Grazie dei commentia MariaGpe22, Cla1969, Ericka Larios, Kecs, Mia Brower Graham de Andrew, Mary Silenciosa, Eydie Chong, Charlotte, Dany Cornwell, Guiselle: gestire l'equilibrio tra vedersi e nascondere i propri sentimenti è sempre più dura per Candy e Albert, e lei non riesce ancora a mantenere la giusta freddezza. Sono felice che abbiate apprezzato il loro breve ma struggente ballo. Lilian ha un trauma, si avvicina ad Albert perché vede in lui la pace e l'amore che non avrà mai, ma al contempo sa che deve eliminarlo se vuole Ethan: una contraddizione che non lascia scampo. Il karma ha in parte punito Ethan (se la caverà o no?), ma punirà anche Lilian che è quasi alla fine della gravidanza? Intanto Oliver sta rischiando grosso, recandosi alla villa. La storia, per rispondervi, ha superato la metà... Grazie a tutte coloro che mi fanno i complimenti, aspettano con ansia gli aggiornamenti e devono superare l'ostacolo della lingua. Io personalmente, grazie a Google Chrome Traduttore ho letto delle fanfic straniere molto belle che mi sono state di vera ispirazione: spero che continuiate a seguirmi anche se dovrete tradurre! Grazie!

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Allo scoperto

Ethan imprecò contro il mondo intero, rinunciando a concentrarsi. Sbatté provette e contenitori sul tavolo e si piegò sulla sedia con la testa fra le mani: quando credeva che le cose non potessero andare più storte, erano invece precipitate e il tempo, ormai, stava per scadere.

Non aveva più piani B, né C...

Oliver era morto di polmonite una settimana prima, dopo giorni di agonia: si era ammalato quasi subito dopo la maledetta sera in cui, non trovando il modo di avvicinarsi alla villa mentre la festa era ancora in corso, aveva deciso di appostarsi in giardino sperando di individuare la stanza di Lilian. Dal suo racconto, ci era anche riuscito, salvo poi essere scoperto immediatamente da una delle guardie di ronda.

Tutto inutile. Tutto fottutamente inutile.

Ethan udì uno strano trambusto in strada e sbirciò dalla finestra inginocchiandosi sul letto: un uomo con una pipa in bocca stava parlando con delle persone, tra cui riconobbe uno degli straccioni cui si era rifiutato di fare l'elemosina qualche mattino prima.

Il sangue gli si gelò nelle vene: forse lo avevano appena scoperto. Di nuovo.

Seguendo il suo istinto, Ethan afferrò il sacco di tela e vi rovesciò dentro il suo unico tesoro, mordendosi mentalmente le mani per quella stufa nuova che non avrebbe potuto portare con sé. Mentre fuggiva dall'abitazione di fortuna che era stata di uno dei suoi pochi amici e compagni, non poté fare a meno di provare una stretta per senso di colpa.

Per un cane randagio come lui non esistevano molti legami umani e a parte LIlian si era sempre arrangiato a una vita solitaria. Ma Oliver, per convenienza o amicizia, gli aveva offerto un tetto, lo aveva curato quando era stato malato e si era persino esposto in sua vece. Ethan non sapeva se la polmonite che lo aveva colpito gliel'avesse trasmessa lui o fosse stata cagionata dalla sua lunga permanenza fuori dalla villa degli Ardlay.

Però lui era ancora vivo e Oliver era morto. Non era giusto.

Passandosi il braccio sugli occhi con un gesto di rabbia per scacciare via le lacrime, Ethan scese le scale fino allo scantinato, dove raggiunse un'uscita secondaria dalla parte opposta della via. Non sapeva dove sarebbe andato, stavolta, né quanto ci sarebbe rimasto.

Ma una cosa la sapeva: non avrebbe rinunciato a Lilian, non finché avesse avuto una scintilla di vita in corpo.

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Walker alzò lo sguardo sulla strada quasi per caso e fu allora che lo vide.

Un uomo dai capelli scuri che si allontana con una sacca sulle spalle...

Il barbone, che stava indicando in alto, seguì la direzione del suo sguardo e proruppe: "Quello esce di più da quando il ragazzo con l'impermeabile è morto di polmonite. Mi sa che era una specie di servo". Scoppiò a ridere, ma lui non lo ascoltava e cominciò a camminare dietro a colui che, ne era più che certo, doveva per forza essere quell'Ethan. O Oliver, o come diavolo si faceva chiamare.

