The Knight
Immobile. Fredda. In una posa così innaturale da sembrare una bambola rotta gettata via.
E invece, era lei.
L'aveva osservata alzarsi, camminare barcollando come un'ubriaca, avvicinarsi a Seifer e abbracciarlo, lo aveva visto allontanarsi e poi lei era caduta, immobile, fredda, innaturale, rotta.
Quistis era accanto a lei, ma lui vedeva solo macchie di colore che si muovevano e sembravano rivolgersi a lui, si avvicinava senza accorgersene e si chinava accanto alla bambola rotta per scoprire che era davvero Rinoa.
E la scuoteva piano, osservando il viso pallido e le labbra serrate e immobili, gli occhi chiusi che avrebbero dovuto aprirsi, e la scuoteva più forte, pieno di una disperazione che non sapeva neppure riconoscere.
Dietro di lui voci concitate lo avvisavano di un pericolo di cui non sapeva nulla; allontanarsi, sì, dovevano tornare a casa, portare Rinoa a casa e là si sarebbe svegliata...
Le fece passare un braccio intorno alle spalle e l'altro sotto alle ginocchia, sollevandola delicatamente come per paura di romperla ancora di più; Selphie gli si avvicinò, sistemandole la testa contro il suo petto.
Non l'aveva mai tenuta così vicino a sé.
Ed era così ironico che lei non potesse vederlo nel primo gesto di tenerezza che le riservava, dopo settimane di parole dure e litigi aspri...
Camminava lento, trovandosi a sussurrare parole rassicuranti alla ragazza che gli dormiva in braccio e che lui stava portando a casa, come una sposa...lui, sicurezza, un connubio su cui non avrebbe mai scommesso nulla, lui era così incredibilmente insicuro che non poteva darle qualcosa di più che le sue certezze fasulle.
Lui non sapeva nulla di quello che stava succedendo.
Sentiva l'aria calda di Centra che gli colpiva il viso, un contrasto improvviso che non riuscì a distrarlo; a casa, stiamo andando a casa, fatti forza, vedrai che andrà tutto bene...
...e lei dormiva, pacificamente, appoggiata alla sua spalla.
Non gli era sembrato un tragitto tanto lungo, eppure sembrava non terminare mai e all'improvviso erano lì, prima di quanto credesse, deponeva Rinoa sul lettino dell'infermeria, la osservava mentre la dottoressa la visitava, e poi all'improvviso la vedeva agitarsi, come se fosse colpita da qualcosa, come se fosse attraversata da un dolore indicibile, e loro cercavano di fermarla, cercavano di calmarla, ma non trovavano nessun medicinale che potesse funzionare, e lei apriva la bocca, sembrava voler urlare ma non usciva nessun suono, Hyne, voleva risentire quella voce, e invece aveva solo la sua bocca spalancata in un urlo orribilmente silenzioso, e non potevano tenerla ferma, si divincolava, si muoveva, si contorceva in un dolore sconosciuto e ripetuto all'infinito, di nuovo, di nuovo, di nuovo, e lui era impotente, non poteva aiutarla, aiutami..., non poteva salvarla, salvami!, poteva solo guardare gli occhi chiusi e vederla attraversata da mille dolori che non poteva lenire, proprio lui che aveva curato le sue ferite così tante volte, che l'aveva salvata da così tanti nemici e pericoli, doveva guardarla soffrire senza poter fare nulla.
Rinoa, torna da me, aiutami...salvami...
Si era placata, finalmente.
Dopo averlo riempito di frustrazione per la sua incapacità di salvarla, stavolta, si era placata e aveva continuato il sonno placido che aveva iniziato tra le sue braccia.
Ed era lì ancora, ferma, immobile, viva certo...ma così poco Rinoa, che non riusciva nemmeno a credere che potesse essere vero.
Tre giorni spesi accanto al suo letto, nell'attesa che lei aprisse gli occhi e gli sorridesse il sorriso che adorava, e che la sua voce risuonasse di nuovo nelle sue orecchie. E invece lei era rimasta lì, Rinoa, sei così fredda..., a nulla erano valse le sue premure, le sue carezze timide, le sue promesse fatte sottovoce perché solo lei potesse sentirle.
Era rimasta immobile quando le aveva rimboccato le coperte e le aveva dato la prima buonanotte della sua vita.
Era rimasta immobile quando aveva lasciato scorrere la mano lungo il suo viso, nella prima carezza dopo anni di isolamento.
