanti con il suo borbottio quotidiano.
-Poi l'incendio di metà dei ponti tra qui e Charlestown… Se non riuscite a proteggere i nostri rifornimenti contro i volontari…- il suo tono si fece più duro -Come ci riuscirete contro i regolari coloniali o i francesi-
-My Lord, non si battono come regolari, non riusciamo a trovarli-
Cornwallis alzò la testa verso il soffitto, in preda all'esasperazione-Colonnello, sono dei volontari! Sono dei bifolchi armati di forcone-
Tavington sospirò di nuovo-Temo che siano qualcosa di più, My Lord. Migliorati dal loro comandante, quello… "Spettro"-
-Oh, Spettro, Spettro, Spettro- Cornwallis si voltò verso di lui, liberandosi di Sonny con uno strattone e dirigendosi verso Tavington con aria infuriata -Voi l'avete creato, questo "Spettro", colonnello-
-My Lord-
-La vostra brutalità ha gonfiato i suoi ranghi, senza di essa questo "Spettro" sarebbe svanito e io sarei nella Carolina del Nord o in Virginia-
-A mia difesa, My Lord…-
Cornwallis gesticolò violentemente-Oh, basta, basta-
Si fermò un secondo prima di tornare da Sonny e lo guardò da sotto in su con sguardo condiscendente-Bel soldato che siete, battuto da una favola per bambini-
Tavington lo guardò con rabbia mentre quello prendeva la sua "coperta da cavallo" e se la faceva indossare da Sonny. Congedò i generali con uno sguardo, quindi si diresse nell'atrio. Si nascose in un corridoio attiguo per aspettare che passassero, e quando lo fecero, li seguì lentamente, sperando che non si girassero e cogliessero l'occasione per rivolgergli altre parole sgradevoli.
Li sentì parlare mentre scendevano le scale.
-O'Hara, a quanto pare la nave con i nostri rifornimenti è arrivata- stava dicendo Cornwallis.
-Eh… eh, sì, My Lord, è arrivata-
-E allora perché io indosso questo straccio- sbottò Cornwallis in tono controllato.
-My Lord, il vostro guardaroba di ricambio è a bordo, ma… il Colonnello Tavington ha preferito assicurarsi armi e munizioni, prima. Stanno scaricando adesso-
Tavington venne fuori dal suo nascondiglio e scese le scale dietro di loro, sistemandosi con noncuranza i polsi della giacca.
No, non gli importava veramente di quello che Cornwallis gli aveva appena detto. Era troppo monotono. Quando ti senti ripetere le stesse cose per milioni di volte, cominci a non prestarci più attenzione. E nonostante provasse un senso di rabbia, non era a causa di Cornwallis, ma dello Spettro. Lo stava facendo passare per idiota, come al solito. Non poteva lasciare che le cose continuassero così.
Raggiunse tranquillamente il tavolo dei vini, pensando che un bel bicchiere di vino bianco avrebbe risolto la situazione. Aveva appena finito di versarlo quando si udì un'esplosione e tutti si voltarono di scatto verso la baia. La nave era esplosa, e le fiamme illuminavano la scena. Le donne presenti urlarono.
Tavington alzò un sopracciglio con aria scettica e inghiottì l'intero contenuto del bicchiere in un sorso solo, prima di lasciarlo cadere a terra, dove andò in mille pezzi.
Sembrava proprio che fosse stato lo Spettro in persona a fare esplodere la nave. Da parte sua, William non era più molto colpito dalle sue gesta. Lo infastidivano, certo, ma non lo impressionavano nè lo facevano infuriare come le prime volte. Erano un po' come i rimproveri di Lord Cornwallis. A proposito di Lord Cornwallis, Tavington lo aveva visto aggirarsi per il ballo con aria losca: William era sicuro che lo stesse cercando per dirgli chissà che cosa, quindi lui aveva provveduto a sparire il più in fretta possibile dalla scena, rivolgendo solo un breve saluto a Bordon e augurandogli buona fortuna per la sua nuova conquista. Ora cavalcava verso Villa Honey, il freddo vento della sera che gli sferzava il viso, e il vestito da ballo ancora addosso. Era piuttosto spossato dalla serata, e impaziente di rivedere Karen.
Il semplice vederla e abbracciarla lo rendeva un uomo nuovo; lei era diventato un bisogno primario, per lui, come lui lo era per lei. Le cose erano molto più semplici, ora che il barone se n'era andato e potevano vedersi quando volevano. Tutto sembrava avere più senso, anche se l'assenza di Priska pesava ad entrambi, soprattutto a Karen, che era abituata ad averla sempre intorno.
Tavington cominciò a scorgere la villa in lontananza e il suo cuore si aprì un poco, cominciando già a rilassarsi e liberarsi di tutti gli eventi della giornata. Tra pochi minuti l'avrebbe rivista di nuovo… spronò il cavallo ad accelerare, fino a che non arrivò nel cortile della casa. Legò il suo destriero ad un albero e si tolse il caschetto. La villa era buia e silenziosa come sempre. Tavington si guardò intorno in cerca di Karen: di solito lei lo attendeva in giardino, per corrergli incontro nonappena arrivava. Ma quella sera non c'era.
Fa piuttosto freddo, si disse, cercando di non preoccuparsi. In effetti, anche se era maggio, la temperatura era rigida. Tra il giorno (durante il quale era molto caldo) e la notte c'era uno sbalzo enorme. Sì, probabilmente Karen aveva solo avuto freddo e lo stava aspettando dentro.
Raggiunse la porta d'ingresso con passo deciso e bussò una volta. Attese qualche secondo.
Nessuna risposta.
Tavington aggrottò la fronte e bussò ancora, più insistentemente, cercando di ignorare il battito del suo cuore che aumentava vertiginosamente.
Silenzio.
