Timber I
Avrebbe dovuto saperlo.
Era troppo bello per essere vero e lui avrebbe dovuto immaginarlo.
C'era dietro qualcosa.
Lei gli stava davanti, con il suo sorriso angelico, le mani dietro la schiena, bellissima sempre, anche con un paio di jeans e un maglione informe addosso.
Dannazione, lei ne aveva di assi nella manica.
Quando era piombata nel suo studio due settimane prima, l'aveva accolta come sempre; a braccia aperte, grato dell'interruzione che lo toglieva per un attimo dalla tortura delle scartoffie che era costretto a controllare. Quando gli aveva parlato di una vacanza, da soli, a Winhill...si era chiesto se per caso non stesse sognando. Due settimane lontano dai preparativi del loro matrimonio: niente telefonate da fare, niente inviti da recapitare, niente di niente...solo un po' di mare -era la fine della stagione, potevano godersela un mondo e stare tranquilli, tornare per sposarsi e poi ripartire.
Avrebbe dovuto pensare che c'era qualcosa sotto.
L'aveva attirato a Winhill, la traditrice, gli aveva permesso passeggiate tra i fiori, chiacchierate con i paesani per scoprire di più su sua madre, giornate disteso sulla sabbia a godersi l'ultimo sole, e notti accoccolato sul suo seno, mentre lei gli accarezzava la testa e il rumore del mare li cullava nel sonno. E adesso, se ne usciva con l'idea di far visita ai loro padri, per...riappacificarsi.
Questo aveva avuto in mente, la traditrice.
Ammettere di avere una madre non era così complicato come ammettere di avere un padre. In fondo, Raine non lo aveva abbandonato, ma quello scemo...quello scemo, sì, se ne era andato sapendo tutto, e non era mai tornato pur sapendo tutto.
E oltre tutto, lo metteva a disagio il sapere di essere stato...insomma, nella testa di lui, o cosa diavolo facesse Ellione quando li rispediva nel passato.
Aver sentito quello che suo padre aveva pensato, aver visto il mondo con occhi che non erano suoi e filtrato da convinzioni che non erano sue...aver visto sua madre attraverso gli occhi di suo padre, non era una cosa così semplice da mandare giù. Anzi. Gli era sempre risultato difficile, quante volte aveva voluto chiedere ad Ellione perchè lui doveva diventare Laguna. Lui non voleva essere Laguna.
Troppe volte, dopo quella 'chiacchierata chiarificatrice', aveva cercato in ciò che aveva visto del passato i motivi di un abbandono come quello. Rivedeva Laguna a Deling, con Julia -la madre di Rinoa; risentiva ciò che provava per lei, rivedeva gli occhi di lei, risentiva la mano che le tremava. E poi era a Centra, tutto così offuscato...e poi rivedeva Laguna a Winhill, nell'unica scena di vita familiare che avesse mai visto tra i suoi genitori -e in cui lui non c'era.
Ellione sì.
Per tanto tempo non era riuscito più nemmeno a rivolgersi ad Ellione senza un po' di amarezza. C'erano volute tante notti insonni di Rinoa e tanta, tantissima pazienza e buona volontà da parte di Ellione per arrivare a smussare gli angoli di un sentimento che si andava delineando sempre di più come gelosia. Sapeva di essere infantile ed ingiusto; ma per settimane, non gli era riuscito di non abbinare al nome di Ellione anche l'abbandono che aveva subito.
Era una ferita così aperta, sanguinante, che pulsava sempre; nemmeno Rinoa con i suoi tentativi di tranquillizzarlo era riuscita a lenirla. Gli rimaneva accanto, la notte, quando lui non dormiva, con gli occhi aperti nel buio e un braccio intorno a lei, per tenerla stretta; aveva forse paura che se ne andasse anche lei?
Aveva il vago presentimento che la intenerisse il fatto che lui avesse paura di perderla. Lo aveva sentito in tutto quel periodo di tempo, era stata per loro la prova più forte. Non era mai riuscito a dirle quanto le era grato per quello che gli aveva dato in quel periodo -le notti in cui lei non dormiva, ma rimaneva sveglia, pronta ad ascoltare quello che lui avrebbe potuto volerle dire, accarezzandogli il petto piano, per rassicurarlo, lasciandosi stringere forte, a volte quasi da perdere il respiro -e solo ed esclusivamente per lui.
Si era definitivamente sciolto, allora.
Con la consapevolezza del suo amore, aveva trovato la forza di soffocare la gelosia e di crescere per dimenticare la rabbia in cui aveva coinvolto Ellione.
Ma non abbastanza per perdonare.
Non si sentiva a posto, e non aveva voglia di vedere nessuno, tantomeno lui...non aveva voglia di nulla, in quel momento, si sentiva totalmente svuotato alla semplice idea di incontrare suo padre.
Dopo quasi quattro anni...era normale averne paura?
Rinoa aspettava ancora una risposta. Lui si passò una mano tra i capelli, aprì la bocca per dire qualcosa ma lei lo bloccò con un gesto della mano; "Squall lo so -lo so che è difficile. Credimi, non è facile nemmeno per me...ma come possiamo pensare di costruire qualcosa di importante quando chiudiamo fuori dalla nostra famiglia i nostri genitori"
Lui abbassò gli occhi. Non solo aveva assi nella manica, si era anche preparata i motivi.
"Per favore. Fallo per me...vuoi? Non voglio che i nostri figli non..." si bloccò all'improvviso. Ma come le era venuto in mente? Non avevano mai parlato di figli. Era una regola quasi implicita, non nominare bambini fino a molti, molti anni dopo. Avevano solo ventidue anni, avevano ancora così tanto tempo -ma come le era venuto in mente di parlare di bambini?
Lui non disse nulla; fece finta di non aver sentito la parola 'figli', e alzò le braccia in segno di resa. "D'accordo. Ma lo faccio solo per te, ricordatelo..."
Fu premiato da un abbraccio quasi violento che non potè non ricambiare. Lasciò scivolare una mano sulla schiena di lei, scostandole con l'altra una ciocca di capelli dall'orecchio prima di mormorare"ma ricordati anche che mi devi un grosso favore..."
Lei gli rise contro il petto, sollevò piano la testa, e posandogli un dito sulle labbra, rispose"questo lo vedremo, mmmh"
Perché diavolo avesse accettato doveva ancora capirlo.
Non era mai capace di dirle no, e quella volta aveva solo ceduto come tutte le altre….ma perché, se era una cosa che detestava fare?
Se non altro, Rinoa aveva acconsentito a lasciare per ultima la visita ad Esthar, ma il fatto di avere più tempo, invece che tranquillizzarlo, sembrava tenerlo ancora più sulle spine.
Se avesse potuto levarsi quella storia di torno in fretta, forse sarebbe stato meglio….
O forse sarebbe stato ancora più scombussolato.
Come era stanco di pensare….
Finalmente il capotreno annunciò la partenza. Rinoa si era già accomodata contro la sua spalla e si era addormentata, in fin dei conti ci volevano tre ore per arrivare a Timber, e aveva il vago presentimento che Squall avesse bisogno di tempo per riflettere e sistemare le cose nella sua testa.
E ne aveva bisogno anche lei.
A Timber, avrebbe rivisto i suoi amici, festeggiato con loro la tanto agognata e finalmente raggiunta indipendenza; avrebbero ricordato i membri storici dei Gufi del Bosco, coloro che erano morti per la libertà di Timber, e soprattutto, i padri di Zone e Watts.