Era rimasta immobile quando aveva promesso sottovoce che le avrebbe parlato, nel primo pensiero per un'altra persona dopo anni di solitudine.
Voglio risentire la tua voce...
"Parlami!", ordinò pieno di rabbia disperata. Ma le sue labbra rimanevano serrate, il viso disteso nel sonno pacifico che si era guadagnata dopo interminabili minuti di dolore lancinante. Davvero erano stati solo minuti? Gli erano sembrate ore...
E' come parlare ad un muro.
La stessa cosa che aveva detto di fare a Quistis, poche settimane prima, si ritorceva contro di lui nel modo più doloroso possibile.
Era l'unica persona che fosse riuscito a smuoverlo, con quella voce che ora non emetteva e con parole che ora voleva disperatamente, Rinoa, e adesso era silenziosa e fredda in una maniera così insopportabile...
Succedeva tutto così rapidamente, Edea, gli altri, Irvine che lo trascinava in mensa perché mangiasse e potesse essere davvero sveglio quando lei avrebbe aperto gli occhi, e le idee, mille confuse e inattuabili idee che gli si accavallavano in testa, non capiva più nulla e l'unica cosa che voleva era Rinoa, la voce di Rinoa, il sorriso di Rinoa, la compagnia di Rinoa, gli sguardi che lo facevano sentire calmo, tranquillo, in pace con se stesso anche nel mezzo della battaglia più cruenta.
Rinoa, parlami, voglio risentire la tua voce...
E poi il dolore lancinante della nostalgia, le prendeva una mano e se la portava al viso, strofinava la sua guancia contro il suo gelo alla ricerca di una carezza di cui aveva così disperato bisogno, e sperava di nuovo, sperava sempre, che lei si svegliasse, e lo vedesse, che la mano gelida divenisse calda e confortante e che la voce che desiderava invocasse il suo nome.
E invece no, era condannato alla stessa cosa che aveva riservato agli altri per anni, silenzio, indifferenza, gelo.
Lui pregava, e lei dormiva.
Lui si infuriava, e lei dormiva.
Lui andava e tornava da quel capezzale, e lei dormiva.
Dormiva, dormiva, dormiva e lui era impotente, fragile e pazzo, non aveva nulla da darle se non quella sua improvvisa e irresponsabile follia, Esthar, come potevano arrivarci? Oltre non potevano andare, erano fermi a FH e non sapevano come oltrepassare il ponte, il ponte che poteva portarli ad Esthar e invece li bloccava, e uccideva le sue speranze, e lasciava che Rinoa dormisse ancora.
E poi la folle, folle idea di caricarsela sulla schiena e andarci a piedi, ad Esthar.
Andiamo a cercare Ellione, lei ti salverà...
Ellione ti riporterà da me...
Ellione ci riporterà insieme...
Era folle, e lui lo sapeva più di tutti. Mentre camminava nel silenzioso Garden di Balamb con Rinoa abbandonata contro di lui, sapeva che era folle eppure non c'era nessun altro modo per salvarla.
Ellione era ad Esthar.
Il Garden non poteva arrivare ad Esthar.
Si poteva arrivarci solo camminando, da FH, lungo il vecchio ponte della ferrovia, e lui ci stava andando, con Rinoa sulle spalle, senza rendersi quasi conto di cosa stesse facendo, mi dispiace...ma non posso continuare così..., e usciva, osservava la strada che aveva davanti e sentiva di esserci stato costretto, tutto, fin dall'inizio, era sembrato tendere a questo momento, il momento in cui si sarebbe finalmente arreso, avrebbe ceduto sotto il peso delle sue tanto soppresse emozioni e spezzato, distrutto e impazzito, avrebbe preso Rinoa sulle spalle per portarla ad Esthar e risentire la sua voce.
"E' un po' lontano, ma...ma ce la faremo."
Se ne accorse solo dopo, ce la faremo. Insieme, ce l'avrebbero fatta. Lei non poteva combattere sola, quante volte lo aveva detto? Era lui, se combatteva al suo fianco, a darle forza. E lui...lui oramai dipendeva da lei come un bambino, aveva bisogno di vederla, di sentirla parlare, di sentirsi tranquillizzare dai suoi occhi e dal suo sorriso.
Lui oramai era già innamorato.