No, qualcosa non andava. Non doveva essere neppure la mezzanotte, era impossibile che la servitù fosse già a dormire… Tavington si chinò e prese con cautela il coltello che teneva nascosto nello stivale. Lo sfilò e lo tenne alto, mentre quello rifletteva i raggi lunari.
Cautamente, chiedendosi cosa diavolo fosse successo, appoggiò la mano guantata sulla maniglia e la abbassò. La porta si aprì cigolando sinistramente, senza opporre resistenza.
Tavington diede un'occhiata all'interno. Era molto buio, ma lo spiraglio di luce introdotto dalla porta aperta illuminò l'ingresso.
Sembrava tutto in ordine, ma Tavington non abbassò il coltello. Mosse qualche passo nell'atrio.
Non volava una mosca. C'era troppo silenzio.
-Karen- chiamò, quasi titubante.
Continuò ad avanzare, mentre solo il ticchettio del pendolo rispondeva al suo richiamo. Si diresse verso la cucina e vi entrò. Era esattamente come era l'ultima volta che l'aveva vista, non c'era nulla fuori posto.
Forse stava solo diventando paranoico. Ma tutta quella situazione non lo convinceva per niente. E poi, dov'erano i servitori? Tavington sapeva che stavano svegli fino a notte tarda, spolverando e pulendo la casa. E Karen?
Tavington si mosse prudentemente verso la stanza successiva. Trovò la porta aperta e mosse qualche passo tra gli eleganti divani che costituivano la mobilia.
Mio Dio, cos'è successo?
Il suo sguardo vagò sul pianoforte, anche lui silenzioso. Stava per andarsene quando scorse qualcosa sporgere da dietro il divano. Sembrava una mano. La mano di qualcuno che giaceva sdraiato per terra dietro il divano. Avanzò in quella direzione e sentì il cuore smettere di battergli nel petto quando vide a chi apparteneva quella mano.
Il coltello cadde a terra con un suono metallico.
Si accasciò al suolo così violentemente da battere le ginocchia sul pavimento.
Karen giaceva lì, inerte, abbandonata per terra.
Non si muoveva.
-Oh, Cristo- disse William, sollevandole la testa.
-Karen! Karen-
I suoi occhi non si aprirono.
Ti prego, dimmi che non sei morta, ti scongiuro… Karen, ti prego, non puoi farmi questo, non puoi lasciarmi solo…
Era talmente scioccato che per alcuni secondi l'idea di tastarle il polso per sentire se c'era battito non gli passò neppure per la testa. Appena gli venne in mente, le sollevò il braccio e posò due dita sulla vena che scorreva sotto la sua pelle. Avvertì un battito, e anche il suo stesso cuore ricominciò a funzionare.
Era viva, doveva solo essere svenuta. Dio, perché non si svegliava? La scosse delicatamente, ma sembrò inutile. Provò un po' più forte, ma i suoi occhi restarono chiusi.
Che cosa posso fare, che cosa posso fare…
-Karen svegliati! Sono io, William- le disse, prendendo la sua mano tra le sue.
Chi è stato? Chi ha fatto questo?
Non c'era altro modo. Doveva schiaffeggiarla. Ma no, non ci riusciva. E se le avesse fatto del male?
Devo risvegliarla, devo farlo…
Alzò la mano e la colpì prima su una guancia, quindi sull'altra, lottando contro le sue stesse forze. Ad un tratto, lei si mosse e lui smise immediatamente.
-Karen- le sussurrò, alzandole la testa ancora un poco -Karen, sono qui, tesoro. Non devi avere paura. Sono qui, adesso-
Lei aprì debolmente gli occhi e si guardò intorno come se non riuscisse bene a capire dove fosse. Il suo sguardo si fermò sul viso di William; aggrottò la fronte nel tentativo di riconoscerlo.
-William- mormorò, battendo le ciglia.
Lui annuì-Sì, Karen, sono io. Ce la fai ad alzarti-
Lei tentò di tirarsi a sedere, ma emise un gemito di dolore e Tavington la costrinse a riappoggiare la schiena per terra.
-D'accordo, ti prenderò in braccio io, và bene-
-Và bene- rispose lei.
William le passò una mano appena sotto le ginocchia, l'altra a metà schiena, e la sollevò, tirandosi in piedi. Lei gli circondò il collo con le braccia e lasciò che lui la trasportasse dall'altra parte del salotto, per posarla delicatamente su un divano.
Cercò alcuni cuscini e glieli mise sotto la testa, per fare in modo che stesse comoda. Quindi accese un paio di candele per illuminare la stanza e si inginocchiò vicino a lei.
-Come stai- le chiese.
Lei voltò lentamente la testa per guardarlo-Sto bene. E' tutto a posto-
Tavington, con preoccupazione crescente, vide un livido sul suo zigomo sinistro, ben visibile alla luce delle candele.
-Karen…- disse, sfiorandole la guancia con un dito -Chi ti ha fatto questo-
Karen si posò una mano sulla guancia e strinse gli occhi tastando l'ecchimosi.
-Non toccarlo- l'avvertì William, prendendole la mano e stringendola forte tra le sue -Chi è stato, Karen? Chi ti ha ridotto in questo stato-
Karen singhiozzò, mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime-Sono stati loro, William. Quelli che hanno rapito Priska. Sono venuti, e…- deglutì -Avevano delle pistole e… e dei fucili. Io ero qui, stavo suonando… loro sono arrivati da dietro e mi hanno puntato un… un coltello alla gola-
Tavington serrò i denti talmente forte che fu sul punto di spezzarseli.
-Mi hanno detto che… che avrei dovuto pagare un riscatto… parlavano di seimila scellini… hanno detto che avrei dovuto deporli davanti all'albero all'entrata di Pembroke, loro li avrebbero presi e… e non avrebbero ucciso Priska-
Karen singhiozzò più forte, e William le baciò la mano cercando di infonderle coraggio.
