Grazie dei commentia MariaGpe22, Mary Silenciosa, Ericka Larios, Cla1969, Eydie Chong, Charlotte, Dany Cornwell : il povero Albert vorrebbe solo fuggire, ma capisce che non è possibile e prima accetterà la realtà, prima avrà un po' di pace: so che siete tutte frustrate, ma non è struggendosi per Candy che vivrà meglio, o negando quello che è successo (anche se non ha certezze). Sarebbe bello però se lui e Candy potessero almeno frequentarsi! Intanto Walker è arrivato a Ethan! E ha persino una certa fialetta in tasca... Sarebbe stato troppo facile far morire Ethan di polmonite ed eliminare uno dei problemi maggiori. Però in effetti le cose si sono complicate anche per gli antagonisti: sia Lilian che Ethan hanno le loro "gatte da pelare" (problemi)!

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Fuga

Lo teneva sotto tiro.

Quel maledetto detective che doveva avere più del doppio dei suoi anni non smetteva di puntargli contro la sua dannata rivoltella mentre parlava al telefono, la canna seminascosta dall'impermeabile ma ben visibile attraverso il vetro. Erano a pochi passi però lui, proprio a causa dei vetri, non riusciva a udire la conversazione.

Dal labiale capì che stava fornendo al suo contatto l'indirizzo del posto e Ethan tentò disperatamente di trovare un modo sicuro per allontanarsi, ma la strada era semi deserta e si trovavano in un piazzale che non offriva alcun nascondiglio. In tasca non aveva che pochi penny e qualche fialetta.

Sta parlando con Margaret Rousseau, ne sono certo! Oppure con la famiglia Ardlay... Deve essere saltato fuori qualcosa e Lilian... starà cercando di coprirmi? Possibile che abbia fatto lei il mio nome, magari per sbaglio discutendo con sua madre?

Nonostante avesse mille pensieri in mente e volesse arrivare alla radice del problema, Ethan capì che non era quello il momento adatto e che fuggire era prioritario rispetto a capire chi lo cercasse e perché. Si guardò freneticamente attorno e, quando un uomo gli parlò, lanciò quasi un grido.

"Scusi... è in fila per il telefono?", chiese toccandosi il cappello.

L'uomo nella cabina ebbe un leggero sussulto e parve quasi spiazzato: non aveva previsto che qualcuno potesse avvicinarsi a lui. Quel contrattempo gli diede un'idea e, seppur rischiosa, capì che era la sua unica possibilità.

"Sì, sono in fila per il telefono", rispose con un leggero ghigno. Scrutò per un attimo l'uomo e gli chiese: "Ehi, amico, ce l'hai una sigaretta?".

Fu questione di istanti: l'altro annuì con un sorriso e si frugò nelle tasche mentre lui faceva scivolare una mano nella propria, afferrando una delle provette piene. Il detective spalancò gli occhi e riagganciò il telefono, esitando con la pistola finché, di sicuro, non si rese conto che lui si trovava troppo vicino a un'altra persona e che se avesse sparato avrebbe potuto colpirla.

Approfittando della sua esitazione, Ethan strinse un braccio sul collo del malcapitato, che lasciò cadere le sigarette ed emise un verso strozzato. Portandosi dietro la sua schiena come aveva fatto poco prima l'investigatore con lui, Ethan alzò l'altra mano fino a puntargli sul collo il tappo della boccetta. Si rese conto che non conteneva altro che soluzione fisiologica per diluire gli ingredienti, il che significava che tutte le altre erano piene di acidi e veleni. Quel bastardo, che stava uscendo dalla cabina gridandogli di lasciar andare l'uomo, aveva forse raccolto un veleno abbastanza raro che, se fosse davvero finito nelle mani della polizia, non sarebbe certo passato per un rimedio contro topi o scarafaggi.

"Ti ho detto di lasciarlo!", intimò di nuovo il detective tirando fuori l'arma a puntandola contro di lui.

Facendosi scudo con l'ostaggio improvvisato, Ethan cominciò a indietreggiare e gli mostrò quello che aveva in mano: "Lo vedi questo? È l'acido di cui ti parlavo prima! È perfetto per togliere la ruggine dai metalli, ma non credo che a questo poveraccio faccia piacere se lo usassi sulla sua faccia come lozione dopobarba!". Glielo piantò su una guancia e quello urlò di terrore.