E sapeva che insieme, ce l'avrebbero fatta, perché insieme erano invincibili. Perché erano forti, ma insieme lo erano ancora di più.
E lui aveva ancora così bisogno di quella forza, di quel senso di calma e agitazione, di quell'onnipotenza e senso di impotenza, aveva ancora così bisogno di tutte quelle contraddizioni in cui si sentiva così perfettamente a suo agio, che avrebbe attraversato il ponte da solo, con la sola compagnia di una ragazza che dormiva.
Era forte. Ce l'avrebbe fatta.
Erano forti, e insieme ce l'avrebbero fatta.
Non pensavo fosse così lontano...ma cosa sto facendo? Vado ad Esthar...trovo Ellione, le parlo...ma non è detto che tutto possa risolversi. Eppure...
Eppure, io...
...sono davvero cambiato...
Il mare era così invitante, blu e arancio come il cielo al tramonto. Da quanto tempo non guardava il sole tramontare? Da quanto tempo dava per scontato che il sole sarebbe sorto e tramontato e lui avrebbe avuto la possibilità di vederlo?
Forse anche Rinoa aveva creduto di poterlo vedere e invece era ferma e immobile, non poteva aprire gli occhi e quel tramonto così magicamente marino non lo poteva vedere.
Insieme ce l'avrebbero fatta...e perché non potevano anche vedere insieme quel tramonto, anche se lei dormiva?
La posò piano sul ponte, sperando che non avesse freddo...da quando pensieri così sciocchi gli erano entrati in testa? Si preoccupava che Rinoa stesse al caldo, si preoccupava di ogni piccola cosa che prima aveva dato per scontato.
Che cosa lo aveva cambiato così?
Chissà che staranno facendo, tutti quanti? Saranno arrabbiati con me...o si staranno prendendo gioco di me?
Ed erano di nuovo gli altri.
Qualsiasi cosa pensasse, tornava sempre intorno agli altri. Altri, altri, altri. Era così stanco; perché non poteva per una volta pensare a se stesso?
Quante volte gli altri lo avevano definito egoista, insensibile, capace di pensare solo a sé...e quante volte si erano sbagliati?
Lui non era freddo dentro, era soltanto una facciata costruita per gli altri. Lui aveva paura di loro, non sapeva dare nulla che non fosse il suo bisogno d'affetto e la sua insicurezza cronica. Ma doveva proteggersi e proteggerli. Ed era freddo.
Lui non era insensibile, sentiva, a volte, più di chiunque. Ma doveva sempre proteggersi e proteggerli, perché gli altri contavano sulla sua facciata fredda, seria e composta. Alla fine, nei momenti di bisogno, si aggrappavano alla sua sicurezza.
E quando era crollato, vicino al lettino di Rinoa, che cosa avevano pensato gli altri?
"Tu che ne pensi?"
Che sciocco era, non poteva pensare che lei gli rispondesse. Hyne, come si era ridotto?
Ma gli interessava?
"Sai, a dire la verità...mi preoccupo un po' troppo di cosa gli altri pensano di me."
E ora si stava confidando con una persona che non poteva ascoltarlo, che non poteva rispondergli, che dormiva pacifica ignara dei suoi tumulti. Era quello che aveva sempre desiderato, Rinoa, quello che gli aveva chiesto con lo sguardo così tante volte; confidarsi.
Ed era così terribilmente ironico e sbagliato che lui decidesse di ascoltarla proprio ora che lei non poteva nemmeno muoversi.
"Odio questa parte di me..."
E ora le rivelava segreti che non aveva mai svelato nemmeno a se stesso.
"Per questo non voglio far conoscere troppo di me alla gente. Voglio nascondere la parte che odio di me stesso. "
Era come svelare tante parti di sé che per anni aveva nascosto anche a se stesso; i difetti della sua debolezza che riaffioravano uno alla volta e che lui riusciva finalmente a riconoscere e a raccontare, nella prima confidenza dopo anni, nella prima confidenza che potesse ricordare.
"Squall è un tipo freddo, e non si sa mai quello che pensa."
Era di nuovo qualcosa che usciva dalla bocca degli altri. Eppure non lo aveva mai infastidito come ora; prima era sempre un altro strato del muro che si costruiva intorno, se non si poteva sapere cosa pensava, che importava provarci? Bastava a lasciarlo in pace e lui non voleva altro che quello. Ma poi era arrivata la principessa dei Gufi a fargli capire che i suoi pensieri la interessavano, che tutte quelle che erano le sue certezze non erano che strati di bugie con cui aveva nascosto se stesso a tutti loro, anche a se stesso.