-Poi mi hanno… mi hanno buttata per terra e mi… mi hanno picchiata con i calci dei loro fucili… e a quel punto credo di essere svenuta-
Tavington chiuse gli occhi, cercando di non pensare a cosa avrebbero potuto farle quei figli di puttana. Strinse le labbra e fece un respiro profondo per trattenere la furiosa invettiva che gli si era affacciata sulle labbra. Non poteva dire di non essersi immaginato una cosa del genere, quando aveva trovato la villa così silenziosa, ma era stato comunque uno shock. No, i ribelli avevano appena acceso la miccia che avrebbe fatto esplodere la bomba proprio sulle loro teste. Dio, Karen… Karen…
Aprì gli occhi e vide che lei lo guardava con aria strana. Non poteva comportarsi così, doveva consolarla. Doveva tenere la situazione sotto controllo, come aveva sempre fatto.
-Non preoccuparti, io li troverò, Karen- le disse, senza riuscire a trattenere una gelida determinazione nella sua voce e nel suo tono -Li troverò e li ucciderò, per questo. E anche per aver rapito Priska. Ti giuro che verranno puniti-
Guardandolo, Karen non potè fare a meno di riprovare quella paura che lui le incuteva ogni volta che parlava così. Ancora una volta l'immagine di lui che uccideva delle persone si presentò alla sua mente, indesiderata.
-William- gli disse lei -E se fanno del male a Priska? Se non faccio in tempo a pagare il riscatto e…-
Tavington scosse la testa-Tu non pagherai il riscatto-
Lei lo guardò incredula-Cosa! Ma devo salvarla, non posso lasciarla morire…-
-Karen, ascoltami- disse lui dopo un sospiro -Loro la…-
Uccideranno ugualmente.
-… loro… non credo che la lascerebbero libera. Continuerebbero a tenerla e poi torneranno qui a chiedere altri soldi. Non puoi confidare in loro, credimi…-
-Ma non esiste altro modo- esclamò lei, infervorata -Cosa potresti fare, altrimenti-
Tavington la guardò riflettendo. Mille idee, una peggio dell'altra, si affacciavano nella sua mente. No, non riusciva a formulare dei pensieri decenti, ora. Era ottenebrato dall'odio. Prima il rapimento di Priska, ora questo… come cazzo si permettevano? Dio, quanto li avrebbe torturati, quanto avrebbero urlato, quanto lo avrebbero implorato di lasciarli morire, e lui avrebbe riso loro in faccia… Avevano superato ogni limite. Fare del male a Karen… e lui, il solito perdente, non era lì a proteggerla, a sparare a quei delinquenti e a difenderla…
-William, mi stai facendo male- disse lei con un filo di voce.
Tavington si accorse che le stava stringendo la mano convulsamente e allentò subito la presa.
Calmati, controllati… sei forte abbastanza da avere il controllo di te stesso…
-Scusa- le disse, avvicinandosi ancora a lei -Ma non riesco a pensare a cosa…-
Lei lo guardò profondamente e lui sentì la rabbia sfumare d'un tratto in quelle due perle ambrate che erano gli occhi di lei, luccicanti nella debole luce aranciata.
-Niente, lascia perdere- disse, guardandola spassionatamente. Come avevano osato sfiorarla? Come avevano potuto fare del male a quest'angelo -il suo angelo- che ora aveva gli occhi fissi su di lui e lo guardava con così tanto amore?
-Sto bene, William- ripetè lei, come se fosse perfettamente a conoscenza dei pensieri omicida che gli passavano per la mente -Davvero. Sono solo molto preoccupata per Priska. E se hanno picchiato anche lei? Se l'hanno già uccisa-
-Non devi neanche pensarlo- disse William in tono rassicurante -Andrà tutto bene. E poi, non hai detto che avrai un incontro con loro davanti a Pembroke? Quando loro verranno all'appuntamento, io li catturerò e li ucciderò-
-William- disse lei allarmata -Non puoi farlo! E se all'appuntamento ne viene solo uno di loro e gli altri, vedendo che il loro compagno è stato catturato, uccidono mia sorella? E' troppo rischioso-
Tavington rimase in silenzio, anche se era piuttosto infastidito dal fatto che lei l'avesse contraddetto. Ancora più fastidioso era che lei aveva assolutamente ragione. Era abituato a gente che annuivano in silenzio dopo ogni cosa che diceva, in fondo.
-Tu cosa vorresti fare- le chiese, di rimando.
Lei rispose senza esitazioni-Pagherò il riscatto. E' il modo più sicuro per venirne fuori-
-Karen, tu non capisci- William scosse la testa -Non hai mai avuto a che fare con questa gente! Sono dei poveri bastardi, Karen, e farebbero di tutto pur di mettere le mani su un mucchio di soldi… Lo sai cosa faranno? Ti faranno pagare il riscatto, e poi torneranno qui chiedendoti altro denaro! Non si accontenteranno finchè tu non sarai senza uno scellino e allora che succederà? Che succederà quando non avrai più soldi da dargli, eh? Uccideranno tua sorella, ecco cosa succederà! Non è questo il modo di agire-
Tavington avrebbe preferito non dirglielo così duramente. Ma lei doveva capire a cosa stava andando incontro.
-Cosa posso fare, allora- domandò lei.
-Non pagherai nessun riscatto- disse William con decisione -E tu e gli altri servi della casa abbandonerete Villa Honey e verrete a vivere a Fort Carolina fino a che questa faccenda non sarà risolta-
-Ma se non pago il riscatto, loro la uccideranno- protestò lei.