Cercando di usare tutte le proprie abilità per pedinarlo senza essere visto, Walker si rese subito conto di due cose: se era fuggito, doveva averlo visto dalla sua finestra e uno come lui aveva di certo un intuito più sviluppato quando si sentiva seguito.

Decise quindi di stargli alle calcagna quanto bastava per imprimersi a fuoco nella mente il suo identikit e cercò di confondersi tra la folla, nella quale lui stesso stava tentando evidentemente di mescolarsi, camminando alla sua destra ma abbastanza distante da non farsi notare.

Passò accanto ad alcune vetrine e dai negozi la gente che entrava o usciva gli intimava di stare attento, di guardare dove andasse. Tuttavia, Walker poté a malapena rendersi conto di dove metteva i piedi, perché tentava di non staccare gli occhi da quello che, si accorse, era un ragazzo che doveva avere poco più di vent'anni.

Scorse finalmente il suo profilo, osservò i lineamenti del volto ed ebbe un sussulto. Possibile che si fosse sbagliato? La sacca che gli pendeva dietro una spalla e il racconto del barbone sul comportamento circospetto dei due uomini che abitavano nella soffitta, però, non lasciavano adito a dubbi.

Cara signora Rousseau, rimarrà stupita... Molto stupita.

Colse il momento in cui il ragazzo si voltò, come se sentisse i suoi occhi addosso, e si affrettò a calcarsi il cappello sul capo, cambiando direzione. Fece alcuni passi verso una via parallela, ma si voltò appena in tempo per vedere la sua schiena allontanarsi.

Walker alzò gli occhi al cielo e stabilì che doveva stringergli il cerchio intorno partendo dall'area ovest della città: lì c'erano parecchi buchi nei quali uno come lui si sarebbe rintanato, come uno scarafaggio pronto a saltare fuori col favore delle tenebre.

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Albert uscì dalla banca e stirò le braccia in avanti, intrecciando le dita e rovesciando i palmi all'infuori. Si strofinò le mani, affrettandosi a cercare i guanti in tasca e vide, con la coda dell'occhio, che la guardia del corpo si stava avvicinando con un ombrello in mano.

Per una frazione di secondo immaginò davvero di essere finito dentro a un poliziesco, complici forse i disordini legati al commercio illegale di alcool, e se lo figurò mentre cercava di infilzarlo con la punta lanciando un grido di guerra.

Ma quando sbatté le palpebre, quasi ridendo di se stesso, si accorse che lo aveva solo aperto: "Sta cominciando a nevicare", disse.

Albert non se n'era neanche accorto e alzò lo sguardo al cielo nuvoloso e scuro: alla luce di un lampione, poteva vedere le raffiche leggere ma inequivocabili dei fiocchi che scendevano.

"Vorrei fare una passeggiata, pensa di potermi lasciare solo fino a che non torno a casa? Ho preso la mia auto personale".

Il viso spigoloso dell'uomo, più basso di lui di qualche pollice, gli sembrò divenire di marmo: "Non posso farlo, mister Ardlay".

Trattenendosi a stento dallo sbuffare, si chiese quanto sarebbe stato maleducato o pericoloso giocargli un piccolo scherzo pur di restare per un attimo solo con i suoi pensieri e l'aria frizzante della sera. Aveva freddo, ma aveva anche bisogno di quel freddo.

"Bene, seguimi alla macchina, l'ho parcheggiata qui dietro". Si incamminò e lui lo seguì senza fiatare, alzando un poco il braccio per coprirlo meglio con l'ombrello. Avrebbe voluto gridargli che non era un bambino e che se lo sarebbe potuto portare anche da solo, ma preferì tacere anche se si sentiva oppresso come non gli capitava da anni.

Capiva che tutto ciò era necessario per la propria sicurezza e non voleva certo credere che il pericolo fosse scampato del tutto, ma cominciava davvero a soffocare dopo tanti mesi di matrimonio con Lilian. E ora anche l'aggressore misterioso...

Albert aprì la portiera e si mise al posto di guida.

"Se vuole posso guidare io, signor Ardlay".

Guardò l'uomo, sapendo che c'erano solo una manciata di secondi per decidere, e valutò che comunque aveva con sé un ombrello e lungo la via principale avrebbe trovato taxi e carrozze in abbondanza.