"Mi sento al sicuro quando la gente pensa questo di me."
Significa che non mi feriranno...
"Questo però è un segreto, ok?" Si voltò a guardarla, ancora immobile, fredda e incapace di rispondergli; chissà perché aveva sperato di trovarla sveglia e con il suo sorriso rassicurante?
Non ho più bisogno di cercare forza...
Ci sei tu...
Le si avvicinò lento, cercando di nuovo un po' di calore con una carezza a cui lei non rispose; mormorò il suo nome, sconsolato eppure tranquillo, in pace con se stesso, finalmente in grado di poter arrivare fino in fondo e di poterci arrivare per amore. "Rinoa..."
La fece scivolare di nuovo sulla sua schiena, riprendendo il cammino; e visto che si sentiva così bene parlando con lei, continuò, "mi dispiace che tu non abbia potuto vedere il tramonto...era così bello, ti sarebbe piaciuto tanto vederlo."
Gli sembrò quasi di aver voglia di sorridere; come se l'avesse raggiunta, in qualche modo, con quella confidenza un po' incerta a cui si era lasciato andare del tutto inconsapevole di cosa stesse facendo, del perché stesse parlando, di come nulla di tutto ciò lo interessasse. E ora parlava di un tramonto, lui finalmente che si godeva un tramonto dopo tanto tempo, e riusciva ad esprimere per una volta la sua meraviglia e il suo rammarico sincero.
E poi tentò uno scherzo, "vorrà dire che mi devi un tramonto..."
Fu come se qualcosa di caldo gli si sprigionasse dentro, all'improvviso, un moto di tenerezza e sicurezza che sembrò sul punto di farlo piangere, e che lo accompagnò nel silenzio dei suoi battiti leggermente accelerati fino a quando trovò un rifugio, dove passare la notte.
Sembrava una stazione abbandonata, che probabilmente non aveva mai nemmeno funzionato; entrò titubante, temendo qualche pericolo che non riusciva a vedere, ma si tranquillizzò subito e cercò uno spazio abbastanza comodo per dormire. Doveva tenerla calda, di nuovo entravano nella sua testa tutti i pensieri stupidi che lo assillavano quando c'era di mezzo Rinoa; era comoda? Aveva abbastanza caldo? Forse preferiva non seguirlo...
Si sfilò la giacca e si sedette per terra, appoggiando la schiena al muro; fece stendere Rinoa contro il suo petto e la coprì con la giacca, continuando a cercare una carezza dalle sue mani e addormentandosi lentamente, con qualche semplice parola che gli vagava ancora in testa, ce la faremo...
Si ritrovò in un posto così buio e grigio….il cielo di un colore impossibile, un miscuglio di tutti gli altri che si fermava a questo grigio plumbeo e così…freddo; e sotto di lui un deserto, infinito, pieno di crepe –non aveva piovuto? Eppure sembrava un cielo da pioggia.
Era tutto così sinistramente grigio e silenzioso che per un attimo ne ebbe paura.
Ma poi decise che non era il caso, sembrava essere solo lì, solo..., e se voleva uscire da lì doveva per forza camminare. Rinoa non c'era accanto a lui e doveva trovarla.
Rinoa...
Camminava, così tanto che le gambe ad un certo punto sembrarono non reggerlo più, si sentì quasi barcollare e incapace di continuare; ma il pensiero che Rinoa potesse essere da qualche parte, sola come lui, e che lui non l'avesse ancora trovata gli diede la forza di continuare. Solo dopo molti altri passi che sembravano averlo solo portato a girare in tondo, la vide camminare tranquilla, stringendo gli anelli che portava al collo -il suo anello-, vagando anche lei in quello spazio così sinistro e spaventoso senza avere nessuna paura.
Si sentì così sollevato, e aveva così voglia di sentire la sua voce dopo quegli interminabili giorni, che quasi commosso cercò di chiamarla, ma dalla sua bocca non uscì nessun suono; spaventato, provò a chiamarla di nuovo e di nuovo, ma nulla, le sue corde vocali non funzionavano e lei continuava a camminare tranquilla.