-Non ucciderebbero mai un ostaggio così vantaggioso- la rassicurò William, anche se non era molto sicuro di quello che diceva -E nel frattempo li lasceremo confusi. Probabilmente torneranno qui a cercarti, e non ti troveranno. Io piazzerò degli uomini che pattuglino questa zona giorno e notte, così appena i ribelli si presenteranno li avremo. E ti assicuro che, una volta catturati, con i miei metodi riuscirò ad estorcere le informazione che voglio sul luogo dove tengono tua sorella-
Karen si morse il labbro inferiore con aria dubbiosa-Sembra così rischioso…-
-Lo so- rispose lui -Ma tutto è rischioso quando si presentano fatti del genere- sospirò e si alzò in piedi -Voglio interrogare i servi sull'accaduto. Sai dove siano finiti-
Karen scosse la testa-In effetti, no. E' strano che non si siano fatti vivi… pensi che stiano dormendo-
-Ne dubito- rispose William, mentre un nuovo senso di allarme si risvegliava in lui. La servitù sarebbe già dovuta essere lì, dov'erano finiti tutti?
William si voltò verso il luogo in cui aveva trovato Karen e scorse il coltello un po' più in là. Corse a raccoglierlo e glielo porse.
Lei lo guardò con aria interrogativa.
-Prendilo- le disse, mettendoglielo in mano -Non siamo ancora sicuri che la casa sia vuota. Io vado a cercare i servi, tornerò tra un paio di minuti. Ma nel caso venisse qualcuno qui, Karen, voglio che lo usi senza esitazioni. Chiaro-
Lei annuì e lui le sorrise, prima di uscire dal salotto e andare in cerca dei servi.
Le informazioni di Karen sull'accaduto erano state anche troppo accurate considerando che l'aveva interrogata quando era appena rinvenuta da uno svenimento, tuttavia a Tavington sarebbe servito avere anche qualche altra versione. Dopotutto, Karen era ancora sotto shock e probabilmente non si ricordava neppure tutto. Decise che l'avrebbe interrogata il giorno dopo, magari, quando sarebbe stata meglio. Se voleva davvero essere a capo della situazione, doveva stare calmo e agire con metodo, senza dare di matto. La rabbia gli giocava dei brutti tiri, era anche peggio di quand'era ubriaco. Per questo doveva assolutamente mantenere la calma, a prescindere da quello che quei bastardi avevano fatto a Karen e -Dio solo lo sapeva- a sua sorella. Se Priska fosse effettivamente ancora viva, William non ne aveva idea, ma non aveva intenzione di mostrare a Karen il suo scetticismo al riguardo: non era sicuro che fosse morta, ma sicuramente non la stavano trattando bene, e in quel momento probabilmente la ragazzina stava soffrendo. Sentì lo stomaco stringersi al pensiero. Era inconcepibile, fare del male ad una ragazza così…
Arrivato nell'atrio, esitò, non sapendo quale via prendere. La villa era molto grande, e diversi corridoi si aprivano sia al piano terra che al piano superiore. Nei tre mesi che aveva passato con Karen non aveva mai avuto modo di esplorarli tutti, anzi, non ne conosceva molto bene nessuno. Sapeva dove si trovavano le stanze di Karen e di Priska (anche se ancora quella di Karen, in effetti, non l'aveva mai vista), lo studio del barone, il salotto, la cucina, la stanza guardaroba e aveva anche una vaga idea di dove fossero situati gli appartamenti della servitù, avendo visto più volte visto i servitori sparire in un corridoio alla sinistra del sottoscala. Decise di iniziare la sua ricerca da lì, visto che era la locazione più probabile nella quale potessero trovarsi. Dal momento che era disarmato, decise di avanzare prudentemente, ma dopo qualche passo tornò a camminare normalmente. Decisamente, la prudenza non faceva per lui. Dopotutto la casa era molto silenziosa, e non aveva senso che i ribelli se ne stessero lì, acquattati in un angolo buio per spuntare fuori e coglierlo di sorpresa. Avevano fatto quello che erano venuti a fare -picchiare e minacciare la mia Karen, brutti figli di puttana- quindi William dubitava che fossero ancora nella villa. Ma se qualcuno doveva avere un coltello per difendersi, meglio Karen che lui.
William si avviò da solo nell'oscurità. Trovò un corridoio, celato dietro una porta socchiusa. Avanzò lentamente, i suoi passi che risuonavano sul legno con ritmo costante. Trovò una porta alla sua destra, e la aprì. Quella cigolò e William diede un'occhiata alla stanza immersa nel buio, solo per trovarla vuota e senza segni di lotta. Passò a quella successiva, una camera da letto, anch'essa vuota e in ordine, dalla quale Tavington attinse una candela che accese con un fiammifero trovato lì accanto. Tendendo la candela in una mano, Tavington uscì dalla camera e si avviò verso l'ultima porta. Questa, diversamente dalle altre, era socchiusa. William allungò la mano libera e spinse la porta. Quello che gli si parò davanti lo fece imprecare a bassa voce.
Una decina di cadaveri, i resti dei servitori della villa, erano accostati l'uno accanto all'altro, seduti contro il muro. Alcuni avevano gli occhi chiusi, altri le bocche e le pupille spalancate in espressioni di terrore. Il pavimento e i muri erano cosparsi di sangue, e ai piedi dei cadaveri si stava formando una specie di pozza rosso scuro. Tavington mosse qualche passo avanti e studiò i corpi, tenendo alta la luce della candela. Puttana, ognuno di loro doveva essere stato colpito almeno una dozzina di volte… Sarebbe bastato un colpo ad ucciderli, ma invece no, no, era necessario squartarli… Brutti stronzi, si erano proprio divertiti. Si guardò intorno cercando di scorgere qualche traccia degli aggressori, ma non ne trovò. Si sentiva come osservato, spiato da quei macabri spettatori. Individuò Sendy nel gruppo di morti: aveva gli occhi chiusi e la testa appoggiata alla parete. Qualcuno doveva avergliela sbattuta contro il muro, perché un rivolo di sangue scendeva dai suoi lunghi capelli castano scuro verso il pavimento, tracciando un'inquietante linea rossa sulla parete. Se si ascoltava con attenzione era possibile sentire lo sgocciolio del sangue sul legno un tempo immacolato. Sicuro che non ci fosse niente di utile, Tavington uscì dalla stanza, percorse il corridoio e tornò da Karen.