Ricordava bene come ogni anno ci fosse un giorno, per i Gufi del Bosco, per cui vigeva la regola del silenzio. Comunicavano con i gesti, senza emettere un solo suono.
Era il giorno in cui i padri di Zone e Watts erano stati massacrati.
E quell'anno le cose si sovrapponevano; non poteva esserci silenzio perché Timber era tornata una nazione e non era più una città oppressa.
I giorni coincidevano; Timber era stata liberata esattamente ventidue anni dopo il massacro.
Era un giorno insieme di lutto e di festa.
Sentì Squall che le lasciava scivolare un braccio intorno, per attirarla più vicino e farla accomodare meglio contro di lui, mentre il treno si muoveva e il capotreno annunciava la partenza da Balamb.
Tre ore e avrebbe di nuovo rivisto Timber. Timber come la ricordava lei, con i fiori, la musica, le feste in piazza, e il silenzio per i caduti.
Tre ore e avrebbe rivisto gli amici con cui ogni anno aveva diviso il dolore della perdita, con cui ogni giorno condivideva la nostalgia per ciò che avrebbe potuto essere, con cui trascorreva le serate tra chiacchiere e scherzi, o lacrime che loro asciugavano.
Timber era stata la sua prima casa dopo la morte di sua madre. Di nascosto, ogni anno, tornava a Deling City e portava un giglio sulla sua tomba; per ironia della sorte, era esattamente il giorno dopo quello del silenzio dei Gufi.
Che cosa univa il gruppo dei Gufi, si era chiesta spesso dopo che Squall le aveva parlato così duramente quel giorno?
Forse era un desiderio di rivalsa, un incontenibile desiderio di dare ai morti ciò che a loro era stato tolto –libertà e vita. Forse era l'amicizia, la complicità, la lealtà, la comprensione che portava tutti, un giorno all'anno, a parlarsi a gesti, e il giorno dopo a rischiare di finire in galera per permettere a Rinoa di comprare un giglio e portarlo al cimitero.
Lì, in quel gruppo, aveva trovato tutto ciò che sua madre le aveva insegnato, nei pochi anni in cui le era stata accanto; aveva imparato l'amicizia, aveva imparato ad essere leale, aveva imparato che ciò che sembra superficiale e stupido può avere basi così profonde da divenire spesso imperscrutabili.
Erano un gruppo guidato dal cuore, e forse aveva ragione Squall quando diceva che non potevano ottenere nulla soli perché non avevano coordinazione, mancavano di capacità strategiche e tutto il resto; ma avevano passione e ardore e per lei questo bastava.
Alzò la testa piano, per osservare l'espressione di Squall e mostrargli che non dormiva. Lui fissava nel vuoto, come se stesse contemplando ciò che in una settimana sarebbe accaduto alla sua vita; poi si sentì osservato e abbassò gli occhi su di lei, con un sorriso leggero.
"Squall, io….grazie."
Lui seppe subito a cosa si riferiva.
Non c'era bisogno di andare a Timber. Bastava che usassero la loro macchina per arrivare a Deling e parlare con Caraway, e poi per seguire la linea ferroviaria e andare ad Esthar.
Ma mentre partivano da Winhill, il notiziario aveva annunciato che Timber avrebbe festeggiato l'indipendenza raggiunta una settimana dopo. Squall si era voltato e aveva visto l'espressione di Rinoa; qualcosa di indecifrabile che lui non le aveva mai visto sul volto, e qualcosa che conosceva bene, la voglia di essere là.
Lui aveva sorriso, e poi con un semplice, 'facciamo una deviazione?' si era guadagnato la gratitudine di Rinoa per sempre, e un abbraccio in quel momento.
Le sorrise di nuovo, scostandole con una mano le ciocche di capelli che le cadevano sul viso, e mormorò, "Di niente."
Riabbassò gli occhi con un sorriso, per stringerlo forte di nuovo; sentì un bacio sui capelli, la mano di lui che le accarezzava il laccio nero intorno al braccio, e poi le giunse la sua voce, smorzata dai suoi capelli, "perché porti sempre questo laccio, Rinoa?"
Lei sospirò, e senza guardarlo rispose, "è una storia lunga, Squall…."
"Abbiamo tutto il tempo."
Tutto era pronto.
Un bel tappeto rosso che andava dalla porta della città alla piazza di fronte a Timber Maniacs, dove si sarebbe tenuto il discorso; le strade lastricate di fiaccole che sarebbero state accese all'arrivo del presidente, i soldati di guardia, il popolo di Timber pronto a onorare il suo oppressore.
Anche i gruppi di resistenza erano pronti. Si erano addestrati nelle imboscate che i galbadiani tendevano loro; avevano studiato i loro avversari, sapevano combattere, sapevano a memoria gli orari della cerimonia, sapevano tutto.
Sapevano cosa volevano e cosa dovevano fare per ottenerlo.
Un piano elaborato nei minimi dettagli, che avrebbe coinvolto l'intera Timber, snodandosi dalla porta d'ingresso fino alla piazza principale; un moto di ribellione che avrebbe attraversato la città fin nelle viscere, come il battito del suo cuore.
Libertà.
La parola viaggiava sulle bocche degli abitanti rimasti, pulsava nelle viuzze nascoste, tra le ombre furtive dei ribelli che si mettevano nelle postazioni loro assegnate, vagava nell'aria fumosa dei pub, la si bisbigliava nelle orecchie dei vicini di casa, la si cantava come ninna nanna ai neonati.
Libertà.
Era come ascoltare una canzone sommessa eppure vibrante, piena, una toccante testimonianza di vita.
Timber avrebbe cantato, quel giorno.
All'improvviso, i soldati si misero sull'attenti; l'inno di Galbadia iniziò a risuonare nell'aria tiepida d'autunno e la macchina presidenziale apparve in fondo alla strada. Si avvicinava lentamente alle porte della città, permettendo al presidente Deling di gustarsi la sua vittoria.
Nera e lucida la macchina oltrepassò piano le porte della città, si fermò, i soldati di scorta di avvicinarono e aprirono la portiera per far scendere il presidente. E a quel punto la folla che avrebbe dovuto acclamare e rendere omaggio, voltò le spalle al suo oppressore.
Le battaglie iniziarono, allora, tra i ribelli e i soldati, tra i cittadini e i soldati; le strade si macchiavano del sangue dei feriti e dei caduti, mentre le donne portavano al sicuro i bambini, per poi tornare in strada e combattere. I soldati sembravano cadere, uno dopo l'altro, feriti o morti, comunque sconfitti; la ribellione avanzava verso il suo fulcro, la città pulsava nel suo fremito di libertà, a cui Galbadia sembrava soccombere così facilmente, mentre veniva spinta fuori dalla città….già il presidente si era rifugiato nella sua macchina, già il suo esercito sembrava in minoranza, quando i capi dei ribelli salirono sul palco che sarebbe dovuto servire al discorso, afferrarono il microfono e urlarono, "Timber è libera!"
Ma alle loro spalle, comparvero dei soldati.
Erano già pronti, erano stati pronti fin dall'inizio. Qualcuno li aveva avvisati, qualcuno si era infiltrato?
Il presidente comparve alle loro spalle, con un malvagio sorriso ironico dipinto sul volto. La folla che si era radunata per il suo canto di libertà era rimasta impietrita di fronte all'evidente tradimento, ad osservare i suoi leader là, sul palco, ammanettati e con un fucile puntato al petto.
Il presidente si avvicinò al microfono, squadrò le persone davanti a lui, sorrise ai rinforzi che circondavano la folla inerme. Poi fece un cenno ad alcuni soldati, che entrarono in una casa e ne uscirono pochi minuti dopo trascinando i bambini per un braccio.