La vide avvicinarsi lentamente a una costruzione di pietra; l'orfanotrofio, se lo ricordava così bene...all'improvviso la pioggia aveva cominciato a cadere fitta in quella zona, mentre dove si trovava lui era ancora deserto e freddo e asciutto, e un bambino, lui bambino, stava in piedi, sotto l'acqua, a chiamare la sua sorellina.
Vide Rinoa ascoltare attenta il bambino che prometteva che ce l'avrebbe fatta da solo, si sentì trasportato nel tempo, dentro quel bambino, spezzato dalla forza di un abbandono così inatteso, così insensato, e lui era così troppo piccolo per potervi sopravvivere; gli sembrava che il petto potesse esplodergli in lacrime da un momento all'altro, ma resisteva, iniziava a costruire la corazza dura che l'avrebbe accompagnato, fino a quando vide Rinoa allungare una mano ed accarezzare lenta i capelli fradici del bambino.
E non sapeva spiegarsi come, ma si sentì scaldare dentro da quella carezza rivolta a lui, uno dei pochi, pochissimi gesti d'affetto che poteva ricordare della sua infanzia; Ellione che gli teneva la mano e finalmente, Rinoa che gli accarezzava piano la testa come una mamma, un tocco leggero e così tante volte cercato in quei giorni, un tocco che sembrava cadere in gocce dentro di lui, come lacrime d'amore che l'avrebbero scaldato e avrebbero vinto su quel deserto freddo, spoglio, terrificante che era diventato.
Capì in quel momento, nella carezza che lo rassicurava e inteneriva, nei pensieri di lei che gli giungevano delicati e discreti eppure così rassicuranti, che quel deserto era lui e lei era la luce capace di rischiararlo.
Lasciava cadere il suo amore in carezze che gli arruffavano i capelli, in parole rinfrescanti come un vento d'estate; io credo in te Squall. Mi fido di te. Solo per questo voglio starti vicino...
E lui aveva voglia di piangere.
Non aveva mai sentito nessuno dirgli 'credo in te'. Era sempre stato contiamo su di te.
Sei il leader.
Devi decidere.
Ma mai una così semplice frase di fiducia gli era stata rivolta. E ora lei lo accarezzava e gli diceva di fidarsi di lui. E sapeva che era vero, l'abbandono, la tranquillità, la fiducia con cui l'aveva vista camminare nel suo deserto pieno di ferite glielo aveva dimostrato.
Aveva voglia di piangere, abbandonarsi contro il suo seno e versare ogni lacrima trattenuta, e poi singhiozzare di gioia.
Gli sembrò che qualcosa in lui si fosse spezzato; una sottile striscia di luce sembrava perforare il grigiore, là in alto, e scaldare appena la terra che stava calpestando. Rinoa si era allontanata, il bambino era rientrato; lui aveva una voglia matta di infilarsi sotto la pioggia che li aveva bagnati. Corse verso l'orfanotrofio con una forza ritrovata, solo per ritrovarsi di nuovo nel mezzo del grigio e delle nuvole, persino la terra s'era fatta grigia e le crepe sembravano più profonde. Non c'era pioggia, solo un freddo pungente e un odore acre di polvere da sparo, poi vide scintillare una lama, laggiù in fondo.
Forse Rinoa era là; aveva ancora bisogno della voce che gli accarezzava la mente e della mano che gli leniva l'anima, e si incamminò verso i bagliori che luccicavano là sul fondo, piano per evitare di cadere nelle crepe che sapeva di aver aperto lui stesso.
Vide il bambino, di nuovo sotto la pioggia, alla sua destra, e accanto a lui un cucciolo di leone, sembrava, anch'esso grigio, che dormiva placidamente; e poi, come riflessi in milioni di specchi, il bambino che cresceva da una parte e il leone dall'altra, gli occhi rosso sangue dell'uno incrociare quelli azzurro oceano dell'altro, in uno specchio di tristezza e freddezza che lo intontì, spingendolo sempre più verso il fondo, verso la luce, e sentiva urla da una parte e dall'altra, un ruggito di agonia che si mescolava ai convincimenti fasulli del ragazzino, e un rumor di spari, di spade, un odore di polvere da sparo e sangue, così forte da dargli la nausea.
Si fermò sull'orlo di quello che gli parve un precipizio; solo quando la nebbia si diradò, notò il leone, Griever, così come l'aveva sempre immaginato, steso su un'erba verde e grigia, malata, morta; accanto a lui, Rinoa strappava petali da un fiore appassito, e vide se stesso raggomitolato dietro una protezione di vetro.