-Allora- gli chiese lei a bruciapelo, nonappena lo vide rientrare.
Tavington non rispose subito e si fece restituire il coltello. Quindi sospirò e le disse:
-Tu non hai sentito proprio niente-
Lei lo guardò confusa-No, te l'ho detto, stavo suonando quando sono arrivati. Ma cosa è successo? Dove sono i servi-
-Sono morti- tagliò corto lui.
-Morti- Karen era sconvolta -Tutti-
-Sì- rispose lui.
-Ne sei sicuro-
-Sì- disse William, con una sicurezza tale da dirle che comunque fossero morti i servitori, doveva essere stata una morte terribile.
-Posso vederli- chiese, esitante.
Lui scosse la testa-No. Ti devo portare immediatamente a Fort Carolina-
Karen sembrò dimenticare per un attimo la questione dei servi-Fort Carolina? Credevo che stessi a Camden-
-Infatti- rispose lui -Ma Camden non è un posto adatto a te. Fort Carolina è dove alloggia il Generale Cornwallis, hanno moltissimi appartamenti liberi, non ci sono soldati in giro e hanno anche un'infermeria. Devo portarti subito da un medico-
-Sto bene- ribattè lei -Mi gira solo un po' la testa. Ma… cosa ti fa pensare che Fort Carolina sia più sicuro di questa villa-
Tavington emise un piccolo sbuffo ironico-Ora come ora, qualunque luogo è di gran lunga più sicuro di questa villa. Credi davvero che ti lascerò qui da sola? Senza servi, senza nessuno che ti protegga dal ritorno di quei pazzi? Spiacente, tesoro-
-Ma perché non posso venire a Camden-
-Primo: non è assolutamente un luogo da donne…-
-Ma ho visto delle donne, quando sono venuta a trovarti! Perché loro possono starci e io no-
Tavington alzò gli occhi al cielo. Quelle puttane, sempre tra i piedi dovevano capitargli. Decise di prenderla in braccio senza rispondere più a nessuna domanda.
-Ehi, mettimi giù- disse lei, dibattendosi inutilmente, mentre lui la portava all'esterno.
-Stai ferma- le disse William, caricandola sul suo cavallo -Ora andiamo a Fort Carolina, d'accordo? Una volta lì andrai da un dottore e ti prenderai un appartamento-
-William, io voglio stare con te- gli disse Karen, mentre lui saliva dietro di lei e prendeva in mano le redini.
Tavington sorrise nel sentire quelle parole.
-Lo so, tesoro- le sussurrò lui all'orecchio -Ma a Camden non c'è spazio per te, e io devo rimanere lì, con i miei uomini. A Fort Carolina starai benissimo-
William spronò il cavallo e partirono, alla volta delle colline.
Lei si sentiva confortata dal sentire il suo forte petto contro la sua schiena, le sue braccia ai lati del corpo, il mento di lui che le sfiorava la testa. Si sentiva meravigliosamente al sicuro, e nonostante il vento freddo le scorresse nei capelli, si sentiva riscaldata da lui. Era così rassicurante che dimenticò tutti gli eventi di quella sera in un lampo, semplicemente stando lì, tra le sue braccia.
Tavington sentiva il profumo di lei salirgli fino alle narici, inebriandolo. Ogni tanto gli arrivavano alcuni suoi capelli sul viso e sorrideva. Lei era straordinaria, come poteva avere un tale effetto su di lui? D'un tratto realizzò che non erano mai stati così vicini. A lui piaceva sentire il corpo di lei aderire al suo. Non potè fare a meno di eccitarsi.
-E' molto lontano- chiese Karen dopo alcuni minuti.
Lui si scosse da una profonda fantasia e le disse-Sì. Puoi dormire, se vuoi-
-Non ho sonno- ribattè lei.
Nel giro di dieci minuti era caduta addormentata, e Tavington sorrise nonappena se ne accorse. Le cinse la vita con un braccio per evitare che cadesse, quindi incitò il cavallo ad aumentare l'andatura, mentre la notte s'infittiva intorno a loro e Fort Carolina ancora non si vedeva neppure all'orizzonte.
-Signora Haliday-
William bussò insistentemente alla porta e ben presto Helen Haliday aprì la porta con indosso la vestaglia sopra la camicia da notte e un'espressione molto assonnata in viso.
-Colonnello Tavington, avete idea di che ore siano- gracchiò quella -Vi sembra decoroso venire nell'ala del forte riservata alla donne nel bel mezzo della notte-
-Perdonatemi, Mrs Haliday- si scusò lui pazientemente. Indicò Karen e disse-Ma sono venuto da voi per chiedervi se gentilmente potreste trovare una stanza libera per la signorina Honey, qui-
La signora Haliday fissò con sguardo annebbiato Karen, che le sorrise timidamente in risposta.
-E chi è costei-
-Mi chiamo Karen Honey- rispose lei cordialmente -E il Colonnello Tavington mi ha appena salvata da una situazione molto pericolosa. Ha pensato che sarebbe stato molto più sicuro per me venire qui, piuttosto che stare dove stavo prima. Sarà solo una cosa temporanea-
Lanciò uno sguardo a William, come per chiedergli se sarebbe stata davvero una cosa temporanea. Lui annuì, prima di dire:
-Voi siete la responsabile delle stanze, qui. Mostratene una libera a Miss Honey e poi potrete tornarvene a dormire-
-Se la mettete così, colonnello…- borbottò quella, prima di condurli verso il fondo del corridoio.
Tavington e Karen si affrettarono a seguirla.