"Stai bluffando e io ti tengo sotto tiro!". Ethan capì di aver vinto dal tono gelido dell'investigatore, che stava cercando solo di prendere tempo.

"Sai benissimo che potresti colpire lui e non me e che devi gettarla a terra, vuoi che te lo dica chiaramente oppure lo fai da solo?", ringhiò stringendo la presa sull'uomo che ansimava come un cavallo sottoposto a una corsa sfiancante.

"Ti prego... vi supplico! Ho moglie e tre figli! Non... sparate, non fatemi del male!". Le parole erano smozzicate e a tratte incoerenti, ma parvero scuotere il detective, che abbassò l'arma.

"Bravo sbirro, proprio così! Abbassati lentamente e lasciala a terra. E adesso dalle un calcio e avvicinamela, ma presta attenzione se non c'è la sicura". Ethan aveva usato raramente le armi, ma se era necessario sapeva come maneggiarne una. Con l'ostaggio ancora fra le braccia, spingendolo senza tanti complimenti, camminò fino alla pistola. "Renditi utile, raccoglimela".

Mentre l'investigatore li guardava con un'espressione di rabbia e impotenza, Ethan si chinò assieme all'uomo e attese che gli passasse la pistola. Solo allora lo lasciò andare, sostituendola alla provetta. L'altro si lasciò cadere a terra, strisciando via sul sedere come se non avesse forza nelle gambe.

"Non fare sciocchezze, ragazzo, non capisci che stai solo peggiorando la tua posizione?", disse il detective con un tono conciliante.

"La tua non è migliore della mia, visto che chi hai chiamato troverà solo un idiota disarmato che ha lasciato fuggire il suo prigioniero: ti sarebbe convenuto di più farmi ascoltare la tua conversazione che tenermi sotto tiro dalla cabina chiusa".

L'uomo di fronte a sé fece qualcosa che non si aspettava: sorrise. "Il fatto che tu stia fuggendo è irrilevante. Mi farà solo perdere qualche giorno. O qualche ora. Ti ritroverò, anche se dovessi scendere fino agli Inferi".

Ethan ebbe l'impulso di sparare un colpo solo per mostrargli che avrebbe venduto cara la pelle, ma si trattenne perché avevano già attirato troppo l'attenzione: "Attento, detective, potresti bruciarti: lì non c'è la neve neanche in inverno".

Si volse e cominciò a correre fino alla strada, dove individuò una macchina parcheggiata che rubò senza tanti complimenti. Mise in moto e, prima di partire, si guardò alle spalle dallo specchietto. L'investigatore era a poca distanza e lui lo salutò alzando la pistola, afferrando meglio che poté il volante e sfrecciando via.

Adesso doveva trovare il famoso piano B.

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Quando Margaret vide il detective con l'espressione accigliata sul viso, capì che qualcosa era andato storto e per un attimo immaginò che Ethan fosse morto per uno scontro a fuoco. A quel punto, doveva capire se fosse un bene o meno.

William Ardlay sarà in grado di accettare quel bambino o bisogna davvero ricorrere a metodi estremi?

"Venga, qui fuori si muore di freddo", si offrì Walker guidandola verso una caffetteria. Nonostante la neve non fosse molta, il cielo sgombro di quel pomeriggio aveva fatto abbassare la temperatura a livelli tali che si sentì gelare nonostante il cappotto pesante e lo scialle di lana.

Attese che la teiera bollente fosse posta tra loro e che l'uomo, in un gesto gentile, bloccasse con la mano il cameriere per servirla personalmente. "Cosa è successo?", chiese cercando di non far trapelare la propria impazienza.

Il detective si servì, avvolse le mani intorno alla tazza e si rese conto che non aveva i guanti: di sicuro aveva le dita insensibili: "Ha preso in ostaggio un passante ed è scappato, ma non andrà lontano. Ho delle prove a suo carico e so come cercarlo".

"Bene, allora che ci facciamo qui a parlare amabilmente e a prendere il tè, mister Walker?!". Caduta la maschera composta, Margaret alzò un po' il tono della voce, perdendo l'ultimo barlume di autocontrollo.

"Mi dica una cosa, signora Moore: che avrebbe fatto se l'avesse incontrato?", domandò intrecciando le mani sul tavolo e facendola quasi trasalire.

Quest'uomo sembra leggermi dentro.