Che servisse di lezione anche a loro.
E poi i soldati con il fucile puntato contro il petto dei capi dei rivoltosi spararono.
La folla era ancora ferma. Osservava gli uomini sul palco che morivano con gli occhi rivolti verso di loro, per alcuni amici, per altri fratelli, per i bambini che non osavano piangere, padri.
L'odore acre degli spari si era sparso sulla piazza, intanto, mescolato a quello metallico del sangue. E poi un nuovo cenno del presidente permise ai soldati di straziare i cadaveri.
Gli occhi di tutti, allora, si chiusero.
Quando il terribile rumore dello strazio finì, i cadaveri furono spostati solo perché il discorso sarebbe stato trasmesso in televisione. I soldati avevano i fucili puntati sulla folla, per impedire altri moti più o meno spontanei. Il presidente si schiarì la voce, l'inno di Galbadia si diffuse ancora una volta……
Ma l'unica cosa che la tv potè mai trasmettere di quel giorno, fu la folla che con un unico movimento aveva voltato le spalle al suo oppressore, e aveva iniziato a cantare l'inno di Timber. Prima piano, poi sempre più forte, più convinto, pur con il pianto nella voce. Deling osservava e ascoltava impotente, non poteva certo ordinare che i soldati sparassero mentre tutto veniva trasmesso…avrebbe significato dare l'addio al prestigio e ai sogni di gloria.
Per cui rimase fermo, fremente di rabbia, mentre la città che voleva assoggettare lo rifiutava nel modo più umiliante. Mentre si ribellava di fronte a lui e ai suoi fucili. Non gli riuscì di iniziare il discorso, o di dire una sola parola, quel giorno.
Su Timber si levò solo il canto doloroso della sua libertà spezzata.
"Deling non poteva permettersi di mostrare di quale pasta fosse fatto, non allora," terminò tristemente Rinoa. "Quindi lasciò che la tv mostrasse la ribellione di Timber. Ma il giorno dopo…..dal giorno dopo iniziarono le deportazioni alla prigione del deserto. Intere famiglie andarono a finire là dentro….i primi deportati furono usati per la costruzione della prigione stessa, trattati come schiavi….si crede che morirono, là….perché, insomma…non vennero trovati mai più."
"E' un segno di lutto, quindi?" mormorò Squall a voce bassa, accarezzando piano il laccio nero intorno al braccio di Rinoa.
Lei annuì, stringendosi un po' più forte a lui. "Da quel giorno, tutti gli abitanti di Timber portano un laccio nero come questo intorno al braccio, per ricordare per cosa e per chi stiamo lottando."
"Stavamo" la corresse dolcemente Squall, in un tentativo di riportarle il sorriso sul viso.
Lei sorrise appena, alzando gli occhi su di lui; "sì, stavamo."
"Ma…gli abitanti di Timber? Tu…"
Lei lo interruppe con un bacio; "lo so. Io sono di Deling City…." abbassò di nuovo la testa sul petto di lui, perché non vedesse la sua espressione triste; e poi continuò, "ma mia madre veniva da Timber. Ciò che lei mi raccontò e mi mostrò, non lo dimenticai mai…a quindici anni decisi che avrei fatto tutto ciò che era in mio potere per far tornare la sua città libera. In…sua memoria."
Lui tacque per qualche minuto, con il mento appoggiato sulla testa di lei, rimuginando su ciò che gli aveva appena raccontato. Poi gli parve di ricordare qualcosa, mentre aspettavano Rinoa, durante la prima missione, un ragazzo gli aveva raccontato…
"Rinoa, quei capi….erano i padri di Zone e Watts?"
Un momento di silenzio così lungo che lui pensò fosse la risposta; poi la udì sussurrare, "sì, erano loro i bambini che vennero trascinati fuori. Loro…non riuscirono a non guardare. I soldati massacrarono i loro padri davanti a loro."
Squall tacque. Per l'ennesima volta negli ultimi mesi, si trovò a pensare se davvero voleva che la sua famiglia vivesse al Garden. Le parole di Rinoa continuavano a rimbombargli in testa….se ai Seed fosse stato ordinato un massacro simile, avrebbero potuto rifiutarsi?
Si poteva dir quello che si voleva, ma erano soldati. Anche di elite, ma sempre soldati, che venivano comprati per i loro servigi, e che dovevano eseguire gli ordini; se ai Seed fosse stato ordinato un massacro simile…..avrebbero davvero potuto rifiutarsi?
Rinoa alzò leggermente la testa. "Squall, a che pensi?"
Erano giorni che era pensieroso. Ancora prima che lei gli mettesse in testa l'argomento 'padri' –oltre che lasciarsi scappare anche la parola 'figli'- era stato distante, preoccupato, come se un pensiero fisso non lo lasciasse in pace. Spesso si svegliava la notte per trovarlo accanto alla finestra, a fissare nel vuoto, a fissare il mare che si lasciava placidamente smuovere dalle eliche del Garden; spesso gli chiedeva a che pensava e lui rispondeva che ancora non poteva dirglielo.
Non aveva la minima idea di cosa Squall stesse attraversando, il pensiero sembrava incupirlo ogni giorno di più. Allora gli aveva proposto la vacanza…e lo aveva osservato rilassarsi di nuovo, aprirsi, dimenticarsi le preoccupazioni e godersi la sua compagnia e la loro vacanza.
E poi gli aveva messo in testa l'argomento 'padri'…e involontariamente, l'argomento 'figli'.
Era questo che lo crucciava?
Lui si passò una mano tra i capelli; e con un sospiro rispose, "Rinoa, ancora non posso dirtelo…."
"Sono settimane che non puoi dirmelo."
Lui si stupì di come non ci fosse, nella voce di lei, nessuna nota di rimprovero; sembrava solo preoccupata per lui. Allora le sorrise, sollevandole il mento con un dito, e appoggiando la fronte contro quella di lei sussurrò languidamente, "ma riguarda il nostro futuro…."
Qualcosa di caldissimo sembrò sprigionarlesi dentro; il nostro futuro, aveva detto…da quanto tempo non lo diceva più, da quanto tempo non facevano progetti? Non si era accorta che quell'aggettivo le mancava tanto, sulla lingua di lui sembrava così potentemente magico, le sembrava quasi di vederlo dispiegato davanti a lei, il loro futuro. Non potè fare a meno di sorridere a sua volta, colmando piano lo spazio che li separava, sentendosi perdere nel sapore caldo e intenso di lui –si sarebbe mai stancata del suo sapore? Quando dopo quattro anni la coglieva ancora impreparata come la prima volta?
Si abbandonò di nuovo contro il suo petto, lasciandosi inebriare dal suo profumo, mescolato all'odore della sua giacca di pelle. Lo sentì appoggiare la testa contro la sua; e si lasciò cullare nel sonno, avviluppata e protetta.
Si accorse della differenza non appena scese dal treno.
Timber era festosamente diversa.
Chiuse gli occhi, assaporando il vento leggero che trasportava un po' di salsedine contro il suo viso, riconobbe le voci, una ad una, stavano preparando il tavolo in piazza….
"E' diversa."
La voce di Squall le fece riaprire gli occhi; se lo trovò accanto, che osservava curioso il cambiamento di cui erano testimoni.