-Ma vi avverto, colonnello… Non voglio fatti strani o indecenti, nel mio corridoio. Non provate a venire a trovarla di notte o cose del genere, che queste cose proprio non mi garbano…-
-Non preoccupatevi, signora Haliday- rispose Tavington, alzando gli occhi al cielo.
-Perché io non so se devo fidarmi dei giovani di oggi… Hanno tutti le loro storie, e anche voi, cara Miss Honey, dovreste proprio fare attenzione ad imbattervi in gente come…-
Tavington prese la signora Haliday per un polso e la fermò, guardandola negli occhi-Ora osate troppo, Mrs Haliday- disse a voce bassa -Limitatevi a mostrarle la sua camera, e lasciate i pettegolezzi per vostro marito-
-Come volete- rispose quella, e continuò a condurli attraverso il corridoio borbottando tra sé e sé.
William si voltò verso Karen, le sorrise e le prese la mano.
-Starai benissimo qui, te l'assicuro- le disse.
-Mi verrai a trovare- domandò lei.
Tavington avrebbe scommesso che la signora Haliday, qualche passo più avanti, avesse drizzato le orecchie.
-Non di notte- disse con un ghigno, mentre Karen abbassava lo sguardo e stringeva le labbra per non ridacchiare.
Finalmente giunsero ad una delle ultime porte del corridoio. La signora Haliday tirò fuori da una tasca della vestaglia un pesante mazzo di chiavi arrugginite, ne scelse una e la infilò nella serratura, che si aprì con un piccolo scatto. Ripose le chiavi nelle tasche e si fece da parte per lasciarli passare.
-Questa era la stanza della vedova Mapp. Si è tolta la vita con un pugnale qualche giorno fa, ma credo che i servi abbiano cambiato le lenzuola da allora… erano tutte coperte di sangue, un vero scandalo. E poi nessuno sa la vera ragione per cui quella povera peccatrice si sia uccisa, giravano voci davvero indecorose su una sua relazione clandestina con un americano, un certo…-
-Grazie, Mrs Haliday- la interruppe Tavington bruscamente -Vi auguro la buonanotte-
-Arrivederci- la salutò Karen, con un sorriso.
La signora Haliday li guardò con aria dubbiosa, come se esitasse a lasciarli da soli, ma alla fine tornò sui suoi passi e sparì nel corridoio.
Tavington entrò nella stanza e accese tutte le candele per illuminarla al meglio, quindi si voltò verso Karen. La ragazza era entrata e si stava guardando in giro.
-E' una bella stanza- commentò, sedendosi sul letto -Per quanto dovrò restarci-
-Fino a quando non sarà tutto finito- rispose Tavington, risoluto -Ora vado a chiamare un dottore, te la senti di…-
-No, William, non ce n'è bisogno, davvero- rispose lei -Devo solo riposare un po'. Domattina starò benissimo-
Lui le si avvicinò e si inginocchiò per essere alla sua stessa altezza-Ne sei sicura-
Lei annuì, si piegò in avanti e lo baciò con semplice e pura passione. Tavington l'abbracciò e fece incontrare la sua lingua con la sua. Karen si strinse a lui, in cerca di protezione. Lui le posò una mano sulla schiena e l'accarezzò. Lei staccò le labbra da quelle di lui e lo guardò negli occhi-Sei molto stanco-
-Ho avuto una serata pesante- rispose lui. Il livido sulla guancia di lei era ancora ben visibile, e William immaginò che non sarebbe sparito molto facilmente. La rabbia, immancabile, ritornò in lui mentre davanti ai suoi occhi balenava l'immagine dei dieci cadaveri dei servi.
-Ti conviene andare a dormire- sussurrò lei -Vieni a trovarmi, domani, ti prego-
-Verrò- promise lui, prima di baciarla di nuovo.
Pochi minuti dopo si separarono, e Tavington riprese il suo cavallo per tornare a Camden, la mente colma di preoccupazione e collera per tutto quello che era successo.
William si rigirò nel letto, inquieto. I pettirossi già cinguettavano all'esterno della sua finestra, segno inconfutabile che il sole era già sorto e un nuovo giorno stava per iniziare. Era tornato a Camden solo qualche ora prima, ma non era riuscito a chiudere occhio nemmeno per un attimo, nonostante la stanchezza accumulata in una notte così ricca di avvenimenti. Probabilmente poteva concedersi ancora un'ora di riposo, ma non aveva intenzione di sfruttarla. Doveva riflettere, mettere da parte la rabbia che gli faceva tremare le mani, e comportarsi come una persona razionale, a dispetto delle circostanze.
La faccenda di Priska doveva essere risolta al più presto possibile: mai come ora era stato importante che lui trovasse la ragazzina. I rapitori, alla fine, si erano fatti vivi; in modo crudele e esagerato, e -Dio, quanto gli rodeva ammetterlo- assolutamente inaspettato. Avevano rapito Priska, avevano minacciato e picchiato Karen, avevano richiesto un riscatto… ed ora avevano anche la vita di Priska nelle loro mani.
E c'era anche un'altra cosa…
William aveva cercato con tutte le sue forze di liquidare la questione, facendo ricorso a tutta la sua razionalità, ma era impossibile. Il sogno che aveva avuto tre mesi prima era ancora impresso nella sua mente, ogni immagine vivida come un segno di fuoco… e altrettanto dolorosa e guizzante. Sua madre gli aveva detto "salvala". Lui si era domandato a chi si riferisse, ma ora che lo capiva non voleva credere… Secondo quanto diceva il sogno, se lui non l'avesse salvata, sarebbe rimasto ucciso nella battaglia che aveva visto. Ammettendo che tutto fosse vero, che sua madre fosse realmente tornata dal mondo dei morti per portargli quel messaggio, William doveva salvare Priska a tutti costi. Non ne andava solo della vita della povera fanciulla, ma anche della sua. Non che William temesse la morte: essendo un soldato da vent'anni, ci aveva convissuto talmente tanto da non trovarla più una prospettiva tanto terrificante… Non era religioso, o meglio, nonostante fosse stato educato nei primi anni d'infanzia a seguire la religione cattolica, non si poteva certo dire che la praticasse granchè, ora. Si era completamente dimenticato cose come i Dieci Comandamenti, passi della Bibbia, preghiere e cantilene in latino, non era mai entrato in un confessionale, nè aveva mai assaggiato ciò che i fedeli chiamavano "il corpo di Cristo"… tuttavia era inevitabile che ogni tanto si ponesse domande su cosa veramente lo stesse aspettando, lassù… Non sapeva bene se credere o no in un Paradiso, in un Inferno o in un Purgatorio, ma aveva una vaga idea di dove sarebbe finito, se esistevano veramente… Quindi doveva cercare di sopravvivere fino alla fine della sua vita, doveva viverla al meglio e fare in modo che durasse il più possibile… Il che significava, ovviamente, dividere i suoi prossimi anni con Karen. Non c'era vita senza di lei.