Rinoa sembrava osservarlo, attraverso il vetro, con un'espressione triste, mentre spargeva petali intorno a sé; piegava la testa quando lui, dalla sua protezione, cercava di urlarle parole che lei non poteva sentire. Lui sembrava gridare disperatamente, là dietro, ma la sua corazza era troppo spessa, era troppo indurita dagli anni e nessun suono poteva penetrarvi; vide Rinoa accarezzare leggermente il leone, che non si muoveva accanto a lei e rimaneva steso in quell'erba così lugubre come un gattone; e poi la osservò camminare verso il cilindro di vetro in cui si era rinchiuso, e mormorare, con una mano sulle sue barriere, "se non parli, Squall, non posso sentirti..."
Si sentì frustrato, lui stava parlando, stava urlando, ma la barriera gli impediva di esprimersi e farsi sentire da lei, chissà cosa le stava gridando? Le stava dicendo dei suoi abbandoni, delle sue paure, delle orribili fragilità che si portava dentro e che aveva cementato con l'indifferenza, o le stava dicendo della sua nuova sicurezza?
Era stanco, di colpo la lunga camminata e il freddo pungente di quella landa desolata sembravano colpirlo, si sentì così spossato da cadere in ginocchio; alzò gli occhi annebbiati e la vide, ancora con una mano sulla sua barriera, che sussurrava, "lasciami entrare..."
Lasciarla entrare, ma come?
Si vide dentro al vetro, si sentì muovere freneticamente le mani alla ricerca di una crepa; all'improvviso ancora rumore di spade, Seifer che cercava con la lama di scalfire la sua protezione, intontendolo con il fragore assordante degli spari del gunblade; il leone s'era alzato e s'era avvicinato placido e lento, e poi aveva sguainato una spada e aveva iniziato a combattere.
Seifer contro Griever.
Seifer contro lui stesso.
Lui stesso che difendeva la sua corazza protettiva dagli attacchi di Seifer, con la forza disperata di un leone. Con la forza disperata del leone a cui aveva dato un nome di sofferenza, fin da bambino. Si voltò a guardare la sua miniatura, ferma sotto la pioggia, che cresceva sotto i suoi occhi e si rinchiudeva nel suo mondo fatto di certezze illusorie, con l'unica compagnia di un mostro mitologico a difenderlo a colpi di gunblade...chissà perché aveva scelto quell'arma? Non riusciva a ricordarlo...eppure gli era sempre sembrato che la spada fosse l'unica arma in grado di proteggerlo.
Il rumore della battaglia andava spegnendosi in un'eco innaturale, lasciando il posto a strazianti grida in cui il cielo sembrava aprirsi di crepe e raggomitolarsi di dolore; lui tornava a voltarsi verso Rinoa e il suo se stesso chiuso nel vetro e la trovava ancora lì come l'aveva lasciata, con un mano appoggiata sulla protezione che li separava, e lui là dentro che cercava freneticamente una crepa, ignaro delle urla disumane che aumentavano, lì fuori, e gli riempivano le orecchie della sua stessa sofferenza.
Cercava, cercava e cercava eppure il vetro sembrava perfettamente integro, non c'era un punto in cui potesse aprirsi all'esterno e le sue forze parevano esaurirsi in quella ricerca infruttuosa, e le sue speranze svanivano, e i suoi desideri si infrangevano contro un muro invisibile che pure lo separava dal mondo, ovattando quel posto di silenzio e di una luce sinistramente grigia, miscuglio impossibile di colori che riflettevano la sua vita: monotona, spenta, verde d'erba morta e grigia di cielo asciutto, crepata da una pioggia di lacrime che non voleva cadere mai.
La sua terra che non poteva nutrire. L'erba che non poteva dissetare. Un vetro che non poteva distruggere. Un cielo che urlava d'agonia. Una bestia dietro cui si nascondeva contro i nemici.
Era davvero questo che aveva creato intorno a sé? Era una creazione o era una distruzione? Non lo capiva e non voleva capirlo, si osservava dietro quel vetro, pieno di speranze deluse e desideri che non sapeva realizzare, si sentiva sbalzato dentro a quelle barriere ed ora era anche lui lì in ginocchio a cercare il punto in cui quella dannatissima protezione poteva essere distrutta.
La voce di Rinoa.