Finalmente Timber era tornata viva. La strada era lastricata di aiuole fiorite, piccoli puntini coloratissimi che si snodavano come un arcobaleno di petali lungo tutto la città. Ad ogni finestra era esposta una bandiera, e le case sembravano brillare di una luce diversa, intensa, vibrante…e poi le voci, tante tantissime voci che si spargevano nell'aria trasportate dal vento leggero di fine estate, gli uomini che piantavano chiodi, tazze, piatti, bicchieri e posate che tintinnavano in lontananza, trasportate dalle donne verso la festa, il sibilo di un microfono che doveva essere sistemato, le risate dei bambini che si rincorrevano.
Lei non aveva mai visto questa Timber, l'aveva soltanto sognata, vissuta attraverso i vividi racconti di sua madre.
Una Timber così piena di odori, sapori, profumi, colori e suoni, che le toglieva il fiato e la portava a richiudere gli occhi, a risentire tutto senza vedere, a posare lo sguardo dei ricordi su ogni angolo della città….là inciampò Watts quando tornò di corsa per dire a tutti che Deling sarebbe arrivato a Timber, lì arrivava il loro treno dipinto a mano, qui si incontravano la signora dei souvenirs e il padrone dell'albergo per scambiarsi i modellini dei treni, là giù, alla scala del pub, Zone era ruzzolato con uno dei soliti crampi….era per questo che Timber era così magica, perché conservava in ogni suo angolo la vita che vi era stata vissuta?
Timber luccicava di colori e riecheggiava di suoni di festa.
Timber era libera e cantava di gioia.
Per un momento le sembrò di essere sul punto di piangere; cercò di mascherare l'emozione che l'aveva presa, la sua Timber, così aperta e viva, sembrava un cenno della testa disse a Squall, "forza, portiamo la nostra roba all'hotel….."
"E poi vediamo se possiamo dare una mano, ti va?" le chiese dolcemente Squall, notando il luccichio negli occhi di lei.
Essere parte di tutto questo? Sì, era tutto quello che voleva, tutto quello che poteva mai desiderare –Hyne, era il motivo per cui era a Timber.
"Sì…."
Gli afferrò la mano nel tentativo di calmarsi, non aveva pensato che sarebbe stato un impatto così forte….sentì solo vagamente il rumore delle ruote delle loro valige sull'asfalto, si accorse a malapena del tragitto fino all'albergo, si riscosse un poco solo quando la figlia dell'albergatore la salutò calorosamente, memore di tutte le volte che erano andati a nascondersi nella loro mansarda, quando i soldati di Galbadia li cercavano…..si riprese qualche minuto dopo, quando stava seduta sul letto della loro stanza, e quasi non si ricordò di come c'era arrivata.
Aveva pianto?
Stava ancora piangendo? La mano di Squall le accarezzava la guancia piano, la sua voce le giunse distinta nella fusione di suoni e colori in cui si ritrovava, "hey, va meglio?"
Chiuse gli occhi, li riaprì subito, aspettò di mettere a fuoco la stanza; si voltò verso di lui, e iniziò a cercare delle scuse, "io…non, non so che mi è preso….io…"
Lui la zittì abbracciandola, stupendola con la tenerezza con cui aveva attirato la sua testa sul suo petto, "lo so…."
Quanto tempo era rimasta così, appoggiata a lui, confortata dal suo battito regolare, dalle sue carezze leggere? Non lo sapeva, non lo ricordava, non le interessava….si scostò da lui piano, lo guardò sorriderle e mormorare, "se va meglio, possiamo andare a dare una mano, mmmh?"
"Sì…."
Era sconvolgente. Ma aveva bisogno di vederla ancora, per accertarsi che fosse vera, che non fosse uno dei vividi sogni a cui la sua mente da strega l'aveva abituata….per esserne parte, insieme a Squall.
Un posto che fosse loro, e non asettico come il Garden.
"Allora andiamo, sei pronta?"
Pronta. Che parola grossa. Non credeva sarebbe mai stata abbastanza pronta per nulla; cercava solo di trovare la forza per affrontarlo nel migliore nei modi.
"Non sono pronta, ma andiamo."
Tramonto.
Tutto prendeva una luce diversa, si riempiva di arancio e di rosso….era per questo che le feste a Timber iniziavano sempre al tramonto?
Avevano acceso le fiaccole, lungo tutte le strade….tutti erano nella piazza e attendevano il discorso che avrebbe aperto i festeggiamenti.
Toccava a Zone.
Chissà perché avevano scelto lui, si chiedeva continuamente mentre dal palco fissava i visi dei suoi concittadini, illuminati dal sole morente e dalle fiamme che dondolavano alla brezza.
Non sapeva minimamente che dire.
Sospirò profondamente nel microfono; e nel silenzio più assoluto iniziò, "per giorni ho pensato a cosa avrei dovuto dire. Non trovo le parole nemmeno ora, perché oggi…..oggi è l'anniversario."
Un silenzioso mormorio di assenso serpeggiò tra la folla.
"Ho pensato a cosa avremmo dovuto dire per ricordare anche loro, per essere rispettosi del lutto che abbiamo sempre portato, in questi anni……e non trovo le parole, trovo solo ricordi. E….e credo che le uniche parole da dire siano tre…."
Lottando contro il groppo in gola e i crampi dolorosi che gli attanagliavano lo stomaco, riecheggiò le parole di ventidue anni prima: "Timber è libera!"
E l'esplosione di gioia che seguì affogò le sue parole successive, "papà, Timber è libera….."
Rinoa e Squall lo osservavano, lui con un sorriso appena accennato, lei con gli occhi pieni di lacrime e una ristata isterica che minacciava di scoppiare da un momento all'altro. Non aveva mai pensato che potesse essere così dannatamente e tremendamente meraviglioso, così magico e potente; la libertà aveva questo sapore? Allora valeva tutte le ferite, tutti i litigi, tutte le notti insonni, tutte le lacrime –Hyne, allora valeva tutta la vita.
Si voltò verso Squall, con la vista annebbiata dalla gioia, e rise a squarciagola.
Era la prima volta che lui la vedeva ridere così; c'era qualcosa di strano, di seducente e avvolgente, nel suo modo di ridere….allungò una mano per prendere quella di lei, la attirò a sé, stringendola forte e aspirando il suo profumo, mentre il riso di lei si scioglieva in lacrime contro il suo collo e si mescolava ai singhiozzi.
Non aveva mai pensato che la gioia potesse essere così fisicamente dolorosa.
Gli rimase abbracciata a lungo, continuando a piangere e ridere contro di lui, scossa contro il suo petto dai singhiozzi e dalle risate, con le orecchie piene dei suoni di festa dietro di lei e i sensi inebetiti dal calore di lui. Fu solo dopo molti minuti che Squall la scostò leggermente da sé, dicendole solo mentre le accarezzava il viso, "ce l'hai fatta, mmmh?"
Lei sorrise appena, affondando la guancia nella mano di lui; "non ho fatto nulla…."
"No." Era incredibile….poteva parlarle con un tono che non ammetteva repliche, eppure rimaneva dolce, il pollice le asciugò una lacrima, continuando, "hai dato loro la forza che non avevano più….hai creduto in tutto questo quando loro non speravano più."
Sorrise di nuovo, gettandosi tra le sue braccia per un nuovo fiume di lacrime e risate, mentre lui le ripeteva tra i capelli, "ce l'hai fatta….."
Quanto tempo era passato?
Un'eternità….i suoni di festa si affievolivano dietro di lei, le lacrime si asciugavano, i singhiozzi si spegnevano…e lei poteva rialzare lo sguardo sulla sua Timber meravigliosa, e vedere che iniziava la processione alla festa in piazza.