Ma voleva salvare Priska. Non solo voleva, ma doveva. Per la salvezza della ragazzina e per la sua stessa sopravvivenza. Sua madre non lo sarebbe venuto a prendere così presto, se lui l'avesse salvata.
Non importava se fosse stata un'invenzione della sue mente o un reale contatto con sua madre, tutto quello che importava era che doveva salvare Priska. Non riusciva ad immaginarla nelle mani di quei ribelli… Dio, chissà come stava male, chissà cosa le stavano facendo…
-Quando… quando mi riporterete a casa-
L'uomo le inclinò la scodella sulle labbra, per fare in modo che l'acqua le andasse in gola. Priska tossì e inclinò la testa in avanti, mentre l'acqua le inumidiva il vestito.
-Stai zitta, brutta puttana- urlò l'uomo in tono rude -A casa non ti riportiamo più. Morirai qui, quindi rassegnati a non vedere più la tua cara sorellina, razza di puttana inglese-
Priska continuò a tossire e abbassò lo sguardo.
Tanti giorni erano passati da quando quegli uomini l'avevano rapita. Non sapeva quanto tempo era che non vedeva casa sua, sua sorella, suo padre… il Colonnello Tavington. Sapeva solo che le mancavano tutti moltissimo. Ma forse lei non mancava a loro. Lei sperava che fosse così. Non voleva pensare a Karen che piangeva, anzi, evocava con gioia l'immagine di lei che suonava al pianoforte con quel sorriso sognante ancora intatto… Poi vedeva se stessa aprire la porta e trovarsi di fronte al Colonnello Tavington, che le porgeva dei fiori, delle magnifiche rose morbide e profumate…
Non poteva aspettare di vederlo ancora, le mancava tantissimo, almeno quanto Karen. Ma se era vero quello che le aveva detto quell'uomo, che lei sarebbe morta lì, allora… Allora era stata una stupida. Avrebbe dovuto dire al colonnello cosa provava per lui, prima di morire. Sapeva che lui non avrebbe mai ricambiato i suoi sentimenti: il colonnello amava Karen, era evidente, e Priska non ne era turbata. Nelle lunghe ore di buio e di silenzio trascorse in quello stanzino angusto in cui l'avevano rinchiusa, Priska era riuscita ad accettare tutto. Sperava con tutto il cuore che la vita le desse un'ultima possibilità; sperava di poter dire al colonnello la verità, cioè che lei lo amava. Le sue guance arrossivano ancora se pensava a lui, e, Dio solo lo sapeva, non c'era mai stato uomo che avesse pensato tanto. Era bellissimo, gentile e galante… Con un fascino irresistibile, con due occhi brillanti e furbi… Karen era molto fortunata. Lui l'amava tantissimo, e il suo sguardo, Priska lo sapeva troppo bene, non si sarebbe mai posato sulla piccola, insignificante sorellina minore, Priska Honey. Così se n'era fatta una ragione, e sperava che Karen avrebbe vissuto con il colonnello la vita che avrebbe tanto voluto condividere lei stessa con lui. Karen se lo meritava, era sempre stata la migliore sorella maggiore che si potesse desiderare… Priska voleva rivedere Karen e il colonnello più di ogni altra persona. Anche suo padre le mancava molto, ma quando pensava a lui non riusciva ad evocare un momento specifico nel quale lui le avesse mostrato particolare affetto, quindi era difficile per lei risollevarsi di morale pensando a lui… Ma avrebbe pianto di gioia nel rivederlo, perché sapeva che lui le voleva tantissimo bene…
Ma li rivedrai, Pri, le disse una voce, Li rivedrai tutti quanti. Il Colonnello Tavington ti farà arrossire ancora una volta, Karen ti insegnerò tutti i segreti della sua musica e tuo padre ti stringerà forte al suo petto e ti dirà che ti vuole bene… finirà tutto per il meglio, vedrai.
Priska alzò lo sguardo verso l'uomo di fronte a lei, che si era rialzato in piedi e camminava verso l'unica porta della stanza. La aprì, l'oltrepassò, e la richiuse alle sue spalle, ricompattando la totale oscurità che avvolgeva Priska.