"Bene, gli avrei intimato di non avvicinarsi più a mia figlia, minacciandolo di denuncia", disse prontamente, tentando di apparire più sincera possibile. E, in effetti, quello era il piano originario. Dentro di lei, stava prendendo forma sempre di più l'intenzione di scoprire cosa Lilian avesse in mente per fargli sputare la verità sui loro progetti e valutare ogni ipotesi, anche la meno canonica.

Walker prese un sorso dalla tazza e parve riflettere a lungo, come se tentasse di capire se gli avesse detto la verità o meno. Alzò gli occhi su di lei, ancora assorto, quindi alzò l'indice e se lo pose sulle labbra: "Ci sono troppi lati oscuri in questa storia e, se da un lato sono certo che questo Ethan sia un delinquente che vale la pena inseguire, dall'altro mi domando se non sia più pericoloso di quello che crediamo".

Margaret allargò le braccia: "Certo che è pericoloso! Gliel'ho detto che lavora con le droghe...".

"Gli Ardlay stanno cercando qualcuno legato all'attentatore del patriarca che frequenta i sottoscala vicini agli orfanotrofi. Non è una coincidenza incredibile?". Il tono dell'uomo era quello di qualcuno che stia cercando di trovare il bandolo di una matassa molto intricata. Lei, invece, sentì che in testa le stavano risuonando mille campanelli d'allarme.

Il marito di Lilian e la sua famiglia credono che ci sia un collegamento con quello che potrebbe essere il padre del bambino. Se davvero è stato lui ad assumere quel cecchino, allora...

"Lei pensa davvero... che si tratti della stessa persona?".

"Da che parte sta lei, signora Moore, da quella della giustizia o da quella di sua figlia?".

I campanelli di allarme divennero il suono di uno schiaffo che nessuno le aveva dato e comprese che quel detective era persino più avanti dei suoi stessi pensieri. Tuttavia, rispose con molta cautela: "Signor Walker, non so cosa mi stia chiedendo di preciso, ma è proprio perché sono dalla parte di mia figlia che voglio impedirle di fare una sciocchezza!".

"Come uccidere suo marito per intascare l'eredità e scappare col suo amante?".

"Lilian non farebbe mai una cosa simile!", scattò su dalla sedia, attirando l'attenzione degli altri clienti, ma senza poterselo impedire. Non sopportava che quell'uomo le leggesse dentro così tanto, nessuno lo aveva mai fatto.

"La prego, si sieda, Margaret. Forse è meglio se parliamo fuori di qui", propose lui alzandosi a sua volta e accennandole all'uscita.

Poggiò le mani sul tavolo e si sporse verso di lui, cercando di abbassare il tono: "Le assicuro che qualunque... scorrettezza abbia commesso quel pazzo, l'ha fatto di propria iniziativa".

Era quello che aveva disperatamente cercato di credere, prima di ricordarsi che lei stessa non aveva esitato a mettere fine alla vita di Alain.

Era diverso, era molto diverso, lui era già condannato! Tuttavia...

"Prima o poi tutti i nodi vengono al pettine, signora Moore", ribatté Walker usando lo stesso tono, il suo alito che sapeva di tabacco la fece quasi arretrare. "Anche se quel ragazzo venisse arrestato con l'accusa di produzione e traffico di droghe, potrebbe generarsi un'indagine parallela per l'attentato di qualche settimana fa. E se la storia con sua figlia venisse fuori, sareste le prime a passare dei problemi: io, almeno, posso invocare il segreto professionale".

Margaret tentò di prendere dei respiri profondi, perché il cuore sembrava volerle scoppiare nel petto da un momento all'altro. Odiava pensarlo, ma quell'uomo aveva dannatamente ragione. Ciononostante, cercò di mantenere un tono fermo quando disse: "Allora lei continui per la sua strada e si tenga stretto il suo segreto professionale, che a mia figlia penso io!".

Senza più degnarlo di uno sguardo, cogliendo appena il momento in cui serrò la mascella, si volse e uscì. Doveva parlare con Lilian a ogni costo e farle capire quanto fosse pericoloso il gioco a cui stava giocando. Poi, se fosse stato necessario, l'avrebbe aiutata.

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Albert fu trascinato fuori dal sonno da un grido acuto e scattò in piedi ritrovandosi alla porta prima ancora di aver aperto completamente gli occhi. Girò la chiave ed entrò nella stanza di Lilian, accendendo la luce e trovandola inarcata sotto le coperte come se stesse soffrendo o stesse avendo l'incubo peggiore della propria vita.