"No, perdonami, ma guiderò io". Muovendosi velocemente, richiuse la portiera con un colpo secco, infilò la chiave e per fortuna mise in moto senza intoppi nonostante il freddo. Dal finestrino chiuso, incontrò gli occhi sgranati della guardia del corpo che arretrava di qualche passo mentre lui inseriva la retromarcia con un gesto fluido e usciva dal parcheggio puntando verso la via. "Ti chiedo scusa, ci vediamo a casa!", gridò senza sapere se lo avesse udito.

Gli dispiacque comportarsi come un adolescente capriccioso

un diciassettenne che fugge da una festa in famiglia indossando il kilt e incontra una bambina su una collina...

e poté quasi udire la voce alterata di sua zia Elroy gridare il proprio nome scandalizzata.

Cara zia, non credevo che un giorno i tuoi "William!" irati mi sarebbero mancati tanto...

Concentrandosi sulla guida e rallentando per non sbandare sul velo di neve appena caduto, Albert cercò di ripercorrere con un minimo di lucidità gli eventi del ballo in maschera, tentando di lasciare il ricordo del corpo di Candy fra le sue braccia per quando sarebbe andato a dormire e avesse potuto rievocarne il calore.

Quella notte, qualcuno si era intrufolato nella villa e aveva cercato Lilian, fuggendo così velocemente che neanche le guardie più addestrate erano riuscite a scovarlo.

Un uomo abituato a fuggire per le strade...

"Se ti chiedessi di illuminarmi sull'identità dell'uomo che ti ha indotta ad aprire la finestra ieri notte, mi risponderai che non lo conosci?", le aveva domandato la mattina dopo.

"Certo che no! E devo dirti che mi sono spaventata a morte, perché temevo che fosse di nuovo il tuo aggressore". Sembrava quasi sincera...

"Forse allora non avresti dovuto aprire la finestra, che ne pensi?".

Aveva perso il conto delle scuse, talvolta persino plausibili, che lei era riuscita a confezionare. Quando si era alterato tanto da gridarle quasi in viso che l'uomo conosceva il suo nome, Lilian aveva semplicemente risposto che tutti a Chicago conoscevano il nome della prossima matriarca degli Ardlay.

Furioso proprio come quel giorno, Albert prese una svolta improvvisa e quasi perse il controllo dell'auto, che slittò sul ghiaccio e gli fece temere che si sarebbe ribaltato. Fu solo per la sua abilità ed esperienza nella guida che nessun giornale avrebbe, il mattino successivo, decretato la morte per attentato o suicidio del patriarca degli Ardlay.

Lilian sfuggiva a qualunque analisi potesse fare: non aveva mai conosciuto una donna come lei, forse proprio perché evitava di frequentare persone che erano tanto lontane dai propri ideali. In Africa aveva avuto a che fare con donne tenaci che vivevano in mezzo alla povertà più assoluta e altre, provenienti da paesi più ricchi, che cercavano di fare il loro lavoro con devozione, che fossero infermiere o semplici volontarie.

Certo, gli era capitato di ricevere degli sguardi significativi che più di una volta lo avevano tentato: d'altronde, non era che un uomo in carne e ossa. Però aveva il cuore del tutto occupato da una donna che non sarebbe mai stata sua e che era praticamente cresciuta sotto ai propri occhi.

Albert frenò in una via deserta, maledicendosi perché si sentiva di nuovo dentro a un vicolo cieco e non riusciva a togliersi Candy dalla testa. Non ci sarebbe riuscito mai. Incrociò le braccia sul volante e vi poggiò il capo, rendendosi conto a malapena che poteva essere in pericolo.

Devo pensare a quel bambino... solo a lui!

Candy aveva tremato e i suoi occhi verdi pieni di lacrime gli avevano comunicato quanto la sua streghetta preferita stesse soffrendo per lui e tentasse di essere forte come sempre. Aveva saputo da Archie che stava costruendo una clinica e immaginò cosa sarebbe accaduto se avesse potuto essere al suo fianco. L'avrebbe supportata, creando il progetto insieme a lei, cercando i migliori medici e infermieri da assumere e scambiando con Candy le idee per renderlo davvero efficiente. Sarebbe stata l'evoluzione naturale del loro rapporto, perché si sarebbero dedicati a qualcosa cui tenevano entrambi.

Basta con i sogni inutili, William Albert Ardlay!

Pensare a Candy abbassava tutte le sue difese e lo rendeva debole e illogico. Lo faceva persino regredire a un ragazzino immaturo, cosa che non era mai stato neanche quando era normale che lo fosse.