Ma lei ormai ci aveva fatto l'abitudine. Come sempre, quando rimaneva da sola, pensava ai suoi cari… Le sua labbra si piegavano in un sorriso quando ricordava il suo primo incontro con il colonnello… Lei in camicia da notte, lui nell'ingresso insieme a Karen… Le era sembrato così… virile. L'uomo che aveva sempre sognato era improvvisamente piombato nella sua casa, e lei poteva parlargli, lui le aveva baciato la mano, le aveva regalato dei fiori e le aveva fatto gli auguri, le aveva confessato il suo piano di rubare il vestito da sposa, l'aveva resa sua complice nel furto… e le aveva sorriso. Il suo sorriso era meraviglioso, balenava ancora davanti a lei, come se l'avesse visto proprio un momento prima. E le melodie di Karen, sì, ricordava anche quelle… stupende, invece che riempirla di invidia per la sorella, cancellavano da lei qualunque sentimento oscuro, scioglievano ogni timore e risolvevano ogni dubbio… Erano fantastiche. E com'era bello andare in camera di Karen e parlare con lei fino a notte fonda, osservare le stelle dalla finestra e cercare di ricordare i loro nomi, parlare di loro madre e domandarsi se era lì con loro, in quel momento. C'erano tante persone con cui voleva parlare, c'erano tante cose che voleva rivedere prima di morire…
Ma il Colonnello Tavington la stava cercando, e ben presto l'avrebbe trovata. Sarebbe stata salvata da lui, e lui sarebbe stato, almeno per un attimo, il suo cavaliere…
Non era pronta per morire, non ancora. Aveva troppe cose da fare, troppe persone da salutare. Non l'avrebbero lasciata lì a morire, ben presto l'avrebbero salvata.
Nonostante tutto, una lacrima rotolò sulla sua guancia mentre tornava a fissare l'oscurità.
-Colonnello Tavington-
Questa volta, la voce che lo aveva svegliato non era stata la solita ansiosa, preoccupata e frettolosa, ma una bassa e con un tono di gravità, il che lo fece subito aprire gli occhi e alzarsi a sedere.
Si stropicciò le palpebre in un gesto stressato: gli uccellini cantavano a squarciagola, segno che il sole era già sorto da tempo. Incredibile ma vero, era veramente riuscito ad addormentarsi. Quanto aveva dormito? Mezz'ora? Tre quarti d'ora al massimo. Era come se avesse appena appoggiato la testa sul cuscino.
Cercò i suoi pantaloni e li indossò velocemente, quindi spalancò la porta per trovarsi di fronte ad un Bordon molto pallido e teso.
-Maggiore- disse William, la voce ancora impastata dal sonno ma il portamento estremamente lucido.
-Signore, appena siete pronto dovreste seguirmi- disse Bordon in tono piatto.
-Cos'è successo-
Bordon esitò-Dei… ehm… disordini. Preferirei che veniste a controllare voi stesso-
-Arrivo- rispose Tavington di rimando.
Si chiuse in camera per cinque minuti, e ne uscì perfettamente in ordine e vestito di tutto punto. Seguì il maggiore, che lo condusse per l'atrio deserto e all'esterno, nel cortile.
Era una giornata nuvolosa, ma dalla temperatura piacevole: il vento era molto forte e frizzante, e alzava qualche granello di sabbia dal terreno ad ogni suo alito.
Bordon e Tavington attraversarono il cortile per dirigersi verso la stalla. Molti Dragoni erano raggruppati lì intorno, e si fecero da parte all'ingresso del colonnello. La prima cosa che lo colpì, non furono tanto le espressioni di terrore stampate sui volti delle reclute, quanto un potente maleodore che lo spinse a tossire nonappena mise piede nella stalla. Odore di morte.
Tavington si coprì la bocca con una mano e mosse qualche passo avanti, fino ad arrivare al punto intorno al quale erano radunati tutti i Dragoni. Quando vide la causa di quel tanfo, la nausea gli risalì la laringe, disgustandolo. Chiuse per un attimo gli occhi, quindi li riaprì per riesaminare la scena con attenzione.
Gram, lo schiavo della stalla, giaceva per terra. Era riconoscibile solo per i lunghi capelli neri e la pelle scura, altrimenti Tavington avrebbe dubitato che persino la madre del ragazzo sarebbe riuscita a riconoscerlo. I suoi occhi erano stati asportati, lasciando al loro posto due cavità sanguinolente e scure, gocciolanti; il suo petto era stato squartato, gli organi interni sezionati e messi in mostra dal tessuto mancante. Un nugolo di mosche ronzanti stava banchettando con le sue interiora, muovendosi tra i brandelli di polmoni con movimenti formicolanti. L'intestino del ragazzo giaceva… giaceva per metà fuori, appoggiato sulle cosce, e per metà dentro, attaccato al resto del corpo solo da qualche lembo di carne. Le braccia erano state amputate, e abbandonate qualche metro più in là. Da entrambe le spalle sgusciava la clavicola, giallastra, lucida di sangue e scheggiata ad un'estremità… Non era stato un colpo secco, ma diversi colpi lenti e calcolati a staccargli gli arti… Tavington, troppo preso a cercare nuovi, terrificanti particolari in quello scempio che solo il giorno prima era un giovane schiavo vivo e vegeto, impiegò qualche secondo ad accorgersi del messaggio. Quando alzò lo sguardo, incontrò ciò che gli assassini avevano lasciato.
Sulla parete della stalla, a lettere sanguinanti, c'era scritto:
"Dragoni, preparatevi a fare la sua stessa fine. L'Inferno è riservato a voi".
Il terrore sgusciava intorno alle reclute più giovani, Tavington poteva sentirlo.
Alzò un sopracciglio con aria scettica. Nel silenzio, qualcuno uscì velocemente dalla stalla. Anche senza vederlo, Tavington era convinto di sapere chi fosse. Tutti i suoi uomini lo stavano fissando, in attesa della sua reazione.
-Che tre di voi si occupino di ripulire. Chiamate altri schiavi per sostituire lo stalliere, e per sellare i nostri cavalli. Partiremo di qui tra mezz'ora. Tutti gli altri escano dalla stalla e si preparino alla partenza-
Tutti i soldati obbedirono ed uscirono di gran fretta dal piccolo edificio, desiderosi di allontanarsi da quella visione al più presto. Anche Tavington uscì, e appena mosse qualche passo all'esterno udì un suono di conati proveniente dal retro della stalla. Intravide Wilkins vomitare senza pietà in un piccolo spazio erboso vicino alla staccionata.
Per una volta, Tavington passò avanti senza dirgli nulla.