Conosceva tutto, sapeva benissimo quello che sarebbe successo, passo per passo, minuto per minuto; ma lì, alla luce del sole che moriva, delle fiaccole, tra il rumore delle posate e dei piatti e delle risate e delle voci, tra i colori sbiaditi nel buio lieve della sera…no, così non l'aveva mai vista.
Ricordava la processione che andava verso il pub; ricordava le persone che sgattaiolavano là dietro, nel magazzino, mentre loro vagavano per la città per proteggere il loro incontro segreto; ricordava l'aria fumosa, la musica alta, i soldati che ridevano sguaiatamente di là, mentre loro si godevano la loro festa pacifica….
Sapeva di casa, Timber.
Sapeva di famiglia, Timber.
E anche ora, mentre seguivano lenti la processione verso la piazza, trasportando ognuno qualcosa, sembrava di essere a casa, di essere in una grande, meravigliosa e festante famiglia, che ti accoglieva a pacche sulle spalle e non chiudeva mai la porta a nessuno straniero.
Così diversa da Winhill, Timber, così più viva, così più reale, così più libera –così più casa sua.
Da lontano vedeva già i fiori sparsi sulla tavola lunghissima a cui si sarebbero seduti tutti, vedeva le persone che si passavano cestini, bicchieri e bottiglie, come se stessero apparecchiando in quel preciso momento; un delizioso groviglio di mani che non si scontravano mai. Zone era già seduto a capotavola, alla sua destra stava Watts con il suo sorriso larghissimo, alla sua sinistra la leader delle Volpi del Bosco, che l'aveva nascosta così tante volte……loro dovevano mettersi all'altro capo della tavola, al posto dello straniero.
Squall si sentì prendere la mano, mentre osservava affascinato i fiori sul tavolo, le candele, le mani che si passavano ogni cosa senza mai scontrarsi o scottarsi con le fiamme…si muovevano in una sincronia perfetta, come se ognuno sapesse cosa avrebbe fatto l'altro.
Si sentì guidare vero l'altro capo del tavolo, e Rinoa gli indicò che il posto a capotavola era suo. Lui sorrise incerto, imbarazzato…lei gli stava alla destra, l'anziano delle lacrime di Gufo alla sinistra, e lui non capiva perché proprio lui doveva stare al posto che gli sembrava d'onore.
Osservava la festa dal suo angolo privilegiato; osservava il modo in cui tutto, anche il semplice passarsi il cestino del pane, sembrasse rituale, antico, sconosciuto e così familiare, tanto da essere rassicurante; ascoltò la musica che gli riempiva le orecchie, riconoscendola immediatamente, l'avevano suonata per lui, i suoi amici, al concerto….aspirò forte l'aria di festa che lo circondava, sorrise di tutto ciò che aveva davanti perché tutto ciò che aveva davanti lo faceva sentire a casa.
La luce soffusa.
I fiori.
Le risate degli uomini, le voci delle donne, le grida dei bambini che non riuscivano a stare fermi a tavola e giocavano a nascondino….Rinoa che gli stringeva la mano.
Se c'era un posto in cui voleva vivere, Hyne, quello era Timber.
Si sentiva voluto, accettato, rassicurato, parte di qualcosa che non era possibile trovare se non lì, se non in quel preciso momento; ma quante volte si avevano queste feste? Una volta l'anno, gli rispose Rinoa, senza che lui si fosse reso conto di aver parlato ad alta voce; una volta l'anno durante quella festa c'era la cerimonia dello straniero.
E cosa era…?
Il vecchio accanto a lui rise; poi strinse la mano del suo vicino, e via via Squall osservò di nuovo le mani danzare nella luce fioca delle candele, fino ad arrivare a Zone. Come un fremito che percorreva la tavola…
Zone si era alzato; uno alla volta, tutti si alzarono e cominciarono a passarsi una bottiglia.
La musica era cambiata; le mani lungo la tavola sembravano muoversi al suo ritmo, prima lente poi più veloci si intrecciavano, alzavano calici come per un brindisi, prendevano la bottiglia e la passavano a chi avevano di fronte, e alla luce ombrosa delle candele sembrava davvero un'antica danza misteriosa. Qualcuno batteva le mani al ritmo della musica; accanto a lui Rinoa gli sussurrava, "questa è la tua accettazione…."
Lui non capiva, osservava la festa dispiegarsi davanti a lui, osservava la bottiglia giungere al vecchio; lui se ne versava un po', passava la bottiglia a Rinoa, anche lei ne versava un po' nel suo bicchiere; e poi, reggendo insieme la bottiglia, vuotavano il vino nel bicchiere di lui.
Guardò il liquido rosso illuminato dalle fiammelle, osservò Rinoa e il vecchio porgergli il bicchiere, capì cosa voleva dire la sua accettazione…tutti lo avevano accettato toccando la bottiglia, ora lui li avrebbe accettati bevendo.
Alzò il bicchiere, tutti gli altri alzarono il proprio insieme a lui, e lui stesso si stupì di quella armonia che sembrava far parte di lui, un largo sorriso di cui nemmeno si rendeva conto, bevve in unico sorso il vino che gli era stato versato.
Era tiepido, lui si aspettava che fosse freddo….aveva un sapore intenso, come se fosse soltanto mosto, era denso mentre lui si aspettava il solito liquido rubino che gli veniva offerto alle feste. Era insolito, quel vino…il vino dello straniero, diceva il vecchio accanto a lui; si sentì girare la testa per un momento, gli sembrò quasi di dover tossire quando il liquido gli si adagiò nello stomaco bruciandogli le viscere; si voltò verso Rinoa che gli sorrideva e beveva la sua parte di vino insieme al vecchio.
E poi, ancora un po' stordito, osservò il vecchio tirare fuori dalla sua tasca un boccettino, vuotare nel suo bicchiere quello che sembrava acqua e invece aveva il profumo del bosco; le riconobbe subito, le lacrime di Gufo.
Il vecchio mescolò attentamente il vino e le lacrime; bevve un sorso, sembrò soddisfatto del risultato, passò il bicchiere a Rinoa perché ne bevesse un sorso anche lei, aspettò il suo cenno di assenso e poi continuò a mescere il vino insieme alle lacrime di Gufo.
Squall si vide riconsegnare il bicchiere da Rinoa; capì di dover attendere che la bottiglia ritornasse di mano in mano e che tutti prendessero la loro parte di vino e lacrime….e poi si ritrovò a partecipare al più grande, gioioso e caloroso brindisi a cui avesse mai partecipato.
Forse il vino lo aveva leggermente ubriacato…si accorse vagamente che la cena era finita, e che la gente si spostava al centro della piazza, e ballava; si accorse vagamente che Rinoa si era allontanata verso il ponte dei treni, frastornato da tutte le persone che si avvicinavano a lui, e gli stringevano la mano, gli davano pacche sulle spalle e lo trattavano come se fosse sempre stato uno di Timber –uno di loro.
Amava quella sensazione, solo Rinoa e i loro amici riuscivano a farlo sentire così; accettato, amato, parte di qualcosa, parte di una famiglia.
Ripensò al viaggio in treno, al racconto di Rinoa, ai pensieri che lo inseguivano da settimane e non lo lasciavano dormire; se non al Garden, dove? E la risposta gli apparve lì, nei bambini che si rincorrevano tra le risate e le grida intorno alle persone che ballavano, nei capannelli delle donne che ridevano e parlottavano, nella sequenza di uomini che andava lì ad accoglierlo come se fosse stato un vecchio amico perduto.
Nella luce fioca e debole delle candele sferzate dal vento, gli sembrò di non aver mai visto così chiaramente.