Si passò le dita tra i capelli, riavviandoli e rimettendo il cappello di lana: era quasi ora di cena e aveva una moglie e forse un figlio in arrivo che l'attendevano a casa. Quella era la sua vita e prima l'avesse accettato, prima si sarebbe sentito di nuovo l'uomo equilibrato di un tempo.

Ma allora, perché continuava ad avere la sgradevole sensazione che fosse tutto sbagliato?

Di sicuro è sbagliato quello che ho appena fatto...

Il senso del pericolo gli piombò sulle spalle come un macigno e Albert fece inversione tornando da dove era venuto, sapendo che doveva scusarsi con l'uomo e avere più giudizio, da quel momento in poi.

Non era certo da morto che avrebbe risolto i suoi problemi.

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Ethan aveva cercato di entrare nella mente dell'uomo vestito con abiti civili che doveva essere un detective privato. Non che la cosa gli riuscisse semplice, perché non era una specie di medium e in quanto a empatia era un vero disastro: però conosceva la strada.

E le leggi della strada gli urlavano, forte e chiaro, che se quel tipo che lo seguiva tra la folla lo aveva pedinato e visto in viso fino a che lui non si era mescolato tra la gente, si aspettava di trovarlo da qualche parte nella direzione che aveva preso.

Pura logica.

Ethan si era rifugiato nella cantina di un palazzo in una delle zone più povere della città e stava riflettendo seriamente sulla possibilità di rimanerci per un po', salvo poi rendersi conto che rischiava di congelare lì dentro e uscire orizzontale come il suo ex barbone informatore o come il povero Oliver.

Ne era quindi uscito, con un'idea che gli si faceva strada nella mente: la soffitta del suo amico aveva ancora i vetri nuovi e la stufa. Se fosse tornato lì, avrebbe di certo compiuto un atto imprevisto agli occhi del poliziotto, o quel che diavolo era.

Sarà l'ultimo posto in cui mi cercherà.

Questo pensava mentre si scaldava le mani e addentava il pane acquistato per strada. Il giorno dopo avrebbe comprato qualcosa di decente da mangiare e avrebbe offerto un pranzo al derelitto che aveva osato indicarlo al detective: il suo istinto era quello di ucciderlo facendolo soffrire, ma avrebbe attirato troppo l'attenzione e aveva bisogno di restare a lungo nello stesso posto. Non solo per la mera necessità di non morire di freddo durante l'inverno, ma anche per avere la lucidità necessaria a riordinare le idee e trovare un piano geniale per incontrare Lilian.

Avrebbe potuto provare ad avvicinarsi in piena notte alla casa che condivideva col marito, per capire se le guardie facessero davvero il loro lavoro o magari si erano addormentate. Diavolo, avrebbe potuto persino tirare fuori il nome di Al Capone con un pretesto qualunque per far abbassare loro la guardia, visto che pareva essere sempre più spesso sulle labbra dei suoi contatti quando parlavano di polizia corrotta. Non che a lui interessasse il commercio illegale di alcoolici, anche se un bicchierino ogni tanto non gli dispiaceva, ma da quando il barbone era morto non aveva più neanche necessità di acquistare liquori.

Nel suo lavoro doveva rimanere lucido e dosare bene gli ingredienti e le due cose erano incompatibili.

Sì, pensò mentre appallottolava la carta del panino tra le mani e la gettava in un cestino ai suoi piedi, avrebbe assunto un'identità che gli avesse consentito di far allontanare le guardie del corpo per il tempo necessario a lasciare a Lilian il veleno, magari con la promessa di una forte somma di denaro dal 'capo' e anche con la minaccia...

Il rumore di qualcuno che bussava alla porta lo fece trasalire e smise persino di respirare, il cuore che gli martellava nel petto e nelle tempie.

Chi diavolo è a quest'ora?!

Rimase in silenzio, sperando che chiunque fosse avesse semplicemente sbagliato posto, ma una parte di sé già sapeva che non avrebbe avuto tanta fortuna. La fortuna, ultimamente, girava sempre dalla parte sbagliata.

"Avanti, apri, lo so che sei lì dentro! Come ti chiami, Oliver o Ethan, stronzo?!".

Cercando di mantenere la freddezza e guardando sul tavolo dove non aveva messo che pochi ingredienti, Ethan cercò di immaginare quanto tempo avesse per preparare un composto prima che il maledetto buttasse giù la porta. Il veleno più forte lo aveva usato tutto per i suoi clienti, gli rimaneva...

La porta cominciò a tremare sotto ai colpi di chi era dall'altra parte e lui imprecò a denti stretti contro il soffitto. Afferrò quante più boccette poté e le infilò nella tasca della giacca, quindi aprì imprecando perché ne aveva sentita cadere una e non aveva tempo di cercarla: "Se la butti giù te la faccio ripagare. Stronzo", gli fece il verso.

Sperò solo che fosse rotolata sotto al letto, visto che non la vedeva da nessuna parte.

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Walker sorrise al ragazzo che gli aveva aperto la porta: il fatto che gli rendesse le cose difficili lo esaltava come se fosse tornato indietro di vent'anni.

"Non dovresti apostrofare così le persone più anziane di te", lo redarguì.

L'altro lo squadrò dalla testa ai piedi come se fosse un topo di fogna: "Chi cavolo sei?".

"Un amico".

"Non prendermi per i fondelli!", gridò senza spostarsi dalla soglia.

"Mi fai entrare a scaldarmi davanti alla tua bella stufa nuova o devo mostrarti come riesco ancora a fare a pugni?". Il ragazzo gli parve riflettere socchiudendo le palpebre e Walker immaginò che stesse valutando la possibilità di azzuffarsi con un uomo che conosceva il suo nome. "A proposito, sono armato anche io", lo avvisò scostando un poco il cappotto per mostrargli il calcio della pistola.

Non sapeva se lui fosse armato o solo in possesso di droghe, ma intendeva subito mettere in chiaro chi comandasse.

Ethan-Oliver fece un passo indietro e scosse la testa indicandogli con il mento l'interno: finalmente era nella tana del lupo. O del topo in trappola. Walker dovette ammettere che era pulita e in ordine, cosa impensabile in un ambiente come il suo. Fece correre gli occhi al letto arrangiato sotto alla finestrella chiusa e alla stufa poco distante, fino ad arrivare al tavolino di legno grezzo dove c'erano boccette di vetro e alcune provette.

"Chi ti manda?", sputò il ragazzo.

"È lì sopra che prepari la droga?", chiese senza mezzi termini, facendo un paio di passi verso il tavolo.

"Io non preparo droghe, faccio esperimenti chimici". Il volto era impassibile e sembrava davvero sincero.

"Non insultare la mia intelligenza".

"E tu dimostrami che hai ragione. Ti ho fatto entrare, ora devi dirmi chi ti ha mandato qui".

Alzò su di lui uno sguardo superficiale, cercando di studiare chi avesse davanti veramente: "Amici", disse e ottenne infine la reazione che si aspettava.

Il tipo gli arrivò davanti con una velocità tale che ne fu sorpreso e lo afferrò per il bavero del cappotto con una forza che non credeva avesse in quel fisico magro: "Non raccontare più balle sull'amicizia, detective dei miei stivali, o potrei provare a iniettarti uno dei miei esperimenti prima ancora che tu possa estrarre la pistola. Ce l'ho proprio in tasca ed è un acido per eliminare la ruggine: vogliamo vedere che effetto farebbe nelle tue vene?".

Senza poterselo impedire, Walker cominciò a sghignazzare e questo gli fece abbassare la guardia. Si liberò dalla sua stretta e lo spinse forte, facendogli quasi perdere l'equilibrio. Il ragazzo cadde a sedere di peso sul letto dietro di lui.

"Non è educato mettersi a dormire mentre ti si parla. A proposito, com'è che ti chiami?".

Quello scattò in avanti per colpirlo e Walker si scostò appena in tempo per mandarlo contro il muro alle proprie spalle. Era veloce, certo, ma lui aveva qualche anno in più d'esperienza e, quando caricò di nuovo, riuscì a intercettare il suo pugno e a girargli il braccio dietro la schiena, facendolo grugnire di dolore.

"Fottiti!".

"Ti ho detto di rivolgerti in maniera più educata alle persone più grandi di te, moccioso! Se non vuoi che ti rompa il braccio mettendo fine alla tua carriera per i prossimi tre mesi, dimmi come ti chiami!". Walker strinse il proprio sul torace del ragazzo, bloccandogli il sinistro. Sperava solo che non fosse mancino e strattonò più forte il suo polso destro a un'angolazione che dovette essere dolorosa, perché lui imprecò di nuovo.

"Non ti servirà a niente sapere il mio nome, visto che sai dove vivo! I tuoi dannati amici non volevano sapere questo?!".

"Sì, ma sai... volevo essere sicuro di non aver sbagliato persona", disse ironico avvicinandosi al suo orecchio. "Allora? Ethan o Oliver?".