La voce di Rinoa era l'unico suono che riusciva a scalfire quello spesso muro di trasparenza, che permetteva agli altri di vedere e a lui di non sentire; lei lo incoraggiava con dolcezza, con poche parole tenere che penetravano come sussurri nel silenzio irreale e vacuo da cui era circondato, insieme ce la faremo. Insieme ce la faremo, ripeteva, le stesse parole che lui aveva pronunciato quando si era abbandonato a quella follia che gli sembrava sempre più giusta, sempre più normale, sempre meno irragionevole; era Rinoa la sua salvezza, Rinoa la sua sanità mentale, Rinoa il suo scoglio e Rinoa il suo rifugio, Rinoa e Rinoa e Rinoa, e muoveva le mani sul vetro sentendolo improvvisamente scaldarsi, ce la faremo, io mi fido di te Squall...attraverso la barriera poteva sentirla di nuovo calda di vita, dimenticava il freddo suo e di lei, di quegli ultimi giorni d'inferno asettico e bianco, si lasciava commuovere e si lasciava guidare, le sue mani seguivano quelle di lei e il calore sembrava avvolgerlo e portarlo altrove, su un piano diverso, in un posto diverso, in cui l'erba cantava di rugiada al mattino, in cui i profumi e i colori erano vividi e reali, in cui la vita era un cielo intinto di rosso e di giallo e di rosa e di azzurro e di blu e di argento, in cui la vita diventava piena e rigogliosa e i fiori cullavano il leone.
Era già in ginocchio, deciso a cercare di sollevare quella barriera, quando la trovò, finalmente, la crepa che era rimasta nascosta ai suoi occhi per tutto quel tempo; la trovò nel punto in cui il vetro sembrava diventare meno spesso e poteva quasi toccarla, Rinoa, sentirla di nuovo viva, sentire di nuovo quel caldo, udire quella voce, guardare quel sorriso che per giorni gli era stato negato. Passò qualche secondo semplicemente ad osservarla, stupito dalla sua fiducia, dalla consapevolezza che aveva instillato in lui piano piano, alzandosi lentamente e scostando il vetro verso il lato come se si trattasse di una porta che poteva sempre essere aperta. Quasi non se ne rendeva conto.
Ci voleva Rinoa ad aprire le sue porte e colorare il suo mondo di speranze, desideri, credenze diverse?
Ci voleva Rinoa ad aprire le sue porte e riempirlo fino a farlo sentire incapace di reggere oltre quell'amore così traboccante e travolgente?
Per la prima volta da un tempo immemorabile e lunghissimo, così tanto da non sembrare nemmeno il tempo della sua vita, sul suo volto si disegnò un sorriso.
Rinoa.
Bastava il suo nome...
Allungò la mano di nuovo, ora che il vetro non gli impediva più nulla e sembrava sciogliersi nell'odore acre degli spari, in quello metallico del sangue e in quello ripugnante della morte; allungò la mano a sfiorare quella di lei e si ritrovò preso in un vortice, che gli prese il petto e lo lasciò ansimante, in ginocchio, mentre lei si sedeva accanto a lui e con le ultime carezze rassicuranti lo introduceva al mondo che aveva sempre rifiutato. Un'accecante esplosione di colori fiorì tra i petali che li circondavano, una pioggia scrosciante si rovesciava su di loro, e sembrava una doccia calda dopo una lunga giornata trascorsa ad allenarsi nella neve, urla nuove squarciavano il cielo aprendolo di crepe che rovesciavano altre lacrime, e non sentiva più dolore, e non c'era più sofferenza, e non c'erano più rumori stridenti di battaglie e grida di morte e paura, ma solo gioia, solo amore, solo una vita che sbocciava all'improvviso, prorompente di luce e acqua e profumi, come se avesse sempre ribollito sotto quel tappeto verde scuro e sotto quel cielo grigio.
Era un posto così diverso, era tutto così intenso e inaspettato, che gli sembrò di svenire e se non fosse stato per il bisogno viscerale di tenerle la mano ancora un po', di sentirla viva anche solo in un sogno, avrebbe davvero perso i sensi. C'era qualcosa di così totalmente nuovo eppure familiare nel vortice di petali che gli faceva girare la testa, che non poté fare altro che gettare la testa all'indietro in una fragorosa risata che per la prima volta non era acida, meschina, rabbiosa o ironica, era solo una risata, naturale e gioiosa come quella di un bambino che impara a sentire la sua voce e gorgheggia per il puro piacere di farlo.