E sorrise.
Cercò Rinoa con lo sguardo, forse voleva ballare? Era un po' che non la vedeva, magari aveva trovato qualche vecchio conoscente, magari ricordavano insieme cose che lui non aveva vissuto e che solo in quel momento avrebbe desiderato vivere.
Aveva lottato per Timber, ma non aveva mai lottato con Timber.
La gente che davanti a lui ballava, esultava, parlava e rideva aveva avuto uno scopo, per tutti quegli anni; aveva combattuto sul serio, nelle strade, nello spirito, per così tanto tempo da esserne spossati dentro ma senza mai cedere. Aveva resistito, non si era perduta, era solo stata messa a tacere e il liberatorio chiacchiericcio festoso che di solito lo infastidiva gli sembrava musica.
Erano liberi.
Hyne, erano liberi.
Cosa avrebbe dato per sentire ciò che stava provando alla fine di ogni missione? La Seed combatteva. Soldati d'elite inviati a risolvere i problemi altrui, profumatamente pagati, con una cultura raffinata e abilità insolite.
Ma che scopo avevano?
Cosa avevano da festeggiare, quando portavano il rapporto a lui, o al preside?
Di cosa potevano andare orgogliosi?
Orgogliosi erano gli abitanti di Timber, dal più anziano al più piccolo, orgogliosi di essere lì, di poterlo accogliere nella loro città, perché quando gli stringevano la mano non presentavano un sorriso di circostanza e un laconico 'benvenuto a Timber', ma sembravano trattenersi a stento dall'abbracciarlo, ridevano, Hyne, ridevano, e gli dicevano 'benvenuto tra noi'.
Amava Timber.
Ed era bastata una sola sera.
E doveva dirlo a Rinoa.
Lasciò vagare di nuovo lo sguardo sulla festa, cercando i suoi capelli neri; solo dopo qualche minuto si accorse di qualcuno dietro di lui.
"E' al ponte sulla ferrovia, non la troverai qui."
Riconobbe la voce di Zone, con la nota di dolore che l'aveva sempre accompagnata; si voltò verso di lui, ancora con il sorriso che gli aleggiava sulle labbra, stava per ringraziarlo quando lui lo sorprese infilandosi le mani in tasca e dicendo, "Sei fortunato. Rinoa non chiese mai la cerimonia dello straniero per Seifer."
Rimase un attimo in silenzio, senza sapere cosa dire, stupito da quella rivelazione così strana e così…..completamente inaspettata. Non gli era mai interessato ciò che era accaduto prima, il dopo lo aveva sempre riempito al punto da non aver bisogno di cercare altro. Rinoa era sua e gli bastava.
"Uhm…grazie…?"
"Non sono io la persona che devi ringraziare…."
Passò un lungo momento di silenzio tra i due; fu Zone a romperlo, di nuovo, "volevo solo dirti….lasciala sola ancora qualche minuto, abbiamo tutti dei conti da chiudere stasera."
Squall annuì; "sua madre, mmmh?"
"Già." E poi lo sorprese di nuovo, tendendogli la mano con un sorriso, e mormorando, "benvenuto fra noi, Squall."
Allungò la mano per stringere quella di Zone; "te lo ricordi, vero, cosa ti dissi anni fa? Se succede qualcosa a Rinoa…"
"Non succederà."
Zone sembrò accontentarsi della sua promessa; sapeva bene tutto quello che era successo nel corso di quell'avventura, nel corso di tutti gli anni successivi, sapeva benissimo che non aveva nulla di cui preoccuparsi. Ma a volte, era bello fare l'iperprotettivo fratello maggiore….
"Il ponte sulla ferrovia, mi hai detto?"
Si riscosse alla voce di Squall; annuì lentamente, indicandogli la direzione con un gesto della mano. E poi lo osservò sparire nel buio, la sagoma appena illuminata dalle candele che oramai stavano spegnendosi.
Pensò a Rinoa; al luccichio che aveva negli occhi quando aveva chiesto la cerimonia dello straniero per Squall, al sorriso che le era rimasto sul volto durante tutta la cena, al modo in cui stringeva la mano di lui e gli sussurrava piano quello che stava accadendo, la sua sorellina indifesa, la fragile principessa…..rivide Squall cercarla con lo sguardo, ripensò a tutto quello che gli era stato riferito di loro, e finalmente, per la prima volta in quella giornata, ingoiò la commozione, ignorò i crampi lancinanti del suo stomaco e rise.
Aspettare.
Una ad una le luci del cielo si accendono; guardi, le conti, sorridi, vedi una stella cadere, bruciare e morire, ne salvi lo spirito ed esprimi il tuo desiderio.
Era questo che 'aspettare' aveva sempre significato per lei.
Dal suo letto, su quel treno sempre in movimento, aveva sempre visto il buio scorrere lontano, veloce e silenzioso, le luci mescolarsi alle ombre, a volte così riconoscibili, altre volte sembianze lontane dei mostri della sua infanzia.
Guardava, aspettava, guardava, contava, aspettava, guardava e finalmente eccolo, il segno del cielo; una lacrima di fuoco che scivolava in alto, magari era una lacrima di sua madre? Magari lo spirito era quello di suo madre….
Allora aveva appena il tempo di lasciarsi mozzare il fiato dalla bellezza di una morte così gloriosa; Hyne ti tenga, Hyne ti tenga, Hyne ti tenga……le sembrava di sentire la voce dello spirito e la sua formula; Hyne ti mantenga, Hyne ti mantenga, Hyne ti mantenga. La stella lontana ammiccava lungo la sua caduta, e lei capiva.
E desiderava.
E poi aveva visto cosa si nascondeva là in alto; orbite infinite, masse di energia, che si muovevano nel buio più completo secondo leggi fisiche….ellissi e cerchi, fuochi e fiamme, esplosioni mute lontane nel tempo e nello spazio, un buco nero che assorbiva, assorbiva e assorbiva, e stelle morte, buie, sinistre, pianeti che ruotavano e ruotavano, satelliti che vagavano, in uno spazio così infinito eppure così piccolo da presentarti un'astronave.
Lo odiava.
Il cielo visto dalla Terra era qualcosa di molto più magico, bello in maniera terrificante; antico anni luce, nuovo ogni volta, diverso e sempre uguale in ogni luogo. Si illuminava di rosa e bianco la mattina, sfavillava di luce durante il giorno, si riempiva di nuvole, rovesciava acqua neve e grandine, si faceva rosso e incendiato d'arancio al tramonto, e poi di notte accoglieva la luna in una splendente accensione di stelle.
Gas. Energia. Supernova. Pianeti. Orbite infinitamente ellittiche.
Non le interessavano.
Ma le stelle che si accendevano una alla volta di fronte a lei, le stelle che scivolavano morendo lontano, nel tempo e nello spazio, quelle la affascinavano.
Là viveva sua madre.
Tra le stelle e la luce.
E le si mostrava nelle limpide sere d'estate, colorata d'argento o di champagne, scivolava lenta lungo il buio e si lasciava salvare, e lei si lasciava proteggere.
Fissava il cielo, nessuna luna pallida a schiarirlo, una grossa nuvola là in fondo, spinta dal vento, prendeva le forme più disparate. E poi una stella cadeva, bruciava, accendeva il cielo di fuoco e svaniva, leggera ed eterea come era sempre stata.
Come solo una stella può essere.
Sorrise, pronunciò la formula, attese che l'universo rispondesse; e poi invece di desiderare, sorrise e mormorò con una lacrima sul volto, "mamma, Timber è libera…."