"Hai sbagliato persona", ribatté con rabbia il giovane e Walker torse il braccio finché non udì uno scricchiolio sinistro. "Fottuto bastardo!". Anche se era più magro di lui, il tipo era comunque giovane e agile e gli assestò una pedata col tacco delle sue scarpe logore, facendogli allentare la presa e divincolandosi fino ad affondargli un gomito nello stomaco.

Gli fece dannatamente male, ma si fermò e riuscì a placcare contro la porta il ragazzo che stava cercando di fuggire, sbattendolo contro e facendola richiudere. Infilò la mano nella giacca e tirò fuori la rivoltella, puntandogliela alla spalla: "Non ho alcun interesse o convenienza a ucciderti", ansimò, "ma se per farti parlare devo torturarti un po' mi pagheranno lo stesso. Non hai voluto provare a fare i tuoi esperimenti chimici con un braccio rotto, ci vuoi provare con una pallottola nella scapola?".

Negli occhi scuri pieni di odio e iniettati di sangue, Walker poté trovare la certezza che non avesse nulla in tasca come minacciato, semmai gli fosse servita una conferma. "Non ho fatto nulla di male alla gente ricca che si può permettere di assumerti, mi merito almeno di sapere di cosa sono accusato, giusto?".

Walker armò il cane: "Le domande le faccio io e sto cominciando a perdere la pazienza: dimmi il tuo nome!".

"Oliver".

"Secondo la tua amante ti chiami Ethan", disse osservando con attenzione il suo volto. Era impossibile non notare l'espressione malcelata di stupore.

"Le mie amanti non sono ricche", rise Oliver-Ethan e Walker lo afferrò per la maglietta girandolo verso il letto e spingendocelo di nuovo contro prima di alzare la pistola verso di lui.

"Quindi, riassumendo: mi stai dicendo che ti chiami Oliver, non hai mai sfiorato neanche con un dito una donna dell'alta società e non maneggi droghe?".

Il ragazzo lo fissò accigliato: "Capita a tutti di sbagliare pista, detective".

Con un sospiro, fece un passo verso di lui: "Facciamo finta di essere nel mondo dei contrari. Io ho ragione e tu sei l'amante di una ragazza i cui parenti sono disposti a denunciarti per traffico illecito di sostanze stupefacenti di tua creazione. Potresti aver vissuto a lungo nelle cantine nei pressi degli orfanotrofi del centro, saltando fuori quando lei si faceva viva per fare beneficenza. Devi avere molti più soldi di quanto il tuo aspetto suggerisca per essere riuscito a permetterti un attico come questo e una stufa funzionante".

"Te l'ho detto, lavoro...".

"Non raccontarmi balle!", alzò la voce. "In base alle testimonianze che mi hanno portato fino a te e...". Si abbassò, per prendere una boccetta di vetro che aveva notato occhieggiare vicino a uno dei piedini della stufa, ma senza abbassare l'arma. "...facendo controllare questa roba, posso dimostrare ogni singola teoria".

Lo sguardo del ragazzo era puntato su ciò che stava tenendo in mano e si stava portando nella tasca interna della giacca. "Brutto figlio di...", tentò di alzarsi, ma Walker sparò sfiorandogli una spalla e colpendo il muro dietro di lui. La detonazione in quella stanza così piccola quasi lo assordò, ma vide con piacere che Oliver-Ethan si era portato una mano alla parte lesa e quando la ritrasse sanguinava.

"Con il prossimo colpo non sarò così clemente, quindi adesso apri bene le orecchie e ascoltami: ho prove sufficienti per incastrarti quando voglio, perché se la polizia locale o statale decide che la tua storia è interessante rivolterà la città come un calzino pur di trovarti. Quindi ti conviene cominciare a collaborare".

Il ragazzo sbatté le palpebre e si voltò verso la finestra: "Sai saltare sui tetti come i gatti, detective?".

"Potrei stupirti, ma eviterò. Preferisco spararti prima che tu abbia tempo di voltarti e aprire quelle ante, fa un po' freddo per le evoluzioni a grandi altezze. Ti do' cinque secondi per infilare quella giacca e seguirmi alla cabina telefonica, poi potrei anche cambiare idea e spappolartelo, il braccio".

Le narici del ragazzo si allargarono mentre respirava in modo pesante e i lineamenti s'indurirono tanto che gli parve proprio un toro pronto ad attaccare.

"Me la pagherai", sibilò tra i denti.

"Uno...", cominciò a contare e, con sua grande soddisfazione, Oliver o Ethan ubbidì.