"Noooo papà! NO!". Si contorse così tanto che a malapena riuscì a bloccarla avvolgendole le braccia intorno alla vita.

"Lilian, Lilian, svegliati! Per l'amor di Dio, svegliati!", disse scuotendola.

Prendendo aria come se fosse appena riemersa da una lunga apnea, spalancò gli occhi e lo guardò cercando di metterlo a fuoco.

"Papà... papà... mia madre...". I respiri erano veloci e superficiali e Albert le pose due dita sul collo, cogliendo un battito che doveva superare la soglia di guardia. Gli mise le mani sulle spalle affondando le dita come se da quel gesto dipendesse la sua vita, aggrappandosi letteralmente a lui.

"Lilian, calmati, respira! Era solo un incubo, capito? Respira... piano... così...". Poco a poco, la donna si calmò, anche se sembrava in preda a un tremore che la scuoteva quasi avesse una febbre che la stesse consumando. Albert le toccò la fronte e si rese conto che era persino sudata. I respiri rochi erano diventati l'ansito di qualcuno che stesse correndo, quindi si ridussero a un ansimare più regolare.

Solo allora si rese conto di avere ancora le braccia avvolte intorno al suo corpo e che il ventre, pur sotto le coperte, sembrava davvero quello di una donna alla fine della gravidanza. Ebbe appena il tempo per valutare se approfittarne per verificarlo una volta per tutte che lei si piegò in due: "Fa... male!".

Albert fece per alzarsi: "Chiamo il dottor Stevenson".

"No, aspetta!", lo afferrò per il polso, trattenendolo con una presa decisa. "Non lasciarmi, non te ne andare, ti prego!".

La guardò e in lei vide, ancora una volta, non più la donna arrogante che si era infilata nel suo letto o gli faceva scenate di gelosia, ma la ragazza spaventata ancora preda del trauma della morte di suo padre. In parte poteva capirla: quando aveva perso il proprio, Albert aveva solo otto anni e sulle spalle gli era piombata una responsabilità che si era dovuto sobbarcare prima ancora di cominciare a studiare seriamente per prendere il suo posto.

Eppure, tanta sofferenza doveva essere legata a qualcosa di ancora più profondo, se in tutti quegli anni non era ancora riuscita ad elaborarla. Lilian era pallida e le labbra quasi bianche tremavano, così non se la sentì di contraddirla.

"Era una contrazione?", chiese.

Gli occhi di lei gli parvero annebbiati come se parte della sua coscienza fosse rimasta ancora impigliata nell'incubo e la mano che non gli stringeva il polso scese sul ventre, ancora seminascosto sotto le coperte, mentre abbassava lo sguardo: "È passata" e poi lo rialzava su di lui per dirgli, con voce tremante e un tono tanto basso che a malapena la udì: "Mia madre lo ha ucciso".

Albert spalancò gli occhi, credendo di aver capito male. "Cos...?".

"Mia madre... ha ucciso papà... io l'ho vista. L'ha soffocato con un cuscino!", proruppe cominciando a piangere, portando le mani al viso e singhiozzando miseramente come non l'aveva mai vista fare.

Gelato accanto a lei, con una gamba sul letto di sua moglie e l'altra a terra, Albert sperò che quello che aveva appena detto Lilian fossero solo i vaneggiamenti di una donna che avesse avuto un incubo. Man mano che i singhiozzi si calmavano, lei sembrava cedere alla stanchezza, così l'aiutò a sdraiarsi.

"Era solo un sogno, Lilian", le ripeteva mentre lei lo pregava di non lasciarla sola. E Albert lo fece, vegliando a lungo sul suo sonno agitato, tentando di convincersi che la frase che aveva detto a lei fosse vera.

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Lilian si svegliò sentendosi più pesante del solito e si mosse per cambiare posizione. Ma qualcosa la tratteneva e, aprendo gli occhi, si rese conto che era un braccio. Con un ansito strozzato, volse il capo per incontrare il volto di William, profondamente addormentato sopra le coperte con addosso una giacca da camera che forse era stata l'unica cosa che lo avesse tenuto al caldo durante la notte.

D'improvviso, si sentì come se le parti si fossero invertite: possibile che ora fosse lei a non ricordarsi nulla?!

Oh, ma me lo ricordo, certo che me lo ricordo!