Rimase in silenzio qualche minuto, ferma ad osservare una luce pulsare languida nel punto in cui lo spirito di sua madre aveva finito la sua corsa; stava per voltarsi e tornare alla festa, quando si sentì abbracciare da dietro e il profumo che la avvolse le parlò di Squall.
"Stai bene?" chiese la sua voce, bassa e calda contro il suo orecchio; lei si abbandonò contro di lui e mormorò, "sì, sto bene…."
Lui sembrò soddisfatto della risposta, e continuò a stringerla in silenzio. I pensieri le mulinavano nella testa, veloci e inafferrabili, ricordi che sembravano così lontani e le scorrevano davanti come un film in bianco e nero, pieno di suoni e di voci, pieno di battaglie e di sangue, pieno di lacrime e risate, pieno di lei, dei Gufi, del ricordo di sua madre, pieno dei suoi amici.
Era così tanto che le sembrò le mancasse il respiro, era così tanto che chiuse gli occhi perché le girava la testa. Intenso come un pugno nello stomaco, dolceamaro di nostalgia.
Le mancava, tutto quello?
Allora era piccola, così giovane e ingenua, inesperta e convinta che tutto sarebbe stato possibile, bastava volerlo. Bastava crederci, bastava crederci al punto da avere crampi nello stomaco come Zone, da stare fisicamente male.
Bastava crederci, no?
E invece gli anni scorrevano nel loro impetuoso fiume di immagini, li sentiva passare di nuovo sopra di lei, uno alla volta, ogni giorno, ogni minuto, ogni occasione perduta e ogni speranza uccisa, ogni ferita che si riapriva e guariva.
Era il passato.
Era chiuso, era finito, Timber era libera.
Era l'unica cosa che contava, eppure una malinconia sottile le languiva dentro; qualcosa si chiudeva dentro di lei, la vita voltava pagina e lo spazio bianco, vuoto, su cui doveva camminare era solo nelle sue mani.
Era più facile pensare che fosse nelle mani del destino, ma non era quello il caso….non esisteva destino e non esisteva fato, esisteva lei e tutte le persone che decideva di lasciar entrare od uscire dalla sua vita.
Voleva voltarsi di nuovo a guardare quel capitolo così intenso e ricco, in cui lei era stata viva ed era stata orgogliosa di essere se stessa –orgogliosa di ciò che faceva e diceva e pensava.
Orgogliosa di crederci.
Aveva bisogno di qualcosa che potesse tenerla legata a quel capitolo in cui aveva trovato se stessa, scorreva freneticamente le pagine alla ricerca dell'anello di congiunzione…e poi, all'improvviso, le si presentò tenero e con un sorriso sul volto.
Squall.
Squall che l'aveva ferita, Squall che la faceva infuriare, Squall che le parlava duramente e la costringeva a rivedere ciò in cui credeva, Squall che la faceva crescere, Squall che le sorrideva, Squall che la amava, Squall, Squall, Squall.
Nel battito che si riverberava contro la sua schiena, trovò ciò che univa il suo passato al futuro che ancora doveva scrivere.
Squall. Il presente.
Fu come se solo in quel momento la pagina venisse voltata e il capitolo archiviato tra i ricordi e la nostalgia; colpita dalla sorprendente fisicità di quel dolore così malinconico, si voltò di scatto verso l'uomo che la stringeva e scoppiò in singhiozzi.
Lui aveva vagamente presagito che qualcosa del genere sarebbe successo; abbassò la testa su quella di lei, accarezzandola piano, senza consolarla perché non c'era nulla da consolare, solo da lasciar passare.
Con i sensi ancora colmi del profumo di lui e la mente ancora sconvolta dal treno di immagini che l'aveva attraversata, riuscì a mormorare contro il suo petto, "Squall, ho bisogno di te….."
Lui sorrise la sua comprensione, e la strinse più forte senza dire nulla. Lei continuava a ripeterlo, mescolando le parole ai singhiozzi, fino a che lui le scostò una ciocca di capelli e sussurrò, "sssshh……"
Sembrò tranquillizzarla. I singhiozzi si smorzarono contro il petto di lui, lei si allontanò per asciugarsi gli occhi e dopo un profondo sospiro, lo fissò con un sorriso forzato. "I-io, non…."
"Ssssh….." ripetè lui, passandole un dito sul viso per raccogliere le ultime lacrime che le scivolano lente sulle guance. "Ho bisogno di te anche io…"
Lei era così incredibilmente stupefacente.
Era stata così tenera e fragile sul ponte della ferrovia, sciolta in lacrime come una ragazzina all'ultimo giorno di scuola del suo ultimo anno di liceo.
Sciolta in lacrime all'idea che il suo sogno di adolescente si fosse realizzato, sciolta in lacrime per la struggente nostalgia di un tempo in cui tutto era complicità e fiducia, sciolta in lacrime all'idea di avere lui.
E lui si sentiva così fortunato.
E poi era diventata una gattina seducente e fragile, che con movimenti lenti e semplici si era spogliata per lui in singhiozzi leggeri, intenerendolo ed eccitandolo insieme. Era innocente e conturbante, sconvolgente e trasparente, dolce e…e sua.
E lui si sentiva così amato.
Si era avvicinata a lui come a un rifugio, l'aveva sentita tremare contro il suo petto, l'aveva sentita mugolare mentre lasciava scivolare le sue mani su di lei.
Era sua.
Aveva quasi voglia di piangere.
Seduta sopra di lui e quasi rannicchiata contro il suo petto, la sentiva singhiozzare e gemere, mentre lo avvolgeva del suo calore umido…lei gli si abbandonava contro e lui riusciva solo a sospirarle il suo amore all'orecchio e a sussurrarle parole roche.
Come poteva annichilirlo così?
Non era la carezza della sua canzone d'amore, non erano i suoi movimenti dolci e languidi come il mare, non era nemmeno il modo in cui riusciva a stringerlo facendolo vibrare di piacere dentro di lei.
Era solo lei ad annichilirlo.
Il modo in cui le lacrime le rotolavano lente sulle guance, il modo in cui lo guardava attraverso occhi annacquati di passione, il modo in cui lo faceva sentire sicuro ed amato, il modo in cui era sua –il modo in cui sapeva essere lei.
Il modo in cui aveva lambito da lontano il suo mondo; piano piano, scaldandolo e illuminandolo, costringendolo ad aprire gli occhi sul buio di cui si era circondato.
E poi il modo in cui, prepotente e sconvolgente, aveva aperto le sue difese ed era entrata, e si era fatta dolce e confortante mentre lo accarezzava, lui impaurito e rannicchiato in un angolo, e lei tenera, fragile e vibrante.
Lui la amava già.
E poi l'aveva sentita scendere in lui, osservare curiosa paura e sfiorare appena tormenti, l'aveva sentita combatterli, si era sentito tremare e sciogliere.
E lui la desiderava già.
E poi era affondato in lei, nel corpo e nell'anima, era sceso, sceso e sceso e l'aveva sentita cedere sotto il suo amore, una presenza che lambiva sempre i suoi pensieri, e mentre lei fremeva accanto a lui si era sentito annegare.
E aveva desiderato continuare ad annegare.
Lei gli si era attaccata alle viscere e lui non voleva cacciarla, voleva soltanto proteggerla, stringerla, amarla, affondare e annegare, perché era come morire e rinascere ogni volta, come essere una Fenice e lei era la cenere da cui lui poteva risorgere.
Esisteva un dono più grande?
Era un dono di cui lui era capace?