Rideva, Squall, seduto in mezzo a petali che turbinavano intorno a lui, a Rinoa, a Griever, seduto su un'erba che pareva rinascere all'improvviso, seduto sotto una pioggia calda d'amore che pareva penetrargli nelle ossa, tanto era fine; rideva per un tempo lunghissimo, fino a sentirsi i muscoli indolenziti da quel gesto così sconosciuto, per lui, rideva fino a quando s'accorgeva che Rinoa non era più accanto a lui.
Si alzò all'improvviso, cercandola intorno, con la vista annebbiata da tutti quei colori a cui non era più abituato, gli occhi feriti da una luce all'improvviso troppo intensa; vide il vortice di petali quietarsi e scemare poco a poco, fino a quando la figura di Rinoa sembrò cadere nel suo abbraccio.
Allargò le braccia per istinto, per la voglia incredibile di abbracciarla dopo quel dono che aveva spazzato via la sua monotonia e il suo grigiore; e lei si abbandonava con tutta quella fiducia verso di lui, e mancava così poco per sentirla di nuovo davvero viva contro di lui…..
E poi venne il buio.
Riaprì gli occhi sull'atmosfera polverosa della vecchia stazione in cui stavano dormendo. Rinoa era ancora appoggiata a lui, fredda e immobile, gli occhi ancora chiusi in quel sonno lunghissimo che pareva non volerla abbandonare; la sollevò un poco dal suo petto, cercando i segni della vita che aveva visto in lei in quel sogno, un sogno, era davvero solo un sogno?
Si sentiva diverso, era come se lei fosse davvero passata dentro di lui a cullare il bambino spaventato e aprire le porte del ragazzo taciturno, e avesse lasciato il segno in quell'improvviso vortice di suoni e colori e odori che lo aveva travolto e risvegliato.
Poteva davvero essere solo un sogno, quando lui sentiva di aver avuto così tanto?
Riadagiò Rinoa contro di lui, accarezzandole piano la schiena e appoggiando la testa su quella di lei, in un gesto d'affetto che non ricordava d'aver mai rivolto a nessuno ma gli riusciva così naturale, come se non avesse mai fatto altro; la strinse forte a sé, sospirando tra i suoi capelli le stesse parole che lei aveva pronunciato dentro di lui –perché lei era stata dentro di lui, non si era trattato di un semplice sogno e lui lo sapeva benissimo. Poteva ancora sentirla muoversi, dentro di lui, una goccia di calore che lo attraversava lentamente verso un posto in cui forse si sarebbero incontrati; dove? Quando?
Non lo sapeva, probabilmente non sarebbe mai successo ma lei era dentro di lui. Parte di lui, parte di quel qualcosa che si era andato costruendo tra litigi, salvataggi e chiacchierate, parte di quel qualcosa che non sapeva definire eppure viveva dentro di lui, saldo e forte, e cresceva, e la cercava.
Per adesso bastava cercarla, bastava sentire che lei esisteva, dentro di lui, calda di una vita che sapeva vincere il suo grigio, calda di colori che sapevano travolgerlo fino a fagli perdere i sensi, calda di un amore che dentro di lui fioriva rigoglioso.
E poi l'avrebbe trovata.
Stringendola forte, osservò il cielo, attraverso il tetto distrutto della stazione; e vide una stella ammiccargli lentamente mentre scendeva lungo il suo ultimo scintillante viaggio, la stella cadente che li aveva uniti?
Magari non era così, ma a lui piaceva pensarlo.
Hyne, iniziava a parlare come Rinoa……
Abbassò la testa di nuovo contro quella di lei, un sorriso leggero dipinto sul volto; abbandonandosi al sonno, riuscì a distinguere un unico pensiero nelle sensazioni che lo stavano spossando, ce la faremo...
Note dell'autrice: scusate gli errori che potreste trovare. Anzi, se ne trovate segnalatemeli, per favore...purtroppo la mia beta è un po' indietro nel correggere le mie cose E quindi non mi sembra il caso di aggiungere altre cose fino a che quelle non saranno sistemate. Per cui, da adesso in poi sono di nuovo sola, come sempre Almeno per un po' di tempo. Mi affido a me stessa e al correttore di Word per l'ortografia, ma per favore se trovate altri errori segnalateli, non mi dà assolutamente fastidio. Grazie...