Portandosi una mano tra i capelli per scostarli dalla fronte, Lilian ebbe un flash della notte precedente, durante la quale il solito incubo, che era anche un ricordo, l'aveva quasi fatta impazzire di terrore. Era il trauma che aveva rimosso, che tornava a pesare sulla sua vita adulta facendola regredire a bambina di tre anni.

Ricordava la sua agitazione, le urla, la nebbia mentale... e lui, che accorreva calmandola con parole dolci, abbracciandola e...

Dio, gli ho detto tutto! Ma lui avrà pensato che fosse solo un sogno!

Perché aveva perso il controllo a tal punto?! Possibile che una parte di lei volesse affidarsi totalmente a quell'uomo perché la comprendesse e condividesse con lei quel fardello che non poteva appoggiare sulle spalle di nessun altro?

Sola...

Eccolo, suo marito. Quello che non era Ethan e, anzi, per certi versi era il suo esatto opposto. L'immagine speculare di uno specchio, il mondo parallelo al quale lei voleva sempre con più forza appartenere.

Il viso si contrasse, le sopracciglia si aggrottarono e William prese un respiro profondo nel sonno: stava sognando anche lui?

"Candy...", soffiò in un lamento così pregno di dolore che le si strinse il cuore. Il braccio la strinse più forte, incollandola al suo corpo, mentre lui abbracciava la donna che amava senza sapere che non era lei. Ripeté il nome dell'altra con il naso affondato nei suoi capelli e Lilian avvertì il bruciore delle lacrime negli occhi, nel naso, sulle guance.

Quel bisogno di calore dalla persona amata che provava anche lei, pur avendo sempre maggior confusione sulla sua identità, quel leggero tremore dettato dal desiderio e dal disperato bisogno di essere ricambiati... tutto si riversava in lei come se fluisse da William e in quell'abbraccio inconsapevole che le stava donando.

E di cui lei approfittò, sentendosi protetta, inalando a pieni polmoni la gioia fittizia di quel petto dove il cuore batteva forte e il profumo emanato sembrava quello dell'erba appena tagliata.

"Ti amo, Candy".

Bastò quello per farla risvegliare dal torpore, come se udire il nome di un'altra donna non fosse stato già sufficiente. Lo spinse via, facendolo risvegliare di soprassalto e volse il viso verso la finestra per non mostrargli le proprie lacrime e recuperare almeno la dignità.

Lo udì prendere un respiro improvviso, come se si rendesse conto di dove si trovasse e il letto di mosse un poco: si stava mettendo seduto. "Mi dispiace, devo essermi addormentato, ieri sera. Come ti senti?".

"Va meglio", disse tentando di non far tremare la voce.

Sentì William esitare, come se volesse chiederle qualcosa ma non trovasse le parole: "Ieri notte...".

"Ho avuto un incubo, mi dispiace averti allertato per nulla". Non era molto lontano dalla verità.

"Le contrazioni...".

"Sono passate. Oggi rimarrò a riposo e se si ripresentassero chiameremo mio zio".

Aveva cercato di mantenere un tono freddo, ma era molto difficile con le lacrime che le scendevano sul viso implacabili, ricordandole che quello non era il suo posto e che Ethan era lontano, chissà dove, a struggersi di certo per lei. E che William non le apparteneva e mai lo avrebbe fatto.

"Va bene. Non esitare a chiamarmi se hai bisogno di qualcosa. Ti manderò la cameriera con la colazione". Sembrava titubare l'uomo che l'aveva spesso guardata con odio e che si preoccupava per il suo bambino. Che a volte sembrava provare pena per lei. Che le aveva dormito accanto ma stava sognando quella Candy. "Lilian, io...".

"Vorrei restare sola, per favore", fu l'unica richiesta disperata che gli fece. Ormai doveva essere evidente, anche se era voltata, che stava piangendo. Colse di nuovo l'esitazione in lui, di certo aveva compreso quanto l'avesse offesa chiamare nel sonno un nome diverso dal suo, nonostante il loro rapporto fosse così anomalo. "Non devi lavorare?", aggiunse con rabbia. Se l'avesse avvicinata di nuovo o persino toccata con l'intento bizzarro di consolarla, si sarebbe semplicemente lasciata andare fra le sue braccia tirando fuori verità e sofferenze che non andavano rivelate.

Se le chiuse a chiave nel cuore, mentre lo sentiva borbottare qualcosa uscendo. E si ripeté che sì, andava bene così.