Poteva essere che lui, spaurito e fragile, fosse la cenere di lei?
Lei era così il suo sguardo appannato e la voce arrochita, sensuale nella sua innocenza e innocente nella sua sensualità, ed era così abbandonata, con la testa all'indietro, ed era così sua, con le unghie conficcate nella sua schiena, un dolore di piacere che lo faceva fremere in lei, stretto dalla sua carezza dolce, e le strappava un altro gemito.
Lei era una droga e lui non poteva più farne a meno.
E non voleva più farne a meno.
La circondò più forte con un braccio alla vita, lei sembrò scivolare languida su di lui fino ad abbandonarsi completamente contro il suo petto, si sentì bagnare di qualche lacrima sporadica, si chinò per sussurrarle qualche mormorio incoerente all'orecchio, Hyne, non pensava nemmeno più……….
Annichilito e inebetito da lei, sussurrava solo il suo respiro caldo e affrettato, riusciva a parlarle solo attraverso un dito che scivolava lungo la schiena di lei fino al punto in cui erano uniti, e lei s'inarcava contro di lui, tornava a gettare la testa all'indietro tra i rantolii della sua agonia deliziosa, lo invitava in silenzio a stuzzicarle i seni con la bocca –o forse era stato lui a provocarla?
Non lo sapeva e non gli interessava, era perso in quel gioco e non voleva trovare la via d'uscita, voleva solo quel momento, niente passato e niente futuro, solo presente, niente Rinoa e niente Squall, solo loro, le gambe di lei che gli stringevano i fianchi, la sua morsa umida che gli intorpidiva i sensi e strillava di piacere intorno a lui, il suo nome che le rotolava sulla lingua e lui che rantolava il suo orgasmo prima di catturarle la bocca, prima di stringerla e trascinarla insieme a lui sul materasso.
Spente dalla bocca di lui, le sue grida si smorzarono in gemiti che si perdevano contro la lingua che le accarezzava la bocca, e poi divennero mugolii, e poi sospiri soddisfatti mentre le loro mani si incrociavano per afferrare il lenzuolo.
Era sempre stato così.
Come se in qualche modo entrambi sapessero cosa avrebbe fatto l'altro, ogni volta allungavano le mani insieme per prendere il lenzuolo e coprirsi.
Lei lo lasciò fare, soffocando lo stupore che la prendeva ogni volta che la loro sincronia si metteva in mezzo in una risatina e nei baci di lui. Sentì la stoffa leggera del lenzuolo che la copriva, la mano di lui che tornava a sfiorarle la vita, e i suoni dell'esterno che tornavano, poco alla volta; il rumore del vento, un grillo che cantava nascosto in qualche cespuglio, un cane che abbaiava lontano….si lasciò andare contro il suo petto e cercò il suo battito impazzito, lasciandosi cullare dal suono rassicurante del suo cuore.
Tu-tum. Tu-tum.
Non c'era da meravigliarsi che i bambini amassero il battito della loro madre…era regolare come un respiro, sommesso eppure così potente.
Lui posò la testa su quella di lei, sospirando e rimuginando.
Erano sempre stati momenti come quelli; in cui era debole, era sfinito, era felice e non riusciva a trattenere le parole che avrebbe voluto urlarle.
Tutto quello che gli passava per la testa a velocità folle, tutto quello che riusciva a comprendere dei suoi pensieri rapidi e incostanti era solo una cosa.
Sono tuo.
Aveva sempre creduto che fosse qualcosa di femminile, qualcosa che lei gli avrebbe detto per prima, qualcosa che lui avrebbe intuito ma non sentito così visceralmente.
E invece il pensiero pulsava dentro di lui, lento, sempre sul fondo, ma sempre presente, sono tuo, e lui voleva quasi piangere, era sempre stato quasi in lacrime in momenti come quelli in cui aveva urlato in un sussurro tutto quello che voleva dirle.
Ti amo, Rinoa.
Sposami, Rinoa.
E adesso, che lasciava passare i minuti come tutte le altre volte, godendosi la calda vicinanza di lei e il solletico leggero del suo respiro sul petto, era di nuovo come allora.
Qualcosa che cresceva, fioriva, sembrava resistere a ogni cosa e lui non poteva far altro che guardare stupito, senza sapere cosa fare o cosa dire o anche solo cosa pensare. Non poteva far altro che prenderne atto, sorridere di felicità, aspettare che il nodo alla gola si sciogliesse….e poi mormorare, "sono tuo, Rinoa…"
Era suonato come un bambino spaventato; non gli interessava. Lei era rimasta ferma per così tanto tempo che lui pensò non avesse sentito; ma poi la osservò alzare lo sguardo, con il suo sorriso da gattina soddisfatta e seducente, la sentì mormorare "anche io sono tua, Squall…." e si sentì stendere sul letto, mentre lei lasciava scivolare una gamba contro le sue, salendo su di lui così lentamente che gli sembrò quasi struggente.
Non aveva pensato che potesse essere così magico. Quando aveva detto, sul ponte della ferrovia, 'ho bisogno di te', lo aveva pensato ma non sentito così profondamente…e adesso che lei era sopra di lui, e si strusciava lenta e languida e la sua voce gli accarezzava l'orecchio, si sentiva come colpito allo stomaco da quella sensazione così forte –sono tuo. Ho bisogno di te.
Ho bisogno di Rinoa...
Lei lo accarezzava dentro e fuori, un sussurro che tranquillizzava le sue paure e chiudeva altrove i suoi tormenti, si sentiva già pulsare di nuovo di desiderio dentro di lei….lasciò scorrere le mani lungo la sua schiena, la sentì rabbrividire, la vide inarcarsi pur rimanendo abbracciata a lui e la sentì di nuovo avvolgerlo stretto. Era già perso nei suoi gemiti sommessi quando gli sembrò di aver sentito una goccia cadere sul suo petto; la osservò di nuovo, si accorse delle lacrime che le scorrevano sulle guance e del sorriso che aveva dipinto sul volto.
E rise.
Lei era così…incredibile.
Lui sapeva cosa avrebbe fatto lei. Lo avrebbe sedotto di nuovo e avrebbe fatto l'amore con lui tra le lacrime. Ma lei riusciva ad essere ogni volta così diversa, così vibrante, così….Rinoa.
Poteva non amarla?
La strinse più forte, spingendola contro il materasso e sistemandosi sopra di lei, lasciando che gli scoppiasse a piangere tra le braccia –come tutte le altre volte, e sempre così diversa dalle altre volte….
Si lasciò affondare di nuovo, lei riusciva ad inebriarlo sempre, con le lacrime, con le risate, con i gemiti e con le grida….riusciva a pensare solo una cosa, a mormorare solo una cosa mentre lei tornava a stringersi a lui e graffiargli la schiena, e i singhiozzi si perdevano tra i gemiti e i sospiri.
Sono tuo, Rinoa...
Nota dell'autrice: uhm, non credo che da questa parte si capisca molto, ma spero che dalla prossima sia più chiaro XD
Volevo solo dire alcune cose…dunque, la prima è che la storia dei padri di Zone e Watts non l'ho inventata; se poco prima di scendere dal treno dei Gufi per andare alla stazione televisiva parlate con uno dei ragazzi nella stanza dei comandi, vi racconta queste cose E poi, la parte della cerimonia dello straniero l'ho scritta pensando al sirtaki e alla Grecia (sì, ho visto troppe volte la chiusura delle Olimpiadi ).
Infine, la scena di sesso è la prima che provo a scrivere, quindi siate clementi, mmmh:
